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giubberosse

War games

di Enrico Tomaselli

carri armati russi scaled 1I giochi di guerra tra Russia ed USA si fanno sempre più pericolosi, ma è proprio dietro la volontà di evitare lo scontro diretto e, contemporaneamente, giocando al tiro alla fune, che si nascondono i pericoli maggiori. Ancora una volta, nessuno dei due avversari sembra comprendere del tutto l’altro, e questo può avere conseguenze terribili. Rischiamo di trovarci sul serio in guerra, senza che nessuno lo volesse davvero.

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I moderati del Kremlino

Si è molto discusso, anche su queste pagine, sugli obiettivi che Mosca si prefiggeva di raggiungere, avviando l’Operazione Speciale Militare, e su come questi si siano assai velocemente dimostrati irraggiungibili. Cosa che ha costretto ad un radicale cambio anche della strategia militare.

Ma un elemento è sicuro: nonostante la propaganda occidentale lo abbia dipinto come un pazzo sanguinario, il nuovo Hitler – Putin (ed il gruppo dirigente che lo affianca, a partire da Lavrov) è, al contrario, un uomo prudente, per certi versi si potrebbe dire un moderato. Di sicuro, la strategia politico-militare sviluppata via via dal 24 febbraio 2022 è stata ed è caratterizzata da un elevato autocontrollo, che cerca costantemente di evitare l’escalation del conflitto.

Questa scelta, precipuamente politica, e di cui gli europei dovrebbero essergli eternamente grati, non è il frutto di un possibile timore verso la NATO (la sua potenza militare), ma di un preciso calcolo.

Ovviamente, e soprattutto a partire dal momento in cui a Mosca hanno compreso che questa è una guerra della NATO contro la Federazione Russa, e non un semplice conflitto regionale di marginale interesse per l’Alleanza atlantica, per la leadership russa è divenuto chiarissimo che un pezzo importante del conflitto si sarebbe combattuto fuori dall’Ucraina, nell’arena internazionale.

Non restare isolata internazionalmente era ed è vitale, per una prospettiva strategica di lungo termine. Ciò a partire dalla Cina, che è partner fondamentale proprio in vista del futuro, ma non solo. Tutto ciò che Mosca è riuscita a mettere in campo in questi 15 mesi – dalla spinta incredibile che hanno avuto i BRICS+ al rafforzamento della SCO, dal rapporto commerciale con l’India a quello anche politico con la Turchia, dall’espansione dell’influenza in Africa alla pacificazione in Medio Oriente (1) – non sarebbe stato possibile se, al contrario, si fosse lanciata in una campagna militare distruttiva.

Pechino è consapevole che la Russia è stata costretta al conflitto dall’occidente, così come è consapevole di essere il prossimo bersaglio. Quindi, il rafforzamento dell’alleanza strategica tra i due paesi è di reciproco interesse. Ma, al tempo stesso, l’esistenza stessa di un conflitto armato, che USA e NATO stanno usando per erigere una nuova cortina di ferro, va decisamente contro i propri interessi commerciali, quindi politici. Per la Cina, pertanto, la non escalation è fondamentale, e certamente Xi Jinping lo ha fatto presente all’amico Putin.

Su un piano più strettamente militare, Mosca deve considerare due aspetti.

Il primo, minore ma non troppo, è che la guerra prima o poi finirà, e si troverà a dover dividere un confine (divenuto più lungo) con l’Ucraina. La distruzione del paese, posto che avrebbe potuto accelerare la fine della guerra, avrebbe comunque lasciato un profondo sentimento di ostilità, nel quale sia le forze del risorgente nazismo europeo, sia la NATO (che peraltro storicamente usa le prime in funzione antirussa), avrebbero sguazzato. L’interesse russo non è semplicemente la vittoria, ma la sicurezza – quindi, non semplicemente la pace, ma in qualche misura la pacificazione.

