sabato 20 aprile 2024

Le due più grandi bugie della finanza pubblica

 

In materia di deficit e di debito pubblico, le bugie e le mistificazioni che tocca leggere e ascoltare sono innumerevoli. Fare una classifica delle più fuorvianti, ignobili e spudorate è un compito arduo.

Però ce ne sono due che si stagliano sopra le altre.

La prima è che l’austerità riduca il debito pubblico di un paese, in rapporto al suo PIL. Austerità è quando una combinazione di politiche fiscali restrittive – tagli di spesa e aumenti di tasse – costringe l’economia del paese in questione a lavorare al di sotto delle sue capacità, quindi a contrarre produzione e occupazione.

L’effetto SICURO è che aumentano povertà, disoccupazione, precarietà e disagio sociale.

L’effetto TOTALMENTE ALEATORIO è che il debito / PIL cali. I presunti “risparmi” sono compensati, almeno in parte ma forse anche più che proporzionalmente, dalla diminuzione del gettito fiscale dovuta ai bassi livelli di attività economica. E il denominatore del rapporto aumenta.

L’altra macrobugia è che il paese si impoverisca se il debito pubblico sale, e che si arricchisca se scende. Il debito pubblico è uno strumento messo a disposizione di famiglie e aziende per impiegare il proprio risparmio finanziario. A parità di altre condizioni, meno debito pubblico significa meno risparmio finanziario privato. Che significa meno ricchezza, non più ricchezza.

Dovrebbero essere ovvietà. E invece…

domenica 14 aprile 2024

Superbonus, il “buco” che non c’è

 

Gli euroausterici vaneggiano a reti unificate in merito al “buco da 200 miliardi nei conti pubblici” che sarebbe stato prodotto dal Superbonus.

Naturalmente una prima risposta ovvia a questa affermazione è che sono stati emessi 200 miliardi di crediti fiscali, a fronte dei quali è stata però conseguita una crescita di PIL e di gettito. Parlare di “200 miliardi di buco” tiene conto di un elemento (i crediti emessi) ignorando l’altro (la crescita di gettito).

Ma in realtà l’errore dell’affermazione è ancora più basilare.

Immaginiamo che un’Italia in possesso della propria moneta decida di effettuare una manovra fiscale espansiva emettendo 200 miliardi (in lire) e distribuendoli ai residenti.

E immaginiamo che dopo un anno i 200 miliardi vengono utilizzati per pagare tasse. Si crea un buco ? no, perché l’Italia può, semplicemente, emettere altri 200 miliardi. La quantità di moneta in circolazione rimane la stessa, e non c’è bisogno di effettuare alcuna manovra fiscale restrittiva.

Poi, l’Italia può decidere di offrire al pubblico 200 miliardi di titoli di Stato. A quel punto la moneta in circolazione viene sostituita da titoli per pari importo. Cambia qualcosa nella solvibilità dello Stato ? no, perché i titoli sono rimborsabili in lire.

Con i bonus fiscali immobiliari, in realtà, l’Italia si è riappropriata della possibilità di emettere moneta: moneta fiscale, per la precisione.

La moneta fiscale a un certo punto viene utilizzata per pagare tasse. Come compensa questo effetto, lo Stato ? la maniera più ovvia e semplice sarebbe emettere un pari importo di moneta fiscale. Che non è debito pubblico (come riconosciuto dalla stessa Eurostat).

Dov’è che si crea un potenziale problema ?

Si crea perché l’ineffabile Giorgetti, senza spiegare perché, strepita che la moneta fiscale è brutta e cattiva, e quindi non se ne emetterà altra. Il che comporta di emettere titoli. Che sono denominati in euro, moneta che l’Italia non emette. Qui c’è l’incremento di debito, e qui c’è l’appesantimento della solvibilità.

Ma il motivo è solo e soltanto uno: SI POTREBBE CONTINUARE AD EMETTERE MONETA FISCALE VIA VIA CHE VIENE UTILIZZATA, MA GIORGETTI NON LO VUOLE FARE.

Capite adesso che il problema è creato ad arte ?

martedì 9 aprile 2024

Mercati e “assorbimento del debito”

 

Niente da fare, non ci si riesce a liberare dal tambureggiamento di commenti preoccupati in merito alla “capacità dei mercati finanziari di assorbire il debito pubblico”.

