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Michael Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, ovvero “tempi da canaglia”

di Alessandro Visalli

FakeNel blog “Scheerpost”, un sito collettivo da tenere d’occhio, è riportata un’intervista[1] di Robert Scheer[2] all’anziano professor Michael J. Brenner[3], illustre professore emerito di Affari internazionali presso la Università di Pittsbourgh, e prima della John Hopkins e Direttore del Programma Studi Globali e Relazioni Internazionali dell’Università del Texas, poi insegnante a Stanford, al Mit, ad Harvard.

L’ottantenne professore avvia la conversazione raccontando un’esperienza personale: come usa a molti da anni diffondeva analisi politiche sulla situazione mondiale ad una selezionata mailing list di corrispondenti. Avendo condiviso analisi sulla crisi ucraina non corrispondenti alla linea ufficiale ha ricevuto un tale violento tenore di risposte da essere costretto a concluderne che la società americana “non è in grado di condurre un onesto, logico, ragionevolmente informato discorso sulla questione”. In altre parole, non esiste su questi temi una reale sfera pubblica, sostituita da fantasia, falsificazioni, fabbricazioni di informazioni, faziosità e aggressione. Il crollo dell’infrastruttura della democrazia liberale arriva al punto che uscire dalla linea, anche parlando con corrispondenti storici legati da vincoli di rispetto e amicizia, comporta immediati attacchi personali.

Questo lo vediamo benissimo anche in Italia, sono “tempi da canaglia”, come ebbe a dire Lillian Helman[4] durante il McCartismo.

Bisogna notare che quel che Brenner ha fatto, nel suo post incriminato, non è niente altro di quel che ogni buon accademico dovrebbe fare normalmente: porre domande. Ovvero, come dice il conduttore, “quel che ha fatto tutta la vita”.

L’accademico conferma infatti di aver mandato i commenti ad una lista di circa 5.000 persone che erano in contatto da un decennio, ed erano tutti addetti al settore. Ma in questo caso persone che sono normalmente sobrie ed equilibrate, vecchie conoscenze, mediamente impegnate e ben informate sulle questioni di politica estera, si sono abbandonate ad attacchi al patriottismo dello scrivente; alcuni hanno alluso a che l’ex funzionario del Dipartimento della Difesa si sia fatto pagare da Putin; altri che sia semplicemente pazzo. Quel che ha sbalordito, inoltre, Brenner è che persone di grande competenza specifica hanno “comprato” ogni aspetto della “storia immaginaria” propagata dall’amministrazione Usa, e quindi accettata ed interamente inghiottita dai media e dalla classe politico-intellettuale. Accettata ed inghiottita anche da molti accademici e dall’intera galassia dei think thank di Washington.

Una questione di “patriottismo”, evidentemente.

La conclusione che ne trae il nostro è che ormai le parole cadono nel vuoto; quel che si registra è la totale cancellazione della sfera pubblica[5] e l’affermazione in sua vece di un discorso cristallizzato, uniforme, e insensato. Ovvero “privo di qualsiasi logica interiore”. Nel quale il nesso tra premesse ed obiettivi e conseguenze è reso oscuro e inarticolato. Si tratta di quel che chiama un “nichilismo politico ed intellettuale”. Per la prima volta nella sua vita di insider di successo Brenner ha dunque “sentito di non far parte di questo mondo”.

Concordo con lui[6].

Questo è senz’altro il primo punto. La nozione di ‘patria’, totalmente aderente al ristretto grumo di interessi e cognizioni espresso dal sistema politico-sociale dominante, e dai suoi ambienti di riferimento, è diversa da quella che un ex insider, altamente professionalizzato, ma da tempo ‘fuori dai giochi’ (l’autore ha circa ottanta anni) considera evidentemente, anche se implicitamente, essere la propria. La responsabilità di Brenner è verso l’America, come si vede nella conversazione, ma dove questa è piuttosto l’insieme del suo popolo e destino che non il ristretto, immediato, miope, istinto predatorio di ristretti circoli bi-partizan dominanti.

