Print Friendly, PDF & Email

consecutiorerum

Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io

Psicoanalisi della storia o scienza della storia?

di Roberto Finelli & Luca Micaloni

Introduzione a Consecutio rerum n. 11, anno VI (1/2021-2022), Il centenario di Psicologia delle masse e analisi dell’Io a cura di Roberto Finelli e Luca Micaloni

Copertinanjug1. Lo scorso anno è caduto il centesimo anniversario di Massenpsycholo- gie und Ich-Analyse, il testo pubblicato da Freud nel 1921 sulla psicologia collettiva e la cui composizione s’intreccia profondamente con la stesura di Al di del principio di piacere, apparso qualche mese prima nel 1920. La nostra rivista dedica il suo numero 11, nella sezione monografica, al tema di questa ricorrenza, avendovi visto una occasione da non perdere per tornare a riflettere sulla questione del rapporto tra psicoanalisi e storia e su quella, ad essa intrinseca, della relazione tra psicologia individuale e psicologia collettiva, o psicologia sociale.

Psicologia delle masse e analisi dell’Io è componente fondamentale di quel quadrilatero con il quale Freud ha inteso stringere e definire una teoria psicoanalitica della storia e che accomunava, oltre al saggio del ’21, Totem e tabù, Il disagio della civiltà e Mosè e il monoteismo: opere dotate ognuna di una peculiarità di oggetto e di ambito di studio, ma tutte e quattro riconducibili a un impianto concettualmente unitario di fondazione e di spiegazione della storia umana, che facilmente si riassume nella centralità, per usare la celebrata espressione di J. Lacan, del “Nome del padre”.

La proposta freudiana d’interpretazione del formarsi di masse in cui predominano l’affettività e uno psichismo inconscio è, com’è ben noto, fondata sulla centralità di un legame libidico che lega un gruppo umano, regredito a una dimensione fusionale e priva di libertà del singolo, al padre/ padrone/capo. Nella massa, inoltre, ogni individuo appare libidicamente legato, da un lato, al capo attraverso identificazione/introiezione e, dall’altro, a tutti gli altri individui che esperiscono il medesimo innamoramento e formano con lo stesso contenuto oggettuale l’Ideale dell’Io.

Questo tema del riferimento amoroso al padre/padrone è centrale nell’interpretazione di Freud ed è appunto quanto il maestro viennese rivendica, come suo contributo originale, nella continuità dell’analisi delle masse, già iniziata da Gustave Le Bon in Psychologie des foules (Parigi 1895). Mentre lo studioso francese aveva infatti ben compreso e descritto come nei fenomeni di massa venga meno la componente della intelligenza conscia dell’individuo per l’emergere di una modalità di pensare e di agire in prevalenza inconscia, di natura essenzialmente arcaica e razziale, Freud illuminava questa regressione nell’indistinto e nell’omogeneo teorizzando che il nucleo fondamentale dell’inconscio di massa potesse essere chiarito attraverso le categorie della psicoanalisi e, in primis, attraverso quell’autosacrificio dell’Io, che ha luogo quando l’esaltazione a dismisura di una figura, che simbolicamente sta al posto del padre, divora l’Io, colonizzandone e saturandone l’Ideale.

Questa descrizione di un’umanità che non realizza azioni e passioni che non siano di misura collettiva, che non accoglie rappresentazioni, immagini e idee che non siano universalmente diffuse e che rimuove del tutto l’individualità, obbliga a pensare che il “Nome del padre”, di cui si tratta in tutti gli scritti di psicologia storica e sociale composti da Freud, vada necessariamente riferito e identificato al Padre morto di Totem e tabù. Giacché, come afferma Freud esplicitamente anche nel testo del ‘21, la configurazione psichica di una massa è configurazione antica, anzi antichissima, visto che risale alla fondazione della stessa storia umana con l’evento e il dramma dell’orda primordiale: «come in ogni singolo è virtualmente conservato l’uomo primitivo, così a partire da un raggruppamento umano qualsivoglia può ricostituirsi l’orda primordiale; nella misura in cui la formazione collettiva domina abitualmente gli uomini, in essa riconosciamo la continuazione dell’orda primordiale» (311).