Capisco che la partita doppia, così come l’economia keynesiana, pur non essendo argomenti in realtà complessi (se per complessi intendiamo, che so io, la fisica quantistica o la grammatica sanscrita) siano in qualche misura controintuitivi.

La controintuitività può trarre in inganno chi non se ne occupa di mestiere. Ma i giornalisti economici ? ma gli economisti di professione ??

Ragazzi, l’emissione di debito pubblico viene effettuata per offrire un impiego al risparmio privato generato dalla differenza tra spesa pubblica e tasse (che è il deficit pubblico) e per reinvestire i proventi ricevuti da chi si vede rimborsato il debito in scadenza.

Non esiste alcun mismatch. Non esiste alcun “limite di assorbimento” contro cui si potrebbe sbattere la capoccia. Il nuovo debito offre un impiego al risparmio privato generato dal deficit, e un reimpiego al rimborso del debito scaduto.

Tanti soldi di qui, tanti soldi di là. Negli stessi ammontari. Le dotte e pensose analisi della “capacità di assorbimento del debito pubblico da parte dei mercati” usatele per incartare il pesce.

sabato 6 aprile 2024

Le cause del declino demografico

 

L’Italia nel 2023 ha registrato un nuovo minimo di natalità. Un fenomeno preoccupante che caratterizza il nostro paese più di altri, anche se è in effetti rilevabile in tutto il mondo economicamente avanzato.

Immancabilmente, si ripropone la domanda: è una tendenza che nasce da fattori economici, o ha cause sociali ?

La risposta è che si tratta di un misto delle due.

Il calo delle nascite è in primo luogo una conseguenza della cosiddetta transizione demografica. Le famiglie facevano tanti figli quando la mortalità infantile era elevata: tanti perché ne sopravvivesse qualcuno. Per fortuna tutto questo è stato superato con il miglioramento delle condizioni sanitarie e della situazione economica generale.

Un fenomeno strettamente sociale è poi dato dalle crescenti possibilità, e dal crescente interesse, delle donne a sviluppare carriere lavorative. Che sono difficilmente compatibili con il fare molti figli.

Però si rileva facilmente, esaminando i dati, che la caduta della natalità, rispetto ai picchi negli anni Sessanta, si era sostanzialmente arrestata a metà degli anni Ottanta. E le nascite erano rimaste grosso modo stabili fino alla crisi finanziaria mondiale del 2008.


Da lì in poi la caduta è ripresa, e a ritmi sostenuti, abbassando le nuove nascite annue da quasi 600.000 a meno di 400.000.

Quest’ultimo declino ha, indiscutibilmente, ragioni economiche. La crisi del 2008 e soprattutto le demenziali politiche di austerità fiscale introdotte su pressione UE nel 2011-2013 hanno prodotto questo ulteriore declino.

Si può invertire la tendenza ? certo che sì. Uscendo dai dogmi della governance economica di Bruxelles, e dalle sue ricette deliranti.

mercoledì 3 aprile 2024

Euroausterici, titoli e link

 Quando ci si confronta sui social network, due atteggiamenti ricorrenti caratterizzano le controparti aderenti al mainstream economico (in particolare se non sono commentatori occasionali, ma proprio economisti di professione).

La prima è reagire a un’argomentazione domandando “ma tu che titoli hai per parlare ? hai un PhD ? sei un docente universitario ?”.

Reazione veramente puerile. Se la controparte fa affermazioni di scarsa validità, sarà facile, dovrebbe essere facile, confutarle. Che bisogno c’è di cercare di sminuirle sulla base dei “titoli” di chi le formula ? Forse che confutarle è proprio quello che NON ti riesce di fare ?

La seconda è irritarsi perché la controparte supporta le sue affermazioni con link ad articoli o post. Anche questo è un atteggiamento puerile. Chi ha sviluppato in profondità la sua visione di un problema, ovviamente l’ha fatto sulla base di considerazioni, analisi, dati che per essere compiutamente esposti, illustrati, approfonditi, richiedono qualcosa in più dello spazio di un tweet. Ben venga il link, quindi.

Sono due atteggiamenti che esprimono mancanza di rispetto per l’interlocutore. Ma in realtà, più ancora, consapevolezza seminconscia che si sta cercando di difendere una posizione debole.

