Più autonomia alle Regioni per fare funzionare i territori

Caro direttore, nel suo editoriale di venerdì scorso, centrato sulla critica alle Regioni, Ernesto Galli della Loggia afferma che un futuro positivo per l’Italia potrà esserci solo con un sistema istituzionale fondato su un rafforzato ruolo delle strutture politico-burocratiche centrali, che considera più efficaci ed efficienti nell’interpretare i bisogni del Paese, anche locali, e nel predisporre e concretizzare risposte adeguate. Non solo. Gli stessi divari che caratterizzano il Paese sono il prodotto di una stagione del regionalismo introdotta dal Titolo V della Costituzione.

Per chiarezza di argomentazione è bene dire subito che questa lettura ci pare lontana dai dati reali. Ovviamente anche Galli della Loggia sa bene che il divario tra Nord e Sud del Paese ha origini più antiche, profonde e radicate. Così come si possono leggere con facilità i dati sulle performance della qualità dei servizi gestiti dallo Stato e dalle Regioni. Non è un mistero che per i servizi gestiti dallo Stato ci siano amministrazioni meno performanti, come risulta evidente dai tempi di pagamento. Così come, è bene ricordarlo, dove lo Stato assume i poteri commissariali sulla sanità regionale non si hanno grandi benefici. Ancora, vale la pena ricordare che lo Stato monitora con attenzione i livelli di prestazione socio-sanitaria delle Regioni stilando anche una classifica. Questo non succede sui servizi che lo Stato assicura, ad esempio, per l’istruzione.

È bene ricordare anche che le Regioni sono sottoposte a stringenti controlli da parte della Corte dei Conti che ogni anno esprime il proprio giudizio parificando o meno i loro bilanci e potendo visionare ogni procedimento.

Noi siamo convinti che al Paese non faccia bene restare in mezzo al guado istituzionale. Il Referendum Costituzionale del 2016 aveva visto bocciata una ipotesi di assetto neo-centralista. È necessario quindi operare per portare a compimento quanto previsto dalla Costituzione, investendo sulla autonomia differenziata per rispondere alle diversità che caratterizzano il Paese e per investire di responsabilità piena le comunità politiche, sociali e culturali.

Siamo convinti che si debba fare una operazione «chiarezza» individuando le diverse funzioni dei livelli istituzionali ed evitando sovrapposizioni di compiti e funzioni che provocano dispendio di tempi, energie e risorse. Le Regioni devono avere un compito di governo e programmazione e non di gestione amministrativa e una maggiore autonomia permetterebbe di affrontare meglio alcuni grandi temi che impattano con la vita dei cittadini. Si stabiliscano obiettivi minimi di qualità di prestazioni e servizi, un tetto di spesa e si lasci la libertà di decidere come e dove spendere. Si riconosca maggiore autonomia alle Regioni per connettere istruzione e formazione professionale. Si semplifichino davvero i processi burocratici e amministrativi che rendono impossibile realizzare opere in tempi ragionevoli senza derogare alle regole che lo Stato, e non le Regioni, si è dato.

Noi vogliamo maggiore autonomia per assumerci maggiore responsabilità, per rispondere alle esigenze dei nostri territori che ogni giorno ci chiedono di intervenire per risolvere problemi su cui non abbiamo la titolarità e che riguardano azioni di competenza dello Stato.

Pensare che il futuro del Paese dipenda da quanto si riuscirà a rafforzare lo Stato centrale organizzato con dei funzionari governativi che sul territorio interpretano e rispondono ai bisogni, ci sembra davvero non credibile.

Ieri è toccato alle Province essere al centro delle accuse di ogni nefandezza e oggi rimpiante da quasi tutti; oggi tocca alle Regioni anche con conti in ordine e capaci di investimenti; domani ai Comuni al grido di un regolamento edilizio uguale per tutti? Si pensi al futuro radioso in cui ci saranno solo sovrintendenze e provveditorati regionali delle opere pubbliche.

L’esperienza della pandemia ci ha dimostrato invece come sia necessario avere istituzioni locali che rispondano ai cittadini del loro operato, una ricca presenza di tessuto associativo per rispondere alle esigenze concrete delle singole persone. In questi anni troppo si è declamata la necessità di comprimere la spesa inutile, indicando la inutilità di associazioni rappresentative nell’epoca della liquidità. C’è, invece, bisogno di tornare ad investire sul capitale sociale perché ogni ricerca conferma che c’è maggiore crescita anche economica dove c’è maggiore ricchezza di capitale sociale. Un tessuto istituzionale fondato sul principio di responsabilità, di sussidiarietà e quindi di chiarezza e distinzioni di ruoli ci permetterà di guardare al futuro. La stessa Europa dovrà essere sempre più Europa delle Regioni, non solo dei singoli Stati nazionali se vogliamo rispondere alla voglia di protagonismo civile e alle diversità territoriali.

Presidente Regione Lombardia
Presidente Regione Veneto

15 dicembre 2021, 21:39 - modifica il 15 dicembre 2021 | 21:40

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