Sulla comunità nell’epoca liberal-democratica (Prima parte)

Sulla Comunità nell’epoca liberal-democratica. Elementi di teoria politica comunitaria (PRIMA PARTE)

 

PRIMA PARTE: RIPENSARE LA COMUNITA’ OGGI. BREVE INTRODUZIONE

 

  1. Preambolo

«Stiamo attraversando anni di oltraggio alla democrazia liberale, e questo enorme disprezzo non s’è certo esaurito. Ci è stato detto che tutto ciò che c’è di orrendo nel nostro tempo è colpa del liberalismo, o peggio, del neoliberalismo… È stato incolpato di tutta l’infelicità del mondo. I predicatori di una nuova felicità si chiamano, vantandosi, post-liberali. Talvolta uno si deve stropicciare gli occhi di fronte all’intensità dell’odio per la democrazia liberale: questi stolti capiscono ciò che stanno dicendo? (…) Questo è populismo». Dato che l’autore[1] di queste parole è un intellettuale, considerato tra i più influenti nell’area progressista statunitense, mi chiedo da quali libri e studi abbia tratto le sue conclusioni e i suoi giudizi che liquidano come stoltezza populista le critiche che da tempo investono la cultura liberal-democratica e neo-liberale: dalle colonne di battaglia giornalistiche? da comizi elettorali? Sia ben chiaro, anche le chiacchere da bar-sport politico sono legittime, così come lo sono le crociate contrapposte che imperversano sui social e che rudimentalizzano il confronto pubblico. Dato, però, che l’autore qui richiamato è un intellettuale, sarebbe sano, bello e doveroso aspettarsi meno sdegno offensivo verso chi vede le cose diversamente e più pazienza e raziocinio nel trattare il tema sul quale si intrattiene. Poco giova alla comprensione dei punti di vista altrui porsi come capo di una tifoseria che sbraita e inveisce contro la parte avversa. Di tanto in tanto, un bagno nel tacitiano sine ira ac studio è utile anche all’intellettuale militante. Pertanto, tacitianamente, chiudo questo preambolo e passo al mio argomento, che riguarda proprio la critica della cultura politica del liberalismo contemporaneo, ivi inclusa quella neo-liberal dominante nel nostro Occidente (dove “dominante, sia detto per inciso, non significa maggioritaria). Altra sarà la mia lingua e il mio favellar. 

2. PRIMA PARTE. RIPENSARE LA COMUNITA’ OGGI. BREVE INTRODUZIONE

I.

Nell’ultimo scorcio del XX secolo, il modello di vita incarnato da una declinazione neo-liberale del liberalismo storico diventa la bussola del mondo occidentale politico, economico e culturale: un modello osannato urbi et orbi, verrebbe da dire. A quell’epoca, e ancora nei primi decenni del XXI secolo, sembrano assenti idee di società robuste e capaci di opporsi o di proporsi come alternative alla modellizzazione (neo)liberale della vita sociale. Il tracollo dei regimi del “socialismo reale” dell’Europa centro-orientale, e con esso il tramonto dello stesso “socialismo ideale”, non lasciano né eredi né dubbi.  Il nuovo liberalismo lievitato nel “dopo guerra fredda” giunge al culmine del suo successo e imprime il suo marchio sul modo in cui vengono concepiti l’economia, la vita politica e democratica, il diritto, le relazioni sociali; ogni ambito della vita viene plasmato attraverso schemi culturali, giuridici e istituzionali derivati dal paradigma neo-liberale: economia di mercato, democrazia procedurale, diritti umani, libertà civili e personali del cittadino, stili di vita e di consumo ecc. Negli ultimi decenni, il (neo)liberalismo si è inoltre impegnato sempre più a “esportare” i suoi valori etico-normativi e suoi principi organizzativi di vita pubblica e di vita privata, collettiva e individuale, anche fuori dal suo “elettivo” spazio geopolitico e geoculturale, irradiandosi su territori sociali lontani dalla sua tradizione o storicamente estranei, a volte “con le buone” (soft power), a volte “con le cattive (hard power), ora con successo, ora con risultati ambigui o deludenti, fronteggiando talora opposizioni o resistenze[2].

