domenica 24 marzo 2024

(NON) TREGUA PASQUALE

Negli ultimi due anni abbiamo visto cancellare cicli su Cechov, annullare o contestare spettacoli di o con artsti russi e un murales con Dostoevskij diventare pietra dello scandalo. Con ostentata ignoranza e proterva idiozia ci si dimostrava fieramente determinati a stracciare e bruciare alcune pagine della cultura europea in nome di un qualche principio (un principio tutto meno che superiore). Secondo alcuni addirittura in nome di una democrazia europea, che a livello di UE non è mai esistita.

Quindi gli auguri di buona Pasqua ve li faccio ora, all'inizio della Settimana Santa, con questa:


mercoledì 20 marzo 2024

FISICI, COMUNICAZIONE DELLA SCIENZA, PARADIGMI SCIENTIFICI

 

Qualcuno avrà capito che mi piace molto di quel che ha scritto Lisa Randall, che è un fisico teorico. Mi piace anche quel che produce Sabine Hossenfelder. Perché loro non riducono il tutto a un testo buono per la terza elementare, o forse oggi sarebbe meglio dire terza media, cosa che sarebbe la ragione sociale prevalente dell'attuale divulgazione scientifica: un catechismo per la terza media o per persone con il livello intellettivo di uno studente italiano di terza media. E infatti, neanche a farlo apposta, inoltrato da Starbuck:

https://www.feltrinellieducation.it/corsi-live/scrittura-e-letteratura/scrivere-di-scienza-realizzare-un-prodotto-di-divulgazione-scientifica

Come realizzare un prodotto di divulgazione scientifica? Farlo scemo e moralistico. Più scemo e moralistico è, più funziona (Burioni docet ma anche tutto il resto non scherza, con rare eccezioni di cui qua sopra o ai tempi della presenza social si è parlato). Se qualcuno non ci è arrivato quel che perlopiù passa come divulgazione in Italia non ha a che fare con le scienze, ma con lo spettacolo. Ci si può nascondere dietro il dito del termine "infotainment", ma resta il fatto che è intrattenimento e che quindi non incorpora in nessun modo qualsiasi cosa che sia "disciplina". Come dice un mio vecchio amico "Un divulgatore è uno scrittore fallito". E "divulgare" è una più o meno accattivante cosmesi del fallimento. Nell'impermanenza cronica dell'occidente odierno, in cui ben difficilmente un libro prodotto oggi sarà ricordato non tra 50 anni ma neanche tra 10, "divulgazione" è l'ennesimo prodotto usa e getta, buono per far fare un pugno di like, un poco di share, un poco di copie vendute, ma sopratutto buono a puntellare le parole d'ordine dominanti.

E infatti ci sarebbe da chiedersi: perché realizzare un prodotto di divulgazione scientifica in una fase storica in cui in primis servirebbe coscienza politica? Provate ad immaginare una risposta.

Io la risposta me la sono data da tempo,

E per questo 'sta roba non mi piace (blando eufemismo), ma mi piacciono per esempio i video di Marco Casolino. Mi piacciono per un paio di motivi. In primis non c'è traccia di moralismi d'accatto, non abbassa il livello, e sono convinto che buona parte del suo pubblico capisca di non capire il dettaglio. Il secondo motivo è perché è un instancabile cercatore di "odd balls", cioè oggetti osservati per cui i conti tornano ma risultano incongrui per più di un verso nel corrente paradigma dell'astrofisica.

Dall'esterno (essendo fisica e chimica ambiti poco comunicanti) potrei ipotizzare che se ci saranno novità significative nei prossimi anni saranno nell'astrofisica e per il motivo più semplice: nuovi e migliori strumenti di osservazione. E guardando e ascoltando, meglio si osserva meno i conti tornano (quel che sta succedendo, aggiungendo le incognite di materia ed energia oscura quest'ultima molto più incognita del resto). A pelle mi verrebbe da ipotizzare che siamo solo all'inizio delle osservazioni che non si incastrano benissimo nel corrente paradigma dell'astrofisica. Spero che quel che seguirà sarà una serie di eventi interessante.