Il secondo punto viene evocato subito da Scheer, ed è una traccia che più di uno individua[7]: mentre nella Guerra Fredda tutte e due le parti erano disposte a negoziare, e le controparti erano “molto serie”, anche quando si chiamavano Mao Zedong, improvvisamente in questo caso Putin è stato messo fuori del genere umano, nella “categoria Hitler”. C’è un salto generazionale qui, una caduta di competenza diffusa nell’ambiente decisionale, probabilmente una radicale differenza nelle esperienze formative.

La critica di Brenner, che della Guerra Fredda è stato uno dei protagonisti (comunque coinvolto), è che in ogni analisi si deve partire da alcuni fondamentali:

  • che natura ha il regime russo,
  • quali obiettivi ha,
  • che preoccupazioni in politica estera e per la sicurezza nazionale.

Partendo dalla prima questione per il nostro il regime russo non è una dittatura, Putin non è un dittatore, non è onnipotente ma è espressione del paese e della sua leadership collettiva. Il governo russo ha processi decisionali complessi. Aggiungo che sono di tipo democratico-elettorale (si è usato talvolta il termine ‘democratura’ per indicare il carattere non ‘standard’ nei canoni occidentali del sistema russo).

Inoltre, “Putin stesso è un pensatore straordinariamente sofisticato”[8].

“Non conosco, infatti, nessun leader nazionale che abbia esposto nei dettagli, con precisione e raffinatezza la sua visione del mondo, il posto della Russia in esso, il carattere delle relazioni interstatali, con il candore e l'acutezza che ha. Non è una questione se credi che quella rappresentazione che offre sia del tutto corretta, o la conclusione che ne trae, per quanto riguarda la politica. Ma avete a che fare con una persona e un regime che per aspetti vitali è l'antitesi di quello che è caricaturato e quasi universalmente accettato, non solo nell'amministrazione Biden ma nella comunità della politica estera e nella classe politica, e in generale”.

Ma questo modo di distorcere i fatti in effetti solleva domande basilari. Non sulla Russia, che è quel che è, ma sugli Usa. La domanda che fa Brenner nella parte di gran lunga più interessante dell’intervista è: “di cosa abbiamo paura? Perché gli americani si sentono così minacciati, così ansiosi?” Abbastanza evidentemente la minaccia è piuttosto dalla Cina, solo che con questa azione di “incoraggiamento” sta formando con la Russia ed altri un blocco che insieme è “formidabile”. Ma anche quella cinese è una sfida alla supremazia ed egemonia americana, non direttamente al paese, la Cina non è espansionista, come dirà dopo.

Se questo è vero, la vera domanda diventa: “cosa c’è di così convincente nel mantenimento e nella difesa di una concezione della provvidenziale nascita degli Stati Uniti d’America nel mondo, che costringe a vedere persone come Putin [che non la riconoscono] come diaboliche”? Ovvero a paragonarle a Stalin e Hitler e ridicolmente accusarle di genocidio? È qui interessante l’uso appropriato della parola “diaboliche”, perché la domanda ha uno sfondo teologico e non politologico. Brenner tocca un punto molto noto dell’autorappresentazione storica della élite angloamericana (ovvero della minoranza relativa Wasp, che detiene saldamente l’egemonia negli Usa almeno da ‘600), come popolo di destino, incaricato da Dio di portare la cittadella celeste sulla terra. Chi si oppone a Dio è sempre un diavolo.

Dunque la fonte della inquietudine, e l’esatta nozione di ‘patriottismo’ all’opera, è dentro, non è fuori nel mondo. Gli americani non sono inquieti (ovviamente le élite Wasp e i loro cooptati) per qualcosa che riguarda veramente la Russia, o la stessa Cina, ma per qualcosa che riguarda il favore del cielo, per così dire. Il problema è che vedere il mondo in questo modo, decisamente premoderno, porta a “grossolane distorsioni” e condurrà al disastro.