Nel complesso, il trionfo neo-liberale è apparso tanto irresistibile ed ubiquo da indurre non pochi intellettuali, osservatori e studiosi a vedere nell’epoca marchiata dal modello neo-liberale l’avvento dell’epoca della “fine delle ideologie” o persino della “fine della storia”: quasi che la società costruita, pensata o desiderata con caratteri modellati dalle istituzioni, dalle forze e dall’egemonia neo-liberali fosse l’unico modo di esistere della società contemporanea o addirittura la sola società “oggettivamente” disponibile, reale e immaginabile. In ragione di questo modo di intendere le cose, però, nel momento del suo trionfo ideologico il neo-liberalismo (con i suoi alfieri e cantori) finisce per dimenticare o negare la sua intima e inevitabile natura ideologica[3], e cioè di “particolare” visione del mondo, costituita da uno specifico insieme di “idee ragionate” sul mondo e per dare una forma al mondo[4]. Detto in altri termini, il neo-liberalismo assunto a “pensiero unico” sui diritti, sull’economia ecc., e includente lo stesso linguaggio del politically correct, segna cioè la nostra epoca come un’epoca anch’essa profondamente, pervasivamente e sottilmente ideologica – o, per essere più precisi, come epoca dell’egemonia di un’ideologia e non già come epoca della fine dell’ideologia. D’altra parte, con il negare o delegittimare le “ideologie al plurale”, sul cielo liberal-democratico, ahimè, vengono a stagliarsi nubi neo-totalitarie.

La rappresentazione sopra richiamata della superpotenza neo-liberale[5] ad un esame più attento assume tuttavia contorni più sfumati, quanto meno sul piano delle elaborazioni intellettuali e della teoria politica. Su questo piano, infatti, la visione neo-liberale è stata accompagnata e sfidata da visioni alternative nel modo di “pensare la società”, nell’elaborare indirizzi differenti sul funzionamento dell’economia, del diritto, della politica, vale a dire nel rispondere all’imperativo ideologico (o di cultura politica) di “dare un senso” (significato e valori) a una società. Come già nel corso della storia plurisecolare del liberalismo classico, anche nel mondo contemporaneo del “dopo 1989”, la concezione neo-liberale della società è stata cioè sfidata da concezioni contendenti della vita in società: non sono mai mancate del tutto visioni del mondo che l’hanno criticata e contestata nei fondamenti.

Tramontato il linguaggio del socialismo[6] e, più recentemente, equivocato (in buona e cattiva fede) quello del populismo o del sovranismo[7], vorrei qui porre l’accento su un caso esemplare e accurato di “linguaggio della comunità”. Questo peculiare linguaggio della comunità merita particolare attenzione, non fosse altro per il fatto che esso, in vario modo, continua ad avere una sua presa anche nella società neoliberal-democratica dei nostri giorni. La sua elaborazione teorica-politica e intellettuale più compiuta fa capo al così detto “comunitarismo”[8]. Il comunitarismo è un movimento ideologico-culturale che poggia su una solida filosofia politica. Nel corso degli ultimi decenni è riuscito a proporsi come uno sfidante intellettualmente serio e resistente, a cui non manca filo da tessere nello spazio del discorso pubblico. Ciò anche perché forte di un’idea antica e mai del tutto svanita: quella di comunità. La teoria politica comunitaria sulla quale mi concentrerò è quella che è stata riformulata nelle vesti del neo-comunitarismo, un filone di analisi della società contemporanea cresciuto nel contesto politico-culturale e filosofico nord-americano: ossia proprio nel cuore del liberalismo e del neo-liberalismo contemporaneo.

II.

