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Zeitgeist

di Enzo Traverso

Da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022

birkLa distruzione della ragione non rispecchia soltanto un momento particolare nella traiettoria intellettuale e politica di Lukács. Quest’opera testimonia anche di un momento significativo della cultura del dopoguerra. Al di là delle intenzioni dell’autore, essa fu parte di un ampio dibattito sulle origini del nazionalsocialismo e le cause della catastrofe tedesca che segnò per più di un decennio la cultura dell’Europa centrale e quella degli esuli antifascisti, soprattutto ebrei, negli Stati Uniti. Il libro di Lukács fu l’ultimo intervento in questo dibattito e probabilmente l’unico contributo di grande rilievo proveniente dal lato orientale della cortina di ferro. Ultimo per la data di pubblicazione, benché sia stato scritto per lo più durante la guerra1. Esso concluse un periodo di riflessione filosofica e politica che, iniziato durante la Seconda guerra mondiale, aveva già prodotto un’impressionante costellazione di opere. Molti contributi a questo dibattito mettevano l’accento sul rapporto tra nazismo e irrazionalismo, come si evince facilmente da una breve rassegna.

Nel febbraio 1941 un rappresentante del liberalismo conservatore come Leo Strauss tenne una conferenza alla New School for Social Research di New York, in cui definì il nichilismo tedesco “il rifiuto dei principi della civiltà in quanto tale”, intesa come “cultura consapevole della ragione”2. Nello stesso anno Herbert Marcuse e Karl Löwith pubblicarono rispettivamente Ragione e rivoluzione e Da Hegel a Nietzsche, opere che proponevano letture diverse – per molti aspetti agli antipodi – dell’eredità di Hegel, convergendo tuttavia nel definire il nazionalsocialismo come una nuova forma di irrazionalismo antihegeliano3.

Un anno dopo, Franz Neumann pubblicò Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, che descriveva il sistema di potere di Hitler come “un non-stato, un caos, un regno dell’illegalità e dell’anarchia”, un potere totalitario che aveva “‘soffocato’ i diritti e la dignità dell’uomo” e aveva cercato di “trasformare il mondo in un caos con la supremazia su grandi estensioni di territorio”4. In breve, il regno dell’irrazionalismo. Nel 1945 Karl Popper, allora esiliato in Nuova Zelanda, pubblicò La società aperta e i suoi nemici, in cui tracciava una sorprendente genealogia del totalitarismo moderno visto come un lungo tragitto che andava da Platone a Hitler, passando per Hegel e Marx, difensori rispettivamente di forme di storicismo e utopismo opposti alla razionalità liberale. L’anno seguente, in un paese ancora in rovina, l’anziano storico Friedrich Meinecke pubblicò La catastrofe tedesca, che metteva in discussione l’intera storia della Germania moderna a partire dalla Riforma, mentre Karl Jaspers riassunse le sue tormentate riflessioni ne La questione della colpa5. Sia Meinecke che Jaspers avevano vissuto in Germania durante l’età dell’hitlerismo e della guerra, il primo come stimato e leale studioso, il secondo come rappresentante della cosiddetta “emigrazione interna”. Entrambi esprimevano la coscienza turbata di una nazione sconfitta nel cui nome erano stati perpetrati i crimini più orribili. Le loro opere forniscono un’istantanea dello stato d’animo di un paese che aveva improvvisamente raggiunto lo status di paria agli occhi della comunità internazionale6. Fuori dalla Germania, altre opere importanti apparvero nel 1946, come Da Caligari a Hitler di Siegfried Kracauer o Il mito dello Stato di Ernst Cassirer, Kracauer esaminava i film espressionisti dell’epoca di Weimar come specchio di una trasformazione psicologica della società tedesca che preparava l’avvento di un potere autoritario. Cassirer, il vecchio filosofo neokantiano che aveva pubblicato una storia dell’Illuminismo alla fine della repubblica di Weimar, ricostruì la perversa strada della sua distruzione attraverso una rinascita del mito, declinato in tre varianti principali: il mito dell’eroe, il mito della razza e quello dello Stato7. Nel 1947, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, ancora in esilio in California, pubblicavano Dialettica dell’illuminismo, un saggio che rovesciava la filosofia della storia di Hegel descrivendo la lunga traiettoria della civiltà occidentale dall’antichità Auschwitz: il compimento dello spirito assoluto non era altro che un processo inesauribile di “autodistruzione della Ragione occidentale” (Selbstzerstörung der Vernunft)8. Nello stesso anno Thomas Mann diede forma letteraria all’idea del destino irrazionale della Germania nel suo romanzo allegorico Doctor Faustus, narrazione della follia di Adrian Leverkühn, genio musicale affascinato dal demonio9. Nel 1951, nel clima del maccartismo, Hannah Arendt pubblicò Le origini del totalitarismo, un capolavoro di teoria politica che fondeva in modo poco convincente le genealogie del nazionalsocialismo e dello stalinismo come le due facce di Giano dello stesso regno di ideologia e terrore10.