L’altro aspetto, è che per certi versi questo conflitto è importantissimo non solo per la Russia, ma anche per la NATO. Sia pure in modi e tempi diversi, entrambe si giocano una partita esiziale. Per Mosca, quella politica e (forse) territoriale, per l’Alleanza quella della sopravvivenza in quanto coalizione politico-militare. Ne consegue – ed al Cremlino ne sono consapevoli – che Washington non può permettersi una sconfitta. E quanto più va avanti il conflitto, quanto più cresce l’investimento politico, economico e militare della NATO, tanto più difficile sarà per questa recedere.

Il rischio di un conflitto diretto con le forze dell’Alleanza Atlantica va quindi evitato, non solo per le ragioni suddette, ma anche perché avrebbe un costo potenzialmente spaventoso. Anche se restasse nell’ambito di un conflitto convenzionale, le perdite umane e le distruzioni materiali sarebbero enormi da entrambe le parti.

Una terza ragione per mantenere (relativamente) basso il livello dello scontro, riguarda la Russia in sé. I riferimenti sempre più espliciti alla Grande Guerra Patriottica sono evidentemente finalizzati a rimodulare il sentiment popolare su questa lunghezza d’onda, anche relativamente al conflitto con la NATO. Ma Putin e i suoi sanno perfettamente che la Russia odierna non è l’Unione Sovietica (e non solo per dimensione). Se allora c’era un paese prevalentemente operaio e contadino, con un potentissimo partito-guida, dotato di una forte ideologia (e fresco di una enorme rivoluzione…), la Russia di oggi è in realtà molto più simile all’occidente europeo. Affrontare in pieno una guerra con la NATO significherebbe la mobilitazione generale, un’accelerazione verso l’economia di guerra ancora maggiore, nonché una stretta interna; tutte cose che, nella Russia attuale, sarebbero assai complicate.

Per questo la leadership russa sta lavorando alla rinascita di un’identità russa, distinta da quella occidentale. Ma è un processo che richiede tempo, quindi non si possono rischiare forzature.

 

Gli estremisti della NATO

Dal canto suo, la NATO si è lanciata nell’avventura ucraina avendo in mente gli obiettivi che intendeva conseguire (troncare i rapporti Russia-Europa, isolare e sfiancare Mosca), ma – come poi s’è visto – senza un’idea precisa sul come conseguirli. La temibile accoppiata tra il fanatismo ideologico dei progressisti democratici ed il feroce cinismo feroce dei neocon, è partita all’attacco della Russia, fallendo tutti gli obiettivi strategici meno uno, e cioè riportare a cuccia i vassalli europei e rilanciare la NATO come coalizione di ascari da impiegare nelle guerre future, ovunque occorra.

Paradossalmente, però, proprio questa improvvisazione strategica finisce col costituire un pericolo potenzialmente esplosivo. Proprio nel momento in cui l’impero americano si appresta a giocare la partita definitiva per il dominio globale, ed in cui quindi diventa essenziale non solo contrastare contemporaneamente il proprio declino e l’ascesa delle nuove potenze, ma anche poter disporre pienamente dello strumento militare NATO, ecco che si ritrova con un’Alleanza Atlantica militarmente indebolita, ed a rischio di implosione.

Se il conflitto ucraino dovesse concludersi con un’evidente sconfitta del disegno strategico americano, è chiaro che la NATO scricchiolerebbe e incertezze e dubbi si farebbero strada tra gli alleati che più hanno da perdere. Se questo è il quadro, si comprende facilmente che per Washington è fondamentale non uscire perdenti dalla guerra ucraina.

Ma ovviamente questo è un esito non solo non facile da ottenere, ma sul quale non c’è neanche uniformità di vedute. A parte gli alleati chiave (Gran Bretagna e Polonia), che sono anche i più bellicosi, all’interno delle oligarchie statunitensi si confrontano ancora partiti diversi. C’è chi pensa che valga la pena continuare a sostenere Kyev sino allo stremo, perché ciò comunque logorerà l’apparato militare russo. C’è chi pensa che sarebbe meglio trovare una via d’uscita diplomatica, costringendo gli ucraini ad accettare (almeno temporaneamente) la rinuncia ai territori perduti. Ma c’è anche chi ritiene ancora possibile battere Mosca sul terreno.

