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idiavoli

Dark data. Viaggio nella cyborg finanza

di I Diavoli

Nei sistemi finanziari, ciò che guardiamo ci scruta a sua volta. Ciò che usiamo per guardare è oscuro. Ciò che appare più evidente, scontato e pacifico. I dati. I pacchetti di luce che usiamo per capire i sistemi finanziari generano e incorporano oscurità. Sono oscuri. Sono Dark data. Benvenuti in questo viaggio attraverso la cyborg finanza

dataL’oscurità dà potere. Il potere cerca l’invisibilità. L’invisibilità conduce alla presunzione. La presunzione spinge a esporsi. Esporsi porta alla sconfitta. La sconfitta toglie potere.

Un ciclo ancestrale, quasi inalterabile. Ci insegna che per ottenere potere bisogna occultare. E per occultare non basta creare il buio: bisogna imparare l’arte di modellare la luce. Rifletterla, piegarla. Continuamente.

Alterare le immagini può essere molto più efficace che nasconderle. Perché il potere si basa sulla paura: ciò che temiamo di più è ciò che non riusciamo a vedere. Per questo il potere più grande è celarsi in ciò che vediamo e di cui ci fidiamo. Un potere che non ha bisogno della paura.

I sistemi oscuri sono quelli in cui l’occultamento non lascia tracce. Tutto appare chiaro. Sono quelli in cui l’oscurità stessa è stata oscurata.

La luce che filtra in questi sistemi è proprio il luogo in cui si annida l’oscurità. È una luce che nasconde le cause e gli effetti. Una luce che serve a distrarre, non a distinguere. Quando è necessario, inverte cause ed effetti in un gioco di specchi vuoti.

Anche per chi è abituato al buio, i sistemi oscuri sono difficili da guardare. E sono pericolosi. «Quando si guarda il lato oscuro bisogna essere prudenti… Il lato oscuro ti scruta a sua volta» dice il maestro Yoda di Star Wars.

Ma la finanza non è fantascienza, giusto?

Nei sistemi finanziari, ciò che guardiamo ci scruta a sua volta. Proprio ciò che guardiamo più spesso, è oscuro. O meglio, ciò che usiamo per guardare è oscuro. Ciò che appare più evidente, scontato e pacifico. I dati. I pacchetti di luce che usiamo per capire i sistemi finanziari generano e incorporano oscurità.

Sono oscuri.

Sono Dark data.

Oscuri erano i dati il 18 Giugno 1815. E oscure erano le vie per raggiungere Londra da Waterloo.

Quando ormai era chiaro che Napoleone sarebbe stato sconfitto, il sistema di corrieri del banchiere Nathan Rothschild si attivò con tutta la potenza tecnologica di quel tempo per comunicare l’esito della battaglia. Piccioni viaggiatori, cavalli e messaggeri portarono a Rothschild la notizia della disfatta quasi quarantott’ore prima che il corriere ufficiale britannico del duca di Wellington raggiungesse Londra. Risultato: solo Nathan Rothschild aveva la notizia. E la tenne per sé. La oscurò.

Il banchiere iniziò a modellare la luce. Un’arte occulta, antica. E all’avanguardia, perché usa sempre nuove tecnologie per produrre illusioni, immagini ambigue, fantasmi. Rotschild si mise a vendere grandi quantità di titoli di Stato britannici sui mercati finanziari. E continuò a farlo, senza esitazione. Fu così che apparve un fantasma sui mercati finanziari. Il fantasma della sconfitta. E spinse il mercato a pensare una sola cosa: «Rothschild sa. Waterloo è persa. Napoleone ha vinto».

Era una luce sui mercati. Era la luce. Tutti iniziarono a seguire l’esempio del banchiere e a vendere i titoli di Stato della nazione che credevano sconfitta, innescando una corsa al ribasso e quindi il crollo del valore dei titoli.

L’oscurità era calata. Arrivato al fondo di questa corsa alla vendita, Nathan Rothschild fece la sua mossa, invertendo luce e buio: iniziò a comprare i titoli di Stato inglesi a un prezzo ormai stracciato.

Poco dopo, arrivò la notizia ufficiale: Napoleone ha perso. Di nuovo, fu tutto chiaro. Il mercato si precipitò a riacquistare i titoli della nazione, l’Inghilterra, che aveva vinto la guerra. Il valore di quei titoli si impennò, garantendo a Rotschild un facile profitto.