Tutti i pezzi di questa costellazione eterogenea nascevano da una domanda comune: perché Hitler? Perché il collasso dello spirito tedesco? Perché il paese dell’Aufklärung si era trasformato nel regno di una moderna Apocalisse, nel luogo della concezione e dell’attuazione dei peggiori crimini della storia umana? In modi diversi, adottando approcci e categorie analitiche talvolta divergenti, tutte queste opere cercavano di comprendere e spiegare l’avvento dell’irrazionalismo nella Germania del Novecento. La distruzione della ragione non cita questi libri – probabilmente il suo autore non conosceva neppure alcuni di essi – ma senza dubbio appartiene alla stessa costellazione, condivide lo stesso Zeitgeist e cerca di rispondere alle stesse domande. Mito, irrazionalismo e nichilismo sono i concetti più condivisi di questa grande letteratura della Stunde Null tedesca, l’“ora zero” che nel dopoguerra segnò una rottura radicale con il nazismo. Le discrepanze tra Lukács e Adorno, Arendt e Strauss erano certamente molto significative, ma tutti si erano ritrovati nello stesso campo durante lo spartiacque storico della Seconda guerra mondiale, in un conflitto ideologico che, ben oltre due alleanze militari e politiche, opponeva due visioni del mondo: le forze dell’Illuminismo contro quelle dell’irrazionalismo, l’alleanza provvisoria tra il comunismo e la democrazia liberale contro il fascismo. Nonostante il suo stile fortemente – spesso fastidiosamente polemico, La distruzione della ragione si fonda interamente su questo presupposto di base.

Sottolineando che lo sviluppo dell’irrazionalismo non possedeva un carattere “immanente”, guidato dalla dialettica interna del pensiero filosofico, ma era piuttosto intimamente legato alla dinamica dei rapporti e dei conflitti di classe, Lukács metteva in luce le basi strutturali dell’irrazionalismo tedesco11. Lungi dall’essere un incidente storico, il regime nazista incarnava le tendenze più aggressive ed espansionistiche dell’imperialismo. Il primo capitolo, dedicato ad “alcune caratteristiche dello sviluppo storico della Germania”, presentava la versione marxista di un’interpretazione oggi nota attraverso il concetto di Sonderweg, la “via speciale” alla modernizzazione che aveva contraddistinto la Germania, separandola così dal resto dell’Europa. Le premesse di questo approccio erano apparse ne La catastrofe della Germania di Meinecke, dove l’impero prussiano era già raffigurato come luogo di un “percorso sbagliato” (Irrweg) che si allontanava dalla retta via della civiltà occidentale12. Durante la Prima guerra mondiale, molti studiosi tedeschi avevano ferocemente rivendicato le peculiarità storiche della terra di Lutero, Federico il Grande e Bismarck, raffigurata da Werner Sombart come la terra degli “eroi” (Helden) contrapposti a un’alleanza di “mercanti” (Händler). Lo stesso Meinecke aveva rivendicato la difesa della Kultur contro le forze corruttrici della Zivilisation e “le idee del 1914” contro i valori del 178913. Alla fine della Seconda guerra mondiale, tuttavia, questa diffusa e orgogliosa rivendicazione di un Sonderweg tedesco subì improvvisamente una sorta di inversione negativa con la stigmatizzazione dell’intera storia della Germania, bollata ora come una sequenza di sconfitte e tragici errori14. La “via speciale” verso la gloria si era trasformata in una lunga corsa verso l’abisso. Lukács fece propria questa visione riformulandola in termini marxisti. Citando un famoso saggio di Engels sulla guerra dei contadini tedeschi del XVI secolo e un meno noto libro di Lenin che denunciava il “romanticismo economico” dei populisti russi, il filosofo ungherese metteva l’accento sulle conseguenze di una successione di sconfitte storiche. In primo luogo, la Riforma aveva lacerato durevolmente il paese senza creare uno spirito borghese moderno. La Germania non conobbe il calvinismo ma piuttosto il luteranesimo, un autoritarismo politico e una cupa propensione all’obbedienza che fornì “una base spirituale, un fondamento morale all’arretratezza economica, sociale e culturale”15. A differenza della Francia e della Gran Bretagna, che avevano compiuto le loro “rivoluzioni borghesi” nel XVII e XVIII secolo, la Germania aveva mancato la sua trasformazione democratica nel 1848. Questo fallimento aveva rafforzato l’assolutismo prussiano creando le premesse dell’unificazione nazionale sotto la guida reazionaria di Bismarck. Infine, la sconfitta del 1918 produsse certo il crollo del Kaiserreich, ma invece di avviare una vera democratizzazione del paese, ne esacerbò le tendenze nazionaliste.

In breve, il nazionalsocialismo non fu un incidente della storia: fu il risultato inevitabile di un percorso nazionale che combinava uno sviluppo capitalistico tardivo, estremamente intenso e lacerante, con la persistenza di uno Stato arcaico, premoderno e autoritario, uno Stato che conservava tutti i tratti dell’assolutismo. Partendo da queste premesse, il nazionalismo esacerbato, il razzismo e l’irrazionalismo sfociarono in una forma peculiare di modernismo reazionario. Nei decenni tra le due guerre, questa sintesi contraddittoria di arretratezza culturale, potenza economica, sviluppo tecnologico e autoritarismo politico era diventata una miscela esplosiva. Il nazismo fu il risultato di questa traiettoria storica. In fondo, la visione del mondo nazista era solo il culmine di un lungo processo che Lukács riassume in una frase: la distruzione della ragione. Naturalmente, l’imperialismo era una “tendenza internazionale” e molte correnti ideologiche di questa ondata tedesca verso l’irrazionalismo avevano illustri presentanti in Francia, Italia, Regno Unito, Spagna e altri paesi europei. In realtà, potremmo aggiungere, la “rivoluzione dall’alto” prussiana non era affatto eccezionale. Aveva diversi equivalenti in Europa – Gramsci definì il Risorgimento italiano una “rivoluzione passiva” – e altrove, dalla Turchia (il kemalismo) al Giappone (la rivoluzione negli anni Sessanta dell’Ottocento). L’idea di un Sonderweg tedesco supponeva inoltre, almeno implicitamente, una norma europea di transizione alla modernità sociale e politica – un passaggio che la storiografia marxista esprimeva attraverso il concetto di “rivoluzione borghese” – la cui esistenza empirica rimane assai problematica da dimostrare16. Nella maggior parte dei paesi europei, il giacobinismo fallì e il rovesciamento dell’assolutismo fu il risultato delle guerre napoleoniche e delle riforme bonapartiste più che la conseguenza di rivoluzioni borghesi-democratiche autoctone. All’inizio degli anni Cinquanta questo dibattito storico era appena iniziato, ma Lukács voleva distinguere il suo modello interpretativo dall’idea diffusa di una “colpa tedesca” di natura ontologica, talvolta formulata in termini quasi razzisti. Cercò quindi di sfumare le sue argomentazioni: l’irrazionalismo era una tendenza internazionale e l’imperialismo aggressivo non poteva essere considerato una peculiarità tedesca, ma ai suoi occhi “la Germania del xix e del xx secolo rimane la terra ‘classica’ dell’irrazionalismo”17. Nonostante una costellazione di pensatori conservatori inglesi, francesi, italiani e spagnoli ferocemente contrari all’Illuminismo, concludeva Lukács, la Germania rimaneva il cuore di questo fenomeno internazionale.

