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Il reale non è razionale ma piuttosto paradossale

di Roberto Paura

Il diario filosofico di Francesco D’Isa investiga e propone nuove soluzioni al paradosso dell’esistenza

In rilievo letture assurda evidenza AUno dei più influenti passi del pensiero occidentale risale allo pseudo-Dionigi, un autore del V secolo che si spacciava per quel Dionigi l’Areopagita che Paolo di Tarso aveva convertito per primo ad Atene. Nella sua Teologia mistica, lo pseudo-Dionigi aprì la strada alla cosiddetta teologia negativa, secondo cui tutto ciò che possiamo dire della Causa di tutte le cose (cioè di Dio) è ciò che non è:

“[…] non è parola né pensiero, non si può esprimere né pensare; non è numero, né ordine, né grandezza né piccolezza né uguaglianza né disuguaglianza né similitudine né dissimilitudine; non sta fermo, né si muove né riposa; non ha potenza e non è potenza; non è luce, non vive, né è vita; non è sostanza, né eternità né tempo; non è oggetto di contatto intellettuale, non è scienza, non è verità né regalità né sapienza; non è né uno, né unita né divinità né bontà; non è spirito come lo possiamo intendere noi, né filiazione né paternità; non è nulla di ciò che noi o qualche altro degli esseri conosce, e non è nessuna delle cose che non sono e delle cose che sono […]”

(pseudo-Dionigi, 2020).

Circa tre secoli prima, qualcosa del genere fu proposto anche da uno dei principali filosofi buddhisti, Nāgārjuna (ca. 150-200 d.C.), fondatore della scuola dei Mādhyamika, sostenitori della “vacuità” del Tutto. Secondo la loro tesi, non esiste nulla a cui possa essere conferito il concetto di essere come proprietà di per sé, poiché l’esistere è possibile solo in relazione a qualcos’altro. Ne consegue che il pensiero umano deve allenarsi a comprendere la non-sostanzialità attraverso “tanto una determinazione positiva (della negazione) quanto una determinazione negativa (della natura propria), essendo caratteristica propria del pensiero appunto il definire escludendo” (Torella, 2020).

 

I limiti dell’infinito

A questo approccio radicalmente oppositivo a tutta la filosofia occidentale, fondata sulla comprensione delle proprietà dell’Essere, s’ispira il “diario filosofico” di Francesco D’Isa L’assurda evidenza, edito da Tlon. D’Isa, filosofo di formazione, da tempo promuove, attraverso la rivista L’Indiscreto e un’attiva presenza sui social, un approccio innovativo alla ricerca filosofica, fondato sull’indagine dei paradossi e sulle questioni esistenziali poste dall’immaginario contemporaneo; tema quest’ultimo comune anche al progetto di Tlon, “scuola permanente di filosofia e immaginazione” che attraverso la sua casa editrice sta portando in Italia diversi importanti testi che stanno contribuendo a rendere più accessibile l’indagine filosofica. Con L’assurda evidenza D’Isa riparte dai temi del suo romanzo La stanza di Thérèse (2017), nel quale, assumendo i panni dell’eroina eponima volontariamente rinchiusasi in una stanza d’albergo per mettere ordine nel suo caos mentale e comunicando con la sorella solo attraverso lettere, affrontava i paradossi dell’infinito. Nulla di più facile, per la ragione umana, che smarrirsi di fronte al concetto di infinito: “Una volta pensata la domanda, non c’è via di ritorno”, scriveva Thérèse/D’Isa.

Il riferimento principale di quel libro erano gli studi del matematico Georg Cantor, che aveva reso pensabile l’infinito all’interno della matematica attraverso l’invenzione dei numeri transfiniti, inizialmente poco apprezzati dai suoi colleghi ma poi rivelatisi fondamentali per la teoria degli insiemi sulle cui basi è stata costruita la matematica del XX secolo, insieme alla logica e a una parte preponderante della fisica teorica. In una lettera del 1884, Cantor specificava che le sue scoperte non riguardavano “l’assoluto, cioè l’assolutamente grande (sive Deus), il quale si determina da sé ma non può essere determinato da noi”, quanto piuttosto la possibilità che “ogni numero transfinito è passibile di un aumento” (Cantor, 2021). Indizio prezioso perché aiuta a comprendere il ragionamento di D’Isa/Thérèse: se l’assoluto, inteso come il Tutto infinito, si determina da sé, echeggiando la teologia negativa dello pseudo-Dionigi, mentre i numeri transfiniti hanno bisogno, per esistere, di essere determinati dal numero che li precede, ne consegue che ciò che esiste nel mondo dipenda dalle relazioni tra le cose, mentre il Tutto sfugge a questa proprietà.