L’oscurità genera illusioni e penetra ogni cosa. Ci circonda. Ci abbraccia e ci confonde. Ci spinge a guardare l’unica luce che filtra. Ed è così che finisce per rassicurarci. E ingannarci.

Si dice che l’oscurità sia l’assenza di luce. Invece è proprio la luce a trasportare l’oscurità.

La luce, oggi, sono gli Stati nazionali. Ciò a cui tutti guardano, a cui si rivolgono per chiedere risorse, governo dei processi, soluzioni, riforme. Ciò su cui tante luci sono puntate. E su cui masse di dati si riversano. Flussi di capitali. Flussi di bambini, di donne e di uomini. Flussi di armi, di droga. Come fiumi carsici appaiono e scompaiono improvvisamente, sopra e sotto la superficie delle nazioni. Spinti da forze che vanno ben oltre i loro confini e poteri.

È sugli Stati nazionali che cade tutta la pressione e l’urgenza dell’azione. I governi sono chiamati a fronteggiare dinamiche che li scavalcano e deformano. Governi con strumenti così deboli da poter essere messi facilmente in difficoltà. Governi che possono essere rimossi proprio con l’accusa di non essere in grado di governare ciò che non può essere governato con gli strumenti di un singolo Stato.

Gli Stati nazionali sono la luce, oggi. Una luce dove si annida l’oscurità.

La risposta alla globalizzazione è davvero la deglobalizzazione? Gli Stati nazionali, concepiti più di due secoli fa, sono davvero l’alternativa agli Stati Uniti? Una nuova forma di mercantilismo è davvero la risposta alle élite transnazionali? La risposta al ventunesimo secolo è l’Ottocento?

Il problema qui non è la risposta, ma la domanda. Ci viene fatta così spesso che finiamo per porcela da soli, senza più metterla in discussione. Una domanda che ha già una forma manipolatoria: quella di un dilemma. E come tutti i dilemmi ci spinge a guardare le separazioni, a dividere, a sottolineare alternative che sembrano inconciliabili.

La nazionalizzazione, la retorica dello Stato nazionale, è la guerra di chi è Unito contro quelli che Uniti ancora non sono. È l’illusione ottica di un sistema oscuro.

Lo Stato Nazionale oggi assomiglia al protagonista di Fight Club: si ritrova con una pistola puntata contro e ancora non sa che, nonostante le apparenze, non c’è distinzione tra chi tiene la pistola e chi è sotto il suo tiro. E come in Fight Club, forse premere il grilletto è l’unico modo per scoprirlo e sperare di salvarsi.

La prima regola per generare oscurità è impiegare l’ambiguità. Creare ambiguità. Alimentare ambiguità. Moltiplicare ambiguità. Parole ambigue. Immagini ambigue. E reversibili.

Come il vaso di Rubin (1), la giovane-vecchia di Boring (2), o i triangoli di Kanizsa (3). Figure che è legittimo leggere in un modo, o in un altro, o in entrambi i modi.

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L’ambiguità produce più interpretazioni. Più interpretazioni diluiscono i fatti. Senza fatti, la realtà si frammenta e può essere scomposta e ricomposta. E manipolata.

Così si può vincere il consenso, giustificare quasi tutto, difendersi da quasi tutto. Basta essere reversibili come le illusioni ottiche: scomparire e confondersi con lo sfondo quando serve, riapparire e distinguersi quando è opportuno.

L’ambiguità è un’arte che devono padroneggiare tutti coloro che vogliono ottenere e mantenere il dominio. Che vogliono essere Principi del loro tempo. Come il Principe di Machiavelli, che deve saper essere due bestie.

«Deve imitare la volpe e il leone. Dato che il leone non si difende dalle trappole e la volpe non si difende dai lupi, bisogna essere volpe per riconoscere le trappole, e leone per impaurire i lupi. Coloro che si limitano a essere leoni non conoscono l’arte di governare».

Essere ambigui, ma non apparire tali.

Nei moderni sistemi finanziari l’ambiguità viene ingegnerizzata e miniaturizzata. E finisce incapsulata dentro le unità più piccole dei mercati: i dati.