PS: Mi piace anche quel che dice Carlo Rovelli, ma questo è un altro discorso.

domenica 17 marzo 2024

CLIMA, UNA RISPOSTA PUBBLICA, VARIE ED EVENTUALI

https://theproudholobionts.substack.com/p/the-climate-has-always-changed-so

Magari quelcuno riconosce l'immagine, già comparsa qua sopra. Quel post ha provocato un commento pubblico di Ugo Bardi. Dopo diversi giorni, ho pensato che forse una mia risposta pubblica sarebbe stata opportuna.

In primo luogo ringrazio Bardi per la presentazione in inglese but I'm not that guy, not exactly:

“The Skeptical Chemist,” an Italian expatriate in Europe whose real name is unknown but who clearly has a deep knowledge of chemistry, in particular pharmaceutical chemistry. His blog and his pages on social media were very successful during the pandemic when he criticized the various manipulations of the truth by the powers that be. As you may have expected, the PTBs took their revenge by making his blog disappear from search engines and social media and also directing against him the wrath of a crowd of clowns in search of a circus. The Skeptical Chemist abandoned social media; he still publishes his blog, but has closed the comments.

Detta così sembra che io io sia una qualche specie di martire per avere dato contro a una lunga serie di bestialità che andavano per la maggiore, e non è assolutamente così. L'anonimato è stata una difesa molto efficace e credo di aver fatto ben poco (e senza risultati) rispetto a Guido Silvestri e Sara Gandini, la cui azione durante la pandemia è stata molto efficace e che per questo si sono visti arrivare addosso di tutto. Ah, una nota: nel branco che gli gettava fango addosso i soggetti più qualificati erano accademici di terza fila con H-Index al limite dell'invisibilità, in un campo in cui l'H-Index è tutto o quasi. Questo giusto per ricollocare in prospettiva il fenomeno.

Tornando a questo blog, non mi risulta che sia sparito dai motori di ricerca e quanto al suo posizionamento nelle ricerche mi interessa poco. I "powers to be" non si sono  mai fatti sentire, a quel che mi ricordo, e per quel che riguarda la visibilità online il suo andamento l'ho sempre attribuito ai successivi giri di vite sull'informazione, ad algoritmi sempre più stringenti, eccetto che in un singolo caso molto circostanziato. Per quello che riguarda i pagliacci confermo, ma ritengo sia qualcosa che succede a chiunque raggiunga un briciolo di esposizione parlando di temi divisivi. Le ragioni dell'abbandono dei social sono state anche quelle spiegate

Riguardo i commenti sul blog, all'inizio non erano aperti perché c'era la presenza sui social, e quindi si poteva commentare lì. Oggi proprio le ragioni che mi hanno spinto ad abbandonare i social sono le stesse per lasciare chiusi i commenti. Ma veramente si pensa oggi che un pubblico dibattito produttivo sia generalmente possibile? Sia sui grandi media che sui social si tratta solo e unicamente di consolidare la fanbase, la bolla, il proprio elettorato, grandi o piccoli che siano. A questo ormai si è ridotta la dialettica in tempo reale sui media, social o no. Ed è qualcosa per cui ho perso ogni interesse, se non si è capito. Le possibilità di interazione con questo blog sono limitate alla mail, che prevede un meccanismo meno di pancia, meno istintivo e magari più ragionato rispetto a un commento o una reazione sui social. 

Ritornando alla faccenda clima faccio presente di nuovo che l'autore del pezzo non voleva dire "il clima ha cicli" (grazia graziella etc), né tantomeno "il clima ha cicli e quindi l'uomo non c'entra niente", ma voleva sottolineare quale sia il background di variabilità con cui il modellista deve avere a che fare. Un altro mio contatto, che nella rilevazione di parte dei dati coinvolti ci lavora, ha commentato: " Bravi voi che parlate di modelli, e tutto perché non avete mai visto i dati con cui li fanno e le relative incertezze".

