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ilcovile

Nuove armi, terra e mare

Alla luce di Carl Schmitt

di Armando Ermini

11428 1024x694Impossibile per un non esperto valutare se veramente quelle nuove armi di cui ha parlato Putin1, non solo cambiano la guerra navale ma addirittura, come scrive il Sa-ker, annullano l’opzione militare contro la Russia. Fosse davvero cosi, le implicazioni di questo fatto avrebbero conseguenze molto piu grandi della pura strategia militare. Conseguenze geopolitiche, immediate e di lungo periodo, e quindi anche storico-filosofiche, nella misura in cui ogni paese ispira la sua politica, i suoi fini e mezzi su alcuni fondamenti e scelte prima di tutto culturali.

Per stare sull’immediato, rilevo intanto che le parole di Michael Griffin, che sembra non sminuire l’importanza di quelle armi, pongono gli USA ma anche il mondo intero, di fronte all’inquietante scenario di una alternativa secca fra ciò che egli definisce una «sconfitta» o l’uso dell’opzione nucleare. Uno scenario, come sostiene Grasset, che significativamente non contempla la terza alternativa; quella di una presa d’atto realistica da parte americana che un mondo unipolare non è piu possibile, e quindi che è necessaria una ricontrattazione complessiva degli equilibri fra le grandi potenze. Equilibri militari, politici (zone d’influenza), economici, in vista di un nuovo «nomos» della terra, ovvero di un ordine multipolare fondato sul diritto internazionale e sui suoi vincoli cosi spesso disattesi.

Che il sottosegretario americano non contempli tale possibilità, che sembra paragonare tal quale ad una sconfitta del proprio paese, la dice lunga su ciò che gli USA intendono per «convivenza pacifica». Molto pericoloso, evidentemente!

Rimane solo da sperare che, da parte dei governi di tutte le potenze interessate, ci si renda conto che l’opzione nucleare significherebbe innestare una spirale al termine della quale sarebbe la distruzione dell’umanità, quand’anche tale opzione la si volesse circoscrivere, nelle intenzioni, ad ordigni di potenza «limitata», vale a dire «tattici».

Se è vero che l’equilibrio nucleare fra USA e URSS ebbe il merito di delimitare il conflitto fra le due superpotenze e, almeno, di spostarlo su altri piani, è vero anche che i governi di allora sembravano ispirati dal principio di realtà piu di quanto non accada oggi. Purtroppo, le vicende degli ultimi anni non fanno escludere qualche novello Stranamore, grande o piccolo in forza del fatto che altri Stati si sono aggiunti a quelli già tradizionalmente dotati di armi nucleari, e non sempre facilmente controllabili dai rispettivi grandi alleati (mi riferisco, chiaramente, alla Corea del Nord ma anche al, mai citato dalla stampa occidentale, Stato d’Israele). E non è certamente l’Onu, che ha dato troppe pessime prove di sé, a poter venire in aiuto ponendosi con autorevolezza alla testa dell’unica via in grado di scongiurare il peggio, quella di un mondo multipolare.

Un recentissimo articolo di Dmitri Orlov2 approfondisce la questione della deterrenza nucleare, dandone un giudizio positivo supportato da alcuni fatti concreti: Saddam e Gheddafi, che non possedevano armi nucleari né altre «di distruzione di massa», sono stati spazzati via; al contrario il Pakistan, che quelle armi se le è procurate, ha migliorato nettamente le sue relazioni con l’eterno nemico India, mentre la Corea del Nord, da quando ha annunciato i suoi successi in materia, ha visto migliorare i rapporti con la Corea del Sud, e financo arrivare ad un (prossimo) incontro col presidente Trump. A ulteriore suffragio della sua tesi, Orlov esamina ciò che è accaduto nel periodo dal 2002 al 2018. In quell’anno gli USA si ritirarono dal trattato ABM (trattato sui missili antibalistici) e iniziarono a realizzare un sistema di difesa antimissile con lo scopo di a) rendere possibile il lancio di un primo attacco contro la Russia, distruggendo gran parte del suo arsenale nucleare; b) quindi usare i nuovi sistemi americani ABM per distruggere qualunque cosa la Russia riuscisse a lanciare in risposta.