Ciò anche perché questa volta non si sta andando a spianare un paese piccolo, una potenza marginale o al massimo media, come l’Afghanistan, l’Iraq o il vecchio Vietnam. Ma si sta facendo quel che durante l’intera Guerra fredda la saggezza di entrambe le parti evitò. Confrontarsi con un’enorme potenza nucleare (su questo specifico terreno anche più forte degli Usa). Quel che è accaduto è un passaggio generazionale tra coloro che, come Brenner, erano nati negli anni ’40 o prima, ed avevano visto una poliarchia di potere come contesto di crescita, e coloro che sono nati negli anni ’80 o ’90 oggi al posto di comando nelle amministrazioni chiave, che sono cresciuti nella “fase unipolare”. I secondi hanno dimenticato il rischio della guerra nucleare, anche accidentale, con il pilota automatico. Inoltre, hanno perso lo stesso concetto di negoziare con un nemico che non puoi semplicemente annientare, al tempo negoziarono con Mao, e lo fece Nixon. Oggi con un nemico molto meno radicale, ideologicamente vicino, sembra impossibile.

Oggi la componente neoconservatore, falchi estremi, che aveva definito al tempo dei due Bush lo schema della “Global Security[9], è passata, dice Scheer, nel Partito Democratico. Si sta quindi manifestando quella che Brenner chiama direttamente una “psicopatologia collettiva”. Ovvero, questo è molto interessante, “ciò che si ottiene in una società nichilista in cui tutti i tipi di punti di riferimento standard e convenzionali cessano di servire come marcatori e linee guida su come si comportano gli individui”. Una società che cancella la storia vive in un presente scheletrico e svuotato, che si dimentica totalmente anche dell’esistenza stessa delle armi nucleari. Mentre prima, nel periodo di formazione ed azione pubblica dei due dialoganti, “ogni leader nazionale e ogni governo nazionale che aveva la custodia di armi nucleari era giunto alla conclusione e aveva assorbito la verità fondamentale che non svolgevano alcuna funzione utilitaristica”, ora non è più così. Ora questa consapevolezza resta solo al Pentagono, che lo studiano, devono professionalmente studiare anche la storia della Guerra Fredda e delle armi. In sostanza si è in un ‘territorio’ nel quale non si è mai stati. Uno in cui si potrebbero usare le armi nucleari, anche per errore, perché nessuno sembra davvero preoccuparsene.

Considerando questa considerazione di sfondo, ed causa di questo orientamento antropologico e teologico, oltre alla distruzione della consapevolezza storica si è affermata una narrativa completamente distorta.

Per Brenner, che ricordo essere uno studioso esperto e più che referenziato, ex consulente del Foreign Service Institute, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse, i punti da rivedere nella narrazione sono:

