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ripensare marx

Lettera aperta ad un amico di sinistra

di Piotr

imagesCaro Domenico,

quelli del Guardian e dell’Independent, a volte anche quelli del bravissimo Robert Fisk, sono proprio i classici “argomenti di sinistra” che io non condivido.

Io valuto le cose innanzitutto da un punto di vista che reputo in questa fase nodale: quello dell’antimperialismo. Non mi fermo qui, ma quello è il primo filtro che applico.

Perché? Perché quella che stiamo vivendo (e che è destinata ad approfondirsi) non è una crisi economica, più o meno grave ma dello stesso tipo di altre, non è la “crisi del capitalismo” come sognano i marxisti-per-finta, ovvero gli ultrasinistri che non hanno capito nulla di cosa è successo dal 1848 (Manifesto del Partito Comunista) ad oggi e ripetono le formulette come zombie. E infine non è nemmeno la crisi del neo-liberismo, come vorrebbero ad esempio quelli del PdCI e di Rifondazione, nostalgici del keynesismo sociale. E’ una crisi di assetti di potere internazionali.

1. La sinistra (che io distinguo dagli anticapitalisti e dagli antimperialisti, cioè da quelli che una volta si chiamavano “comunisti”) ha il magico dono di essere quasi sempre confusionaria e superficiale. Un bel frullatino, ed ecco che siamo di fronte alla crisi del neo-liberismo inteso come estremo risultato del “modello di sviluppo” capitalistico (che cosa? il capitalismo sarebbe un “modello di sviluppo”?).

Di Lenin la sinistra ha capito solo le cose che invece era meglio scordarsi: le “fasi supreme del capitalismo”. Sono 150 anni che si aspettano le “crisi terminali” del capitalismo. Non c’è stato cambiamento nel modo di operare del capitalismo che non sia stato salutato come una “fase suprema”. E dato che non si sa più che storia raccontarsi (dopo che si è scoperto che la Grande Narrazione Proletaria era una favola che ha fatto collassare l’URSS e cambiare rotta di almeno 90 gradi alla Cina), ecco che ci si inventa l’equazione capitalismo=neo-liberismo, con tanto di limiti ultimi ecologici.

La Natura al posto del Proletariato come contraddizione insormontabile. Tra tutte le soluzioni possibili per inventarsi la nuova Grande Narrazione è la più scombinata, perché l’uomo e i suoi rapporti sociali spariscono come cause e rifanno capolino solo come effetti. Un vero e proprio ritorno agli dei antropomorfi, a Giove Pluvio che scatena i temporali.

Io non nego che ci siano limiti ecologici allo sviluppo senza (un) fine del capitalismo. Anzi, è la cosa più logica. Ho comunque i miei dubbi che siano quelli che ci vengono raccontati, spesso con fare isterico. Ma più che altro rammento sempre che così come i potenti si facevano le guerre tra loro anche se provocavano pestilenze di cui essi stessi rischiavano di rimanere vittime, allo stesso modo potremmo anche andare arrosto senza aver intaccato una sola virgola dei meccanismi capitalistici, se non rimettiamo in testa i rapporti sociali, tra cui i rapporti di potere. Non rischiamo forse da oltre mezzo secolo l’olocausto nucleare? Non è un limite ecologico anche quello? E che limite!


2. E quindi? Io parto dal presupposto teorico e fattuale che il neo-liberismo e la globalizzazione siano stati un modo per cercare di gestire la crisi sistemica statunitense. Cioè la crisi della capacità degli USA di coordinare ed egemonizzare i meccanismi di accumulazione capitalistica mondiali.

La crisi sistemica precedente, cioè quella dell’egemonia Britannica, ha visto la guerra dei trent’anni, 1914-1945 tra Stati Uniti e Germania per subentrare alla Gran Bretagna come potenza egemone, ha visto la crisi del ’29, ha visto la nascita dei fascismi storici, e infine dopo la vittoria degli Alleati ha visto il ristabilimento di un nuovo ordine mondiale egemonizzato dagli USA (ovviamente esteso solo in modo imperfetto sul pianeta: essendo il capitalismo basato su sviluppi differenziali e conflitti di potere, non ci può essere un “capitalismo universale”, ultraimperialistico).