Una volta pronti, il 2 febbraio 2018 gli USA rettificarono il loro Posizionamento sulle Armi Nucleari, in pratica riservandosi l’opzione nucleare contro la Russia per impedirle di usare il proprio deterrente nucleare. L’annuncio di Putin dei primi di marzo rende vano quel sistema, per il quale si sono spesi miliardi di dollari, e ristabilisce l’equilibrio nella deterrenza nucleare.

Per Orlov, nel lungo periodo gli USA non hanno altra possibilità, sia pure dopo svariati mal di pancia, che quella di smantellare il loro Impero (e quindi anche la Nato) allo stesso modo di quanto fece l’Urss. Con piu cautela, anche il Saker condivide in sostanza l’opinione di Orlov sulle conseguenze politiche dell’annuncio di Putin. Sintetizza in cinque fasi le reazioni statunitensi: negazione, rabbia, contrattazione o patteggiamento, depressione, accettazione3. Personalmente sono incline a molta cautela, fino ad un certo pessimismo. Orlov lega infatti i benefici della deterrenza nucleare al fatto che quelle armi siano

brandite da nazioni pacifiche, che si attengono alla legge, che non hanno piani malvagi su tutto il resto del pianeta.

Senonché: a) come già detto, gli attori nucleari sono cresciuti e nulla vieta che, in qualche potenza anche «piccola», salgano al potere gruppi dirigenti propensi all’azzardo. b) Inoltre, a proposito di novelli Stranamore, Sakerltalia ospita nello stesso giorno la traduzione di un altro articolo dal significativo titolo «I capi di Trump spingono per la guerra nucleare con la Russia».4 Nell’articolo non è detto chiaramente chi siano questi capi, ma basta questa frase attribuita al Pentagono, per non consentire troppo ottimismo, naturalmente se il suo contenuto è vero:

Secondo il Pentagono, gli Stati Uniti hanno il diritto, se è possibile l’utilizzo di questa parola, di mantenere il «dominio aerospaziale globale» al fine di sostenere quella che viene definita «politica globale degli Stati Uniti».

Detto ciò, la validità di quei nuovi sistemi d’arma nel rendere superata la strategia militare su cui gli USA hanno fino ad oggi fondato la loro supremazia complessiva, ossia il dominio dei mari, sembra confermata. Scrive Orlov

Se gli americani stanno ancora pianificando di usarle per dominare le vie dei mari e controllare il commercio mondiale allora l’esistenza dei missili da crociera ipersonici con portata illimitata e di droni sottomarini che possono appostarsi a grande profondità oceaniche per anni, rende gli oceani in tutto il mondo off-limits per i gruppi da battaglia della marina americana in caso di una seria escalation (non-nucleare) perché adesso la Russia può distruggerle da una distanza arbitraria senza mettere a rischio nessuno dei propri asset o del proprio personale.

 

Alla luce di Carl Schmitt

I temi sviluppati dal Saker e da Orlov, le riflessioni dell’esperto di guerra navale Andrei Martyanov, ed anche le parole di Griffin, possono essere lette, per afferrarne il senso complessivo del quale quello militare è solo un aspetto, alla luce del libro di Carl Schmitt, Terra e mare5 che sorprende ancora per l’attualità e la capacità di anticipare sviluppi che solo oggi vediamo in atto. Per Schmitt,

La storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra, e di potenze di terra contro potenze marinare6

plasticamente rappresentata dalla lotta fra la Balena Leviatano e Behemoth, toro o elefante (od anche, come durante le tensioni alla fine del XIX secolo fra Inghilterra e Russia, fra la balena e un orso). Il secondo cerca di squarciare il primo con le corna e i denti, mentre il Leviatano

chiude con le sue pinne bocca e naso dell’animale di terra cosi che non possa né mangiare ne respirare.7

L’immagine è plastica, terribile, ma corrispondente perfettamente a quanto accade. Basta guardare una mappa del dislocamento nel mondo delle basi americane e Nato, le potenze di mare che circondano l’Eurasia da terra, e pensare alle flotte USA con le portaerei e le altre navi da battaglia che pattugliano incessantemente gli oceani per controllare, e nel caso asfissiare, quelle coste dal mare, per accorgersi che è cosi. E in effetti il concetto di dominio dei mari come mezzo di dominio planetario, è stato quello vincente da alcuni secoli ad oggi. Le nuove armi sembrerebbero smontare il paradigma innestando un mutamento epocale.