  • La crisi che porta alla invasione russa ha poco a che fare con l’Ucraina. Mentre ha a che fare con la Russia e con la politica estera americana, volta da almeno un decennio solo a renderla debole e incapace di affermarsi negli affari europei. L’obiettivo di questa politica è uno: “vogliamo che la Russia sia emarginata, neutralizzata come potenza in Europa”. Quel che risulta frustrante è che Putin è riuscito a ricostruire una Russia stabile che ha un suo proprio senso dell’interesse nazionale e che ha una visione del mondo diversa da quella Usa.
  • Putin e la Russia non sono interessati all’espansione.
  • L’Ucraina è per loro decisiva, non solo per ragioni storiche e culturali, ma perché sullo sfondo della storia russa è intollerabile che aderisca alla Nato e diventi organicamente un paese nemico. Per dare forse un’idea, aggiungo, potrebbe essere come se il Texas aderisse ad una potenza ostile e nemica.
  • Putin nel continuum degli atteggiamenti dei ceti decisionali russi, da falco a colomba, è sempre stato più vicino alle seconde. Quasi tutte le forze più potenti ritengono, ben più di Putin, che la Russia è stata sfruttata dall’Occidente e che la politica accomodante e di adesione o di riconoscimento come attore legittimo (più volte tentata da Putin) sia illusoria. Se cambierà il governo russo sarà solo in peggio.
  • Ci sono prove convincenti che quando Biden è salito al potere “ha preso la decisione di creare una crisi sul Donbass per provocare la reazione militare russa ed usarla come base per consolidare l’Occidente, unificandolo”. Costringendo in particolare l’Europa a schiacciarsi sulla strategia americana.
  • Un obiettivo atteso era destabilizzare la Russia, causando la caduta di Putin, ma questa ipotesi non è plausibile. Solo persone come Blinken, Sullivan e Nuland possono crederci.
  • Per ottenerlo hanno iniziato per otto anni a rafforzare l’esercito ucraino, con armamenti e consulenti, probabilmente forze speciali sul campo (Usa, britanniche e francesi).
  • L’assalto al Donbass è stato pianificato, con una decisione finale assunta a novembre ed una data di attacco in massa fissata a febbraio dagli Usa. A febbraio, seconda settimana, Biden disse che se l’invasione russa fosse stata limitata allora ci sarebbe stata discussione entro la Nato per la risposta, oltre le sanzioni, ma se fosse stata massiccia (come è stata), allora tutti sarebbero stati d’accordo di “uccidere il Nord Stream II”[10] e prendere misure senza precedenti verso la Banca centrale russa.
  • I russi hanno capito tutto il piano di gioco e che sarebbe accaduto presto.
  • quando il 18 febbraio l’Ucraina ha intensificato di 30 volte i bombardamenti sul Donbass, poi ancora di più il 21, i russi hanno agito prima dell’offensiva generale perché militarmente era l’unica cosa da fare ormai.

Tutta questa cronologia è l’esatto opposto della “storia di fantasia” che pervade il discorso pubblico.

Questo significa difendere Putin? L’ex consulente americano ammette di trovare molto difficile difendere, o giustificare, qualsiasi grande azione militare che possa portare a simili conseguenze sanguinose. Salvo che per autodifesa.

Ma, qui una delle frasi probabilmente più sconvolgenti dell’intervista: “ma sai, è lì che siamo”.

“se ci fosse stato l'assalto ucraino pianificato sul Donbass, Putin e la Russia sarebbero stati in guai reali, se si fossero limitati a rifornire le milizie del Donbass. Perché dato il modo in cui avevamo armato e addestrato gli ucraini, non potevano davvero sopportarli. Quindi quella sarebbe stata la fine. La subordinazione della popolazione russa e la soppressione della lingua russa, che sono tutti passi che il governo ucraino ha portato avanti e ha nel lavoro”.

Chi si sta realmente difendendo è la Russia, non l’Ucraina.

Chiunque dicesse una cosa del genere sarebbe immediatamente accusato di essere “putiniano”, pazzo, e, ovviamente, di non essere un “patriota”, dunque di essere un traditore al soldo del nemico. Cosa che, in effetti, è stato detto dell’ottantenne professore di Relazioni Internazionali ex di Harvard, del Mit, della John Hopkins, Università del Texas, e del ex consulente della Difesa.

Quel che succede, in effetti, è che gli Usa possono ben essere nazionalisti (ma non si sentono tali, perché non si sentono una nazione, ma un popolo in missione di Dio), ma nessun altro è autorizzato ad esserlo. Sono solo gli Stati Uniti ad essere i depositari dei valori di Libertà e Giustizia. Non riconoscono più nessuna aspirazione agli altri. Ma nel farlo hanno compiuto il miracolo di unire Russia e Cina che sono da sempre in frizione reciproca.

