Bomba alla Polgai, su un frammento il Dna compatibile con un indagato

di Mara Rodella

La relazione del perito in incidente probatorio

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La polizia scientifica al lavoro davanti alla Polgai (Ansa)

Non sarebbe quantomeno estraneo all’attentato. Almeno stando alle informazioni genetiche restituite dai resti (centinaia) repertati dopo l’esplosione di un rudimentale davanti alla sede Polgai la notte tra il 17 e il 18 dicembre del 2015, rivendicata dalla «Cellula anarchica acca». quasi sei anni dopo, su un frammento «di tessuto nero, parzialmente combusto» e verosimilmente riconducibile a uno zanio, è stato trovato il Dna di Juan Antonio Sorroche Fernandez: 43 anni, spagnolo originario di Girona, sta scontando un cumulo pene di nove anni nel carcere di Terni. È accusato anche di aver piazzato una bomba carta che il 12 agosto 2018 danneggiò la sede della Lega Nord a Villorba, in provincia di Treviso.

A isolare la traccia, su incarico del gip Giulia Costantino (e richiesta del pm Erica Battaglia, titolare del fascicolo inizialmente archiviato e poi riaperto) è stato il generale Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma, che in veste di perito ha riferito in aula le conclusioni della sua relazione, cristallizzate in incidente probatorio, quindi utilizzabili come prova in un eventuale processo. Il profilo genetico misto, estrapolato dal campione biologico prelevato dal tessuto, ha scritto, presenta una compatibilità «da limitata a moderatamente forte» con quello dell’anarchico spagnolo.

Nell’inchiesta risulta indagato anche Manuel Oxoli, libero, 38 anni, bresciano ma all’epoca di casa in provincia di Trento come l’amico e già condannato per aver favorito la latitanza di Sorroche in Valcamonica. Di lui, che peraltro nel marzo scorso rifiutò di sottoporsi in forma volontaria al prelievo del Dna propedeutico alla comparazione, nessuna traccia. A lui era riconducibile il capanno di Sellero in cui furono sequestrate dalla Digos nel 2019 due pentole a pressione: utilizzate, con molta probabilità, «per cucinare». Questa la conclusione a cui arrivò Romano Schiavi, perito incaricato dallo stesso giudice, la scorsa primavera, di condurre una serie di accertamenti per capire se quelle pentole fossero compatibili con l’ordigno rudimentale esploso davanti alla sede della Scuola di polizia. Una risultò della stessa marca — Lagostina — di quella esplosa davanti alla Polgai di via Veneto, in città, ma presenterebbe un logo diverso e, soprattutto, «la sua produzione risale al 2016, quindi in epoca successiva ai fatti» aveva evidenziato l’avvocato Sergio Pezzucchi, che assiste gli indagati insieme al collega Manuel Mattei (del Foro di Trento).

Adesso all’inchiesta si aggiunge un tassello di carattere «biologico», che pesa sulla posizione dell’anarchico spagnolo. Dalle immagini di quella notte immortalate dalle telecamere si vedeva poco: un uomo appoggiare a terra davanti all’ingresso la borsa con dentro la pentola a pressione carica di polvere pirica che poi esplose.

1 dicembre 2021 (modifica il 1 dicembre 2021 | 10:50)