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sinistra

Atene chiama. Fassina risponde?

Mimmo Porcaro

b9oz6eviaaapzsj1L’arretramento di Syriza

Non si è buoni amici del popolo greco se si sottovaluta il netto arretramento a cui Syriza è stata costretta dai ricatti delle sue controparti e dalla propria incertezza strategica. Nella lettera presentata da Varoufakis all’Eurogruppo non c’è alcun cenno alla questione più importante, ossia alla ristrutturazione del debito, ed oltre a ciò il governo greco si trova di fatto nell’impossibilità di utilizzare il fondo salva-stati (che andrà per intero alle banche) e di superare l’obbligo dell’avanzo primario (avanzo che, al massimo, potrà essere modulato). E’ impossibile onorare anche parzialmente, in queste condizioni, gli impegni presi con gli elettori. E’ impossibile pensare che si sia aperto, in questo modo, un qualche spazio di manovra. Ed è sorprendente che si imputi tutto ciò alla durezza delle istituzioni europee: che cosa ci si aspettava? Come è possibile che il gruppo dirigente di Syriza non abbia previsto la rigidità dell’eurogruppo e i ricatti della Bce? Come hanno fatto a non capire che l’esclusione dell’uscita dall’euro ha reso quasi nullo il loro potere negoziale, di fronte ad un’Europa che, oltretutto, è momentaneamente ringalluzzita dal Q.E. di Draghi (non a caso annunciato poco prima delle elezioni greche…)?

Intendiamoci: con avversari di tal fatta è difficilissimo scontrarsi, tanto che noialtri, sinistra italiana, non abbiamo nemmeno il coraggio di iniziare a farlo e preferiamo che qualcuno lo faccia al posto nostro. Ma non si sfugge all’impressione che vi sia comunque un errore di base ed un’imperdonabile supponenza nell’atteggiamento di Syriza: l’idea secondo la quale, in fondo, la fine dell’austerity sarebbe interesse anche delle classi dominanti europee. Mentre, al contrario, queste sguazzano felici nella deflazione (che deprezza il lavoro e valorizza i crediti), pur non escludendo investimenti ed immissioni di denaro se e quando la compiuta sottomissione dei lavoratori li renda convenienti. Lenin direbbe che questa pretesa dei deboli di insegnare ai forti quali siano i loro interessi equivale ad una completa sottovalutazione della realtà dell’imperialismo. Tucidide, che anche con questo tema ha intessuto le mirabili pagine del dialogo tra gli Ateniesi e i Melii – sulle quali oggi sicuramente meditano i nostri compagni greci – direbbe semplicemente che è mancanza di realismo. Ma, si sa, si tratta di due vecchi arnesi: Lenin, a differenza di Varoufakis, nulla sapeva della teoria dei giochi, e Tucidide, redivivo, non arriverebbe certo a capire, con quel suo fissarsi sul conflitto tra potenze, the magic of globalization.

 

Prendere tempo”

Si dirà che il mio giudizio è troppo severo, e che in fondo Syriza è riuscita, in una situazione difficilissima, quantomeno a prendere tempo. In parte è vero, e ci tornerò. Ma ci siamo chiesti come mai gli avversari di Syriza questo tempo l’hanno concesso? L’hanno fatto, io credo, per non dare l’impressione di strozzare la Grecia e per lasciare che la Grecia lo faccia da sola. Infatti il contenuto della lettera d’intenti scritta da Varoufakis è tale da far ben sperare chi punta ad un indebolimento di Syriza. Già: l’aver conquistato il diritto di scrivere da soli i propri compiti senza farseli dettare dalla troika è cosa che può essere sbandierata come un successo, ma di fatto riduce la possibilità di imputare le scelte politiche restrittive alla protervia altrui, e questo trasforma il conflitto tra Grecia ed Europa in un conflitto interno alla Grecia. Non tanto perché numerosissimi e qualificanti punti del programma elettorale sono del tutto scomparsi: la forte tensione politica dei sostenitori di Syriza potrebbe anche, in un primo momento, far sì che si passi sopra a tutto ciò. Ma perché il concentrare tutto sulla lotta all’evasione fiscale (non potendo contare su riduzione del debito e su altro) rischia seriamente, nelle concrete condizioni della Grecia di oggi, di rompere il fronte che sorregge il governo. I capitali non cesseranno di fuggire, i percettori di redditi medio-alti si sentiranno minacciati, ma, soprattutto, gran parte dell’elettorato popolare, che spesso mescola redditi da lavoro dipendente e redditi di piccola impresa, rischia di perdere, col rigore contro il “nero”, una risorsa aggiuntiva assolutamente vitale in epoca di crisi.