Atene e Sparta, Cartagine e Roma, dice Schmitt nel suo excursus storico, sono solo esempi della lotta incessante fra terra e mare, con esiti alterni; ma la cesura definitiva fra i due elementi, potremmo dire l’autonomizzazione dell’elemento mare e la sua emancipazione definitiva dall’elemento terra, si ebbe solo in concomitanza di due fattori: le nuove tecniche di costruzione navale (vascelli a propulsione a vela in luogo di quella umana) e la navigazione oceanica con la scoperta di mondi nuovi8 Ciò rese possibile ad alcune potenze pensare di dislocare «la loro complessiva esistenza storica dalla terra al mare quale altro elemento»9 e identificarsi con esso (anche se in realtà fu solo l’Inghilterra a spingersi fino alle estreme conseguenze),10 >fino a cambiare il modo di pensare e rappresentare lo spazio, il globo terrestre e il cosmo, distruggendo ogni rappresentazione tradizionale, antica e medievale (Prima rivoluzione spaziale planetaria, la definisce Schmitt)11 Mutarono con ciò anche i concetti strategici della geopolitica. Ciò che divenne importante, e vincente, fu non piu il semplice controllo diretto di altri territori, ma piu ancora quello dei mari e delle rotte oceaniche, tramite il quale acquisire una decisiva superiorità sui commerci mondiali. La pace di Utrecht del 1713, consolidò il sistema europeo degli Stati, ma rese anche evidente la distinzione fra potenze di terra e di mare, sancendo nei fatti il «nuovo dominio mondiale inglese basato sul mare».12

Un’era che è durata fino ai nostri giorni assicurando nel complesso la prevalenza (militare, economica e culturale) del Mare, posto che gli USA sono in effetti una riedizione, in scala maggiorata e piu adatta ai nostri tempi, di ciò che fu l’Inghilterra (con cui hanno comunque stabilito relazioni privilegiate), fino ai primi decenni del novecento13

Una conseguenza del modo di pensare il predominio sul mondo tramite quello sul mare, per Schmitt, è che ora lo scopo principale della condotta bellica delle potenze marittime, non è tanto quello di sconfiggere il nemico in campo aperto (come è nelle corde delle potenze di terra, anche se ovviamente vere e proprie battaglie navali non sono da escludere) quanto di colpire il suo commercio e la sua economia, quindi il

bombardamento e il blocco navale delle coste nemiche e la confisca, secondo il diritto di preda, del naviglio commerciale nemico e neutrale14

con ciò coinvolgendo nelle guerre la popolazione civile.

Ora, è sempre Schmitt che scrive riprendendo alcuni concetti di Toynbee, mentre «il nucleo dell’esistenza terranea è dunque la casa»,15 e ciò si riflette sugli ordinamenti concreti, sul concetto di proprietà, famiglia, matrimonio ecc, il nucleo

di un’esistenza marittima è la nave che va e che è in se stessa un mezzo piu intensivamente tecnico che non la casa. La casa è quiete, la nave è movimento. Anche lo spazio in cui la nave si muove è uno spazio diverso dal paesaggio in cui sorge la casa.16

Ciò ha conseguenze sia sulle relazioni sociali, sia sul rapporto con la natura e gli animali, sia sul modo di concepire la tecnica:

Una assolutizzazione della tecnica e del progresso tecnico, l’equiparazione di sviluppo tecnico e sviluppo in assoluto, in breve tutto ciò che si lascia riassumere nell’espressione tecnica scatenata, si sviluppa solamente alla condizione, sul terreno di coltura e nel clima di una esistenza marittima17

cosa che spiega anche perché la rivoluzione industriale nacque sull’isola che al mare aveva consacrato se stessa, e invenzioni tecniche concepite in altri luoghi non ebbero analogo sviluppo e applicazione.

Dunque un’esistenza di mare è sinonimo di movimento, di assenza di un centro fisso, un punto solido di riferimento come può essere la propria terra, la patria; tanto è vero, ricorda Schmitt, che Disraeli avanzò la proposta di spostare la sede dell’Impero britannico da Londra a Delhi.

Si tratta della futuribile anticipazione sul piano politico di ciò che sarebbe avvenuto oltre un secolo dopo su quello economico con la globalizzazione e con la subordinazione del politico all’economico. Le grandi aziende multinazionali non si sentono piu legate ad un territorio specifico, decentrano e delocalizzano la produzione, decidono la sede legale secondo convenienze economiche, il loro cervello e il loro cuore potrebbero essere ovunque nel mondo. Ma questa è anche la caratteristica fondamentale del capitale finanziario, che può spostarsi rapidamente ovunque senza essere mai stabilmente in un solo luogo. Cosi, esistenza di mare, dominio politico anglosassone, capitalismo finanziario, concetti giuridici, sviluppo tecnico senza limiti, in breve l’Impero, si fondono in un sistema fondamentalmente unitario, che nasce con la divisione netta fra Mare e Terra e con il prevalere del primo.