Quel che accade quindi è niente di meno che “il sistema mondiale viene trasformato dalla formazione di questo nuovo blocco sino-russo, che incorpora sempre altri paesi, tra cui l’Iran”. In pratica le sanzioni, fuori del mondo strettamente Occidentale, sono state sostenute solo da due nazioni: Giappone e Corea del Sud. Semplicemente tutta l’Asia, l’Africa, l’America Latina, non le stanno osservando. Qualcuno agisce lentamente, per timore delle ritorsioni americane, ma non le seguono.

Ne consegue che l’intera Grande Strategia americana sta fallendo, sia nel separare Russia e Cina, sia nel disgregare la Russia. Fallisce perché fondata su una mancata comprensione della situazione e premesse sbagliate. Tutto, sostiene Brenner, era in effetti fondato su una “arroganza assolutamente senza precedenti”, peculiarmente americana, ovvero sulla “fede che siamo nati in una condizione di virtù originale, e siamo nati con una sorta di missione provvidenziale per condurre il mondo a una condizione migliore e più illuminata”. La “singolare nazione eccezionale”, che ha la libertà di giudicare tutti gli altri.

Questa idea ha anche condotto a cose buone, ma ora è diventata “così pervertita” ed incoraggia e giustifica gli Stati Uniti a sentirsi il giudice di ultima istanza, unto da Dio, per decidere cosa è legittimo e cosa non lo è. Quindi quali interessi nazionali, autodefiniti da altri governi, si possono accettare e quali no. Tutto questo “è assurdo nella sua arroganza” e sfida la logica. Noi americani, abbiamo dimenticato, sostiene, sia la moderazione basata su una “umiltà politico-ideologica” sia qualunque base di realismo. In sostanza, e qui si arriva ad un altro punto molto profondo dell’analisi, “viviamo in un mondo di fantasia, una fantasia che chiaramente serve alcuni bisogni psicologici vitali del paese americano, e specialmente delle sue élite politiche”.

In sostanza le élite politiche, la cui legittimazione strettamente democratica è sempre più incerta (in un paese nel quale pochi votano, le elezioni si risolvono per manciate di voti e sempre contestati aspramente) fondano la propria legittimità su un’autoattribuita “responsabilità custodiale per il benessere del paese e della sua gente”. Questo ruolo dei “custodi” (come al tempo scriveva anche Robert Dahl) viene però alla fine tradito, per le conseguenze che si stanno prefigurando. La legittimazione custodiale non è, infatti, ex ante, derivante dalla formazione legittima del consenso, ma ex post, per le conseguenze desiderabili.

Tra le conseguenze c’è l’effetto che il vecchio establishment repubblicano neoconservatore, diventato democratico (una cosa che, probabilmente, è accaduta durante la presidenza Trump, quando settori di insider sono transitati) ha involontariamente provocato. Designando contemporaneamente come nemici la Cina e la Russia li hanno saldati. Un paese enorme, sottopopolato, con immani risorse energetiche e minerali, con un paese sovrappopolato, ricchissimo ed industriale, scarso di tali risorse. Per effetto gli Usa, dice Scheer potrebbero avviarsi alla decadenza come la vecchia Roma.

In un altro podcast[11] del medesimo sito Ellen Brown aggiunge un angolo del motivo per il quale potrebbe crollare: l’attacco del paese con più risorse minerarie del mondo al petrodollaro, seguito da Cina, India. Turchia e Arabia Saudita (oltre a Iran, Venezuela ed altri), può avere ripercussioni globali per decenni e portare alla fine del predominio del dollaro. Cosa che potrebbe rapidamente portare ad una crisi di fiducia verso una moneta che ha alle spalle un paese iperindebitato, che ha debiti con l’estero per 30 trilioni di dollari e paga interessi enormi. Per dare un’idea, per rallentare l’inflazione che è in parte un effetto del disordine commerciale giù preesistente alla guerra ed in parte della tempesta energetica, in altra parte della espansione monetaria senza limiti degli ultimi quindici anni, la Fed sta aumentando i tassi. Ma facendolo salgono gli interessi. E alcune proiezioni dicono che gli interessi sul debito (che le spese di guerra incrementano) finirà per assorbire la metà delle risorse fiscali americane. Un modo antico per reagire sono i bottini di guerra, che è quel che è stato fatto alle riserve russe (e iraniane, venezuelane, etc.). Tutti finiranno per scappare dalla nave.

