Più debito pubblico, meno crescita?

Philipp Heimberger riporta i risultati di una sua indagine sui moltissimi studi degli scorsi anni diretti a valutare la ben nota tesi enunciata da Reinhart e Rogoff nel 2010 secondo cui la crescita economica cade molto se il rapporto debito/PIL supera il 90%. Heimberger esamina 826 stime pubblicate su riviste scientifiche, sostiene che nel complesso non danno sostegno a quella tesi e trae conclusioni rilevanti per le politiche europee più appropriate di fronte agli elevatissimi debiti accumulati nella pandemia.

Pochi studi economici hanno avuto un impatto così profondo sulla vita delle persone come “Growth in a time of debt“, pubblicato nel 2010 da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. La conclusione principale a cui gli autori giungono, analizzando i co-movimenti delle serie storiche del debito pubblico e del Pil, è che quando il rapporto tra queste due grandezze supera il 90 per cento il tasso di crescita della seconda tende a ridursi in modo significativo. Della correlazione identificata da Reinhart e Rogoff viene data un’interpretazione causale dalle immediate implicazioni di politica economica: alti rapporti debito pubblico/PIL fanno male alla crescita.

Gli effetti politici non si sono fatti attendere. Specialmente in Europa, alcuni politici di primo piano hanno fatto riferimento allo studio di Reinhart e Rogoff per sostenere le ragioni di una politica di rigorosa austerità.

“Una seria ricerca empirica ha dimostrato che, a livelli così alti, il debito pubblico agisce come un freno permanente alla crescita”, disse Olli Rehn, allora commissario europeo per l’economia. Nel Regno Unito, il ministro delle finanze, George Osborne, dichiarò: “Come Reinhart e Rogoff dimostrano in modo convincente, tutte le crisi finanziarie hanno alla fine la stessa origine: un alto debito pubblico”. E negli Stati Uniti, l’influente deputato Paul Ryan proclamò: “Un noto studio realizzato dagli economisti Ken Rogoff e Carmen Reinhart conferma una conclusione di buon senso. Lo studio fornisce prove empiriche definitive che se il debito … supera il 90% del PIL si hanno significativi effetti negativi sulla crescita economica”.

Non esiste nessuna “soglia magica”. Lo studio di Reinhart e Rogoff e stato presto oggetto di critiche. Qualche tempo dopo la pubblicazione dello studio, uno studente di dottorato, Thomas Herndon, dimostra che i risultati di Reinhart e Rogoff sono distorti da una scelta arbitraria delle serie utilizzate, da errori di codifica nel file Excel che le conteneva e da decisioni non convenzionali circa la ponderazione delle statistiche di sintesi. Dopo aver apportato le opportune correzioni, Herndon e due suoi co-autori dimostrano l’inconsistenza empirica dell’associazione tra rapporti debito/PIL superiori al 90% e minore crescita del PIL. In breve, dimostrano che non esiste alcuna “soglia magica” superata la quale il rapporto debito/Pil tenderebbe a tradursi in una contrazione della crescita economica.

La critica di Herndon ebbe ampia risonanza e innescò un dibattito al quale Reinhart e Rogoff non poterono non prendere parte. Durante il decennio successivo alla pubblicazione dello studio, diversi ricercatori hanno usato i dati (corretti), così come proprie banche dati, per sottoporre a valutazione empirica l’ipotesi di Reinhart e Rogoff.

Studi influenti hanno confermato l’ipotesi di una associazione negativa tra rapporto debito/Pil e crescita superata la soglia del 90%. Altri studi, usando gli stessi dati o altri ad essi simili ma metodi parzialmente diversi, hanno tuttavia mostrato come non fosse possibile identificare una relazione causale negativa tra debito pubblico e crescita economica. Altri studi concordano sul fatto che gli effetti del debito sulla crescita sono non lineari e che tali effetti variano sistematicamente tra paesi – il che implica che non può esistere alcuna soglia uniforme oltre la quale la crescita tende a rallentare.

Meta-analisi. Ma allora, quale è la relazione empiricamente corretta? E perché studi diversi giungono a risultati contraddittori? In un mio recente articolo, presento una sintesi della letteratura empirica sull’impatto che elevati rapporti debito pubblico/PIL possono avere sulla crescita, usando gli strumenti della meta-analisi. L’idea di base è raccogliere tutte le stime rilevanti presenti in letteratura e renderle direttamente comparabili.

