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thomasmuntzer

L’Europa difende i risparmi delle famiglie (e allora lo spread?)

di Thomasmuntzerblog

4720N8D 593x443Corriere Web SezioniIn questi giorni, in Francia, alcune decine di migliaia di persone hanno protestato in maniera auto-organizzata in seguito all’aumento dei prezzi del carburante. La protesta coinvolge in larga misura persone che abitano in zone periferiche delle grandi città e non possono fare a meno di spostarsi in macchina per andare a lavorare. Ciò che trovo più ipocrita della misura del governo francese è la giustificazione secondo cui bisogna disincentivare le persone dal prendere o comprare la macchina perché inquina. Credere alla giustificazione verde del provvedimento denota infatti una certa superficialità, per il semplice fatto che chi è obbligato a utilizzare la macchina, continuerà a prenderla se non viene potenziato il trasporto pubblico prima di tassare macchine e/o carburanti. L’unico effetto quindi sarà quello di impoverire queste persone senza alcun beneficio per l’ambiente. Sarà un effetto collaterale o è il vero fine del provvedimento? Per capirlo bisognerebbe tornare ai fondamentali…

Invece di occuparci delle vicissitudini d’oltralpe vorremmo però affrontare tre storielle bizzarre che trovano molto spazio nei media nostrani e che meritano un po’ di attenzione:

1) l’innalzamento dello spread è dovuto alla perdita di fiducia dei mercati;

2) l’Europa garantisce i risparmi delle famiglie italiane;

3) un deficit eccessivo mette a rischio la stabilità dell’intera Eurozona.

Stando a queste storielle, il governo dovrebbe retrocedere sulle cifre della manovra e obbedire a Moscovici. Dovrebbe farlo

1) per riguadagnare la fiducia dei mercati e finanziare la sua spesa;

2) salvaguardare i risparmi;

3) non mettere in pericolo l’Eurozona,

nonostante il deficit presentato da Tria sia il più basso da Monti in poi e nonostante Francia e Spagna continuino a presentarne di più cospicui senza ricevere la stessa attenzione dai media locali né quella dei mercati (che siano correlate?). Vediamo allora come queste storielle cozzano con gli eventi, riportati in parte dai media stessi, che però senza un quadro d’insieme appaiono come verità monche.

Si fa un gran parlare della perdita di valore dei BTP dovuto all’innalzamento dello spread e di come questo abbia impoverito le famiglie italiane, sia in base al cosiddetto effetto povertà, sia al fatto che i rendimenti maggiori si trasformeranno in tasse ulteriori. Infatti, se lo spread si alza, il prezzo dei BTP diminuisce e dunque il valore dell’asset detenuto dal possessore di BTP diminuisce. Contemporaneamente i media mainstream non trascurano la debolezza delle banche italiane. Come sono collegati questi fatti? Come si collegano alle tre storielle di sopra?

Iniziamo col notare che le famiglie italiane non detengono che una frazione irrilevante del debito pubblico. Dunque questo effetto povertà non influisce tanto sulle famiglie in maniera diretta quanto sulle banche che, per ripianare i bilanci in perdita, penseranno bene di innalzare i tassi di interesse. La relazione di causalità tra aumento dei rendimenti e aumento dei mutui avviene in altre parole solo perché le banche italiane sono imbottite di titoli di stato. Questa debolezza ha cause approfondiremo in seguito.

Ciò che colpisce della narrazione mainstream non è dunque la tesi finale sostenuta, corretta, quanto l’idiosincrasia del raccontare questa storia insieme alla presunta protezione dei risparmi italiani operata dall’Europa. In quale altro stato del mondo il risultato delle elezioni porta ad un effetto cosi veloce sulla ricchezza delle famiglie?

Se c’è qualcosa che dovremmo concludere, dopo aver messo insieme i cocci presi dalla stampa, è che le istituzioni europee sono del tutto inefficaci nella protezione dei risparmi delle famiglie. Cosa è successo infatti ai rendimenti inglesi a seguito del terremoto politico della Brexit? E in Brasile a seguito dell’elezione di Bolsonaro? Nulla. E per quale motivo allora noi dovremmo pagare il prezzo di aver eletto Salvini o del reddito di cittadinanza? Semplice, perché sono inefficaci per scelta!

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Rendimento dei titoli di stato inglesi a 10 anni. la barra verticale è messa in corrispondenza della data del referendum sulla Brexit, 23 giugno 2016.

L’impianto attuale, non prevedendo una banca centrale prestatrice di ultima istanza e garante quindi del debito degli stati dell’Eurozona, espone gli stati agli umori dei mercati come barchette in un mare in tempesta. Questa situazione è stata creata con l’obiettivo preciso di disciplinare gli stati membri, anche se formalmente la storia viene ammantata di stronzate quali moral hazard a cui sarebbero esposti quei paesi le cui banche centrali si comportassero appunto come la Bank of England o la Bank of Japan e cosi via. Moral hazard che stranamente non è stata considerata nell’unificare sotto l’euro economie lontane con tassi di interesse diversi e che ha tolto ai banchieri del nord la preoccupazione di eventuali svalutazioni permettendo loro di drogare le economie del sud Europa portando all’esplosione del debito privato di questi paesi.