Non è allora azzardato concludere che, se gli effetti delle nuove armi russe fossero quelli prospettati, l’obsolescenza delle portaerei e delle grandi flotte navali americane non sarebbe un evento solo militare richiedente un riaggiustamento tattico e strategico, ma aprirebbe un nuovo capitolo, forse una nuova era, nel conflitto fra Terra e Mare. Stando alle parole di Martyanov, il controllo del mare sarebbe ora appannaggio di chi possiede i missili Khin-zal e non piu delle flotte marine con al loro centro le portaerei. E questo, stando ai parametri di Schmitt, sarebbe un nuovo cambiamento epocale sul piano geopolitico, peraltro da lui già osservato nei suoi presupposti psicologici e nelle sue prime avvisaglie.

Già l’avvento della moderna guerra industriale ed economica, con le navi a vapore corazzate

segnò [...] un nuovo stadio nel rapporto elementare tra terra e mare. Giacché in tal modo il Leviatano si tramutò allora da grande pesce in macchina [...] cambiò il rapporto dell’uomo con il mare. L’audace razza di uomini che aveva fino ad allora prodotto la grandezza del potere sul mare, perse il suo antico senso18

perché un dominio fondato sull’industria meccanica è necessariamente altro da quello conquistato nella «dura lotta diretta con l’elemento marino».19 Con le navi a vapore, quindi con le macchine figlie della rivoluzione industriale di cui fu culla la stessa Inghilterra,

l’esistenza totalmente marittima, il segreto della potenza mondiale inglese, era stato colpito nel suo nucleo essenziale. Ma gli uomini del XIX secolo non se ne accorsero20

perché le macchine sembrarono assicurare all’Inghilterra un dominio dei mari ancora piu saldo. Tuttavia il passaggio dalla vela al vapore aveva già mutato il rapporto uomo/mare non meno del passaggio dalle galee a remi alla vela.21 L’avvento di un’altra macchina, l’aeroplano, segnò poi, scrive Schmitt, la conquista di «una nuova, terza dimensione che si sommò a quella della terra e del mare»,22 o anche, pensando alle onde radio emesse dai trasmettitori che attraversano lo spazio, l’aggiunta di un terzo elemento, «Aria, quale nuovo ambito elementare della esistenza umana»;23 ma si potrebbe anche dire, constatando con quali mezzi meccanici l’uomo domina l’aria e riflettendo sulla natura dei motori a scoppio che «allora è piuttosto il fuoco quale nuovo elemento che si aggiunge all’attività umana».24 In ogni caso, con la tecnica,

il mondo del mare cambia in modo elementare per l’uomo. Ma se è cosi, allora viene anche a cadere la separazione di mare e terra sulla quale fu costruito il legame, sino ad oggi esistito, di dominio del mare e dominio del mondo. Viene meno il fondamento dell’appropriazione inglese del mare e, in tal modo, il No-mos della terra fino ad oggi valido25.