Domenico Losurdo, che condivideva l’interpretazione lukacsiana di Nietzsche come apogeo della reazione europea nella filosofia ottocentesca, ha espresso il suo scetticismo nei confronti di questa versione marxista della teoria del Sonderweg. Lukács aveva colto magistralmente le radici europee del pensiero dialettico di Hegel (la Rivoluzione francese, l’Illuminismo e il liberalismo classico), ma era rimasto quasi del tutto indifferente alle origini intellettuali francesi e inglesi dell’irrazionalismo tedesco. A parte Arthur Gobineau, egli non aveva presta attenzione ad autori francesi come Joseph de Maistre, Maurice Barrès, Gustave Le Bon e Georges Vacher de Lapouge, italiani come Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Gentile e Julius Evola, o spagnoli come José Ortega Gasset, né ai teorici britannici razzisti come Francis Galton e Benjamin Disraeli18.

In fondo, la visione dell’irrazionalismo hitleriano proposta da Lukács era l’equivalente filosofico della definizione canonica del fascismo formulata da Georgi Dimitrov nel 1935: “la dittatura aperta e terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”19. Come ho già sottolineato, La distruzione della ragione fu uno dei pochi contributi significativi al dibattito postbellico sul nazismo provenienti dal lato orientale della cortina di ferro. Lungi dall’essere aneddotico, questo fatto ha molte implicazioni. Gli attori di questa controversia transatlantica erano intellettuali antifascisti, vittime del nazionalsocialismo, ebrei ed esuli. Essi esprimevano, come Thomas Mann o Karl Jaspers, l’abissale tragedia della coscienza tedesca; interrogavano, come Hannah Arendt, la fine di un ciclo ebraico della storia tedesca; o meditavano, come i pensatori della Scuola di Francoforte, sulle antinomie della civiltà occidentale. Il loro sguardo era tedesco e, in termini più generali, occidentale. Lukács partecipò a questo dibattito dall’esterno, come filosofo situato al di fuori di questo scambio transatlantico: viveva a Budapest e la sua collocazione sia geopolitica che intellettuale – la sua prospettiva epistemica, potremmo dire – era diversa. Egli ricostruiva infatti dall’interno il processo di disintegrazione della filosofia tedesca, ma non scriveva come un tedesco sconfitto che contemplava una nemesi storica né come un ebreo sfuggito al diluvio. Ebreo ungherese di lingua tedesca, egli non adottava la posizione della vittima né quella del vinto, ma quella di un pensatore situato dal lato dei vincitori. Egli non scriveva, come Thomas Mann, in quanto tedesco che osservava l’orribile spettacolo del suo paese completamente distrutto e ne accettava la punizione come nemesi ineluttabile. Scriveva come un pensatore che coglieva il soffio della Ragione storica nella bandiera sovietica issata in cima al Reichstag in rovina da un soldato dell’Armata Rossa. Come spiega Reinhart Koselleck, lo sguardo dei vincitori è generalmente apologetico, ben poco critico20. Lo sguardo di Lukács era apologetico, ma difendeva le ragioni di un vincitore che aveva combattuto una guerra giusta. Possiamo analizzare criticamente il processo di Norimberga come un classico esempio di giustizia dei vincitori: nel 1946, tuttavia, i suoi verdetti furono universalmente accolti come un atto di giustizia, giustizia tout court, ovvia e inappellabile al di là delle obiezioni dei cultori del diritto penale. Il manicheismo de La distruzione della ragione rispecchia quello dei vincitori della seconda Guerra dei trent’anni.


Note
1 Lukács, Pensiero vissuto, cit., p. 133.
2 Leo Strauss, German Nihilism (1941), in “Interpretation”, 26, 3, 1999, p. 366.
3 Herbert Marcuse, Ragione e rivoluzione, trad. it. di A. Izzo, il Mulino, Bologna 1966; Karl Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX (1941), trad. it. di G. Colli, Einaudi, Torino 2000.
4 Franz Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo, trad. it. a cura di M. Baccianini, Bruno Mondadori, Milano 2000, p. 3.
5 Karl Jaspers, La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania (1946), trad. it. di A. Pinotti, Raffaello Cortina, Milano 1996.