Di nuovo questo non significa che "il clima cambia da sempre e i modelli sono basati su dati spazzatura". Semplicemente significa che in primo luogo i modelli non sono Sante Tavole della Verità. 
In secondo luogo significa che non solo non siamo in grado di produrre predizioni affidabili per un determinato momento del futuro: anche con la previsione dei trend  gli intervalli di confidenza si possono dilatare fino a svariati gradi o decine (plurale) di anni, e basta vedere i grafici IPCC: 

Global surface temperature changes relative to 1850-1900, degrees C, under the five core emissions scenarios used in AR6




Quale è la differenza rispetto a cose ormai dimenticate, come questa roba che venne dall'Imperial College riguardo al COVID nel 2020?


Dovrebbe essere evidente: la differenza è la scala temporale. Ed è quello a cui mi riferivo con un post di qualche tempo fa. E' grazie a questa differenza che sappiamo che le previsioni 2020 di Imperial College valevano niente. Riguardo al clima invece nel modello IPCC siamo in un punto in cui gli scenari sono ancora completamente confusi. Per validare il modello IPCC con l'osservazione dei dati occorrerebbe essere nel 2100, quando le previsioni dei tre scenari non saranno più sovrapposte. Oppure le previsioni potrebbero essere confermate da un'innalzamento di temperatura di 2.5 °C nel 2050: ma se aspettassimo il 2050 per verificare, rilevando un aumento di temperature di 2.5 °C, allora saremmo in guai estremamente seri e la situazione potrebbe essere irreversibile. Ma c'è da considerare che i margini di incertezza (confidence intervals, credibility intervals o quello che volete) potrebbero essere un poco più ampi di quelli raffigurati.
 
Detto questo, l'intero pacchetto è stato confezionato come "Lo dice la scienza" e amen. E quindi si è passati in un dominio in cui concetti come errore, σ2, p-value e Confidence Interval non hanno cittadinanza, muovendo in un territorio che non ha a che fare con nessuna disciplina scientifica (dominio politicamente presidiato dalla "sinistra" parlamentare e da movimenti più o meno isterici).
Le conseguenze politiche della cosa sono sotto gli occhi di chi vuol vedere, tali e quali come per il COVID. L'esempio più recente e eclatante? Stabilire che in Europa gli edifici preesistenti debbano raggiungere la classe energetica D entro il 2033 (tra l'altro non è che solo l'Italia abbia centri storici, eh...).

Concludo ripetendo le parole dell'autore del post originario:

Parlare di previsioni del clima senza discuterne l'incertezza semplicemente non ha senso, e chiunque non metta il problema dell'incertezza al centro, sta cercando di passare un'agenda politica, non di trasmettere un messaggio scientifico. Anzi, parlare di incertezza è essenziale proprio perché parlando di incertezza si può esplicitare la dimensione politica di un dibattito che può svilupparsi sul problema del clima, trattandolo come un problema da valutare, soppesare, paragonare ad altri problemi.


giovedì 14 marzo 2024

MOLIBDENO, LISTE, GUERRA

In passato ho parlato di acciaio smaltato, aggiungendo una valutazione puramente estetica. L'acciaio smaltato non è l'unico materiale usato per la reattoristica industriale. C'è anche l'acciaio inossidabile, tipicamente l'AISI 316 . E dal punto di vista dell'estetica l'acciaio inossidabile lucidato è qualcosa.