Il risultato è che per un verso si continuano a gettare risorse enormi nel tritacarne ucraino (siamo ormai a svariate centinaia di miliardi…), ma sempre un po’ alla volta, cosicché non riescono mai a divenire sufficiente massa critica, tale da mutare gli equilibri, mentre dall’altro si determina una escalation di fatto, con la fornitura di armi sempre più potenti.

 

Giochi di guerra

Mentre sul terreno di battaglia russi e ucraini si massacrano vicendevolmente, Mosca e Washington continuano a portare avanti il loro grande gioco. Il rischio, crescente, è proprio che il gioco sfugga di mano e i giochi di guerra divengano guerra vera, senza che nessuno avesse inizialmente voluto arrivarci. Perché – non ci si stancherà mai di dirlo – una volta cominciata, la guerra ha vita propria.

E la dialettica bellica che si è instaurata tra la Federazione Russa e la NATO è pericolosissima.

Per un verso, l’impero statunitense – che non vuole il confronto diretto – è costretto ad investire sempre di più (più soldi, più armi, più potenza di fuoco) per evitare la sconfitta. Per un altro, la Russia lascia che la NATO aumenti il suo impegno, senza una ferma reazione, perché a sua volta non vuole il confronto diretto.

Ma tutto ciò può fatalmente condurre al baratro. È la solita vecchia storia della rana bollita. Se non si pone uno stop deciso, la temperatura salirà un po’ alla volta fino a quando sarà troppo tardi.

Per quanto la moderazione russa abbia, come detto, delle validissime ragioni, c’è il forte rischio che finisca, al contrario, per condurre laddove nessuno vorrebbe arrivare. È sin troppo evidente che porre continue linee rosse e poi lasciare che vengano superate è assolutamente controproducente e finisce col far credere al nemico di poter superare indenne anche la successiva, incoraggiandolo di fatto a farlo. Oltretutto, questa moderazione rischia di diventare anche uno spreco. Si pensi alla campagna di bombardamenti sulle installazioni energetiche ucraine. Centinaia e centinaia di missili e droni, sicuramente grandi danni inferti, ma strategicamente non hanno spostato nulla. Si doveva portarla sino in fondo, facendo collassare il sistema in maniera totale e definitiva, per ottenere il risultato, mentre così è stato un lavoro a metà.

Nonostante numerosi attacchi terroristici, in Russia e nei territori liberati, non c’è stata sostanzialmente alcuna risposta, mentre sarebbe stato ovvio aspettarsi – quantomeno – la distruzione del quartier generale dei servizi segreti ucraini. Non c’è stato alcun serio tentativo di distruggere tutti gli aeroporti, almeno quelli con piste adatte ai jet da combattimento. Non si sono interrotte le linee di comunicazione stradale e ferroviarie. Tutti gli attacchi strategici sono stati parziali, senza mai portare a casa il risultato pieno.

È chiaro che la Russia ha messo nel conto una guerra anche di lunga durata, con quel che ne consegue in termini di perdite umane e materiali, pur di evitare il rischio di una deflagrazione maggiore. Ma, anche in considerazione delle logiche che animano la coalizione avversa, senza che si stabilisca – e si mantenga – una vera red line, le possibilità che il gioco sfugga di mano aumentano di giorno in giorno. Se pure ogni tanto sono stati lanciati segnali effettivi (da ultimo, la distruzione del bunker sotterraneo misto ucraino/Nato), il fatto che poi i russi stessi vi mettano un po’ la sordina dimostra che non hanno chiaro come funzionano le cose nel campo occidentale. Andrebbe infatti adottata una linea opposta, enfatizzandoli al massimo, al fine di colpire l’immaginario delle opinioni pubbliche europee e statunitensi, di cui i governi NATO devono in qualche modo tener conto.