Questo ciclo egemonico statunitense è entrato in crisi nel 1971. Da allora si è fatto di tutto per rilanciarlo: gestione della stagflazione e poi violentissima deflazione, finanziarizzazione, programmi di Guerre Stellari, globalizzazione, guerre imperiali dopo la caduta del Muro di Berlino (Croazia, Bosnia, Serbia, Somalia, Afghanistan, Iraq due volte), utilizzo dell’estremismo islamico (vedi ad esempio la Cecenia), e poi “rivoluzioni colorate”: Serbia, Bielorussia, Ucraina, Kirghizistan, Georgia, tentativi poco chiari o maldestri di ingerenza in Tibet e in Birmania, tentativi per fortuna non riusciti in Venezuela e in Bolivia (e infatti in Honduras si è ricorsi a un classico golpe).


3. Non c’erano, in certi casi, anche gravi contraddizioni interne che hanno facilitato il rovesciamento dei governi o il tentativo di farlo? Certo, a volte c’erano e a mio avviso la “rivoluzione verde” iraniana è spia di importanti contraddizioni in quel Paese, ma ne riparlerò solo dopo che la crisi sarà passata, perché adesso esse sono, come si sarebbe detto una volta, contraddizioni secondarie.

A volte invece sono state inventate; a volte sono state ampliate o fatte incancrenire ad arte (è il caso del Kosovo, dove una non-pulizia etnica, come ha stabilito in seguito l’OCSE, era descritta, Veltroni docet, come “un genocidio secondo solo ad Auschwitz”; dove una organizzazione criminale come l’UCK veniva rifornita di armi dalla Nato; dove semmai c’è poi stata una pulizia etnica contro i Serbi, i Rom e gli Ebrei, ma gli intellettuali di sinistra, come Adriano Sofri o Astrit Dakli del Manifesto, si sono guardati bene dal parlarne.

A parte tutto questo, il punto principale è che di queste contraddizioni (quando reali), delle sofferenze della popolazione che si dichiara di volere aiutare, della democrazia, eccetera, eccetera, di tutto ciò ai giochi imperiali non frega proprio un bel nulla. La parola “democrazia” è la meno citata nei report e negli studi geostrategici, se non come possibile arma da guerra.


4. Siamo attualmente di fronte a uno scontro globale di poteri statali in cui gli Stati Uniti sono in questa fase l’attore più pericoloso.

Capisci cosa vuol dire concretamente per gli USA vedersi ridimensionare al ruolo di grande potenza ma non superpotenza dominante? Capisci ad esempio che cosa vuol dire per gli USA avere un dollaro carta-straccia che non si può più sostenere sul predominio militare-politico statunitense ma è mantenuto in vita dalla benevolenza degli altri, ovvero dai loro giochi intrecciati d’interessi, perché tale è la “benevolenza”? Capisci cosa vuol dire per la sua tenuta sociale (parliamo di un Paese senza ammortizzatori sociali, un grande Far West capitalistico) un ridimensionamento dei livelli di consumo? Capisci perché se la crisi si aggrava non è fantascienza un attacco contro l’Iran, come ha per altro minacciato Kissinger, che significherebbe avere l’economia mondiale in ginocchio il giorno dopo e in questo procurato deserto la ancora ineguagliabile forza militare e politica statunitense cercare di fare il buono e il cattivo tempo con rischi inenarrabili?

Vogliamo evitare gli incubi? Allora bisogna ragionare con coordinate antimperialistiche e non di sinistra (a meno che la sinistra non le adotti, cosa che non sembra voler fare). Vogliamo evitare gli scenari da incubo? Allora dobbiamo mobilitarci contro tutte le manovre imperialistiche statunitensi e i loro colpi di coda.


5. La sinistra nei confronti dell’imperialismo ha sempre fatto bau-bau a parole, ma alla prova dei fatti si è di solito allineata. Che altro è successo all’inizio del secolo scorso durante la Grande Guerra? La sinistra di allora ha votato i crediti di guerra per sostenere i propri imperialismi (onore a Lenin che ha invece tirato fuori la Russia dal grande macello).

