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La Nato mondiale e la prospettiva multilaterale

di Alberto Bradanini

Slider Nuovo ordine internazionaleAl vertice Nato di Madrid del 30 giugno scorso, Il presidente turco ha ufficialmente ritirato l’obiezione di Ankara all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. I tre paesi hanno firmato un apposito memorandum trilaterale[1]. Erdoğan ha così lasciato cadere la sua riserva dopo aver ottenuto significative concessioni da parte delle due nazioni nordiche, ormai campioni di tutela dei diritti umani solo sulla carta (basti ricordare la sudditanza a Washington/Londra di governo/magistratura svedesi sulla vicenda di Julian Assange).

A pagare le conseguenze di ciò saranno i curdi, che combattono una battaglia storica per la sopravvivenza. A tale riguardo, si constata curiosamente che non è mancato qualche transitorio prurito di preoccupazione per i combattenti curdi, i quali secondo le bizzarrie di alcuni osservatori verrebbero protetti dalle truppe americane/mercenari – che occupano da anni e illegalmente le terre siriane dove si produce petrolio – quando invece sono stati utilizzati come carne da cannone, insieme a Isis, Al Qaeda etc. per spodestare Bashar Al Assad, nemico di Israele. Quella pur esteriore preoccupazione a favore dei curdi, subito caduta davanti alle superiori esigenze di incorporamento dei due paesi nordici nella Nato, resta tuttavia meritevole di apprezzamento.

Se l’aspirazione del popolo curdo all’autodeterminazione merita il massimo rispetto – sebbene nel diritto internazionale essa debba fare dialetticamente i conti con il principio contrario di intangibilità delle frontiere – ciò che fa difetto nella narrativa dominante è l’assenza di analoga sensibilità verso altre popolazioni, in Europa e altrove, nei confronti delle quali l’aspirazione ad autodeterminarsi viene platealmente ignorata per le esigenze del dominus atlantista.

Non è certo diffuso il bisogno intellettuale di distanziarsi dalla logica di parte, dallo schema del funzionario di sistema e dell’intellettuale organico, apostrofando la silente consuetudine di digerire in passività la trappola ermeneutica del doppio standard.

La Turchia resta preda di quella gabbia identitaria di un panturchismo etnico-ideologico risalente al secolo XIX, che le impedisce di riconoscere agibilità politica al 25 % del suo popolo, quella minoranza curda che, rebus sic stantibus, rafforzerebbe le proprie aspirazioni secessionistiche se dovesse affermarsi oltre frontiera uno stato curdo indipendente.

Con l’ingresso di Finlandia e Svezia il confine Nato-Russia raddoppia la sua estensione[2], aggravando la percezione d’insicurezza strategica di Mosca, un’escalation di cui non si avvertiva bisogno alcuno, dal momento che le due nazioni erano già saldamente collocate nel campo occidentale, non erano mai state minacciate da Mosca (né a parole né con i fatti) e per di più avevano costruito il loro benessere proprio sulla neutralità. D’ora in avanti, Helsinki e Stoccolma dovranno investire inutili risorse per proteggersi da una minaccia inesistente, fabbricata a tavolino dall’atlantismo militante, a eterno beneficio di corporazioni private, costruttori di armi, frantumatori di velleitarismi europei sovranisti e fomentatori di conflitti.

Per limitare un’apodittica semplificazione è utile gettare lo sguardo sulla dinamica del discorso pubblico: il grande manipolatore del Terzo Reich, J. Goebbels sosteneva che la propaganda è un’arte che nulla ha a che vedere con la verità. Ancor prima, Nietzsche aveva affermato che non esistono i fatti, ma solo la loro interpretazione. Cosa dunque accadrebbe alla coerenza del racconto dominante se ad esempio si applicasse anche alle vicende ucraine la logica che negli anni ’90 condusse Europa e Stati Uniti – davanti al disfacimento della ex-Jugoslavia – al lesto riconoscimento (illegale ed eversivo dal punto di vista di Belgrado) dell’indipendenza/secessione di Slovenia e Croazia, e successivamente del Kossovo, fino alla frammentazione finale? Temi complessi e contesti diversi, potrebbe qualcuno rilevare. Può darsi, il punto resta comunque aperto.