A proposito del concetto schmittiano di rivoluzione spaziale, ci sarebbe naturalmente da valutare anche l’impatto delle imprese spaziali, di cui discute nel Dialogo sul nuovo spazio. Io mi limito, per quello che ci interessa qui, a sottolineare un elemento fortemente simbolico delle imprese spaziali statunitensi e sovietiche. Mentre le capsule americane di ritorno dallo spazio ammaravano nell’oceano, quelle sovietiche atterravano in un qualche spazio siberiano, quasi che ognuna rientrasse nel suo elemento per cosi dire naturale. Credo ci siano abbastanza elementi per suffragare la tesi che le nuove armi segnino l’inizio di una nuova era nei rapporti fra potenze di terra e di mare. E lo segnano con l’entrata in scena di un nuovo elemento, l’aria (o meglio il fuoco), che potrebbe sconvolgerne il senso, oltre che i criteri strategici finora validi. Quando Martyanov scrive che «Controllo marittimo e negazione dell’accesso ad un’area marittima cambiano la loro natura e si fondono. Coloro che possiedono armi simili possiedono semplicemente vasti spazi di mare limitati dalle gittate dei Kinzhal e dei loro vettori», sta dicendo che il dominio del mare, e di conseguenza delle coste e dei «retroterra» continentali, non si fa piu dal mare stesso ma dall’aria tramite il fuoco, ossia mezzi tecnici, e che, quindi, viene meno il fattore sul quale le potenze che col mare si sono identificate hanno costruito la loro egemonia, militare, tecnica, giuridica, ma anche psicologica e culturale. Ma fra mare ed aria c’è una differenza fondamentale, e in realtà la seconda non sarebbe mai potuta diventare ciò che è stato il mare per gli uomini e gli Stati che l’hanno scelto come proprio elemento. Il dominio inglese degli oceani tramite le navi a vela sfruttava pur sempre, e come scrive Guardini ne era al contempo limitato, gli elementi naturali (le onde, le correnti, i venti), con grande e ammirevole abilità e coraggio. Ciò non vale allo stesso modo per l’aria. È intuitivo che un dominio dell’aria con aeromobili piu leggeri della stessa, non sarebbe stato possibile. La breve epopea dei grandi dirigibili che pure erano tecnicamente evoluti per l’epoca, sta a dimostrarlo. D’altra parte aeromobili costruiti in modo tale da sfruttare le correnti aeree, gli alianti, presentano limiti invalicabili (se non altro perché necessitano di un aereo che li faccia innalzare). È dunque un prodotto dell’uomo, la tecnica (il fuoco), il nuovo decisivo fattore che stravolge concetti strategici, e psicologici, validi per secoli. La tecnica, non piu legata ai limiti e alle opportunità offerti dalla natura come terra e mare, quindi neutra rispetto ad entrambi, è dunque suscettibile di porre fine al loro millenario conflitto cosi come inteso da Schmitt, o almeno di porlo su basi completamente nuove, comunque e ovunque la si applichi.

Schmitt si interroga sulla tecnica sottolineandone l’ambivalenza. In Dialogo sul nuovo spazio, rispondendo a Mac Future per il quale la tecnica, consentendo la conquista dello spazio planetario rende possibile una rivoluzione spaziale analoga, o anche maggiore, di quella avvenuta con la scoperta dell’America e la navigazione oceanica (si tratterebbe per ciò di un nuovo «richiamo»), scrive:

Vedo piuttosto che la tecnica scatenata accerchia l’uomo piu di quanto gli apra nuovi spazi. La tecnica moderna è utile e necessaria. Ma essa è di gran lunga ben lontana dall’essere la risposta anche ad un richiamo. Essa soddisfa bisogni sempre nuovi e parzialmente provocati da essa stessa. Del resto è essa stessa messa in questione e già solo per questo non è una risposta26.

Schmitt non offre soluzioni. Si limita ad indicare una strada, affidandola al futuro e senza avere la certezza che sarà effettivamente percorsa:

Colui il quale riuscirà ad imprigionare la tecnica scatenata, a domarla ed immetterla in un ordinamento concreto, avrà dato una risposta all’appello del presente piu di colui che cerchi con i mezzi di una tecnica scatenata di atterrare sulla Luna o su Marte27.

Come nota Angelo Bolaffi nella «Presentazione», la strada indicata da Schmitt dell’imbrigliamento della tecnica entro un ordine giuridico condiviso è analoga a quanto «lo stato moderno aveva fatto nei riguardi della guerra civile e il Nomos der Erde per il bellum fra Stati»28.

È molto significativa la conclusione di Dialogo sul nuovo spazio;

Cosi io credo che l’uomo, dopo la difficile notte della minaccia di bombe atomiche e di simili orrori, un mattino si risveglierà e grato si riconoscerà figlio della terra saldamente fondata29.

In essa Schmitt ribadisce che «l’uomo è un figlio della terra e lo rimarrà, fintanto che resta uomo»30, e quindi il diritto e ogni ordinamento concreto sono terranei. Sempre Angelo Bolaffi scrive che quella di Schmitt è

una disincantata e lucida accettazione quale destino di un’epoca che non ha risolto ma solo rimosso i problemi, nella quale non c’è piu posto per il Politico e per la decisione.31

Il libro di Schmitt è del 1942, e dopo ben settantesei anni sembrano compiersi alcune intuizioni che vi erano, per forza di cose, solo accennate. Allora il conflitto fra terra e mare vedeva contrapposti Est e Ovest del mondo (URSS e USA); oggi quel conflitto si ripete fra USA ed Eurasia, ma su basi affatto nuove che necessitano di nuovi strumenti di comprensione ed anche, aggiungo, nuovi concetti di diritto internazionale su cui tutti gli attori possano convergere, purché rinuncino a pretese di egemonia planetaria. Il mutamento delle prospettive geopolitiche, e quindi l’avvento di una nuova era, sembrerebbe inevitabile. Il che non significa affatto che sarà indolore.