Ci sono consistenti differenze tra i due materiali, L'acciaio smaltato ha un'alta resistenza chimica. In particolare è resistente alla maggior parte degli acidi alogenidrici (acidi cloridrico, bromidrico, iodidrico). Ma è vulnerabile alla corrosione da alcali a caldo (Idrossido di sodio, idrossido di potassio) e da acido fluoridrico, che invece non creano problemi all' AISI 316. Poi c'è un altro aspetto che riguarda conduttività termica e calore specifico. L'AISI 316 ha conduttività termica di 15 Watt per milliKelvin e un calore specifico di 500 joule per Kg K (dove K ancora è il grado Kelvin). L'acciaio smaltato ha invece una conduttività termica di 1.2 Watt per milliKelvin e un calore specifico 800 joule per kg K. Il che vuol dire che con un reattore smaltato servono più calorie per scaldare il materiale del reattore (o più frigorie per raffreddarlo) e che la tramissione di calore ai suoi contenuti o sopratutto la rimozione di calore dai suoi contenuti è meno efficiente rispetto a AISI 316 (il che si traduce in tempi di riscaldamento o di raffreddamento più lunghi). Quindi se devi lavorare, per esempio, a -80 °C forse l'acciaio smaltato non è la scelta più appropriata. Anche perché c'è un ulteriore aspetto che riguarda coefficienti di dilatazione termica e la resistenza meccanica. Non si può stressare un reattore smaltato con differenze di temperatura troppo grandi tra temperatura di camicia e temperatura interna, altrimenti si rischiano crepe nello strato di smalto, con conseguenti rischi di corrosione (perché i contenuti del reattore filtrano fino all'acciao e la protezione dello strato di smalto viene compromessa).

Ma se si deve lavorare a temperature criogeniche e con acidi alogenidrici come si fa?

C' è l'Hastelloy, e in particolare l'Hastelloy C, che riunisce i pregi dell'acciaio inossidabile con quelli dell'acciaio smaltato. Piccolo particolare: è costoso e la sua lavorazione è molto costosa. Per cui di solito i reattori in Hastelloy C sono relativamente piccoli (100-500 l). 

Cosa hanno in comune AISI 316 e Hastelloy C? Il molibdeno, usato ormai da ben più di 150 anni nella fabbricazione di leghe e superleghe metalliche (e l'Hastelly è appunto una superlega). L'86% della produzione mondiale di molibdeno va a finire in leghe metalliche.

Mi chiedo, viste le condizioni dell'Italia e l'attuale stato di cobelligeranza del paese contro la Russia e contro lo Yemen, se il governo italiano non abbia mandato a Washington una lista del molibdeno 2.0. Secondo me non lo ha fatto, tanto ci sono i soliti che pagano: i cittadini.

https://www.youtube.com/watch?v=xumfir54xb4

Ma d'altra parte il livello è esattamente quello di un centinaio di anni fa:


PS: Come sono carini quelli che scrivono articoli ringhiando con la bava alla bocca quando annusano la sillaba "pa", essendo strasicuri che un putiniano rossobruno indegno di esistere o un papa qualsiasi concluderà la parola. Dovrò spiegare al collega russo che in Italia l'unico russo buono è un russo morto, a meno che non sia un fedele di Navalny.

mercoledì 13 marzo 2024

SCIENZIATI “VERI” - By Starbuck (RELOADED A TRE ANNI DI DISTANZA)