Al vertice di Madrid del 29-30 giugno scorsi, la Nato (su proposta Usa, ça va sans dire), nel suo primo documento strategico dal 2010, dopo aver individuato nella Russia la minaccia principale alla sicurezza dell’Occidente, estende minacciosamente lo sguardo fino all’Asia Pacifico, indicando la Cina come un fattore di preoccupazione sistemica per il mondo occidentale, senza produrre alcuna prova al riguardo. La Cina, in realtà, cerca pacificamente di dare consistenza a quella dimensione multipolare del pianeta fortemente osteggiata dal corporativismo bellico (il complesso militare industriale che controlla media, produzione di armi, accademia e politica) che detta le strategie interne e internazionali dell’unica nazione indispensabile al mondo (secondo la patologia lessicale di B. Clinton, 1999).

Per comunità internazionale l’adulterata etimologia americanista intende il Nord-America, l’Europa e altri paesi simili (Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Giappone e Singapore), vale a dire il cosiddetto Occidente, i cui abitanti non superano il miliardo di individui, mentre i restanti sette miliardi vengono sistematicamente obliterati, perché poveri, poco armati o poco amati, magari portatori di modelli ideologici resistenti alla bulimia di ricchezze e potere delle oligarchie anglosassoni.

Tali paesi di margine devono piegarsi all’ordine internazionale basato sulle regole (rules-based order), quelle decise dai padroni del mondo, l’1% che siede alla tavola imbandita, mentre al restante 99% sono riservate solo le briciole. Se non accettano di lasciarsi depredare dalle American preferences – vale a dire la via capitalistica all’uscita dal sottosviluppo, rimasta quanto mai ipotetica – i paesi resistenti vengono prima o poi aggrediti sul piano politico, economico e se possibile anche militare, a meno che non posseggano l’arma nucleare, perché non si sa mai.

Quanto alla Cina, il principale di questi paesi resistenti, già nel documento approvato al vertice Nato di Bruxelles di giugno 2021, essa era definita un rischio per la sicurezza occidentale, senza fornire alcuna evidenza. È ben evidente che i diritti umani – tema serio, complesso e largamente strumentalizzato – la discutibile politica antiterrorismo nel Xinjiang e altri ambiti critici della politica cinese nulla hanno a che vedere con la sicurezza degli Stati Uniti o dell’Occidente. In quella occasione, Emanuel Macron aveva obiettato che forse la Cina non aveva molto a che vedere con la Nato (North Atlantic Treaty Organization), essendo situata dall’altra parte del pianeta. Biden deve aver ascoltato educatamente. Dopo alcune settimane, abbiamo appreso che il contratto franco-australiano per la fornitura di sottomarini tradizionali era stato sostituito con uno per la fornitura di sottomarini americani a propulsione nucleare. Macron deve aver imparato la lezione (il contratto cancellato nel 2021 valeva oltre 60 miliardi di euro), poiché non risulta che a Madrid egli abbia risollevato il problema (ed è un peccato, poiché la Francia è il solo paese europeo potenzialmente in grado di opporsi ai diktat Usa, non ospitando soldati americani sul suo territorio, diversamente dal resto d’Europa). La conversione della Nato-Usa in un’organizzazione militare con orizzonti globali porta con sé rischi enormi e assai pericolosi anche per i protettorati europei degli Stati Uniti.

La ragione della demonizzazione cinese da parte dell’Occidente non riguarda la democrazia o i diritti umani. Nelle parole di un ex-PM australiano, Paul Keating, la Repubblica Popolare costituisce una minaccia non per quello che fa, ma per quello che è. È l’esistenza stessa della Cina, definita nazione ostile perché il suo peso politico, e le sue dimensioni demografiche ed economiche, insidiano l’egemonia americana.