6 Si veda Anson Rabinbach, German as Pariah, Jew a Pariah: Hannah Arendt and Karl Jaspers, in Steven E. Ashheim (a cura di), Hannah Arendt in Jerusalem, University of California Press, Berkeley 2001, pp. 292–305.
7 Ernst Cassirer, Il mito dello Stato, trad. di C. Pellizzi, Longanesi, Milano 1971,  e Id., La filosofia dell’Illuminismo (1932), trad. it. di E. Pocar, La nuova Italia, Firenze 1977.
8 Si veda la prefazione, datata 1944, di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente (1947), Fischer, Frankfurt 1998, p. 3; trad. it. di R. Solmi, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1974.
9 Thomas Mann, Doctor Faustus, trad. it. di E. Pocar, Mondadori, Milano 1980.
10 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo (1951), trad. it. di A. Guadagnin, Edizioni di comunità, Milano 1967, capitolo 13.
11 György Lukács, La distruzione della ragione, trad., it. di E. Arnaud, Mimesis, Milano 2011, 2 voll.
12 Friedrich Meinecke, La catastrofe della Germania (1946), trad. it. di E. Bassan, La Nuova Italia, Firenze 1948.
13 Werner Sombart, Händler und Helden: Patriotische Besinnungen, Dunckler & Humblot, Munchen 1915.
14 Sulla “inversione negativa” della Sonderweg nel 1945, si veda Jean Solchany, Comprendre le nazisme dans l’Allemagne des années zéro 1945-1949, Presses universitaires de France, Paris 1997, pp. 81-102.
15 Lukács, La distruzione della ragione, cit., vol. I, p. 38.
16 Per una disamina critica della teoria del Sonderweg Tedesco, cfr. David Blackbourn e Geoff Eley, The Peculiaritics of German History: Bourgeois Society and Politics in Nineteenth-Century Germany, Oxford University Press, New York 1984, e Jürgen Kocka, Asymmetrical Historical Comparison: The Case of the German Sonderweg, in “Comparative Historiography”, 38, 1, 1999, pp. 40-50. Il concetto di “rivoluzione borghese” permea l’interpretazione dell’avvento della modernità europea delineata da Eric Hobsbawm, L’età della rivoluzione (1789-1848) (1962), trad. it. di O. Nicotra, Rizzoli, Milano 1998. È invece respinto da una teorica marxista come Ellen Meiksins Wood, per la quale le cosiddette “rivoluzioni borghesi” furono in realtà più un prodotto che una causa del capitalismo e, soprattutto, non trovarono nella borghesia né una leadership né una forza motrice sul piano sociale. Si veda E. Meiksins Wood, The Origin of Capitalism. A Long View, Verso, London-New York, 2002, pp. 118-121.
17 Lukács, La distruzione della ragione, cit., vol. I, p. 33.
18 Domenico Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Bollati Boringhieri, Torino 2014, cap. 20. Adottando la prospettiva del liberalismo classico, Zeev Sternhell ha tracciato una diversa genealogia dell’irrazionalismo, a cui molte culture europee hanno fornito contributi cruciali. Secondo la sua analisi, l’anti-Illuminismo iniziò con Herder, che mise in discussione l’universalismo della ragione introducendo l’idea delle nazioni come comunità irriducibilmente particolari. Da qui nacque un filone intellettuale assai ampio nel quale Sternhell include molti pensatori inglesi e francesi del XIX secolo, da Edmund Burke e Thomas Carlyle a Ernest Renan, Hippolyte Taine e Maurice Barrès. A differenza di Lukács, lo storico israeliano identifica il razionalismo con l’illuminismo franco-kantiano” anziché con il pensiero dialettico di Hegel, ma le loro definizioni dell’anti-Illuminismo e dell’irrazionalismo alla fine convergono. Si veda Zeev Sternhell, Contro l’illuminismo. Dal secolo alla Guerra fredda, trad. it. di M. Giuffredi e I. La Fata, Baldini e Castoldi, Milano 2007.
19 Georgi Dimitrov, Extracts from the Resolution of the Seventh Comintern Congress on Fascism, Working-Class Unity, and the Tasks of the Comintern (1935), in The Communist International 1919-1943: Documents, a cura di Jane Degras, vol. III 1929-1943, Oxford University Press, London 1966, p. 359.
20 Si veda Reinhart Koselleck, Erfahrungswandel und Methodenwechsel. Eine l’historisch-anthropologische Skizze (1988), in Id., Zeitschichten. Studien zur Historik, Suhrkamp, Frankfurt 2000, p. 69.