“ [...] in esse (le case farmaceutiche, NdS) lavorano tanti scienziati veri” mi ha recentemente rammentato qualcuno, pensandomi una no-qualcosa contro le case farmaceutiche. Ovviamente quel qualcuno non ha idea né della persona ma neanche del personaggio, e ovviamente quel qualcuno era intento a sciorinare tutto il copione sui “vaccini che salvano vite”. Nulla di nuovo, solo che... ho riso.
Di quel riso ironico un po’ folle un po’ amaro. Certo certo....chissà come se li immagina, gli scienziati veri, se col camice immacolato e con la camicia stirata sotto, il taglio di capelli perfetto e la macchina tirata a lucido nel parcheggio aziendale.
Ho riso, ripensando a quando la figura “scienziato vero” la interpreto io. Quando il conoscente dell’infanzia mi presenta orgogliosamente alla famiglia come “scienziata”. Quando magari mi chiamano per andare a fare divulgazione da qualche parte, perché “una di quelle figure che ispirano”, che “la scienza la fanno davvero”, o almeno così è nella testa di chi mi contatta.
Perché c’è la scienza vera e quella finta, apparentemente.
Guardo il mio camice: colletto ingiallito e numeri scritti col pennarello sugli avambracci. Il mio primissimo capo progetto ci teneva che avessimo un camice bianco per quando c’erano “le visite” ai laboratori, e che “mettessimo in ordine” preparassimo le lavagne e gli schermi dei PC con “qualcosa di bello”.
Gli “scienziati veri”, chi sarebbero poi? Quelli che magari oggi hanno tirato fuori la molecola magica, dietro una scrivania incasinata, trovato la sintesi sopra un bancone affollato, magari anche un po’ troppo...lo stesso bancone che fino a ieri “non puoi mettere un po’ in ordine in quel casino”. Quelli pagati quando va bene il giusto. Quelli che se domani va male, se non si trova una nuova molecola magica, tra 7-8 anni potrebbero essere lì a sperare di reinventarsi come qualcos'altro, che le bollette le pagano apparentemente anche loro.
Non so quanta poesia ci si vede dietro il lavoro della fantomatica scienza. Dal mio punto di vista il fantastico mondo della ricerca sperimentale (pubblica e privata) è costellato da laboratori chiusi, in cui in più di una volta sono andata a rovistare per raccattare qualcosa che mi servisse, prima che finisse a metà tra discarica e scantinato. Di laboratori in cui il collega alla soglia della pensione ti supplicava di “salvargli” quello strumento lì, di tenergli in vita quel progetto là, fino a ieri tanto importante, ma che domani si sarebbe inesorabilmente spento con lui, per sempre.
Scienziati...veri? Di sicuro gente che ci ha dedicato energie, passione, pezzi di vita, qualche weekend di troppo, qualche nottata di troppo. A raccattare 2 fondi, mezzo strumento, una persona in più “quello è in gamba, potrebbe prendere in mano le cosa”, ma molto spesso non andava così. Finiva in una sintesi scema, nell' accettare un progetto stupido e sottopagato o sottofinanziato per poter chiudere un anno, sperando che il prossimo sarebbe stato migliore.
“Scienziati” bruciati, persi, sciolti in qualche fusione aziendale. Finiti quasi tutti nel dimenticatoio, tranne per quei 3 o 4 che avevano ispirato quei 10-20 con cui avevano lavorato. Per le HR erano semplicemente “risorse in esubero”.
Fate una bella cosa, va? La scienza e gli scienziati veri lasciateli un po’ in pace, nelle pagine di giornale, nei post. Se non l’avete mai vissuta questa vita, nella pelle, nei compromessi, nelle ossa, nelle risate ma anche nei pianti, non parlatene, non è ... semplicemente, non è roba per voi.
 
Addendum by CS: 
 
Gruppi della ricerca pubblica e universitaria sottofinanziati fino a farli morire di inedia? Visti.
 
Centri ricerche privati svuotati, chiusi, sottoposti alla "ricetta spezzatino"? Visti. 
 
Brevetti lasciati scadere perché non c'erano soldi per pagare i canoni annuali? Visti.

Come fu ricompensato il gruppo che nella precedente vita di IRBM tirò fuori il primo inibitore dell'integrasi di HIV approvato da FDA? Con lo smembramento, la mobilità, il licenziamento.
 
Stessa cosa per il gruppo GSK che in Irlanda tirò fuori Tykerb. 
 
Quando si diceva che arrivava Pfizer a comprare la baracca gli sciocchi esultavano, gli altri spedivano curriculum. 
 
Niente a che vedere con survival of the fittest, sempre che per "fittest" non si intenda quello ammanicato con la politica o con i vertici del management o quello bravo a rifilare asset da centinaia di milioni a manager di grandi farmaceutiche troppo stupidi e troppo avidi per accorgersi di quando gli rifilano un pacco (vedere alla voce "Sirtris").
 