Gli Stati Uniti non possono tollerare una nazione che non si piega agli interessi altrui, che intende costruire il proprio benessere in autonomia, tenendo alla larga le corporazioni private che dominano in Occidente, minacciando la pace e distruggendo il tessuto sociale dei nostri stessi paesi.

Nei sogni dell’egemonismo Usa il gigante asiatico dovrebbe implodere per essere sostituito da un insieme litigioso di staterelli deboli e incapaci di sfidare il dominio imperiale. Secondo tale patologia, un mondo plurale è inconcepibile. Le nazioni non possono convivere pacificamente nella diversità, ciascuna con proprie caratteristiche ideologiche, sociali ed economiche. No, questo non è consentito.

Il documento uscito dagli incontri Nato di Madrid del 29-30 giugno scorsi al punto 13, ambiente strategico, rileva che le “ambizioni dichiarate e le politiche coercitive della Cina sfidano i nostri interessi, la sicurezza e i valori. La RPC[3] impiega una vasta gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua impronta globale e il potere di proiezione, rimanendo opaca sulla sua strategia, intenzioni e costruzione militare. Le dannose operazioni ibride e informatiche della RPC, la sua retorica conflittuale e la disinformazione prendono di mira gli alleati e danneggiano la sicurezza dell’Alleanza” … “La RPC cerca di controllare i settori-chiave tecnologici e industriali, le infrastrutture critiche, i materiali strategici e le catene di approvvigionamento. Usa la sua leva economica per creare dipendenze strategiche e migliorare la sua influenza. Si sforza di sovvertire l’ordine internazionale basato su regole, anche nei settori spaziale, cibernetico e marittimo. L’approfondimento della partnership strategica tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa e i loro tentativi di rafforzarsi reciprocamente per minare l’ordine internazionale basato sulle regole sono in contrasto con i nostri valori e interessi”.

Al punto 14, il medesimo documento aggiunge che la Nato rimane “aperta a un impegno costruttivo con la RPC, anche per edificare reciproca trasparenza, al fine di salvaguardare gli interessi di sicurezza dell’Alleanza”, sottolineando che i paesi membri lavoreranno per affrontare le “sfide sistemiche” poste dalla Cina. “L’Indo-Pacifico è importante per la Nato poiché gli sviluppi in quella regione possono influenzare direttamente la sicurezza euroatlantica”, senza che se ne illustri la ragione.

Se la Nato (vale a dire l’esercito Usa in Europa) decide di estendere la sua competenza strategica al pianeta intero, non più solo al quadrante Nord-Atlantico-Europa, occorre modificarne lo statuto, dopo aver democraticamente acquisito il consenso dei parlamenti e delle popolazioni dei paesi membri. Nulla di ciò sta avvenendo. Lo schema seguito è invece quello già sperimentato con la cosiddetta Unione Europea, quello del dispotismo occulto e dell’europeismo (qui atlantismo) retorico. Decidano le oligarchie, elette o non elette, non sia mai che i popoli siano contrari.

Nel mondo a venire, sorgeranno aggregazioni di paesi resistenti, per difendere quel che rimane della loro sovranità dall’espansionismo di un’Alleanza auto-incaricatasi di difendere i paesi che ne fanno eternamente parte, ma che nessuno più minaccia, almeno dal lontano 1991, l’anno nel quale il Patto di Varsavia venne dissolto.