Un dato non è il grado-zero della conoscenza. Non è un oggetto stabile, qualcosa di neutrale, obiettivo, trasparente. È una costruzione, che richiede molti passaggi. Scelte, e ipotesi. Quando guardiamo un flusso dati su un display, stiamo osservando il risultato di meccanismi costruiti impiegando specifiche regole, sequenze e modelli concettuali. Tecnologie, leggi e teorie concorrono a formare e cristallizzare un dato: non è una fotografia della realtà, ma una sua interpretazione. Anche se ci piacerebbe pensarla come una fotografia.

Qual è il problema, si potrebbe dire? Ci sono i Big Data oggi. Con la nuova disponibilità di enormi quantità di dati e macchine per processarli, basterà mettere i numeri nel computer e lasciare che algoritmi statistici trovino il modello che li spieghi. Fatti, non interpretazioni.

Siamo di fronte a una rivoluzione epocale, che cambierà il modo di concepire il mondo e risolverà tanti problemi di conoscenza, anche finanziari o sociali.

Chi pensa questo rimarrà deluso. Molto presto.

I gestori dei saloon americani dell’Ottocento usavano offrire pasti gratis per attirare bevitori. Erano pietanze anche elaborate, a cui aveva diritto chi entrava nel saloon e consumava bevande. Le bevande bisognava pagarle.

Nel mondo dei dati e degli algoritmi, così come in finanza, non c’è un pasto gratis.

I mercati, nel loro complesso, sono così efficienti nell’individuare opportunità di arbitraggio, così veloci a trovare il modo di realizzare un profitto economico, che è quasi impossibile imbattersi in un pasto gratis. Quasi impossibile non correre veri rischi.

La logica è questa. Supponiamo che un barile di petrolio sia venduto a 80 dollari sulla piazza di New York e a 100 dollari su quella di Boston. Un imprenditore razionale userebbe la tecnica dell’arbitraggio per trarne un profitto: spedirebbe il petrolio da New York a Boston e intascherebbe il profitto che deriva dalla sola differenza di prezzo. Un profitto senza rischi, sicuro. Un pasto gratis. Invece il mercato sarebbe così svelto a sfruttare opportunità del genere, che in un batter d’occhi il prezzo del barile di New York salirebbe e quello di Boston scenderebbe fino ad annullare questa dislocazione.

Quando ci sembra di vedere un pasto gratis, bisogna fare attenzione. Potrebbe essere avariato o, peggio ancora, potrebbe essere una trappola.

Neanche i Big Data sembrano in grado di offrirci un pasto gratis. Quando estraiamo informazione e conoscenza da certi dati, dobbiamo pagare un costo. Non monetario, ma ben più oneroso: un costo conoscitivo.

È quanto viene suggerito da alcuni risultati limitativi, noti come teoremi del no free lunch. Anche se riguardano una classe piuttosto specifica di problemi, questi teoremi ci dicono una cosa importante che può essere estesa a molti ambiti.

Una lettura legittima di questi teoremi sostiene che un algoritmo, cioè un metodo per trattare dati, per poter essere efficiente nella soluzione di certi problemi, deve incorporare al suo interno, nelle sue linee di codice, quanta più conoscenza possibile sul dominio che sta indagando. Senza questo, non è migliore di nessun altro metodo. Un algoritmo, perciò, non solo sarà sempre parziale e selettivo, ma dovrà incorporare una teoria sul dominio che stiamo indagando.

Un certo metodo può ottenere informazioni maggiori o diverse dagli stessi dati rispetto ad altri metodi. Lo stesso insieme di dati genera informazioni diverse se esplorato da diversi approcci. Ogni scelta dei dati è il riflesso di un insieme di ipotesi, spesso non dichiarato, su ciò che vogliamo e ci aspettiamo dai dati.

Quindi i dati non sono elementi semplici, estratti dal mondo in modo neutrale e oggettivo. C’è sempre un punto di vista che precede l’osservazione e l’esperimento, vale a dire una teoria, che guida l’osservazione e l’esperimento.

Una strategia statistica che vuole individuare modelli all’interno dei dati, si basa sui risultati e sulle teorie precedenti. Pensare che possano scoprire automaticamente, senza presupporre alcuna teoria o test, è un’illusione. L’ennesima.

I dati non parlano da soli. Le parole, in caso, li precedono.

Cosa sono dunque questi piccoli oggetti che chiamiamo “dati”, in finanza?