In buona sostanza, la coalizione occidentale dovrebbe avere la percezione concreta che il rischio non è né astratto, né ancora lontano.

E peraltro, quando hanno da capire capiscono. Basti vedere come hanno accorciato il raggio di volo degli aerei spia sul mar Nero…

 

Un piano inclinato

Stiamo su un piano inclinato. Forse oggi gli unici che lo vedono con chiarezza sono i cinesi. Sfortunatamente, Pechino da sola non può fare nulla, ha bisogno di trovare una sponda.

Per gli Stati Uniti, che identificano nella Cina il nemico principale e che sono già irritatissimi per il successo della mediazione cinese tra Iran ed Arabia Saudita, è assolutamente impensabile concedere quest’altro successo diplomatico alla Repubblica Popolare. La posizione occidentale – a mezza via tra l’ipocrisia e la stupidità – è quella di chiedere a Pechino di convincere Mosca a fermarsi. Una cosa che la Cina non solo non può fare, ma che non ha neanche interesse a fare – in questi termini.

Per sbloccare la situazione, quindi, sarebbe necessaria una interlocuzione terza con la Cina. Che non può essere la Turchia (sempre che Erdogan superi lo scoglio elettorale), e nemmeno il Brasile. Né l’India. Gli ultimi due, oltretutto, stanno nei BRICS+ con Russia e Cina, quindi…

In questo risplende la spaventosa assenza, anzi vera e propria latitanza, dell’Europa. Non quella dell’UE, ovviamente, perché ormai si è totalmente piegata ai desiderata di Washington, riducendosi a megafono politico della NATO.

Al contrario, l’Unione Europea si sta avviando – con un’incoscienza sconcertante – su una strada terribile, quella dell’allargamento del conflitto in Europa. Che ne siano consapevoli o meno, i vertici di Bruxelles stanno operando in questa direzione, in piena concordanza sia con i peggiori bellicisti del continente (Londra e Varsavia), sia con quei settori dell’establishment americano che veramente credono nella possibilità di battere la Russia sul campo.

Negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli slittamenti in questa direzione. La decisione di usare il fondo europeo “per la pace” per finanziare l’acquisto di armi per l’Ucraina; Josep Borrell che dice che bisogna investire nell’adeguamento delle infrastrutture viarie europee, per renderle adeguate alle esigenze di trasporto militare; Thierry Breton che sostiene che l’Europa debba avviare la transizione verso un’economia di guerra; la decisione di usare anche i fondi del PNRR per acquistare munizioni per Kiev… (2)

E poi arriva Rob Bauer (capo del Comitato militare della NATO): dobbiamo essere pronti ad una guerra.

È chiaro che, senza una rottura del fronte occidentale, anche piccola, ovunque e comunque si manifesti, continueremo a scivolare verso il baratro, con l’unica speranza che accada qualcosa – qualsiasi cosa – in grado di evitarlo. Purtroppo, se il governo europeo è cieco e complice e quelli dei vari paesi sono ancor più pavidi e vassalli, la tragedia è che i popoli tacciono. Afoni, muti. Come se avessero più paura di alzarsi contro la guerra che non di finirci dentro sino al collo. Anche loro si stanno facendo bollire come la rana.

Stando così le cose, dobbiamo ringraziare la moderazione di Putin, Lavrov e gli altri; se al Cremlino ci fossero oggi i falchi, ossia gli equivalenti dell’attuale gruppo dirigente statunitense, la Russia si starebbe preparando per sferrare un attacco preventivo contro la NATO in Europa approfittando della sua temporanea debolezza ed impreparazione.


Note
1 – Risolvere definitivamente la questione siriana significa anche liberare truppe esperte, per poterle rischierare in Ucraina.
2 – Le spese militari dell’Unione Europea cresciute del 30% dal 2014
Lo ha dichiarato il capo della diplomazia Ue Josep Borrell in apertura del forum UE-ATP (Paesi della regione Asia Pacifico), in cui è stato invitato anche il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba per chiedere il sostegno dei Paesi dell’Asia.

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