La Nato universale apre poi una prospettiva avvincente per i produttori di armi, le oligarchie finanziarie e le corporazioni dollarizzate, ancor più pericolose perché in declino. La Cina viene definita una sfida cruciale alla sicurezza e ai valori occidentali, accusata di colludere con Mosca per minare l’ordine internazionale, quello Usa-centrico beninteso. A Madrid, dove erano invitati anche i futuri membri, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, il Primo Ministro giapponese Fukio Kishida – la cui torsione occidentalista attribuisce l’instabilità planetaria alla Cina e non alle 800 basi militari americane nel mondo, svariate di queste anche in Giappone – ha dichiarato che Tokyo, ormai avviata sulla strada del riarmo, intende presentare una proposta di associazione alla Nato per rafforzare la cooperazione nel settore della sicurezza marittima e dell’informatica. Riecheggiando la propaganda Usa, Kishida ha affermato che un ipotetico attacco cinese a Taiwan (che l’isola non ha alcun interesse a provocare dichiarandosi indipendente, dal momento che di fatto indipendente lo è già) aprirebbe in Estremo Oriente uno scenario simile a quello ucraino in Europa, una guerra per interposta nazione -questa volta fino all’ultimo taiwanese – per indebolire e far implodere il rivale strategico cinese.

La futura espansione della Nato in Asia mira dunque a circondare la Russia e tenere sotto scacco la Cina, elevando la potenziale escalation al livello nucleare, senza che le società civili e i governi-protettorati europei abbiano sollevato l’ombra di un dubbio. Tale confrontazione avrà profonde ripercussioni anche sull’economia, con danni sistemici ai paesi più deboli della catena, in primis gli europei, soprattutto la povera gente (e ancor più il vaso di coccio italiano), senza che gli scricchiolii di un’impalcatura traballante vengano meditati dal famelico corporativismo Usa-centrico, in crisi da declino e ormai spudoratamente nazionalista.

Se la globalizzazione avviata dall’Occidente ha reso competitiva qualche economia emergente, le regole sono state però definite dall’Occidente. Il successo della Cina è essenzialmente dovuto invero alla laboriosità di quel popolo, alla stabilità sociale, al controllo pubblico dell’economia, a un’intelligente apertura industriale e commerciale sul mondo. La Cina è lungi dall’essere un paradiso in terra. Essa rappresenta tuttavia una tappa cruciale nella lotta storica dell’emancipazione dei popoli, contro il colonialismo e il neocolonialismo e merita poi il più grande riconoscimento per aver affrancato dalla miseria un miliardo di persone in pochi decenni, il più grande successo anti-povertà della storia umana. La Cina – come ogni altra nazione – ha diritto di seguire il suo corso, di ritagliarsi il suo spazio in un mondo dove chiunque possa prosperare pacificamente nel rispetto delle proprie condizioni economiche e sociali.

Anche su altri fronti la storia corre veloce. Argentina, Iran e Arabia Saudita starebbero per entrare nel gruppo Brics[4]. Seppure tale accelerazione appaia una contromossa pilotata dal gruppo per ampliare la platea dei membri e contenere con maggior successo i riflessi delle sanzioni occidentali contro la Russia per il conflitto in Ucraina, essa ha però radice e implicazioni più profonde. L’allargamento, se dovesse concretarsi, sarebbe una tappa di quel percorso di coscienza che il mondo non s’identifica con il cosiddetto Occidente, e avrebbe un forte impatto sugli equilibri geopolitici, l’economia e la nozione di sicurezza a livello globale.

Il gruppo Brics costituisce una delle due principali aggregazioni alternative al blocco occidentale, l’altra essendo la Shanghai Cooperation Organization (SCO). Quest’ultima, risalente al 2001, copre aspetti politici, economici e di sicurezza, e comprende Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, India e Pakistan (dal 2017) e Iran (dal 2021). I Brics sono invece un raggruppamento di nazioni emergenti maggiormente centrato su sviluppo ed economia, di cui fanno parte Brasile, Russia, India e Cina (dal 2006) e Sudafrica nel 2010.

Enormi sarebbero le implicazioni se il leader saudita Mohamed Bin Salman riuscisse a resistere alle pressioni e minacce Usa a non avventurarsi in tale direzione. In tal caso, l’impero unipolare rischierebbe davvero di scricchiolare e le placche tettoniche del commercio internazionale, bancario e finanziario, comincerebbero a sbriciolarsi. L’Arabia Saudita gioca un ruolo rilevante non solo nel campo energetico: principale esportatore di petrolio al mondo e membro del G20, Riad ha tra l’altro un ruolo politico cruciale nel Medio Oriente e nella delicata dinamica di confronto con l’Iran, che Israele considera suo nemico giurato.