La tempesta in cui si trova l’Italia oggi non è esogena al suo rapporto con l’UE ma viene esattamente dal ricatto sotto cui è tenuta a vivere in quanto paese-colonia privo di sovranità monetaria, come riportato da Standard&Poor’s a pagina 5 del documento in cui spiega la metodologia con cui esprime le sue valutazioni:

We determine a sovereign local-currency rating by applying up to usually no more than one notch of uplift over the foreign-currency rating. Sovereign local-currency ratings can be higher than sovereign foreign-currency ratings because local-currency creditworthiness may be supported by the unique powers that sovereigns possess within their own borders, including issuance of the local currency and regulatory control of the domestic financial system. When a sovereign is a member of a monetary union, and thus cedes monetary and exchange-rate policy to a common central bank, or when it uses the currency of another sovereign, the local-currency rating is, under our criteria, equal to the foreign-currency rating.

In altre parole ciò che i mercati prezzano è la non-solvibilità dell’Italia nella valuta in cui è emesso il suo debito, che potrebbe rivelarsi un problema nel caso in cui la tensione tra Roma e Bruxelles salisse a tal punto da spingere l’Italia fuori dall’Eurozona. Gli investitori quindi chiedono un interesse maggiore per coprirsi dal redenomination risk, ovvero il fatto che l’Italia possa uscire dall’unione monetaria e riconvertire il suo debito in nuova valuta.

A riprova di quanto detto, basta notare che lo spread si alza quando la tensione sale e scende quando il governo appare più docile. Ora cosa ha a che fare l’aumento dei nostri rendimenti con i fondamentali economici della nazione? Cosa ne sarebbe se l’Italia avesse una banca centrale indipendente o se la BCE operasse come la Bank of England? Lascio a voi la risposta.

Dedichiamoci all’ultima storiella. È vero che l’instabilità politica italiana mette a rischio la stabilità dell’Eurozona? Uno studio di qualche anno fa stranamente ignorato dai media nostrani analizza gli effetti della crisi greca sui tassi di interesse tedeschi. Ebbene il risultato dei ricercatori tedeschi è che a seguito dell’aumento prolungato dei rendimenti della Grecia (ma verrebbe da dire dei paesi periferici) i tedeschi hanno risparmiato 100 miliardi sui tassi di interesse sul loro debito tra il 2010 e il 2015. Come? Semplice. Fino a prima del voltafaccia di Tsipras del giugno 2015, la possibilità che la Grecia uscisse dall’eurozona era molto probabile. Per lo stesso meccanismo discusso sopra, questo spingeva i bond greci al rialzo. Quando i soldi fuggono da asset rischiosi, molto probabilmente si riversano su beni considerati sicuri, e quale altro bene era più stabile di un bel bond tedesco? Questo flusso di risorse ha spinto in basso i rendimenti tedeschi (ma verrebbe da dire dei paesi core) e ha permesso loro di stabilizzare ulteriormente le loro finanze pubbliche. Se crediamo alla tesi di questo studio tedesco, i paesi ricchi non subiscono danni diretti per le intemperanze del governo italiano. Semmai il contagio si estende ai paesi periferici, a cui il mercato comincia a chiedere interessi più alti perché ne diventa probabile l’uscita dall’euro a seguito di un uscita dell’Italia, o della rottura disordinata dell’unione monetaria.

Se non fosse ancora chiara la fragilità delle politiche e delle istituzioni europee, veniamo alla fragilità delle banche italiane. Abbiamo detto che essa è causata dall’eccessiva esposizione nei confronti dei titoli di stato. Dobbiamo allora capire a cosa è dovuta questa esposizione eccessiva. Ricordate quando sette anni fa lo spread toccava quota 500 e l’Europa ci imponeva Mario Monti? In quei momenti, contemporaneamente, l’altro Mario (Draghi) lanciava l’operazione LTRO (long term refinancing operation) volto a stimolare il credito concedendo liquidità alle banche a un tasso di interesse prossimo a zero. In sofferenza a causa della crisi e delle misure pro-cicliche imposte da Bruxelles, cosa pensate che potessero fare le banche italiane per ripianare i loro bilanci? Hanno comprato titoli di stato lucrando sul ghiotto rendimento a costo zero.

Vi è venuta un po’ di nausea? Vi capisco, poi di questi tempi… se però la nausea dovesse raggiungere livelli insopportabili, basta consolarsi con la speranza che l’ipocrisia di questa classe dirigente finirà presto. A primavera ci sono le elezioni europee, dove si vota col proporzionale. Che l’establishment europeo ne esca indenne appare sempre più improbabile stando ai livelli di popolarità bassi di cui godono in patria Merkel e Macron, soprattutto comparati al sessanta per cento attuale di Lega e 5 Stelle. Le avvisaglie ricevute da Monsieur le roi fanno ben sperare, come i messaggi affettuosi che Trump gli ha inviato qualche settimana fa. E se anche aveste poca speranza nella resistenza del popolo francese o nella pazienza del popolo italiano, potete confidare nella politica estera americana che in quanto a cambi di regime ha una certa dimestichezza.

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