L’assassinio del padre, del maschio forte e dominante, è al centro dell’ipotesi attribuita da Freud a Darwin, e da lui ripresa, di una forma originaria della società umana costituita da un’orda di ominidi sottoposti al dominio assoluto di un maschio dominante, signore di tutte le femmine del gruppo e possessore esclusivo di un uso incondizionato del piacere sessuale. Di contro all’assoggettamento e al terrore di tutti, solo il maschio dominante godeva di autosufficienza e certezza di sé, tenendo per sé, con la sua prepotente gelosia, tutte le femmine e scacciando i figli via via che crescevano: «un giorno» – come scrive Freud – «i fratelli scacciati si riunirono, abbatterono il padre e lo divorarono, ponendo fine così all’orda paterna» (Totem e tabù, 145).

Da qui, da questo parricidio, sarebbe nata la civiltà, visto che i figli/fratelli hanno potuto, a seguito del parricidio, istituire una società tra pari, di reciproco riconoscimento e di reciproco contenimento istintuale, con l’istituzione del divieto dell’incesto e, del pari, sia delle leggi, quali norme eguali per tutti, sia della religione, quale celebrazione compensatoria dell’autorità del padre morto. Attraverso tale ricostruzione dell’inizio della storia propriamente umana e del passaggio dalla natura alla cultura, Freud poteva senza incertezze affermare la generalizzabilità della psicoana- lisi come scienza, non solo della struttura della psiche individuale ma anche e contemporaneamente dell’agire collettivo: “giunto al termine di questa ricerca condotta con estrema concisione, mi sia consentito enunciarne il risultato: gli inizi della religione, della moralità, della società e dell’arte convergono nel complesso edipico, in piena concordanza con ciò che la psicoanalisi ha stabilito, cioè che questo complesso contiene il nucleo di tutte le nevrosi di cui finora siamo riusciti a penetrare la natura. È stata una grande sorpresa per me che anche questi problemi della vita psichica dei popoli si siano dimostrati risolubili a partire da un unico punto concreto: il rapporto con il padre”.

Per tale omologia tra psicologia e storia il ritorno del rimosso agisce nella profondità di una trasmissione transgenerazionale della psiche, sino a spiegare, appunto, il comportamento delle masse moderne attraverso la regressione ad una mente “ordale” e arcaica che deve aver lasciato tracce incancellabili nella storia dell’umanità e che perciò può costantemente ripresentarsi attraverso tutte le sue formazioni iterative e sostitutive.

A cent’anni dalla pubblicazione di Psicologia delle masse e analisi dell’Io, la nostra rivista ha inteso dedicare questo numero alla riconsiderazione critica e alla problematizzazione di tale passaggio fondamentale nell’opera di Freud: di psicologizzazione della storia e di legittimazione, attraverso l’estensione ai campi più disparati del sapere, della psicoanalisi. La questione di fondo che infatti ci si pone è quanto un trascendentale antropologico come la costellazione edipica, originariamente teorizzata da Freud come una costante strutturale e senza tempo della formazione dell’essere umano, possa essere giustificatamente eretta principio e origine che cade nel tempo della storia, modificando con ciò la sua natura di funzione organizzativa della mente, appunto trascendentale, in un accadimento puntuale e reale.

La costellazione edipica è stata inaugurata e concepita da Freud come un passaggio fondamentale di sviluppo ed evoluzione della psiche umana da una condizione infantile a una condizione matura, visto che l’attraversamento dell’Edipo affranca il cucciolo dell’uomo dal soddisfacimento dei propri bisogni affidato alla simbiosi e alla dipendenza dalla figura materna, consentendogli di assumere in prima persona la cura e la responsabilità della propria bisognosità. L’inserimento del terzo nella relazione a due tra la madre (o la figura che ne fa le veci) e il bambino consente a questi di uscire dal suo narcisismo primario e da una dimensione fusionale di onnipotenza, per cominciare ad entrare in un rapporto, in qualche modo distante e mediato, con la propria corporeità emozionale. Distanziamento, senza il quale, per dirla assai in breve, non c’è effettiva nascita di una mente capace di svolgere la sua funzione essenziale, cioè simbolizzare e portare a coscienza in primo luogo l’idea del proprio corpo. In questo senso, nella costellazione edipica il ruolo del terzo non deve necessariamente coincidere con il padre in carne ed ossa, giacché, come funzione di separazione che interdice la fusione primaria con il materno, può essere simbolica a sua volta, e svolta da qualsivoglia altra figura concreta che ne faccia le veci e “la voce”. Essa è dunque un trascendentale antropologico perché genera, in ogni luogo e in ogni tempo, la mente umana, sottraendola all’invasività della propria corporeità e al conseguente appoggio anaclitico sulla figura materna, e promuovendo il passaggio dalla pura determinazione materiale(-animale) alla determinazione “formale”, di una mente che dà sintesi e forma alla soggettività in quanto tale.