In tutta la mia carriera sono sopravvisuto a diverse crisi del settore. A volte a malapena, una volta molto, molto a malapena, tipo che mentre ci sei in mezzo non credi che riuscirai mai a rialzarti. Mi è capitato di lavorare con altri sopravvissuti e di frequentarli. E mi è venuto da pensare che il nostro tratto comune oltre alla professionalità è il totale disincanto: la coscienza che qualsiasi risultato tu possa conseguire non ti salverà dalla scure dei tagli di budget quando la scure cadrà. Disincanto non si significa cinismo o egoismo: di atteggiamenti "meglio a te che a me" non ne ho mai davvero percepiti. Piuttosto ho percepito quella solidarietà che spesso nasce nei gruppi di individui che vivono assieme situazioni prolungate di grande difficoltà o di grande pericolo.
Mi capita spesso di pensare a quanti invece non sono sopravvissuti (in alcuni casi non in senso figurato). E continuo a credere, per esperienza, che tra chi sopravvive e chi non ci riesce la differenza non è né di merito né di competenze, ma quella cosa impalpabile a cui diamo nome sorte o fortuna. Ovviamente processi economici globali e pesanti catene economiche locali sono alla base di tutti questi fenomeni ma tu, individuo, non ci puoi fare assolutamente niente se non schivarli se ci riesci.
 
Certo, un curriculum vitae "pesante" può essere una grande risorsa (all'estero) per trovare una nuova posizione, però si tratta di condizione necessaria ma non sufficiente. 
Ecco, "condizione necessaria ma non sufficiente" era un concetto incomprensibile per molti "giovani" col pieccedì in qualcosadiscientifico che arrivavano a scanagliare sotto un post ai tempi della presenza di CS sui social. Eppure comprendere la differenza tra necessario e sufficiente può essere vitale.
 
 
 

martedì 12 marzo 2024

L'ODIO BUONO

https://www.studiocataldi.it/articoli/46521-dare-del-no-vax-e-diffamazione-aggravata.asp

 

Al che l'Ordine ovviamente difende la vittima dell'odio social:

https://www.odg.it/odio-online-nei-confronti-di-una-giornalista-la-solidarieta-di-odg/54475

Quindi riepiloghiamo: una giornalista dà  del no vax a un magistrato, senza pensarci due volte, perché all'epoca era anche la maggioranza del giornalismo a indicare l'eretico all'odio del pubblico (con la massima discrezione riguardo a chi fosse eretico e chi no). Ovviamente al seguito della politica di area governativa. Capita però che il magistrato quereli la giornalista e vinca la causa (e mi viene da pensare che qualcosa abbia pesato il fatto che la vittima del "dagli al no vax" fosse appunto un magistrato). Poi la giornalista diventa una vittima dell'odio online e riceve la solidarietà dell'ordine.

Tutto a posto.

Perché c'è un odio giusto, che è quello dei giusti, che sono giusti perché aderiscono in toto alle parole d'ordine del momento, note anche come "pensiero unico". Come ci sono i nazisti tanto buonini, le sante liste di proscrizione e tutto il resto.

Poi c'è la legge, che ogni tanto decide altrimenti. So di altri soggetti del branco "dagli addosso" che quando è arrivato il day of reckoning in tribunale poi hanno abbassato la cresta, vista la mala parata, e non è andata proprio bene per loro (un eufemismo). Non ho usato finora la locuzione "pensiero unico", ma ormai credo che sia appropriata. I fieri portabandiera del pensiero unico da anni pensano di potersi permettere di tutto (la pasionaria di IoVaccino sparì nel 2018 dopo un imperdonabile scambio di tweet in cui aveva augurato all'interlocutrice, altrettanto settaria e aggressiva, la morte dei figli). Durante la pandemia è stato un "tana libera tutti" e chiunque si è permesso qualunque cosa. Si dirà anche al riguardo del presente caso "ma pure gli altri...". Certo, anche gli altri. E quindi la differenza tra le due parti quale sarebbe, lascienza? Lascienza santifica l'odio, come dall'altra parte lo santificherebbe laverità o ildubbio? Bello schifo (e ricordo che la violenza delle parole -e oltre- ha colpito più di tutti i dissenzienti non schierati, cfr Joannidis).