L’Occidente persegue una strategia energetica alternativa ai fossili per alimentare l’economia, mentre il resto del mondo continua a utilizzare le più efficienti energie tradizionali. La frattura sarà profonda. Le conseguenze degli eventi causati dall’Occidente, che hanno spinto il mondo emergente a tutelarsi in tal modo, erano tuttavia prevedibili. Si può discutere contesto storico e postura etica che hanno portato l’Occidente a guida americana sulla strada di sanzioni antirusse autolesioniste. In ogni caso, l’esito di tale strategia è quello voluto. I maggiorenti del World Economic Forum – espressione plastica del potere ultimo – non sono certo sprovveduti. Quel che avviene era previsto.

Se in Occidente le multinazionali controllano politica, media e società, nei paesi Brics, e in altri esterni o in attesa di entrare, il potere è invece appannaggio delle classi di stato: ciò vale per le teocrazie (Iran, Arabia Saudita e altre monarchie), per i paesi comunisti (Cina e gli altri quattro), ma anche per altri (Russia e altre cosiddette autocrazie). Se tale caratteristica non rende necessariamente migliore la gestione di un governo, la ricchezza prodotta resta tuttavia in mani pubbliche, e non è poco, con intuibili differenze da paese e paese. Il comun denominatore dei Brics si colloca pertanto all’opposto dei membri e fiancheggiatori del World Economic Forum.

Tali sviluppi, inoltre, apriranno una crepa strategica nell’impianto fondato sul petrodollaro e la valuta americana, strumento critico dell’espansionismo bellico imperiale. È bene chiarire che non si tratta qui di pregiudiziali posizioni antiamericane, poiché quel popolo è il primo a soffrire delle immorali politiche di potenza e patologico arricchimento delle oligarchie americane. Del resto, le coscienze più emancipate di quel grande popolo si sono sempre battute contro tali aberrazioni, pagando pesanti tributi personali[5].

Molti paesi utilizzeranno diverse valute a seconda delle necessità, ma non più solo del dollaro. Persino il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha riconosciuto che nell’attuale sistema monetario globale stanno avanzando dei cambiamenti che modificheranno il ruolo internazionale del dollaro. Per merito del mondo emergente, l’ordine globale si va forgiando in un’alternativa concreta, nella prospettiva di un mondo diverso, concretamente multipolare, potenzialmente meno conflittuale, più pacifico. Con l’Arabia Saudita nel gruppo Brics, uno scenario che prima era solo possibile diventa ora probabile.

 

Epilogo

Il pianeta è oggi esposto a tre emergenze, la crudeltà di un imperialismo bulimico, autoritario e che concentra le ricchezze nelle mani di pochi, la distruzione dell’equilibrio ecologico e il rischio di un conflitto nucleare. I governi rappresentano il pericolo, i popoli la speranza. Il capitalismo autoritario si manifesta attraverso le politiche di disciplina sociale, quelle europee di austerità, la strategia della paura. In America, si agitano milizie armate non controllabili, l’irrisolto divario razziale, etnico e di benessere, le nefandezze dello stato profondo, il proliferare delle spese belliche, invasioni, conflitti diretti o per procura, e via dicendo. In Europa, al blocco unico di centro – sinistra e destra si distinguono solo per i tratti somatici dei rispettivi vertici e per una diversa abilità a organizzare l’intrattenimento, mentre le ali estreme, a destra impraticabili, a sinistra ridotte in cenere, non contano – è affidato l’incaricato di sorvegliare il disagio sociale per scongiurare il punto di non ritorno. Ovunque, le oligarchie temono di perdere potere e privilegi, davanti al malcontento e all’insofferenza sociale. Se i contesti sono diversi, le inquietudini sono simili. Cresce ovunque la consapevolezza che occorre equità, partecipazione al potere, lavoro stabile per tutti, servizi sociali adeguati, in sostanza un nuovo compromesso tra classi.