 

Essere è relazione

Fin qui Thérèse. Ma che questa conclusione fosse del tutto provvisoria lo si capiva bene nel romanzo, perché a sua volta l’idea di una comprensione relazionale del mondo produce tutta una serie di paradossi, a cui L’assurda evidenza si dedica con metodicità. Che le cose esistano come relazioni tra le cose fu la grande intuizione della Monadologia di Leibniz, a cui D’Isa si richiama; la sua riscoperta in anni recenti si deve ad alcuni importanti progressi sia nell’ambito della filosofia della fisica che in ontologia.

Nel primo caso sono stati il premio Nobel sir Roger Penrose, il filosofo Julian Barbour, e i fisici teorici Lee Smolin e Carlo Rovelli a rifondare la monadologia come presupposto per uno dei più promettenti approcci alla comprensione fisica della realtà ultima, la teoria della gravità quantistica a loop. Questa teoria è di tipo relazionale, vale a dire che nega l’esistenza di realtà fondamentali in assenza di relazioni tra i costituenti ultimi e di osservatori in grado di percepirli (cfr. Barbour, 1982).

Nel secondo caso il richiamo è all’Ontologia Orientata agli Oggetti, teoria di cui lo stesso D’Isa si è occupato introducendo nel 2021 la traduzione italiana delle sintesi di Graham Harman Ontologia orientata agli oggetti. Una nuova teoria del tutto: se è impossibile conoscere la vera essenza delle cose, possiamo comunque conoscere l’aspetto sensuale delle cose, cioè il modo in cui ci appaiono ai sensi, e ciò rappresenta comunque un livello di conoscenza valido perché è l’unico che ha importanza per chi esperisce; per un essere umano, la comprensione del mondo in termini di colori, odori, sapori ha un significato anche se queste proprietà sono solo relative ai nostri sensi e non proprietà ultime.

Da queste premesse, secondo cui “se qualcosa esiste, è tale solo in virtù delle relazioni che ha con le altre cose”, D’Isa s’imbatte però in un paradosso. Una relazione implica differenza, vale a dire che una cosa esiste se è differente da un’altra, altrimenti varrebbe il principio degli indiscernibili proposto da Leibniz, secondo cui “se le monadi fossero prive di qualità sarebbero indistinguibili l’una dall’altra […] e uno stato di cose sarebbe indiscernibile dall’altro” (Leibniz, 2011). Tuttavia, se affinché qualcosa esista è necessario non essere qualunque altra cosa, ne deriva che qualcosa che non esiste deve necessariamente non essere diversa da qualunque altra cosa, altrimenti esisterebbe; ma se non è diversa da qualunque altra cosa, allora per il principio degli indiscernibili è comunque uguale a qualcosa e dunque esiste. D’Isa ne conclude che è impossibile che qualcosa non esista.

 

Il tutto e il nulla

Il paradosso logico ci porta molto in profondità nelle domande esistenziali, a partire da quella fondamentale leibniziana: “Perché Qualcosa anziché il Nulla?”. Seguendo il ragionamento di D’Isa arriveremmo a concludere che il Nulla e Qualcosa coincidono, poiché se il Nulla è composto da ciò che non esiste, ma vale il paradosso di cui sopra, allora tutto esiste e dunque è Qualcosa. Ma ciò mette in discussione anche il concetto stesso di esistenza e di Essere su cui si fonda la nostra concezione del mondo, perché sembrerebbe piuttosto aver ragione Nāgārjuna sul fatto che la realtà è fondamentalmente “vacuità”, oppure lo pseudo-Dionigi quando ci invita a comprendere il mistero dell’essere supremo attraverso un approccio negativo, cioè escludendo tutte le proprietà che hanno senso per noi. Qui si arriva a lambire un ambito che è cavallo tra scienza e misticismo, esplorato da quanti hanno provato per esempio a far coincidere i princìpi del buddhismo e in generale del misticismo orientale con le moderne scoperte della fisica teorica (cfr. Paura, 2018). Se leggiamo per esempio un testo come La pienezza del vuoto di Trinh Xuan Thuan, fisico vicino a queste interpretazioni, c’imbattiamo in un concetto – ispirato non a caso da Nāgārjuna – molto vicino a quello proposto da D’Isa:

“La vacuità non è soltanto la natura ultima dei fenomeni, ma è anche ciò che permette ai fenomeni stessi di manifestarsi all’infinito […] Una cosa non può sorgere che se è correlata, condizionata e condizionante. Un’entità che esistesse indipendentemente da tutte le altre non potrebbe agire su niente e niente potrebbe agire su di essa. La realtà fenomenica si può manifestare in mille modi, perché la sua natura ultima è la vacuità”

(Xuan Thuan, 2017).