 

Rapporti di forza e rapporti sociali

Si dirà che in ogni caso il mio giudizio è troppo rigido, perché non considera l’Europa come un campo di forze in cui, soprattutto in periodi turbolenti, i rapporti fra i diversi attori possono mutare anche bruscamente. Ora, io non escludo affatto, in linea di principio, che un qualche concorso di circostanze possa modificare la situazione. Ed anzi, smentendo quanto in genere si imputa ai detrattori dell’euro, ripeterò che io non spero che Syriza sia sconfitta per meglio dimostrare quello che ormai è superfluo dimostrare (l’irriformabilità dell’eurozona), ma che spero (speravo) in una sua pur parziale vittoria, perché questa allevierebbe le sofferenze della Grecia e al contempo aprirebbe crepe nell’edificio comunitario. Ma un conto è discettare di possibilità astratte, altro è valutare le possibilità concrete. E la concretezza dice che Syriza ha perso rapidamente terreno, se mai ne aveva conquistato. E che, in ogni caso, anche una parziale vittoria sull’austerity, dati gli attuali rapporti sociali, si trasformerebbe paradossalmente in un ulteriore asservimento della Grecia. Sì, perché il problema è proprio questo: qui non si tratta di mutevoli rapporti di forza, ma di coriacei rapporti sociali. E nel capitalismo i rapporti sociali, come pure dovremmo sapere, sono particolarmente difficili da modificare perché si presentano (e funzionano) come rapporti tra cose, in particolare come rapporti tra entità economiche la cui dinamica è estremamente cogente, prescinde dalle oscillazioni abituali dei rapporti di forza ed appare, oltretutto, come un qualcosa di naturale e impersonale. E l’entità economica che maggiormente codifica, normalizza e riproduce i rapporti sociali (e geopolitici) inevitabilmente asimmetrici del capitalismo è la forma del denaro, ossia, nel nostro caso, l’euro. Per cui anche se Syriza riuscisse a modificare i rapporti di forza, a spuntarla, a finirla con l’austerity e a ridare un po’di speranza e di potere d’acquisto ai cittadini greci, non per questo avrebbe modificato i rapporti sociali e geopolitici che si incarnano nell’euro e nella connessa rigidità del cambio. Cosicché l’aumento del potere d’acquisto si tradurrebbe inevitabilmente in aumento del debito privato e quindi nuovamente del debito pubblico, ribadendo la dipendenza ellenica dall’Europa del nord. Perché l’euro, questo idolo della sinistra neo o post comunista, è studiato apposta per rafforzare il padrone e il creditore, ed è quindi incompatibile con una prospettiva di sinistra, se con questa parola indichiamo quelle vecchie, solide ed irrinunciabili cose che sono l’impresa pubblica, la piena occupazione, gli alti salari, il controllo democratico sulla produzione. Se non confondiamo, insomma, la sinistra col liberismo e col movimentismo.

 

Sostiene Fassina

Su questo insieme di temi è recentemente tornato, e con precisione, l’onorevole Fassina :

“È evidente che anche l’accoglimento della lista normalizzata di riforme strutturali presentata dal governo Tsipras lascerebbe la Grecia nel tunnel. Nel migliore dei casi, i greci comprerebbero tempo. È evidente dalla parabola greca che nell’eurozona non vi sono le condizioni politiche per la radicale correzione di rotta nella politica economica necessaria alla ripresa e al miglioramento delle condizioni del lavoro e, quindi, alla sopravvivenza della moneta unica. È evidente che la Grecia per salvarsi deve lasciare l’euro e svalutare. Rimanere prigionieri della moneta unica, pilastro del mercantilismo liberista, per Syriza vorrebbe dire consumare rapidamente il capitale politico di fiducia ricevuto il 25 gennaio scorso. Vorrebbe dire accompagnare comunque la Grecia al naufragio e lasciare campi di macerie alle scorribande dei neonazisti di Alba Dorata. È anche evidente che la parabola greca e delle sinistre greche prospetta un destino comune alle democrazie e alle sinistre dell’eurozona. La democrazia, la politica e la sinistra non hanno fiato nella camicia di forza liberista dell’euro. Nell’eurozona non c’è alternativa alla svalutazione del lavoro, al rattrappimento delle classi medie, al collasso della partecipazione democratica. Quindi, non c’è spazio per la sinistra. [..]. La sinistra può evitare la deriva di svalutazione del lavoro e di svuotamento delle democrazie delle classi medie e, così, si può salvare e ritrovare senso storico soltanto se riesce a spezzare la gabbia dell’euro. Se si ricostruisce nazionale e popolare. Altrimenti è finta o fa testimonianza”.