Auspicando che la storia non si ripeta, è utile ricordare che nel 1905 il Kaiser Guglielmo II – còlto dall’angoscia che la rivolta sociale a San Pietroburgo di quell’anno (la cosiddetta Prima Rivoluzione Russa) potesse passare la frontiera e raggiungere la Germania – aveva suggerito al cancelliere Bernhard von Bülow una soluzione radicale e preventiva: inviare i giovani in trincea, tagliando così la testa ai movimenti socialisti, come del resto sarebbe avvenuto di lì a pochi anni (Van der Pijl[6]). E l’odierno nichilismo valoriale lascia poco spazio a un diverso orizzonte assiologico. Per preservare gli enormi privilegi di cui godono, le oligarchie dominanti potrebbero essere tentate di applicare la stessa ricetta di Guglielmo II, facendo scendere i brividi lungo la schiena di un pianeta stipato di armi nucleari. Coraggio.


Note
[1] Oggi i rappresentanti di Turchia, Finlandia e Svezia, sotto l’egida del Segretario generale della Nato, hanno concordato quanto segue.
La Nato è un’Alleanza basata sui principi della difesa collettiva e di indivisibilità della sicurezza, oltre che su valori comuni. Turchia, Finlandia e Svezia affermano la loro adesione ai principi e ai valori sanciti dal Trattato di Washington.
Uno degli elementi-chiave dell’Alleanza è la solidarietà e la cooperazione incrollabili nella lotta contro il terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni, che costituisce una minaccia diretta alla sicurezza nazionale degli alleati, alla pace e alla sicurezza internazionali.
Come potenziali alleati della Nato, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno alla Turchia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale. A tal fine, la Finlandia e la Svezia non forniranno sostegno alle YPG/PYD e all’organizzazione descritta come FETO in Turchia. La Turchia estende inoltre il suo pieno sostegno alla Finlandia e alla Svezia contro le minacce alla loro sicurezza nazionale. La Finlandia e la Svezia respingono e condannano il terrorismo in ogni sua forma e manifestazione, nei termini più forti. La Finlandia e la Svezia condannano senza ambiguità tutte le organizzazioni terroristiche che attuano attacchi contro i turchi ed esprimono la loro più profonda solidarietà ai turchi e alle famiglie delle vittime.
Finlandia e Svezia confermano che il PKK è un’organizzazione terroristica proscritta. La Finlandia e la Svezia si impegnano a prevenire le attività del PKK e di tutte le altre organizzazioni terroristiche e le loro estensioni, nonché le attività di individui appartenenti a gruppi o reti affiliati, ispirati o collegati a tali organizzazioni terroristiche. Turchia, Finlandia e Svezia hanno concordato di intensificare la cooperazione per prevenire le attività di questi gruppi terroristici. La Finlandia e la Svezia rifiutano gli obiettivi di queste organizzazioni terroristiche.
Oltre a ciò, la Finlandia fa riferimento a diverse, recenti modifiche del suo Codice penale con le quali sono stati normativamente individuati nuovi atti punibili come reati terroristici. Le modifiche più recenti sono entrate in vigore il 1° gennaio 2022, con esse è stato ampliato l’ambito di partecipazione alla attività di un gruppo terroristico. Allo stesso tempo, l’incitamento pubblico relativo a reati terroristici è stato criminalizzato come reato separato. La Svezia conferma che una nuova e più severa legge sui reati terroristici entrerà in vigore il 1° luglio e che il governo sta preparando un ulteriore inasprimento della legislazione antiterrorismo.
Turchia, Finlandia e Svezia confermano che ora non ci sono embarghi nazionali sulle armi in vigore tra di loro. La Svezia sta modificando il suo quadro normativo nazionale per l’esportazione di armi verso gli alleati della Nato. In futuro, le esportazioni di difesa dalla Finlandia e dalla Svezia avranno luogo in linea con la solidarietà dell’Alleanza e in conformità con la lettera e lo spirito dell’articolo 3 del trattato di Washington.