Probabilmente vedremo altri episodi del genere ma non sui "grandi" telegiornali e non ne leggeremo sui "giornaloni" .

domenica 10 marzo 2024

L' 8 MARZO ITALIANO VISTO DA LONTANO

 

https://www.ilsole24ore.com/art/intelligenza-artificiale-e-materie-stem-donne-ancora-ritardo-AFLX2IyC

Ho notato che nelle prime pagine dei giornali italiani venerdì scorso tutti parlavano di 8 marzo. Non così altrove e viene da pensare che la lingua batta dove il dente duole. Per fare un esempio altrove, e senza parlare di quote rosa o simili, le aziende si preoccupano che nella dirigenza ci sia un certo gender balance e io stesso negli ultimi tempi ho avuto a che fare forse con più dirigenti donne che altro. Ma se notate nell'articolo del Sole dietro la tinta "8 marzo" c'è un tema annoso: "non abbiamo abbastanza laureati STEM", declinato secondo l'hype del momento (intelligenza artificiale, etc). Solo che alla fin fine i talenti STEM che produci poi non riesci a tenerteli, specie se donne, per il semplice fatto che il tasso di occupazione femminile in Italia è di 14 punti sotto la media europea. E guarda caso se si parla di disagio occupazionale le donne sono al primo posto. Se ci si fa belli con il calo della disocuppazione (attestatasi sull'8%), la disoccupazione sostanziale fa paura. Nel 2023 donne 18,6%, uomini 16%. 2,7 milioni di working poor, in Italia, e il 51,2% sono donne. Quindi prima di chiedere più lauree STEM per le donne sarebbe bene porsi il problema generale, che invece nella liturgia italiana dell'8 marzo è stato accuratamente evitato. L'Italia non è un paese per giovani, e neanche per donne.

Al riguardo di donne e lauree STEM questa è una storia esemplare, anche se ne ho personalmente presenti di simili in UK, Danimarca, Svezia:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/03/storia-di-silvia-chimica-dei-materiali-in-olanda-qui-innovazione-continua-ed-equilibrio-tra-vita-e-lavoro-non-penso-a-tornare/7458645/

E' chiaro che non pensi a tornare: nonostante tutte le leggi e leggine sul "ritorno dei cervelli" se tornasse si ritroverebbe con uno stipendio inferiore (del 33%, probabilmente) e non destinato ad aumenti per tenere il passo con l'inflazione, scarse prospettive di carriera etc: lo stagno di cui parla.

Occorre dire che nel nord Europa sul lavoro per una donna le cose possono essere comunque difficili. Qualche tempo fa raccolsi lo sfogo di una validissima collega sulle battutine sgradevoli che le capitava di ricevere da alcuni senior manager maschi. Ma in Italia avrebbe probabilmente avuto di peggio e con uno stipendio assai più basso. E questa è forse la cifra più significativa della disparità di genere italiana: quella economica. Perché da noi il soggetto debole per eccellenza è quello economicamente debole (e, come diceva Daniele Luttazzi, non è democrazia se non te la puoi permettere). E quindi in Italia l'urgenza sarebbe quella di un "working class feminism", Purtroppo invece la questione è materia prima per la vuota industria dei media e per effimere esibizioni di colpa o dichiarazioni di intenti sulla carta stampata. Un teatrino usa e getta che è andato in scena mentre la crudissima realtà dei numeri rimane quella che è e se ne parla mezza volta l'anno in quinta pagina. Eppure un tempo le vicende infami in cui il padrone faceva firmare la lettera di dimissioni con la data in bianco, a sua disposizione in caso di gravidanza della dipendente, trovavano spazio negli approfondimenti televisivi. Un tempo Bread and Roses di Ken Loach lasciò un segno. Un tempo Chiedo la parola di Domitila Barrios de Chungara non era un testo dimenticato.

Ci si dovrebbe invece ricordare che l'8 marzo nasce per commemorare lo sciopero delle camiciaie di New York del 1908. In Italia come altrove è esistita una coscienza operaia al femminile. Prima e più importante cosa: Sciur padrun da li beli braghi bianchi, fora li palanchi, fora li palanchi. 

 

CHI SONO? UNO COME TANTI (O POCHI)

Con una laurea in Chimica Industriale (ordinamento ANTICO, come sottolineava un mio collega più giovane) mi sono ritrovato a lavorare in ...