Note
1 Vedi Il Covile, n° 988 dello scorso marzo.
2 «Armi nucleari migliori per un pianeta piú sicuro», SakerItalia, 21 marzo 2018.
3 «Sistemi d’arma russi appena rivelati: implicazioni politiche», Sakerltalia, 17 marzo 2018. 5 Anche per il Saker le nuove armi non cambiano sostanzialmente l’equilibrio nucleare, nel senso che ciascun paese avrebbe comunque un potere di ritorsione non annullabile, quindi catastrofico per chi avesse iniziato l’attacco. Lo scopo di Putin non sarebbe quello di minacciare gli USA, bensì politico: «costringere l’Impero a entrare finalmente nelle successive tre fasi, piu costruttive, del lutto: contrattazione, depressione, e accettazione», renderli consapevoli di poter essere bersaglio «di potenti armi convenzionali che possono raggiungere qualunque obiettivo all’interno del loro territorio», e quindi costringerli ad abbandonare i sogni di egemonia planetaria in favore della ormai inevitabile multipolarità. «L’obiettivo finale russo è semplice e ovvio: arrivare alla disintegrazione concordata e pacifica dell’Impero Anglosionista con la graduale sostituzione del mondo unipolare dominato da un egemone, con un mondo multipolare amministrato congiuntamente a nazioni sovrane rispettose del diritto internazionale». Obbiettivo difficile, il raggiungimento del quale non è scontato. «Qualunque risultato catastrofico o violento è estremamente indesiderato e deve essere evitato in ogni possibile modo. Pazienza e concentrazione saranno di gran lunga piu importanti in questa guerra per il futuro del nostro pianeta di quanto non lo siano reazioni rapide e strombazza-menti», conclude.
4 L’articolo, apparso il 1 Marzo 2018 su New Easternoutlook, è di Gordon Duff.
5 Carl Schmitt, Terra e Mare, Una riflessione sulla storia del mondo, Adelphi 1981. Il libro fu pubblicato nel 1942 a Lipsia.
6 Ibidem, p. 37.
7 Ivi.
8 Fino alla battaglia di Lepanto compresa (1571), scrive Schmitt, le battaglie navali erano in realtà battaglie di terra combattute sulle toldi delle navi nemiche assaltate o speronate. Ciò perché le navi erano ancora fondamentalmente a propulsione umana, le galee triremi, essendo le vele utilizzabili solo con vento di poppa, il che ne delimitava fortemente autonomia e manovrabilità. Con le nuove navi a vela capaci di sfruttare anche i venti contrari, (per lo piu inventate dagli olandesi), già nel 1588, allorché l’Armada spagnola ancorata ai vecchi concetti fu distrutta dalla marineria inglese, la situazione era radicalmente mutata. Le battaglie navali divennero duelli d’artiglieria e di capacità marinara nel manovrare le vele e sfruttare i venti.
9 Ibidem, p. 41. Per farci afferrare meglio il concetto e la differenza rispetto ad una potenza di terra che solca il mare sfruttando la sua favorevole posizione costiera, Schmitt porta l’esempio di Venezia. La sua fu una epopea straordinaria, ma ebbe il limite di restare confinata ai mari interni, non sapendosi pensare proiettata negli spazi oceanici. Per farlo sarebbe stato necessario che i veneziani si identificassero pienamente con l’elemento marino, fino a sentirsi, scrive, «veri figli del mare». È proprio la cerimonia annuale dello sposalizio con esso ad essere rivelatrice, poiché «quelle cerimonie simboliche [...] presuppongono che l’officiante e la divinità alla quale egli sacrifica, siano entità diverse, anzi perfino opposte. Con questi sacrifici si cerca di rabbonire un elemento estraneo».