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FABBRONIDANILO
Monday, 05 December 2022 14:39
“Ai molti che scorgono – con infinità sicumera – dietro ogni Mistificazione un Grande Mistero, noi affermiamo che il più Grande Mistero è la Mistificazione”, così recitava una IV di copertina di uno dei tanti volumetti sottilmente pastellati con un variegatissimo pantone di colori, declinato in sottili nuances. Dal che ne discende che ai Molti non è dato capire pressoché Nulla o quasi. Del resto – andiamo con una citazione a braccio – non era forse il (cattivo) ma sempre Maestro, Guénon che scriveva “qualora i più avessero preso contezza dell’Orrore che si cela presso gli Olimpici sarebbero preda del Terrore più assoluto, pietrificati da uno Spavento Incommensurabile, afflitti da una stoccata fatale. Temiamo che sia per questo “processo” noetico che assistemmo ad una surreale conversazione ove un interlocutore cercava vanamente di illustrare l’enorme impatto che ebbe la casa editrice Einaudi, in particolare quando fu capeggiata dal bianco candido vestito struzzo, Giulio Einaudi – sulla “Zivilisation” italica, impatto, egida che mesmerizzò, orientandone financo le più recondite fibre del tessuto sociale, in un chiaro (a chi aveva l’ardire di scorgerlo) secondo un chiaro disegno sinistro-marxista. Nonostante l’acclarata evidenza dei fatti su descritta il secondo interlocutore appariva del tutto incredulo rispetto ai racconti del primo: meraviglia della pura ignoranza. Questo per dire che possano esistere, agire, concretizzare, solidificare, manifestare una verace opera – usiamo un eufemismo – “stilizzazione” di una intera psicologia, pedagogia, modus vivendi, fenomenologia, Weltanschauung (visione del mondo per intenderci) della Gemeinwesen (del Sociale insomma) eppure esse risultano paradossalmente sconosciute o intraviste appena ma per nulla sedi, siti, delle operazioni sin qui descritte. Miracolo? No, ma “semplicemente” Magia, Veleni ed Incantesimi. L’Ignaro Interlocutore s’interrogava dunque come potesse avvenire una tale influenza in una scala così vasta ed ampia. Ovviamente avesse avuto l’interlocutore contezza di Gramsci, del suo intellettuale organico, della scuola di formazione dei quadri dirigenti delle Frattocchie, financo se vogliamo a Lenin stesso. Ma il colmo della ridicolaggine nel genere western & spaghetti non lo raggiunge di certo l’I.I., l’Ignaro Interlocutore, del resto, per certi versi, scusabile, ma niente di meno che Umberto Eco quando pendoleggiava dalle parti di Foucault – non l’imboscato nelle terme sodomitiche californiane – tentando quest’ultimo in malo modo di contestare e controbattere quanto si andava affermando nel magistrale pamphlet d’occasione Gli Adelphi della Dissoluzione incentrato proprio sul potere di mesmerizzazione irradiato da una casa editrice. Dovrebbe essere intuitivo che l’Einaudi non era paragonabile in tutto e per tutto all’Adelphi, questa ultima sì un centre initiatique espletato in tutte le sue modalità con perfetta dovizia. L’Einaudi agiva infatti come un centro di formattazione, di formazione delle masse cerebrali, basterebbe ricordarsi di quale oceanica influenza esercitò allora – durante gli anni Settanta - la pubblicazione e diffusione degli scritti di Marcuse o di Laing o di Cooper (questi due ultimi caporioni della esiziale anti-psichiatria che slegò i matti per riversarli sul groppone delle famiglie poste senza tutela alcuna) per non citare la pletora immane di studi a base marxista vomitati dalle fauci apollinee dello squisitamente pallido bianco vestito Giulio, perfetto archetipo ante litteram di quello che oggi appelliamo “intellò” o “bobo”, bourgeois bohemienne”. Solo gli Asini Raianti del Culturame nostrano abbindolati a quella che allora si chiamava la “terza pagina”, lo spazio del giornale dedicato alla cultura, rimanevano a bocca aperta (piena di mosche cocchiere quindi) davanti agli sproloqui di Eco, accodandosi alla sua codina versione dei fatti. Sarebbe bastato citar loro il fattaccio dell’Aginter Press del famigerato Yves Guerin-Serac, centro irradiante i peggiori miasmi del Terrorismo Sintetico, puparo sommo delle Strategie delle Ombre, leggi la Strategia della Tensione, gli Anni di Piombo, che altro non era che una Agenzia di Stampa, per ridicolizzare le tesi, l’eco distorcente di un Eco che si rifiutava di credere che una casa editrice, un’agenzia di stampa potesse in nuce avere quel dato potere d’influenza! Ma l’elenco sarebbe lungo davvero: che dire ad esempio della soi disant Scuola di Lingue, l’Hyperion di stanza principale parigina (anche se non solo lì)? E che dire di OP, altra agenzia di stampa, depistante e disinformativa come mai, capeggiata da un “semplice” giornalista, Mino Pecorelli? Come non ricordare che l’Agente Z, l’ineffabile Guido Giannettini, apprendista stregone dei torbidi maneggi della Parte Buia della storia della Prima Repubblica nostrana nient’altro era che un giornalista? E che dire della onusta famiglia Cunnigham a stelle & strisce che stampava in quegli anni roventi, a Roma, tanto l’house organ di Lotta Continua quanto pubblicistica dell’estrema destra? Del resto la corazzata Einaudi ha esercitato quel monopolio culturale marxiologico su tutto l’orizzonte culturale italico che fu pari pari raddoppiato da quel partito-azienda che è stato il conglomerato Espresso/laRepubblica che tanto ha concorso, in maniera smisurata non solo a formattare l’intellettualità