Lo spazio interstellare. Le luci di stelle e galassie lontane. L’universo. Sono tutti permeati di una stessa sostanza: l’energia oscura. La responsabile dell’accelerazione dell’espansione dell’universo.

Transazioni. Contratti. Ordini di acquisto e di vendita. I mercati finanziari. Sono tutti permeati di una stessa sostanza: i dati oscuri. Sono loro i responsabili dell’accelerazione dell’espansione di industrie, economie, e poteri.

Come?

La risposta è al riparo da occhi indiscreti, tra uomini e macchine, nel cuore di quel grande cyborg che è oggi il mercato finanziario.

È una risposta che non sta mai ferma, cambia di continuo. Deforma e si deforma.

Benvenuti in questo viaggio attraverso la cyborg finanza.

* * * *

Oggi i dati non sono solo qualcosa di ingegneristico: sono una questione etica. I mercati finanziari impiegano una camera oscura, per costruire inganni realistici. E i dati sono la luce. Chi determina i dati? E come? Per risalire a questo serve un viaggio nella galassia dei dati finanziari. Un viaggio pericoloso e difficile

Dominare la luce è il segreto per ottenere il potere dell’oscurità.

Il primo passo è dominare la velocità della luce. Dominare c, che sta per celeritas: velocità. La luce è la velocità. Dati che diventano impulsi elettromagnetici che viaggiano a quasi 300mila km al secondo: da un computer di New York a uno di Londra in 33 millisecondi.

Chi domina la luce rompe le simmetrie. Dilata spazio e tempo. Crea vantaggi e svantaggi nel flusso d’informazioni.

Se qualcosa succede a New York, se il prezzo di un titolo sale, Londra non lo saprà prima di 33 millisecondi. E viceversa. Un trader che si trova a New York e riceve il dato del nuovo prezzo in pochi millisecondi, può agire e completare una transazione prima ancora che Londra riceva l’informazione dell’aumento del prezzo. E viceversa. Uno vive nel futuro, l’altro nel passato.

Dominare la luce permette di creare dislocazioni nei mercati. Al tempo stesso, un problema e un’opportunità.

Una mossa possibile è collocare un computer in un punto equidistante, per prendere decisioni sempre più vicine a c. Nel caso di Londra e New York è impossibile, perché il punto di mezzo cadrebbe nelle acque dell’Atlantico. Ma c’è un’alternativa: l’Islanda. Un ragionevole compromesso sulla terra ferma. Quando una società finanziaria installa una linea a fibre ottiche dedicata tra New York e l’Islanda, non sta commettendo un azzardo o una stravaganza. Sta ampliando il sistema nervoso del cyborg finanziario. Lo sta rimodulando a suo vantaggio. O almeno si sta costruendo un anticorpo, una difesa. 

È vero, oggi siamo tutti interconnessi. Ma non allo stesso modo. Non alla stessa velocità. E nei mercati finanziari velocità=tempo=denaro. Il 70% circa degli scambi nei mercati finanziari statunitensi oggi viene effettuato da computer sfruttando la velocità della luce.

Per questo la battaglia finanziaria oggi si gioca sulla qualità dei dati, la loro velocità di trasmissione, equità e costo. Tutti ne hanno bisogno. Dati, velocità: tutti ne vogliono di più. Vogliono più luce, avvicinassi il più possibile a c.

Perché in un mercato sempre più vasto e frammentato, muoversi alla velocità della luce fa la differenza. Più il mercato è grande e frammentato, più informazione (e quindi dati) è necessaria per ottenere una visione d’insieme.

Chi ha il miglior flusso di dati, le migliori linee, i migliori computer, ha un vantaggio. Questo vantaggio gli permette di eseguire le proprie strategie meglio della concorrenza. Poterlo fare conduce alla vittoria. E la vittoria dà potere. 

Il potere oggi sono i dati e i pacchetti di luce nei quali sono codificati. Chi li possiede decide come e quando diffonderli, e quanto farli pagare. Ma sono davvero tutti buoni, i dati? Perché sono così costosi? Chi dovrebbe avere i dati migliori: chiunque o coloro che possono pagare di più? E non dovrebbero tutti avere acceso agli stessi dati nello stesso modo, così da avere una competizione equa?