Ora, ci si domanda, come è potuto accadere e darsi nello svolgimento del pensiero freudiano, il passaggio dal trascendentale all’originario, allorché il maestro viennese ha preteso distendere il dominio della psicoanalisi dalla psiche alla storia? Ossia, ma la questione è la stessa, come e perché s’è dato il passaggio dall’uccisione solo metaforica e fantasticata del padre nella costellazione edipica, quale teorizzata negli scritti fondativi della psicoanalisi, all’uccisione reale del padre morto dell’orda primitiva?

Né si può rispondere a tali questioni argomentando che la narrazione freudiana della scena, non primaria ma primitiva, sarebbe in fondo solo una narrazione mitologica, uno scenario di fantasia, concepito ad hoc e proiettato all’origine del tempo storico, unicamente per poter parlare del presente e poter spiegare, secondo nessi causali più profondi, di natura pulsionale e libidica, una psicologia delle masse contemporanee già colta nei suoi tratti essenziali da altri autori. Una simile impostazione non renderebbe giustizia, in primo luogo, alla vastità degli studi etno-antropologici che, a muovere dalla sua ispirazione darwiniana, Freud ha compiuto per trovare appoggi e conferme autorevoli e puntuali alle sue ipotesi di psicologia “storica”; in secondo luogo essa lascerebbe cadere con troppa disinvoltura l’intento freudiano, da sempre perseguito con ferma risoluzione, di voler fare della psicoanalisi una scienza: una scienza che parla pure di miti, di fantasmi, di costruzioni oniriche, di proiezioni e virtualità, ma riconducendoli a causalità intrinseche e non a spiegazioni preordinate e presupposte.

Per altro indagare sulla problematicità, ancora del tutto aperta, attinente alla questione del “Nome del Padre” in Freud, per una rivista come Consecutio rerum, interlocutrice critica della postmodernità e della “ipermodernità” contemporanea, è compito indispensabile. Visto che oggi, sul versante lacaniano, particolarmente ma non solo italiano (si veda, in tal senso, la traiettoria di riflessione proposta da Massimo Recalcati), è vastamente diffusa la narrazione, questa sì mitologica e fantasiosa, del declino del Nome-del-padre. Ossia la teoria del cosiddetto “declinismo”, secondo la quale buona parte della fenomenologia della psiche collettiva, come della psiche individuale, oggi si spiegherebbe con l’essere venuta meno l’autorevolezza della funzione paterna, con la conseguente autorizzazione a un consumismo sfrenato, fondato sullo sdoganamento di una pulsione materna capace di un soffocamento “alimentare” senza limiti. Testimonianze di tale declinismo sarebbero, nel passato, i movimenti giovanili e insurrezionali del ’68, semplificati a una mera rivolta generazionale contro i padri, e nel presente lo svilupparsi di nuove patologie e disagi psichici, come l’indeterminatezza di fondo della persona, la difficoltà a concepire un progetto di vita durevole e inserito nel mondo del lavoro, l’inconsistenza della materialità e della naturalità del corpo con l’in-differenza sessuale che ne consegue, il dominio di relazioni narcisistiche, che farebbero pensare appunto a una nuova economia psichica che obbedirebbe assai più alla legge del godimento e della dipendenza dal consumo di cose/merci, che non al regime della mancanza e del desiderio, una volta regolato dall’istanza della castrazione paterna e della sua autorità.

 

2. La psicologia collettiva contemporanea sarebbe dunque segnata dalla concomitanza di un vuoto “paterno” e di un riempimento “materno”, ma anche attraversata da una attesa, antropologicamente ed eticamente densa, del ritorno del padre, certo non più in veste di agente dell’interdetto e della disciplina castrante, bensì in quanto figura capace di testimoniare la non soppressa possibilità di una vita che non rinuncia al desiderio. Eversivo rispetto a questa polarità di vuotezza e riempimento, di un desiderio che svanisce e di una pronta offerta di godimenti surrogati, di Edipo (e Anti-Edipo) e Narciso, sarebbe allora il modello di Telemaco.