italiana ma anche e soprattutto la piccola borghesia quanto frange consistenti di quello che allora si chiamava il ceto operaio. Tale conglomerato è da notare si discostò dal globo einaudiano aprendosi volontariamente e scientemente a delle influenze di marca “eresie radicali” che non erano e non potevano essere contemplate dal rigido fideismo marxista del Giulio torinese. Ma occorre qui un’addenda. L’Einaudi a dispetto di una sortita inusuale costituita dalla cosiddetta collana viola, di stampo magico esoterico (c’erano tanto per dire Kereny, De Martino ecc.) non incarnò mai il modus operandi di un centre initiatique. Spieghiamo perché. Nel Primo DopoGuera (la 2nda mondiale) la mela, la sfera del Potere fu spartita in due zone distinte, discrete, l’una rispetto all’altra: quella finanziaria-economica e quella culturale-intellettuale. La prima andò ai notabili bianco crociati, i democristiani DìCì, bianchi balenotteri, i quali stoltamente ragionarono provincialmente da par loro che 2+2 deve sempre e comunque far 4 pensando quindi che colle mani nella marmellata, leggi il borsello, essi potessero mettere a ferro ed a fuoco tutto ed il resto di tutto senza tema alcuna; la seconda, quasi quasi per scarto, andò, se l’accaparrò il PCI, lungimirante invero. Infatti la prova-provata di ciò si evidenziò dai suoi veraci frutti quando a distanza di pochi decenni il 90%, appromissimativamente detto, del culturame italico cadde “maturo” nelle mani sapienti di Botteghe Oscure, portando a compimento gli intendimenti chiarissimi, per chi li sapesse vedere, dell’Officina sapienziale che aveva trovato caldo e sicuro quanto confortante bozzolo alloggiativo, con prebende ovviamente a profusione, in seno alla COMIT, la Banca Commerciale Italiana, patroneggiata da Raffaele Mattioli, apprenti sorcier coltissimo vicino al Partito d’Azione, ai Loggionati bianco-azzurrini così tanto in love col senso British di Giustizia & Libertà (non per nulla De Benedetti inaugurò anni orsono una sorta di think-tank all’insegna del motto Libertà & Giustizia di chiara ispirazione alla precedente accolita), alle Consorterie internazionali dell’Alta Finanza Iniziatica. Comit che gli stolti obnubilano di rammentare che si deve ad essa se parte degli scritti di Gramsci, i Quaderni, furono salvati tra un caveau ed una boiserie. Non solo: Franco Rodano, l’ArciPrete del PCI, varò in pompa magna l’astutissima fenomenologia del catto-comunismo (polvere di stelle di quel catto-comunismo costituirono le adorate reliquie in segno agli stolidi di CL, Comunione & Liberazione, prova ne è gli innumerevoli loro omaggi al poetastro della P al cubo, Pasolini). Si dice che ogni accolita quanto ogni individuo ricerca il proprio punto apicale di imbecillaggine e questo immancabilmente sferzò la corazzata Potemkin dell’immacolata casata pallidina torinese, la danza degli struzzi Einaudi. Il caso Nietzsche fu per Einaudi il flop che coronò la sua carriera. Così rammenta Calasso, dileggiandolo, che Cantimori allorché gli fu proposto l’Ecce Homo nietzschiano, l’edizioni filologica, mormorò con una voce flebile ma bensì udibile che il crucco cane Nietzsche lo si sarebbe potuto pubblicare ma sarebbe stato certamente da riporre su su, bene in alto, lassù sullo scaffale inarrivabile, inaccessibile quasi della biblioteca al pari di quanto si soleva fare con i romanzacci pornografici degli anni Settanta, fuori quindi dalla portata dei bambini al pari dell’ammoniaca, del DDT, dell’acido solforico. E qui viene il punto. Quando ci riferivamo ai 9/10 del culturame in piene mani del diktat marxiologico, esisteva un flottante non invaghito dall’onda maestra del barbuto Maestro di Treviri, ultimo decimo del paniere che, grosso modo, era in palmo di mano ai destroversi, pochi, isolati, sparuti (niente a che vedere coi loro camerati guerrafondai, “terrore-fondai”, tutti pappa & ciccia con gli spioni mortiferi dei Servizi italici deretano & camicia a loro volta coi i capataz dei Servizi anglo-americani israeliti da cui ingoiavano le laute prebende), cani sciolti di una Zivilisation oramai passé, desueta, reazionaria appunto. Lì, in quei covi di pirati sparuti, isolate Taverne alla Jamaica, frequentate dai reietti del Sistema, si potevano trovare Nietzsche appunto, Danielou, il fratello del Cardinale, Céline, Junger, Schmitt, de Maistre, Evola, Guénon, Zolla, Eliade, Kéreny e via di seguito come Padri Ispiratori dei Resistenti, dei Rivoltoso avversi al Mondo Moderno. Ora la fucina ardente che aveva alimentato come un motore a scoppio aspirato le temperie al calor bianco, giunto al suo punto di fusione apocalittico, del Rivoltismo Sinistroverso – la casa Einaudi – aveva sostanzialmente raggiunto il suo nodo gordiano d’imbecillità, quindi, di fatto, vedeva esaurirsi il suo compito, esautorata la sua funzione. L’avvento del Riflusso, Il Grande Freddo del film eponimo, coincise coll’inizio dell’Eclissi einaudiana. Non era più tempo di “se questo è un uomo” ma imperversava l’ecrù vestito pettinato John Travolta e la sua Febbre. D’altro canto i primi segni di sgretolamento i quali prestavano il fianco al secondo principio della termodinamica, il fattore entropico, faceva sì che tutto naturalmente doveva procedere verso il chao, verso il caos. Al caos serviva dunque un Agente del Caos: l’Adelphi per puro caso o non per caso? Talune, raffinatissime menti – bobdylaniamente non necessitava di consultare il “metereologo per capire che vento ci sarebbe