Qualunque siano le risposte, oggi i dati non sono solo qualcosa di ingegneristico: sono una questione etica.

Di sicuro erano già una questione economica. Il mercato dei dati è tra i più feroci e spietati. Colui che vende i dati, il data seller, può stabilire e modificare unilateralmente prezzi e condizioni. Non c’è spazio per una contrattazione. Chi vuole restare nel mercato, non può che adeguarsi e comprare a quelle condizioni.

È un monopolio gestito dalle varie sedi delle borse: NYSE, Chicago, la piazza di Londra. Chi si connette direttamente a una particolare borsa, e paga le commissioni, riceve i dati su una linea privilegiata connessa a quella piazza. Tutti gli altri devono ottenerli da rivenditori di dati che li ricevono e rivendono a loro volta, col rischio di avere dati meno accurati, e meno velocemente. Un po’ più distanti da c. Meno luce=meno potere. Così i dipartimenti che collezionano e vendono dati sono fra i centri di maggior profitto per le varie Piazze di scambio.

Accuratezza, velocità, equità e costo dei dati sono strumenti bellici. Armi. Si occulta e si esercita potere scegliendo come usare un dato, quando e come diffonderlo, e soprattutto cosa farlo diventare.

Nell’arte come nella finanza, emettere un raggio di luce, scegliere il punto d’illuminazione, non è un atto neutrale. Quando si colpisce con la luce un oggetto, così come un mercato, si fanno risaltare certe parti e se ne oscurano altre. Si creano zone d’ombra, livelli, chiaroscuri. E anche se l’effetto finale può apparire del tutto realistico, può celare un inganno magistrale.

Realistiche e ingannevoli erano le immagini del maestro del chiaroscuro, il Caravaggio. L’uomo che diede vita a un mondo buio, che non esisteva fino a quel momento, inseguì sempre la luce. E arrivò ad anticipare una tecnica cinematografica: l’illuminazione Hollywood. Per farlo si dissolse nell’oscurità, nella vita come nell’arte.

Con lui la luce divenne lo strumento artificiale per creare effetti realistici. Fasci di luce irreali rompono l’oscurità più profonda, provengono dall’esterno e tagliano piani senza scala fino a esaltare certe aree della composizione, come nella celebre Vocazione di san Matteo

 

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Una delle sue opere più imitate, I bari, riassume la sottigliezza del chiaroscuro. Il gioco tra fissità e dinamicità che plasma il confine luce-oscurità, vedere-non vedere, fiducia-inganno.

 

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Nessuno all’interno o all’esterno del quadro può vedere o sapere tutto ciò che desidererebbe. Ci sono cose che lo spettatore non può osservare e i giocatori sì, e viceversa. La scena disegna un circuito, o meglio un corto-circuito, tra vedere e non-vedere, fiducia e inganno, conoscenza e ignoranza. Il ragazzo confida nell’invisibilità delle proprie carte, i bari nell’invisibilità del loro sistema. E sono anche obbligati a confidare nella loro alleanza. Qualcosa che lo spettatore può vedere, l’unico occhio visibile del suggeritore, lascia pensare che questa fiducia possa essere mal riposta.

I quadri di Caravaggio non si limitano a plasmare luce e oscurità. Sono luce e oscurità. Letteralmente. Non solo è stato appurato che molti di essi contengono sostanze fluorescenti, ma a quanto pare Caravaggio faceva uso di un dispositivo ottico: nel soffitto del suo studio c’era un buco da cui filtrava la luce, che mediante un sistema di lenti e specchi rifletteva direttamente sul dipinto l’immagine da realizzare.

Con questa tecnologia Caravaggio assemblava le sue opere, partendo da frammenti vividi che proiettava sulla tela: in altre parole usava delle diapositive. Di fatto impiegava una camera oscura, per realizzare collage di immagini luminose.

L’effetto realistico era dunque il risultato di una sofisticata manipolazione della luce. Se Einstein sognava come sarebbe stato cavalcare un raggio di luce, Caravaggio, immerso nel buio del suo studio, era tutt’uno con esso. 

«La luce non è tanto qualcosa che rivela, ma è essa stessa rivelazione», ha detto James Turrell.

Anche i mercati finanziari impiegano una camera oscura, per costruire inganni realistici. E i dati sono la luce.