Che cosa ha fatto la sinistra in Italia durante il secondo governo Prodi dopo le oceaniche dimostrazioni contro le guerre di Bush? Ha votato i creditini di guerra, rifinanziando l’invasione dell’Afghanistan - l’unico che non c’è stato, Turigliatto, è stato cazziato persino dalla Rossanda: l’importante era tenere in vita un’accozzaglia immonda che evitasse il ritorno del Berlusca; non era smettere di fare da pedalino alle strategie imperiali di Bush. Per non parlare della guerra alla Serbia del post-comunista D’Alema.

Tanti bau-bau liturgici contro la guerra in Afghanistan e quella in Iraq (perché, ci piacevano forse i Talebani e Saddam Hussein?) si sono rivelati per quel che erano: piagnistei pseudo-umanitari in stile pretesco. Ben vengano i preti a fare i preti, ben vengano i boy-scout a fare i boy-scout, ma il compito dei comunisti non era diventare una massa di boy-scout senza calzoni corti ma con le bandiere del Che, o una massa di preti senza clergyman che inneggiano ai matrimoni gay di Zapatero (che poi già nel 2007 costui abbia fatto fare più di 660.000 respingimenti di immigrati non ci interessa, noi ci incazziamo per i 500 respingimenti di Maroni nel 2009 - e ovviamente con Gheddafi. E’ un argomento di “destra”? Anche i marocchini ammazzati perché cercavano di immigrare clandestinamente a Ceuta nel 2005? E il blocco navale denominato in codice “Operazione bandiere bianche” nel Canale d’Otranto deciso dal primo governo Prodi e costato la vita il giorno di Pasqua del 1997 a 85 albanesi? E’ un altro argomento di “destra”? Beh, allora cerchiamo di farli diventare di sinistra questi argomenti!).

Il compito, addirittura classico, dei comunisti sarebbe stato quello di egemonizzare quei movimenti, indirizzarli verso una coerente politica antimperialista.

E invece, eccoci qui alla prova dei fatti. Stretti tra il Gandhi statunitense Barack Obama e il Gandhi iraniano Mir-Hossein Mousavi, inneggiamo alla “lotta per la libertà dei giovani, degli studenti, dei lavoratori e delle donne iraniani”.

Perché bisogna dire così. Esattamente come si deve sempre aggiungere “l’unica democrazia in Medio Oriente” quando si parla di Israele, “la più grande democrazia del mondo” quando si parla di India, bisogna dire “leader moderato” quando uno si stende a pedalino, “leader estremista” quando invece difende gli interessi dei suoi, “pazzi” quando si parla dei leader della Corea del Nord, “musi gialli disonesti e imbroglioni” se si parla dei Cinesi, e “l’unico indiano buono è un indiano morto” se si parla di Pellerossa, allo stesso modo quando c’è una “rivoluzione colorata” è buona creanza dire che è fatta da “giovani, studenti, lavoratori e donne”.

Verifiche? E che? Si verifica un assioma e specialmente un assioma che non dice nulla?


6. Mi rendo conto benissimo che i percorsi soggettivi sono complessi e le motivazioni anche, ma l’effetto è che hic et nunc appoggiare la rivolta colorata (verde in questo caso) è esattamente come votare i crediti di guerra. E’ esattamente come sostenere l’invasione dell’Afghanistan e quella dell’Iraq (amo forse Ahmadinejad?). I distinguo sono per dopo, tutto il continuum sociale tra individuo e stato-nazione lo indagheremo dopo la crisi. Sarà obbligatorio farlo, anche in termini politici. Oggi non si può, perché è in corso un attacco imperialistico all’Iran.

Se non lo si capisce non solo non eviteremo, ma rischieremo noi stessi di fare disastri che possono avere conseguenze catastrofiche.

E’ un discorso cinico? Al contrario. Il cinismo è quello di chi sfrutta il malessere degli altri per i propri fini. E quando finiranno i fumi della disinformazione e, come è successo in Kosovo, in Romania, in Venezuela, inchieste serie chiariranno alcuni misteri, sono sempre più convinto che l’uccisione della giovane Neda Sultan diventerà un simbolo di questo cinismo. Mi posso ovviamente sbagliare, ma potrebbe proprio finire così.


D’altra parte, non lo sapeva già il Manzoni: “E il premio sperato promesso a quei forti, sarebbe, o delusi, rivolger le sorti ...”?

Un abbraccio.

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