stato” - percepirono l’andazzo incombente del tempo a venire e ritrovarono nell’apocrifo Lettere agli eretici, libello satirico celato paludato sotto le vesti della prestigiosa collana einaudiana Il Nuovo Politecnico (ne scaturì pure querele e processi) un faretto che illuminava le zone recondite, meno illuminate di quanto si andava cucinando allora davvero dietro le quinte della Grand Cuisine: un fine non ultimo del mastodonte PCI era quello di (re)incarnarsi in un Partito Radicale di Massa (Del Noce lo capì benissimo…) ad onta del suo essere togliattianamente “tutto d’un pezzo”, a dispetto dell’apparente gesto eclatante d’aver scomunicato l’eretico di turno (per finta invero in quanto poi oggetto di amplissimo dispiegamento di tappeti rossi da parte del maggior organo della borghesia nazionale meneghina compradora, il “Corriere della Sera” sotto allora il tacco della Zarina Rossa, Giulia Maria Mozzoni Crespi, segno che Pasolini fosse una “tigre di carta” nello zoo della Mistificazione, un Rivoltante di carta pesta): Pasolini, accusato e marchiato come “vizioso”. Nelle “Lettere” succitate si evince fuori di dubbio che la granitica figura di Togliatti, il Migliore, sarebbe stata come uno yogurth a scadenza certa, sostituita dalle tematiche progressiste di Emma Bonino e della sua pompa di bicicletta aspiratutto. Questo per dire che l’insieme del Circo degli Struzzi risultava alla velocità della luce … inutile. Aveva semplicemente esaurito i suoi compiti prefissati, affidati. Spenti i fuochi rossi galvanizzanti la violenza gratuita del proletariato giovanile – in realtà ampiamente foraggiato ed alimentato dai lasciti pecuniari dell’alta borghesia nazionale e specie la milanese, vedi la testimonianza dell’agente di cambio, Aldo Ravelli – con le docce calde, soporose dei balli sfrenati della Febbre del Sabato Sera, la “severità”, l’aplomb del Migliore, Togliatti, poteva andare a farsi friggere. C’erano ben altre fritture che si dovevano allestire. Ad esempio quella di Mazzino Montinari, a cui si deve il filologico Ecce Homo, che soleva rispondere a chi gli chiedesse di Cristo mettendo a friggere una statuetta di Cristo sulla croce in una padella con olio abbondante. Quale migliore atto fondativo (il buon giorno si scorge al mattino) per un centre initiatique – perché di questo si è trattato – se non lo sdoganamento del crucco cane Nietzsche tolto di peso dalle grinfie grossier della pubblicistica destrorsa (edizioni Mediterranee, Rusconi) per essere imbellettato onde potersi somministrare senza remore e rigetti a destra quanto a manca? Difatti fu così che avvenne. Si agì andando a recuperare col rastrello tutta una feccia che trovavasi nei meandri reconditi del bicchiere che sino ad allora era stata ravvisata, additata come fogna reazionaria conservatrice ma che ora, grazie ai magici auspici dell’Agente Adelphi come se fosse un’Araba Fenice faceva magicamente risuscitare a nuova vita, a nuova decenza tutti quegli autori di quella “parte maledetta” che era stata tale sino a pochi anni prima. Inutile – va ribadito – la reazione, sebbene oggetto di plauso da parte nostra, di alcuni vetero-marxisti, ne abbiamo parlato, che lungimirantemente intravvidero di primissimo acchito cosa si celava davvero in fondo al cappello a cilindro di questi neo-maghi: una Venezia magico-esoterica racchiusa, imprigionata nel globo di vetro che capovolto su se stesso vedeva piovere la nebbiolina artificiale: Ex-Oriente Lux, vale a dire Ex-venezia Lux. Quella Venezia dogale che per prima varò i primissimi servizi segreti al mondo degni di questo nome ma divenne e rimane una matrix portata ad esempio, da imitare per ogni élite tecno-finanziaria iniziatica globale che si rispetti. Qui siamo (ri)precipitati nella casella del Gioco dell’Oca che ci fa rimbalzare ancora una volta da dove avevamo mosso i primi passi nostri: il Primo DopoGuerra dopo il 1945. Allora erano all’opera, fattivamente, due chiese ben distinte l’una dall’altra. Una rosso-anemone, la PCIista ed una giallo-vestita, oltreteverina incentrata, la DC. Per abbattere entrambe in quanto ambedue ostacoli all’ascesa del Mondo della Predazione Assoluta (tanto certo comunismo comunitario quanto il cristianesimo che ne faceva la sua quintessenza avevano in comune l’osservanza della Caritas quale Virtù suprema) occorreva agire subdolamente affinché, per dirla con Riccardo De Benedetti, esse fossero sostituite dalla Chiesa di de Sade. Bisognava effettuare un sottile lavorio a scartamento ridotto: prima colpire una per poi attecchire nell’altra ed affondare anche quella nella battaglia navale “finissima d’intenti”. Il catto-comunismo, proiezione malefica, venefica dell’influsso irradiante della cometa in via di esaurimento einaudiana è servito appunto a ciò. PPP accolto come Vate in seno ai congressi di C.L. ne è la dimostrazione lampante. Cacciari, più vicino a noi, colle sua dichiaratissime affinità elettive al bell’omo, il Cardinal Martini, ha seguitato sulla scorta di quelle tracce, convergenze parallele col percorso appena descritto, solo mutato di denominazione: ecco il catto-adelphismo, operazione più sofisticata, più complessa di quella svolta dalle edizioni Einaudi la quale era grezza, basica, tipica azione da agit-prop, agitazione e propaganda bella e buona, di chiaro conio marxista-leninista. Ora è il caso di parlare di una psy-ops, in grande stile. Il travoltismo, la famigerata lettera al “Corriere” chiosata non certo