In tale ottica, la coazione al godimento dovrebbe essere non arginata attraverso una restaurazione fuori tempo massimo dell’antico limite reperibile da quella che Max Horkheimer chiamava “ragione oggettiva”, ma aggirata e superata attraverso il recupero di forme della relazione capaci di promuovere nuovi processi di soggettivazione. All’attesa di Telemaco dovrebbe idealmente corrispondere non più il padre autoritario, né il genitore mimetizzato nel rifiuto della propria inesorabile senescenza (e pienamente identificato – almeno nei termini consci dell’asserzione esplicita – con l’ingiunzione democratica al dialogo e all’empatia), bensì una genitorialità “testimoniale”, capace sia di incarnare un’ipotesi di desiderio, sia di riconoscere il “segreto del figlio”, emancipandolo dal legame inibitorio in cui tracima l’ostinazione dialettica al recupero di ogni elemento in un identico (per quanto complicato e vivificato da una interna differenza).

Eppure, i conti con la dialettica forse non sono del tutto chiusi. Se da un lato infatti il “lacanismo” ha buon gioco nel rilevare i limiti di una ragione psicoanalitica pragmatizzata, democratica e progressiva, segnata dall’orrore evitante per il conflitto radicale e priva di un confronto effettivo con ciò che è irriducibilmente altro dalla ragione, con l’eccedenza non riducibile al pensiero, all’umano, al noto, dall’altro esso tende a promuovere una psicoanalisi concentrata in modo enfatico sulla cesura tra il reale e l’istituzione dell’ordine simbolico, da cui in ultima istanza paiono deducibili anche la torsione pedagogico-normativa imperniata sulla capacità di riconoscere, o meglio di accettare (o anche semplicemente di subire) il mistero del figlio (donando in ogni caso al figlio la possibilità di essere un Sé non riducibile), contro l’intrusività del dialogo a ogni costo. Sul piano logico e ontologico, la categoria della relazione non è, in quell’ottica, abbastanza capiente da riconoscere la differenza radicale, e sul piano normativo fa torto alla differenza.

Simili sviluppi, pur annunciandosi come critica rivolta alle implicazioni normative del pensiero “postmoderno”, ne condividono però alcune premesse essenziali: non soltanto la tendenza, sul piano ontologico ed epistemologico, alla de-sostanzializzazione e all’erosione del fondamento, ma anche la liquidazione della tradizione dialettica attraverso le critiche mosse alla metafisica e alla filosofia della storia – prospettiva nella quale si era realizzata, già un secolo fa, una paradossale convergenza di intenzioni tra una “decostruzione” di marca nietzscheana e il rinnovamento neopositivistico della filosofia della scienza.

In questo movimento si consuma, dal piano logico a quello ontologico, dalla dimensione antropologico-psicologica a quella intersoggettiva e sociopolitica, la rinuncia a un concetto di relazione dinamica tra identità e differenza, di integrazione complessa dell’identità e della non-identità. È invece in questo solco hegeliano (oltre che in quello marxiano di una teoria del capitale come soggettività non umana capace di produrre soggettività umane “svuotate” e superficializzate) che il progetto teorico ed editoriale di questa Rivista ha sempre tentato di valorizzare il contributo di Freud a una comprensione e modificazione della realtà sociale e politica.

Le concezioni che pongono alla base dell’attuale crisi del mondo occidentale l’evaporazione del padre e dell’ordine che ne derivava appaiono segnate da almeno due criticità rilevanti. In primo luogo, esse lasciano intatta quella problematica convertibilità (o riduzione), che abbiamo illustrato sopra, del trascendentale e dello storico, in base alla quale la costellazione edipica, nata a un certo punto del tempo storico, può declinare e venire meno. In secondo luogo, e in modo più sostanziale, la tesi declinista non riesce a dar conto – al netto del filone di riflessione inaugurato dalla concettualizzazione lacaniana del “discorso del capitalista” – di come e quanto il declino dell’autorità paterna e della famiglia patriarcale rimandi all’imporsi di un altro “Nome del padre”, che è quello dell’ordine capitalistico, capace oggi di imporre il totalitarismo della sua economia e del suo statuto finanziario-produttivo, all’intera vita sociale, in ogni suo settore ed articolazione, senza lasciare, ormai, quasi neppure la possibilità di pensare una diversa configurazione dell’ordine sociopolitico e dell’esistenza umana. Un totalitarismo assai singolare, occorre aggiungere, nella misura in cui il capitale come “padre” e come soggetto dominante perfeziona il suo dominio concedendo ai suoi sottoposti la possibilità di rappresentarsi come individualità libere e autonome, non solo per quel che riguarda le canoniche dimensioni del diritto in generale, dell’esercizio elettorale e delle scelte di consumo1, ma anche sul terreno delle pratiche di distinzione attraverso cui i soggetti definiscono il proprio profilo identitario, a un tempo standardizzato e ritagliato fin nel minimo dettaglio “estetico”. Nella transizione postmoderna prende dunque corpo, assieme all’evaporazione dei padri e alla loro sostituzione con un’autorità impersonale a tendenza totalitaria, l’evaporazione della personalità, ridotta a mera demarcazione cosmetica dei tratti di superficie.