Oggi, Turchia, Finlandia e Svezia si impegnano a compiere i seguenti passi concreti:
    1. Istituire un dialogo congiunto e strutturato e un meccanismo di cooperazione a tutti i livelli di governo, anche tra le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence, per rafforzare la cooperazione in materia di antiterrorismo, criminalità organizzata e altre sfide comuni, che verranno insieme individuate.
    2. La Finlandia e la Svezia condurranno la lotta contro il terrorismo con forza, determinazione e in conformità con le pertinenti disposizioni dei documenti e delle politiche Nato, e adotteranno tutte le misure necessarie per inasprire ulteriormente la legislazione nazionale a tal fine.
    3. La Finlandia e la Svezia affronteranno le richieste di espulsione o estradizione di sospetti terroristi in sospeso da parte della Turchia in tempi rapidi e in modo approfondito, tenendo conto delle informazioni, prove e dell’intelligence fornite dalla Turchia, e stabiliranno il necessario quadro giuridico bilaterale per facilitare l’estradizione e la cooperazione in materia di sicurezza con la Turchia, in conformità con la Convenzione europea di estradizione.
    4. La Finlandia e la Svezia indagheranno e interdiranno qualsiasi attività di finanziamento e reclutamento del PKK e di tutte le altre organizzazioni terroristiche e delle loro estensioni, nonché degli affiliati o dei gruppi o delle reti ispirati, come indicato al paragrafo 5.
    5. La Turchia, la Finlandia e la Svezia si impegnano a combattere la disinformazione e impedire che le loro leggi nazionali vengano abusate a beneficio o promozione di organizzazioni terroristiche, anche attraverso attività che incitano alla violenza contro la Turchia.
    6. La Finlandia e la Svezia garantiranno che i rispettivi quadri normativi nazionali per l’esportazione di armi consentano nuovi impegni nei confronti degli alleati e riflettano il loro status di membri della Nato.
    7. La Finlandia e la Svezia si impegnano a sostenere il più ampio coinvolgimento della Turchia e di altri alleati non UE nelle esistenti e future iniziative di politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione Europea, compresa la partecipazione della Turchia al progetto PESCO sulla mobilità militare.
Per l’attuazione di queste misure, la Turchia, la Finlandia e la Svezia istituiranno un meccanismo congiunto permanente con la partecipazione di esperti dei Ministeri degli Affari Esteri, Interno e Giustizia, nonché dei rispettivi servizi di intelligence e istituzioni di sicurezza. Il meccanismo congiunto permanente sarà aperto ad altri membri.
La Turchia conferma il suo sostegno di lunga data alla politica open door della Nato e accetta di sostenere al vertice di Madrid del 2022 l’invito esteso alla Finlandia e alla Svezia a diventare membri della Nato.
[2] https://substack.com/redirect/385f16e9-072e-4b9b-8edb-25db98d456a1?u=66500509
[3] Repubblica Popolare Cinese
[4] Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa
[5] Tra i tanti, M. L. King, Malcom X, Seth Rich, Daniel Ellsberg, Perry Fellwock, Willima Bunney, Kevin Shipp, Mark Klein, Thomas Tamm, Joseph Wilson, Thomas Drake, Mike Ruppert, Danny Casolaro (vedi Germana Leoni Jullien Assange, niente è come sembra, Ed. Nexus, pag. 100), Chelsea Manning, Edward Snowden e molti altri.
[6] https://www.youtube.com/watch?v=KmSEgmDl5eo

Comments

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Franco Trondoli
Saturday, 09 July 2022 12:19
Non riesco a capire come si faccia a vedere una prospettiva multilaterale. Che deve essere pacificata. Se no non avrebbe senso. Eppure in tanti la propongono. Hegel, Kant e Platone (il papà di tutti) dettano ancora legge.
Ma sono senz'altro io (ma c'è un "io"? ) che non capisco niente.
Buona Fortuna
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