Molto debole. Anzi, perdente.

lunedì 1 aprile 2024

Debito pubblico, oneri e benefici

 

Il deficit pubblico incrementa il risparmio privato, e il debito pubblico E’ risparmio privato. Queste affermazioni, che dovrebbero essere sostanzialmente ovvietà, se non tautologie, sono nondimeno fortemente avversate dagli euroausterici.

Spesso il loro tentativo di confutazione s’impernia grosso modo su quanto segue.

Sì certo, il deficit pubblico mette soldi a disposizione del settore privato. Ma questi soldi rimangono in tasca ad alcuni soggetti, non a tutti. C’è chi riesce a risparmiare, magari anche parecchio, e magari utilizza il risparmio per comprare titoli di Stato. C’è che non ci riesce. Però l’onere di pagare le tasse grava invece  su tutti.

Per cui, conclude l’euroausterico, in realtà la spesa pubblica beneficia alcuni soggetti più, magari molto più, di altri, mentre “l’onere del debito” (in realtà, la necessità di pagare tasse per non spingere il deficit a livelli eccessivi in quanto inflazionistici) è un onere dell’intero paese.

La maniera corretta di esporre la situazione è un’altra.

Il deficit pubblico immette risorse nell’economia, e la spesa pubblica fornisce beni e servizi alla collettività, secondo un’allocazione che viene stabilita tramite un processo di scelte politiche.

Anche l’onere di pagare le tasse incombe sulla collettività, e anche modalità e ripartizione di pagamento delle tasse sono stabilite tramite un processo politico. C’è chi paga più tasse e chi meno. Il sistema dovrebbe essere informato a criteri di progressività, dice la Costituzione. Ma i criteri non sono sempre rispettati.

Il beneficio della spesa e l’onere delle tasse possono quindi essere ripartiti in modo iniquo. Nessuno, in effetti, considera mai la ripartizione perfettamente equa. Più o meno tutti vorrebbero ripartizioni diverse. Alla fine le ripartizioni sono il risultato di un processo politico, quindi di un compromesso.

Ci sono ripartizioni più efficienti e corrette, e altre meno. Ma è un problema di allocazione.

Non è che il beneficio della spesa “è solo di alcuni” mentre l’”onere del debito” (più esattamente, delle tasse) è di tutti.

Onori e oneri sono di tutti. In varia misura, come dicevo. Più o meno correttamente ed efficientemente.

Rimane però vero che il deficit incrementa il risparmio finanziario del settore privato, e che il debito pubblico è risparmio privato, perché ne rappresenta una forma di impiego finanziario.

Tutto il resto è un problema di allocazione. Problema importantissimo, beninteso. Ma che non inficia in alcun modo quanto detto al paragrafo precedente.

 

giovedì 28 marzo 2024

Il principio insensato della politica economica

 

Praticamente in tutto il mondo occidentale, la politica economica degli Stati, o più esattamente la politica fiscale, è incentrata, a parole anche se (per fortuna) non del tutto a fatti, su un principio basilare.

Basilare e completamente sbagliato.

Il principio è che il debito pubblico sia un fattore d’impoverimento del paese. Un onere che vincolerà lo sviluppo dell’economia e incomberà sulle generazioni future.

Bene: il debito pubblico non è niente di tutto questo.

Il debito pubblico è uno strumento messo a disposizione di aziende e cittadini per impiegare il loro risparmio.

E il deficit pubblico produce risparmio finanziario nel settore privato dell’economia. Se lo Stato spende più di quanto tassa, il settore privato riceve più di quanto paga.

Il deficit pubblico può essere eccessivo se genera livelli di inflazione troppo alti. Ma tipicamente deve esistere, perché un’economia in sviluppo ha bisogno di una crescita tendenziale e graduale dei mezzi di pagamento in circolazione.

E come crescono i mezzi di pagamento, devono crescere anche gli strumenti di impiego del risparmio: funzione, come detto, svolta del debito pubblico.

Invece politici e media paludati nel 99% dei casi parlano, e purtroppo troppo spesso agiscono, come se il deficit e il debito fossero un male da estirpare, o quantomeno da limitare, contingentare, ridurre. Da limitare perché non si riesce ad azzerarli: ma l’ideale sarebbe raderli al suolo.

L’Occidente è in preda a un’isteria collettiva che stiamo pagando a carissimo prezzo.