10 Schmitt parla con ammirazione degli antesignani di tale ricollocazione epocale. Cacciatori di balene, corsari al servizio del re, pirati irregolari, avventurieri del commercio marittimo, tutto ciò che definisce come le «schiume di mare». Aprirono la strada, mostrarono una possibilità (oltre ad avere una funzione antispagnola, sfruttata dall’Inghilterra), finché fu l’intera isola a trasferirsi d’elemento. Quando accadde, si rimodellò anche il diritto internazionale. A pag. 71 scrive «La terraferma appartiene ora ad un pugno di Stati sovrani mentre il mare non appartiene a nessuno o a tutti o, in verità, solo ad uno: l’Inghilterra [...] l’alto mare invece è libero [...] non è sottomesso a nessuna sovranità territoriale statale.», da cui la convinzione che dominare nei fatti i liberi mari significasse dominare il mondo, e l’esaltazione del concetto di libertà. Tuttavia, aggiunge, lo slogan «Qualsiasi commercio mondiale è libero commercio», non può essere assolutizzato ed eternizzato perché «legato ad un’epoca determinata e ad una specifica situazione mondiale».
11 Per poter parlare di rivoluzione spaziale non basta la conquista di una terra. È invece necessario «un mutamento dei concetti di spazio comprendente tutti i gradi e i campi dell’esistenza umana», scrive Schmitt a p. 62 (dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla musica). È ciò che si realizzò nei secoli XVI e XVII in Europa, e che dette agli Europei quel senso di superiorità che li portò a trattare terre e popoli non europei come «beni di nessuno», appartenenti al primo scopritore europeo.
12 Ibidem, p. 49.
13 Nel 1904, l’ammiraglio americano Mahan, prospettò la possibilità di una riunificazione dell’Inghilterra con gli Stati Uniti, non tanto sulla base di affinità culturali, pure esistenti, ma per l’esigenza di conservare il dominio anglosassone sui mari, per il quale l’estensione territoriale dell’«isola» America era piu adeguata. Tuttavia, per quanto grandiosa, quella proposta, per Schmitt, era dettata da mere esigenze geopolitiche, mancandole del tutto l’ispirazione «delle energie dell’elementare risveglio che produssero nei secoli XVI e XVII l’alleanza storico-mondiale tra coraggiosa marineria e fede calvinista nella predestinazione». Con ciò Schmitt introduce un altro tema importantissimo, di cui non ci occupiamo in questa sede: l’esistenza di mare non poteva trovare il suo referente spirituale nel cattolicesimo romano, legato alla terra come le potenze che vi aderivano, e nemmeno nel luteranesimo tedesco, ma solo nel protestantesimo calvinista.
14 Ibidem, p. 80.
15 C.S. Dialogo sul nuovo spazio, cit., p. 102.
16 Ibidem, p. 103.
17 Ivi.
18 Terra e Mare, cit. , p. 77.
19 Ivi.
20 Ibidem, p. 91.
21 Sulla trasformazione del rapporto col mare indotto dalle navi a vapore, è interessante sottolineare anche quanto scrive Romano Guardini in Lettere dal lago di Como. Con la navigazione a vela, e mediante accorte tecniche nonché abilità personali, l’uomo sfruttava si gli elementi naturali a proprio vantaggio, ma trovava anche, in essi, un limite invalicabile. In caso di bonaccia, ad esempio, anche la nave migliore e piu veloce era costretta all’immobilità. Con le navi a vapore, si può prescindere del tutto dalla natura e sembra avverarsi non solo il sogno di un suo completo dominio, ma anche la possibilità di ricreare una natura artificiale. Anche questo è un tema di stringente attualità, e proiettato sempre piu su ogni aspetto della vita.
22 Ibidem, p. 80.
23 Ivi.
24 Ibidem, p. 81.
25 Ivi.
26 Dialogo sul nuovo spazio , cit., p. 107 . Sulla pervasività della tecnica, si veda anche Jacques Ellul, Il sistema tecnico, la gabbia delle società contemporanee, Jaca Book, 2009.
27 Ibidem, p. 108. Imprigionare, domare, sono terminiche in questo caso potrebbero essere sostituiti con«dare forma». E ciò rimanda alla differenza fral’elemento liquido, privo di una sua propria forma,e quello solido. La terra appare allora come l’unicoelemento in grado di «ordinare» il caos degli altri,del mare, dell’aria, ma anche del fuoco.
28 Ibidem, p. 28.
29 Ibidem, p. 109.
30 Ivi.
31 Ibidem p. 28
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