Anche qui sembrano riecheggiare concetti con cui la fisica teorica contemporanea si sta faticosamente confrontando, a partire proprio dal concetto di stato di vuoto, che nella meccanica quantistica rappresenta il livello di minima energia possibile, dove però permane un’energia potenziale frutto dell’interazione tra particelle virtuali che sembrerebbe essere la base da cui emerge la realtà che conosciamo, ossia l’insieme delle particelle del Modello Standard e il valore energetico del bosone di Higgs, che a tali particelle conferisce massa. Un concetto che è oggi alla base delle più avanzate indagini della fisica “oltre il Modello Standard”, relative per esempio alla natura dell’energia oscura o ai processi che regolano l’evaporazione dei buchi neri teorizzata da Stephen Hawking, una delle possibili chiavi per la comprensione della gravità quantistica.

 

L’inesistente è inesistente

La conseguenza che D’Isa trae da questa linea di ragionamento è che “Tutto è nulla, solido nulla”. Un paradosso che, se applicato al problema di cosa esiste, arriva a concludere che anche ciò che non esiste deve per forza esistere:

“Se una cosa non esiste, non può essere diversa dalle altre – altrimenti esisterebbe, secondo la definizione data. Se non è diversa dalle altre, però, coincide con una di esse, dunque esiste. Ne consegue che è impossibile postulare l’inesistenza di alcunché”.

La conclusione che ne si trae è foriera di importanti conseguenze. Di fatto, in contraddizione con l’assunto hegeliano della coincidenza tra realtà e razionalità, D’Isa arriva a proporre che “la natura della realtà è parzialmente preclusa al pensiero e al linguaggio”, il che “equivale a dire che [la reale naturale mondo] è, di fatto, oltre la ragione”. O forse può essere più corretto dire che la natura ultima del mondo non è completamente riconducibile alla ragione espressa dalla logica simbolica, che continua a essere considerata l’unica ragione possibile nonostante tale premessa sia stata confutata già nel secolo scorso e abbia condotto alla consapevolezza (ancora purtroppo minoritaria) che “la matematica non è l’essenza del mondo, ma è solo un modo umano di vederlo e di pensarlo” (Cellucci, 2015).

D’Isa ci lascia con un risvolto pratico di questa assurda evidenza a cui perviene, ossia che “riconoscere l’identità tra infinito e nulla aiuta a riordinare le gerarchie del mondo” e dare alle cose la giusta importanza; ma forse il lascito più importante del suo diario filosofico è la missione di sviluppare nuovi modi di dare senso al mondo al di là della logica dicotomica che ci spinge nei vicoli ciechi del paradosso.


Letture
  • Julian B. Barbour, Relational Concepts of Space and Time, in The British Journal for the Philosophy of Science, vol. 33 n. 3, settembre 1982.
  • Carlo Cellucci, Irragionevole efficacia o ragionevole inefficacia della matematica? in Paolo Pecere (a cura di), Il libro della natura, vol. II Scienze e filosofia da Einstein alle neuroscienze contemporanee, Carocci, Roma, 2015.
  • Georg Cantor, La filosofia dell’infinito. Scritti scelti (1884-1888), a cura di Emilio Ferrario e Patrizia Pozzi, Mimesis, Milano, 2021.
  • Francesco D’Isa, La stanza di Thérèse, Tunué, Latina, 2017.
  • Gottfried Wilhelm Leibniz, Monadologia, a cura di Salvatore Cariati, Bompiani, Milano, 2011.
  • Roberto Paura, Le quattro stagioni del misticismo quantistico, in Scienza & Filosofia, n. 20, dicembre 2018.
  • Pseudo-Dionigi l’Areopagita, estratti dalla Teologia mistica in Marco Rizzi (a cura di), Mistica tardogreca e bizantina, in Francesco Zambon (dir.), La mistica cristiana, vol. 1, Mondadori, Milano, 2020.
  • Raffaele Torella, Il pensiero dell’India. Un’introduzione, Carocci, Roma, 2020.
  • Trinh Xuan Thuan, La pienezza del vuoto, Ponte alle Grazie, Milano, 2017.

Comments

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Maurizio
Tuesday, 21 June 2022 18:09
Non erano passate di moda queste cose dopo l'affare Sokal?
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