D’altra parte, più l’America si presenta al mondo come l’unico paese illuminato, civile, democratico, patria della libertà, e presenta tutti coloro che non lo accettano come nemici della civiltà, più gran parte del mondo li considereranno una sorta di Impero romano impazzito. Questo mentre, ricorda Brenner, piuttosto la Cina non è mai stata interessata nella sua storia a conquistare altre società e governare altri popoli. “Non sono mai stati nel business della conquista”.

La questione non è che la Cina potrebbe mandare i suoi soldati a passeggiare a Washington, la minaccia che sentono gli Stati Uniti è di altro genere, e più esistenziale: l’abilità economica del sistema cinese, qualunque cosa sia, risale ad un modello diverso. Questo è molto minaccioso “perché -attenzione- mette in discussione la nostra auto-definizione come naturale punto culminante del progresso e dello sviluppo umano”. La sfida è quindi politica, di filosofia sociale, economica e solo da ultimo e secondariamente, militare.

Per tutto questo, semplicemente, non c’è posto nella concezione americana di ciò che è reale e naturale. Questo guida l’ansia e paranoia per la Cina, per questo non ci sono alternative a distruggerla. Non c’è dialogo possibile.

Non è possibile fare ciò che dovrebbe essere giusto:

“si sviluppa un dialogo con i cinesi che richiederà anni, che sarà continuo, in cui si cerca di elaborare i termini di una relazione, su un mondo che sarà diverso da quello in cui ci troviamo ora, ma che certamente soddisferà i nostri interessi e preoccupazioni di base così come quelli della Cina. Concordare le regole della strada, ritagliarsi anche aree di convergenza. Sai, un dialogo di civiltà”.

Un dialogo di civiltà che la Cina chiede insistentemente e che un importante diplomatico altamente ostracizzato da oltre 10 anni, Chas Freeman[12] (che era giovane quando Nixon visitò Pechino e lo accompagnò), tenta inutilmente di suggerire. Lui ormai, semplicemente non esiste. E si tratta di una persona che Brenner definisce: incredibilmente intelligente, acuto, sofisticato, superiore per molti ordini di grandezza ai pagliacci che ora stanno facendo la politica cinese. O un illustre politologo conservatore realista come John Mearsheimer in questo recente intervento “How is it look when looking at Us story”[13].

La sinistra previsione finale è che giungeremo ad una crisi del genere della Crisi dei Missili a Cuba, probabilmente a Taiwan, a seguito di una guerra convenzionale che perderemo.

Crisi alla quale, per la qualità del personale (i “pagliacci”) che guidano l’amministrazione Usa, ma non solo[14], dimentica di tutto e di ogni prudenza, “spero che sopravviviamo”.