A partire da queste premesse, tornare a riflettere criticamente sulla psicologia sociale freudiana significa tentare di problematizzare la forma e la dinamica della relazione tra la costituzione psichica e corporea intra-soggettiva, da un lato, e le “leggi” funzionali ed evolutive del sistema sociale complessivo, dall’altro. Mantenendo, quindi, come asse tematico centrale la produzione reciproca di individualità e società, di spirito soggettivo e spirito oggettivo, attraverso la mediazione ancora fondamentale, ma non esclusiva, della socializzazione primaria, e con una particolare attenzione ai processi di rimozione, razionalizzazione e dissimulazione, oltre che alle conseguenze pulsionali della socializzazione e alla genesi socialmente determinata di configurazioni tipologiche e tratti di personalità.

Naturalmente, queste fin troppo ampie suggestioni programmatiche hanno potuto realizzarsi solo in minima parte nel contesto limitato di una sezione monografica, nella quale nondimeno speriamo di aver descritto almeno una traccia, sia pur debole, di articolazione organica.

 

3. Il saggio di Marco Gatto, che apre la sezione “Monografica” del numero, mette in campo, rispetto al concetto più diffuso e più utilizzato di “massa”, quello di “agglomerato”, assegnando a questa categoria una funzione di rispecchiamento più adeguata della frammentazione sociale che domina il nostro tempo e di tutti i meccanismi feticistici che concorrono a creare forme, oggi del tutto provvisorie, di identificazione. Segue un saggio di Roberto Finelli che discute criticamente il passaggio in Freud dalla psicologia individuale alla psicologia sociale e collettiva. La tesi dell’autore è che, a partire da Totem e tabù, Freud, per estendere alla base dell’interpretazione della storia la psicoanalisi sia stato costretto a tornare a valorizzare quella matrice realistica della scena primaria, il cui superamento in una trama solo fantasmatico-simbolica aveva pure costituito la fondazione e la genesi della stessa psicoanalisi. Il saggio di De Vleminck pone l’attenzione sul breve ma esemplare scambio epistolare che si svolge tra Freud e Einstein sul tema della distruttività e della guerra e sulle sue motivazioni più profonde. Ma anche questo autore pone profondamente in discussione la tesi freudiana di una genesi del diritto dalla mera forza fisica, proponendo di opporre all’ipotesi freudiana la teoria di Hans Kelsen sulla fondazione e istituzione storica del diritto.

Meléndez illustra invece quanto e come la cosiddetta seconda teoria delle pulsioni in Freud, con la scoperta della pulsione di morte sia fondamentale per comprendere l’aggressività presente strutturalmente nella storia delle società umane. E nello stesso tempo quanto il ritorno del rimosso sia una configurazione psichica che sempre più viene utilizzata anche nel campo della ricerca storica e culturale in relazione al formarsi dell’identità collettiva. Il saggio di Diprima presenta una riflessione sul modo in cui Th. Adorno ha utilizzato l’analisi freudiana delle masse, applicandola al fascismo e alla propaganda di uno stato totalitaristico. Ciò che viene sottolineato nell’opera a tal riguardo dell’autore francofortese è il ruolo attivo e partecipativo, quasi una sorta di “servitù volontaria”, con cui gli individui, oggetto della manipolazione della propaganda fascista, provvedono alla loro stessa sottomissione. A proposito di continuità in qualche modo con l’ambiente francofortese Marco Solinas svolge una riflessione approfondita sull’attualità della psicoanalisi politica di Franz Neumann, ponendo al centro della sua analisi la questione dei movimenti populistici del nostro presente. Attraverso i procedimenti della regressione e di una identificazione “cesaristica”, Solinas si confronta con un pensiero della politica delle masse che ha fatto uso della strumentazione freudiana ma che non ha voluto risolvere interamente la sociologia politica nella psicologia psicoanalitica. Senza trascurare di riferirsi l’autore alla produzione più recente di Chantal Mouffe, di cui non si perita di evidenziare limiti e problematicità.