Ritenere che oggi il mercato dei dati sia il problema cruciale, sottovaluta la premessa di questo pensiero, cioè che i dati siano oggetti fissi, assodati, trasparenti.

Un’opinione è un dato?

Di sicuro può essere trattata come un dato e innescare tutti i processi che caratterizzano il trattamento dei dati. E la loro manipolazione.

 * * * *

5 Gennaio 2017, ore 13:14

Sull’account Twitter di Donald Trump compare un messaggio che critica duramente il progetto della giapponese Toyota di spostare parte della sua produzione d’auto in Messico.

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Pochi minuti dopo il tweet, una reazione a catena sui mercati fa scendere il prezzo delle azioni Toyota di oltre il 2%.

Uno slippery slope, un pendio scivoloso, si è innescato: viene data per certa una conseguenza che per avverarsi ha bisogno di passi intermedi nient’affatto scontati. E diventa reale. Un futuro possibile irrompe nella presente e lo cambia.

A quel punto, a cascata, vari trader vendono a velocità c anche altri titoli del comparto automobilistico giapponese. L’indice Nikkei va giù. 

Il raggio di luce è emesso. Un gioco di specchi lo potenzia fino ad arrivare alla superfice da illuminare. Il chiaroscuro è stato creato. La parte illuminata è visibile a tutti. È esposta, può essere colpita. Un’opinione diventa un dato. Il dato si trasforma in informazione, dalla quale vengono estratte proiezioni sul futuro. Queste producono una reazione che cambia il presente.

Nel presente modificato, la Toyota risponde subito che il suo piano per lo stabilimento in Messico non implica un taglio di posti di lavoro in USA. A seguire il governo giapponese dichiara che continuerà a offrire il suo contributo all’economia statunitense.

La crisi non degenera, ma nel frattempo molti soldi sono passati di mano. Qualcuno li ha persi e qualcuno li ha presi. Soprattutto, in attesa del futuro, il presente è cambiato. Una nuova linea temporale è stata aperta. E anche Toyota lo sa bene.

Non è chiaro cosa sia un dato, e quale informazione possa essere estratta da esso.

Un dato è liquido. E come per tutti i liquidi, si può perturbare una parte agendo su un’altra anche lontana.

Non è chiaro cosa sia un dato. Si possono esercitare controllo e potere giocando su questa ambiguità, sulle possibili zone d’ombra dei dati, e sulla loro diffusione.

 

Giovedì 12 Gennaio 2017

L’EPA (Agenzia per la Protezione ambientale americana) dichiara di aver inoltrato alla FCA la contestazione dei dati delle emissioni di alcuni suoi veicoli.

Questi dati non sarebbero conformi al Clean Air Act. In sostanza l’FCA in fase di omologazione non avrebbe comunicato che, durante la guida, il software che gestisce il funzionamento del motore può permettere un aumento delle emissioni di ossidi d’azoto. Inoltre l’Epa dichiara pubblicamente che non ha ancora completato il suo esame e che sta verificando se i software non siano dei veri e propri strumenti per truccare le emissioni, come nel “Dieselgate” del gruppo Volkswagen. Su circa 104mila veicoli di FCA, in particolare Grand Cherokee e Dodge Ram, grava un’accusa che potrebbe produrre sanzioni fino a 4,63 miliardi di dollari.

I dati reali non sono stati resi pubblici, l’esame non è ancora terminato. Ma il raggio di luce è stato emesso. L’incertezza è stata creata, il futuro è più oscuro, un nuovo pendio scivoloso si apre di fronte ai mercati.

Così, poco dopo l’annuncio dell’EPA, il titolo di FCA fa registrare un crollo del 16%. Due miliardi di euro di capitalizzazione svaniscono in meno di un giorno. Ciò che guardiamo ci scruta a sua volta. Attraverso i dati. 

Che oggi il mercato dei dati sia il problema cruciale, è quello che vuole farci pensare chi vuole nascondere la questione. E il potere, che viene prima. Chi determina i dati? E come?

Per risalire a questo serve un viaggio nella galassia dei dati finanziari. Un viaggio pericoloso e difficile, dove perfino c diventa lenta. Un viaggio verso luoghi di meraviglie anche terribili: ammassi luminosi, esplosioni nucleari, il freddo interstellare, danze di pianeti. La vita.

E al centro di tutto questo, un buco nero.

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