Note
[1] - Michael J. Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, Scheerpost, 15 aprile 2022.
[2] - Robert Scheer è un giornalista esperto, autore della famosa intervista a Carter uscita su Play Boy e poi di altre con Richard Nixon, Ronald Reagan, Bill Clinton per il Los Angeles Times. Dal 1964 al 1969 è stato corrispondente dal Vietnam, mentre dal 1976 al 1993 è stato corrispondente per il Los Angeles Times su temi di politica internazionale. E’ co-conduttore del programma radiofonico “Left Right and Center” su KCRW. Scheer Intelligence è un podcast di KCRW. Autore di otto libri.
[3] - Michael J. Brenner, professore emerito di Affari Internazionali presso l'Università di Pittsburgh e Fellow del Center for Transatlantic Relations presso SAIS/Johns Hopkins. È stato Direttore del Programma di Relazioni Internazionali e Studi Globali presso l'Università del Texas. E’ autore di numerosi libri e oltre 80 articoli e pubblicazioni. I suoi lavori più recenti sono: “Promozione della Democrazia e Islam”; “Paura e terrore in Medio Oriente”; “Verso un'Europa più indipendente”; “Personalità pubbliche narcisistiche e i nostri tempi”. I suoi scritti includono libri con la Cambridge University Press (“Nuclear Power and Non-Proliferation”), il Center for International Affairs dell'Università di Harvard (“The Politics of International Monetary Reform”) e la Brookings Institution (“Reconcilable Differences, US-France Relations In The New Era”). I suoi interessi di ricerca riguardano la politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l'economia politica internazionale e la sicurezza nazionale. Brenner ha precedentemente lavorato presso il Foreign Service Institute, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse.
[4] - Lilliam Hellman, “Scoundrel time”, New York Times Book, 1972
[5] - Ovvero l’infrastruttura fondamentale della democrazia liberale, che in assenza di un’area di discussione in linea di principio libera dal dominio e soggetta alla costrizione dell’argomento migliore, è del tutto svuotata e coincidente con un’oligarchia con una ritualità periodica. Cfr. Jurgen Habermas, “Storia e critica dell’opinione pubblica”, Laterza 1971 (ed.or. 1962).
[6] - Per un mondo del quale si può far parte invito piuttosto ad ascoltare questo postcast “The Chris Hedges report with dr. Cornel West”.
[7] - Ad esempio, Jurgen Habermas, “Guerra ed oltraggio”, Süddeutsche Zeitung, 29 aprile 2022.
[8] - Per averne una verifica si può leggere in italiano, Vladimir Putin, “Di fronte alla storia. Obiettivi e strategie della Russia”, PGreco, 2022.
[9] - Ovvero garantire “il libero e regolare accesso alle fonti energetiche, anzitutto il petrolio, all’approvvigionamento delle materie prime, della libertà e sicurezza dei traffici marittimi ed aerei, della stabilità dei mercati mondiali, in particolare di quello finanziario”. Si veda Danilo Zolo, “Cosmopolis. La prospettiva del governo mondiale”, Tempofertile, 2 maggio 2022.
[10] - L’uccisione del “Nord Stream II”, obiettivo di lungo periodo dell’amministrazione Usa, rende l’Europa dipendente dall’intermediazione dei paesi di passaggio del gas russo e riduce la sua flessibilità energetica.
[11] - Robert Scheer intervista Ellen Brown sulla crisi dell’economia mondiale. Si può leggere anche “Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci”, Tempofertile, 25 aprile 2022.
[12] - Vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il principale interprete americano durante la storica visita del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972. Autore di Chas Freeman, “Arts of Power: statecraft and diplomacy”, United States Institute of Peace Press, 1997
[13] - John Mearsheimer, “How is it look when looking at Us story”, 29 aprile 2022.
[14] - Il 27 aprile il Ministro degli Esteri britannico, Liz Truss (a proposito delle donne che non fanno la guerra), alla City Mansion House ha ribadito che:
- Il Regno Unito ha inviato armi e addestrato le truppe ucraine molto prima che la guerra iniziasse.
- Questo è il momento del coraggio, non della cautela. E dobbiamo garantire che, insieme all’Ucraina, i Balcani occidentali e paesi come la Moldavia e la Georgia abbiano la resistenza e le capacità per mantenere la loro sovranità e libertà.
- La politica della porta aperta della Nato è sacrosanta. Se la Finlandia e la Svezia scelgono di unirsi in risposta all’aggressione russa, dobbiamo integrarle il prima possibile.
- la guerra in Ucraina è “is our war”.
- la sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacfica sono indissolubili, bisogna contrastare sia la Russia che la Cina e c’è bisogno di una “Global NATO”.
- “Your Excellencies, ladies and gentlemen, geopolitics is back!”. Il suo discorso qui.

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