a caso da un Maestro di Cerimonie, Venerabile Eccelso Rettore della tracimazione, dell’esondazione sessantottina nostrana, Francesco Alberoni e da chi gli tenne bordone, Aldo Bonomi assurto più tardi a fasti apicali confindustriali (nel più puro spirito marxiano della “forma fenomenica del suo contrario”, guarda caso…!) financo comprendente gentleman e wonderwoman come Curcio, la Cagol, Rostagno e compagniabella, con cui si sanciva il ritorno – lancette dell’orologio brutalmente riportate indietro – al Privato dopo l’ubriacatura dionisiaca sessantottina in cui il “Privato era Politico”, biopolitico, la febbricitante marea incalzante del Sabato Sera, la Milano da Bere, il reaganismo (non a caso un politicamente destrorso abile macchietta burlesca figliato da quella Macchina, da quella Fabbrica della Disinformatja che risponde al nome di Hollywood) colla sua aberrante deregulation, il tatcherismo, la Lady di Ferro col suo micidiale sprezzo per le classi povere, per il lumpen-proletariat dei minatori, per i Dannati della terra, per i Disereditati, per gli sdentati insomma, come dirà la canaglia Hollande anni dopo, per tutti i looser, detto all’americana, tutto ciò fu un “rinse”, un risciacquamento che preludeva soltanto ad un altro, prossimo ciclo storico, usuale lavaggio del cervello ulteriore. Il Riflusso fu solo lo sbiancamento, il fissaggio in termini di fotografica camera oscura, del Big Bang sessantottino che andava “fissato” come l’entomologo fissa le ali della farfalla preziosa in bacheca. Una volta svolta questa funzione del Riflusso non se ne parlò più: solo certuni “bamba”, per dirla con Milano, lo considerano tutt’ora la genesi, il punto di fuga prospettico dell’irretimento stupidenziale della mejo gioventù di oggi quando esso, al contrario, ne è solo l’epifania. La breve parentesi riflusso-gastrica partoriva l’homo secularis per eccellenza di cui ci parla Calasso: l’Uomo neo-dionisiaco dei giorni nostri, quello che conosciamo quotidianamente anche solo scorrendo le Cronache di Narnia delle notizie flash quotidiane. Un profluvio immane di droga circolante oramai a tutti i livelli sociali senza distinzione di sorta, senza remore. L’epidemia drogastica è divenuta fenomeno di massa, nazional-popolare, democratico in assoluto mai più riservato ad una élite borghese (Capocotta, il diletto Montesi; la Marchesa Casati ed il suo entourage; le argentee narici dell’Avvocato…) come fu un tempo. La Scheisse-musik lo stesso: gangsta-rapper, trapper, ravers, siti come le discoteche vere e proprie fabbriche del Culto di Shiva, tutti ingredienti dell’Insalata magmatica degli Sconvolti. Lo sciamanesimo degli Apprendisti Stregoni e le Tecniche dell’Estasi Artificiale quanto diabolica. La Pornofrenia, la Pornoalalia, la Pornologia quali segmenti portanti del Discorso Amoroso completano il quadro della Dissoluzione come Fede Appresa. Ma c’è un ma non da poco ed è il ma che completa e costituisce il quadro totale. Le cronache odierne sono affastellate da stupri, da omicidi, da aborti a gò-gò, da compagnicidi, da fratricidi, da parricidi, da infanticidi (comprendenti la pratica abortiva), di pietosi accompagnamenti di lana caprina alla “dolce morte”, di Caini contro Abele, di sgozzamenti, di incesti, di meretricio, di decollettazioni, di smembramenti, di cannibalismi, di stragi gratuite all’Insegna della Celebrazione del Sacrificio dell’Innocente, di soppressione dei più deboli, di selezione letale dei più tramite mezzi pseudo scientifici, di tradimenti del proprio miglior amico, uccisioni degli svantaggiati, sacrificio dei lavoranti morti per lavoro per un tozzo di pane e una TV al plasma, tremendi clash stradali realizzati col concorso evidente del mezzo allucinogeno drogastico che giammai o quasi viene indicato al ludibrio: tutte nessuna esclusa Celebrazione del Dio dell’Ebbrezza, del Dio della Possessione, Dioniso. Pare di star a leggere per filo e per segno Le Nozze di Cadmo e Armonia, precisamente al millimetro. È stata questa la funzione dell’Adelphi, essere un centro iniziatico da cui promanare una Teoria Fondativa ai cascami dello sconvolgimento istituzionalizzato, dionisiaco di derivazione sessantottina che nel volgere del tempo aveva perso per strada, aveva sbriciolato i suoi “fondamentali” apparsi nulli, inconsistenti quando l’epitome del re Nudo, privo di ogni vestimento si rivelò per quello che era: la grande Mistificazione. Come si poteva credere del resto a quel Grande Bluff che fu contrabbandato come l’Estate dell’Amore, la Summer of Love, la quale registrò invece una scia di sangue, una caterva di morti violente prossime all’incredibile? Neanche gli Stolti più stolti del Reame riuscivano a reggere la parte. Abbisognava dunque con urgenza una tessitura che potesse inscenare un cominciamento generale affinché tutto l’obbrobrio cloachesco, fognatario, fecale, terrifico ravvisabile ogni qualvolta apriamo una pagina web di cronaca quotidiana divenisse la Norma di una Nuova (aberrante) Normalità (anomala) infernale. A questo servono i centri iniziatici. Al tempo presente si registra la scomparsa dell’Abate, Calasso: l’Adelphi può anche sopravvivere a quest’ultimo ma come mera entità in quanto la sua funzione intima è giunta al capolinea, avendo raggiunto il risultato per cui fu creata, quello di adelphizzare l’intiera Gemeinwese, l’intera socialità. Oggi viviamo in una società completamente adelphizzata.
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