 

Parole e fatti

Parole sante, quelle di Fassina, ma vi sono atti conseguenti? Per il momento temo di dover rispondere di no. Rompere con l’euro e con l’eurozona, ricostruire un punto di vista “nazionale e popolare” non sono cose che possano essere affrontate semplicemente correggendo la linea di questo o quel partito. Sono scelte di campo internazionali (e scelte di classe sul piano nazionale) che impongono la distruzione dei partiti precedenti e la costruzione di forze politiche di tutt’altro conio. Impongono, addirittura, la nascita di una forza democratica e popolare che non si chiuda nel riferimento alla sinistra attuale (Podemos docet ), ma sappia parlare a quella vasta maggioranza di italiani, di diversa estrazione politica, comunque interessata a non dissolvere il patrimonio di civiltà apportato dalla sinistra di un tempo e radicato nella nostra Costituzione. Di questa distruzione e costruzione, di questa nascita, però, oggi non si vede traccia: ed è un male, anche per i greci. Infatti, se ha un senso il “prendere tempo” di Tsipras e Varoufakis, lo ha perché dovrebbe consentire la formazione non già di fantomatici movimenti continentali (nei quali, ovviamente, nessuno spera) ma di nuovi governi europei, in Spagna, in Irlanda e magari altrove, capaci di affiancare Atene nella sua battaglia. Ma per affiancare Atene nella sua battaglia non basterebbe aggregarsi al coro anti-austerity: un errore non diviene meno grave solo per il fatto che sono in tanti a commetterlo, e chiedere inversioni di rotta alla politica europea confermando, nel contempo, la propria fedeltà all’euro equivale a comportarsi come un condannato a morte che mentre chiede la grazia si aggiusta con le proprie mani il cappio al collo. Per aiutare la Grecia e sé stessi è ormai necessario dire senza mezzi termini che si vuol abbandonare l’euro (magari proponendo alla Germania un patto sostituivo basato sull’autonomia geopolitica del continente…), e prepararsi a farlo. Punto. E a dirlo non deve (forse non può) essere la Grecia o la Spagna o l’Irlanda o qualcun altro, ma deve essere quello che è il più forte trai paesi che dall’euro sono maggiormente colpiti , ossia l’Italia. Certo, l’ipotesi di un governo italiano capace di fare il grande passo appare al momento assai remota. Eppure, un atto di rottura autorevole ed argomentato, ancorché inizialmente proposto da una minoranza, potrebbe sortire un notevole effetto, se quella minoranza provenisse dalla forza politica più europeista del più europeista trai paesi.

 

E’ già molto tardi

Grande è quindi la responsabilità che grava sulla parte più decente della sinistra italiana. Per questo mi permetto di suggerire all’onorevole Fassina ed ai suoi amici di meditare, se già non lo stanno facendo, sull’urgenza di un gesto efficace che li allontani sia dal PD sia dal modo confuso e inconcludente col quale si sta affrontando, ancora una volta, il tema del “nuovo soggetto a sinistra”. Confuso e inconcludente perché ci si attarda come al solito a litigare sulla forma del nuovo soggetto (unione di movimenti e partiti, oppure unione di soli movimenti, oppure, ancora, unione di soli soggetti sociali, o chissà cos’altro…) non sapendo dire nulla, se non qualche innocua ovvietà, sul contenuto della sua azione, ovvero sui suoi scopi. E non si sa dire nulla sugli scopi perché nell’obbedienza all’euro la politica, ossia la scelta collettiva, e soprattutto la scelta di puntare ad un diverso ordine sociale, è semplicemente impossibile. Invece, se corroborata dalla proposta di una nuova collocazione internazionale, di una nuova alleanza trai diversi lavoratori e trai lavoratori e le PMI, di una nuova versione dell’economia mista in un contesto di diffuso controllo popolare, se accompagnata da tutte queste cose e quindi dalla convinta ripresa di un’ipotesi socialista, l’idea di uscire dall’euro è l’unica che ci consentirebbe di uscire anche dalla palude in cui sta morendo la sinistra movimentista. I tempi per tutto questo stanno maturando. Fassina e gli altri hanno prima atteso che si concludesse il semestre di presidenza italiano. Ora sembrano attendere che i fatti mostrino l’impossibilità di un compromesso decente tra Atene e Bruxelles: ma i fatti, e l’analisi, hanno già dimostrato l’impossibilità di un compromesso decente tra Bruxelles, Francoforte, Washington e la democrazia. Adesso è l’ora di muoversi. Non possiamo lasciare l’idea della dignità nazionale a Casa Pound e a Salvini (Salvini!). Da anni si pone nei fatti il problema del nesso tra indipendenza di classe e indipendenza nazionale: risolverlo potrebbe essere la chiave per un nuovo e più ampio radicamento delle nostre migliori idee, ma se non lo affrontiamo oggi questo diverrà il motivo della nostra definitiva sconfitta. E’ già molto tardi.

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