Sono state prese in considerazione 826 stime, eterogenee per quanto riguarda i dati utilizzati e la modellizzazione prescelta, riconducibili a 48 studi. Le stime sono state valutate in modo sistematico usando metodi statistici e inserendole in un più ampio quadro interpretativo. I risultati principali che emergono sono i seguenti:

  • Livelli più alti di debito pubblico sono associati a una crescita più bassa. La media non ponderata dei risultati riportati indica che un aumento del rapporto del debito di dieci punti percentuali è associato a un calo della crescita annuale di circa 0,15 punti percentuali. Apparentemente, ciò sembra implicare che il notevole aumento del rapporto debito/PIL verificatosi durante la pandemia agirà da freno sulla futura crescita economica;
  • Eppure, il numero di relazioni tra debito pubblico e Pil non significative o positive è inferiore rispetto a quello che dovremmo rilevare in base a questi risultati. Questo si può spiegare con una ‘distorsione’, favorevole alla pubblicazione di studi che sostengono la tesi degli effetti negativi del debito pubblico sulla crescita, da parte degli editori delle riviste scientifiche. Una volta corretta questa distorsione, non si può escludere che l’effetto medio sia nullo.
  • Inoltre, le correlazioni negative tra il debito pubblico e la crescita potrebbero essere dovute ad altri fattori che influenzano congiuntamente le due variabili; per esempio, una crisi bancaria potrebbe causare simultaneamente un rallentamento della crescita e un aumento del debito. A ben vedere, gli studi che affrontano questo problema di “endogeneità” arrivano a risultati che tendono ad essere meno negativi e che appaiono, invece, coerenti con l’ipotesi che il livello del rapporto debito/Pil non ha alcun effetto sulla crescita economica.
  • Anche se l’effetto lineare medio dell’aumento di un punto percentuale del rapporto del debito sulla crescita fosse indistinguibile da zero, potrebbero, comunque, esservi effetti non lineari. Questo è ciò che Reinhart e Rogoff sostenevano: se il rapporto debito/PIL resta al di sotto del 90% l’effetto sulla crescita potrebbe essere (vicino a) zero, ma se esso supera quella soglia l’effetto sarebbe chiaramente negativo. Tuttavia, l’evidenza empirica mette complessivamente in discussione l’ipotesi che possa esistere una soglia uniforme nel rapporto debito/PIL oltre la quale la crescita necessariamente si contrae. Le stesse stime della soglia, i.e. il 90%, sembrano infatti scaturire dalla particolare scelta dei dati e da specificazioni dei modelli econometrici considerate problematiche in letteratura.

Il dibattito sul debito pubblico, la crescita e la condotta fiscale appropriata riprenderà vigore dopo la crisi del Covid-19. In questo contesto, i decisori europei dovrebbero evitare di ripetere gli errori del recente passato.

Austerità controproducente. Ridurre il rapporto debito pubblico/PIL facendo ricorso all’austerità “ad ogni costo” sarebbe controproducente, come insegna l’esperienza della crisi dell’eurozona. In quel caso, le politiche di austerità hanno minato la ripresa in molte zone dell’Europa impedendo a numerosi paesi di ridurre il loro debito che con la crisi aveva raggiunto un picco. Un’eccessiva attenzione politica per la riduzione del debito pubblico può quindi essere controproducente in termini di sostenibilità del debito stesso.

D’altra parte, l’assenza di solide evidenze empiriche circa il sistematico effetto negativo che alti rapporti debito/Pil avrebbero sulla crescita, non implica che un paese possa sostenere qualsiasi livello di debito pubblico. I governi possono pur sempre trovarsi di fronte a un debito insostenibile (specifico del paese), soprattutto se i tassi di interesse aumentano in modo rilevante.

Quando il debito pubblico è molto elevato cresce il rischio che i governi si vengano a trovare in una situazione critica, nella quale la vendita dei titoli di stato da parte degli investitori indotta dal panico spinge in alto i rendimenti richiesti. Questo è particolarmente vero nell’eurozona quando, come è avvenuto durante la crisi di dieci anni fa, vi erano fondati dubbi sulla volontà della Banca Centrale Europea di fare da backstop ai mercati dei titoli di stato. Tutto ciò suggerisce che la capacità e la volontà di un governo di usare correttamente la politica fiscale dipende più dagli accordi di politica monetaria e dalla struttura del debito pubblico che dal suo livello effettivo.

Pensando all’oggi e alla crescita dei debiti pubblici causata dall’emergenza pandemica, ha importanza per i futuri tassi di crescita se il paese A dell’eurozona si caratterizza per un rapporto debito/Pil del 100 per cento mentre nel paese B quel rapporto è solo del 70 per cento? I miei risultati suggeriscono che questa eventuale differenza non ha importanza – e che quindi non c’è un’urgenza generale di ridurre i rapporti di debito in Europa. Un’ attenta lettura dell’evidenza empirica invita a guardare con molta cautela all’austerità quale risposta generalizzata a fronte dell’aumento dei debiti pubblici.

I politici europei, come anche molti economisti, dovrebbero quindi riconsiderare la loro recente fissazione circa le implicazioni negative per la crescita dell’aumento dei rapporti debito/Pil – e dovrebbero evitare di ravvivarla nella fase post-pandemica in cui stiamo entrando.

* Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese su Social Europe

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