A proposito di “identificazione”, Delia Popa e Iaan Reynolds muovono dai due percorsi possibili dell’identificazione, quello dell’idealizzazione narcisistica e quello della depressione melanconica, dovuta quest’ultima alla tensione tra Io-ideale e Io-reale. Applicando le due costellazioni psichiche diverse e possibili all’ipotesi freudiana della formazione delle masse attraverso l’identificazione di gruppo, i due autori valorizzano le potenzialità di emancipazione proprie della depressione melanconica, di contro all’idealizzazione narcisistica, provando a ipotizzare quale possa essere, in positivo, il contributo politico delle masse ad uno sviluppo emozionale coerente di ogni singola umanità.

Il saggio di Verrengia, in contrasto con le posizioni espresse da altri saggi già presenti nello stesso numero di “Consecutio rerum”, sottolinea come la teoria dell’orda primordiale, indipendentemente dall’effettiva realtà del suo darsi storico, continui a proporsi come uno strumento assai fecondo per l’analisi dei fenomeni collettivi della nostra contemporaneità. Freud, secondo l’autore, ha teorizzato, a partire da Totem e tabù, una fondazione essenzialmente negativa della vita sociale che rende indispensabile tutta una serie di istituzioni repressive, compresa l’istanza del padre/Führer. In un verso che non è lungi dall’ispirazione della filosofia politica di Hobbes. Ma un’altra configurazione della “massa”, fondata sulla gioia e l’intensificazione vitale, è invece possibile, come ha ben testimoniato l’opera di Marcuse. È di qui che si deve ripartire per concepire un rapporto individuo-massa nel segno dell’emancipazione e della non-repressione.

Infine il saggio della psicoanalista Anna Sabatini Scalmati chiude la sezione monografica della rivista. L’autrice, attualizzando la riflessione di Freud sul Disagio della civiltà, dedica la sua attenzione a quanto la dimensione di una società istituita sulla dismisura e l’accumulazione dell’economico, sulla scissione tra natura e cultura, su un fare privo di limiti, possa ricadere nella storia privata della psiche, delle sue sofferenze e patologie. In tale quadro il saggio indaga le connessioni profonde tra psicologia individuale e psicologia sociale, a muovere dall’esperienza drammatica della pandemia del Covid-19. E propone una originale distinzione tra “civilizzazione” e “civiltà”, vedendo nella prima un progresso essenzialmente di natura tecnica che ha visto il progresso indubitabile della vita dell’umanità relativamente ai suoi bisogni fisici primari e alla capacità di elaborazione della natura, al fine di trarne vantaggi costanti per la specie umana. Laddove la “civiltà” rimanda per l’autrice a un contesto di maturazione, oltre che fisica, soprattutto di carattere psichico quanto a capacità dell’essere umano di dialogare e confrontarsi con quella natura interna che è costituita dal mondo pulsionale e dalla costellazione degli affetti.

La sezione “Varia” del numero comprende un saggio di Mario Pezzella su Celine, dal titolo Sacrificio a un dio oscuro. Celine da Voyage au bout de la nuit a Bagatelle per un massacro; un contributo di Miriam Aiello, intitolato Habitus, monade e armonia. Alcuni nodi leibniziani nel pensiero di Pierre Bourdieu; un saggio di Roberto Gerace su Il circolo dell’ascesi. Per una dialettica del valore d’uso come bisogno generico; infine un saggio della psicoanalista Anna Maria Sassone sul dramma della guerra dal titolo Ucraina: il bambino conteso.

La sezione “Recensioni e segnalazioni” include contributi di Andrea Girometti; Eugenia Gaia Esposito; Andrea Di Lorenzo; Valerio Spositi; Ilaria Ferrara.


* Roberto Finelli, Università degli Studi Roma Tre (robertoThis email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.); Luca Micaloni, Sapienza Università di Roma (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.). Pur nella sostanziale unità di concezione e stesura, i par. 1 (pp. 9-13) e 3 (pp. 16-18) sono da attribuire a Roberto Finelli, il par. 2 (pp. 13-16) a Luca Micaloni.

Note
1 Peraltro soggette, oggi, a una rinnovata contrazione della loro possibilità effettiva, già nei banali termini della stabilità d’impiego, dei livelli di reddito e del potere d’acquisto.

Add comment

Submit