Secondo la cultura liberal-democratica corrente, le idee comunitarie, il senso di comunità e la visione politica che le ispirano, sarebbero ancorate a una tradizione ideologica di destra, conservatrice quando non reazionaria, e a una filosofia “organicistica” della società. In particolare, tali idee sono spesso ritratte come oscurantiste e sottraenti ogni dignità all’individuo e alle libertà: per lo più, senza andare troppo per il sottile, la tradizione comunitaria viene affondata nel mare magnum del fascismo e del totalitarismo. La critica liberal-democratica si muove lungo alcune principali direttrici. In primo luogo, punta il dito contro la messa in discussione neo-comunitaria della centralità dell’individuo, della sua ragione e dei suoi diritti, e ciò là dove la visione neo-comunitaria afferma la dipendenza di individuo, ragione e diritti dai contesti comunitari in cui individui, ragioni e diritti si formano e si muovono. In secondo luogo, essa respinge il ridimensionamento della razionalità utilitaristica, della neutralità delle istituzioni pubbliche e del carattere universalistico dei principi, diritti e norme di condotta, un ridimensionamento imputato alla teoria neo-comunitaria, là dove quest’ultima ritiene che tali caratteri della modernità illuminista (convenzionalmente intesa) e cari alla tradizione liberale, non vadano assunti acriticamente, ma debbano invece essere messi a tema e problematizzati nei loro assunti valoriali ed empirici. In terzo luogo, la lettura neo-liberale squalifica le idee neo-comunitarie come idee pre-moderne, come figlie di un anacronistico e maligno “romanticismo politico” condannato e superato dalla storia e dalla civiltà occidentale, come idee inascrivibili e irrecuperabili alle concezioni progressiste, illuministe, liberali, utilitariste di quel mondo della modernità che ha portato alla sconfitta e al tramonto (materiale, politico e simbolico) della società tradizionale di ancien régime.

A fronte di questo fuoco di sbarramento promosso dalla cultura politica (neo)liberale contro il linguaggio della comunità, va almeno osservato quanto segue. 1) Gli appelli al senso di comunità continuano a essere ricorrenti, e spesso sono lanciati dagli stessi esponenti dell’establishment istituzionale, culturale e mediatico delle società liberal-democratiche. Tali appelli fioriscono specie in momenti problematici o di crisi, la cui crescente frequenza, va sottolineato, sembra ormai configurare un mondo nel quale crisi ed emergenze sono la condizione “normale” delle nostre società e del loro modus vivendi: un fenomeno, questo, che si è palesato negli ultimi anni con il rapido susseguirsi, e persino sovrapporsi, di crisi economico-finanziarie internazionali (si pensi a quella del 2008), emergenze migratorie, energetiche, climatiche, virali (su tutte la crisi Covid-pandemica esplosa nel 2019), da ultimo la guerra russo-ucraina e le correlate destabilizzazione dell’ordine internazionale e minaccia nucleare. 2) Resta quanto meno assai discutibile collocare le idee e gli esponenti del comunitarismo, e del neo-comunitarismo in specie, sull’asse politico-ideologico destra-sinistra. Infatti, le idee comunitarie, il rilievo che esse accordano al senso di comunità e le spesso declamate preoccupazioni per il deficit di senso di comunità hanno abbracciato, volta a volta, ad esempio, il conservatorismo repubblicano americano o il socialismo storico europeo; hanno caratterizzato la sinistra liberal del New Deal degli anni ’30 del Novecento e la destra liberale del reaganismo e del “conservatorismo compassionevole” tra XX e XXI secolo; hanno trovato posto tanto nei movimenti sociali della nuova sinistra anti-sistema e anti-autoritaria degli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, quanto nei movimenti coevi della nuova destra, anch’essa di colore anti-imperialista e anti-liberale, movimenti entrambi radicati nel XIX e nel XX secolo ma non del tutto scomparsi ai nostri giorni; sono state agitate dal New Labour inglese di Blair a cavallo tra XX e XXI secolo così come da forze politiche indipendentiste (vedi il caso catalano, ma anche quello scozzese) o regionaliste, da istanze riformiste di democrazia federalista o autonomista.

Per un altro verso, solitamente considerati, con una certa superficialità, come referenti di un pensiero di destra rivolto a una politica di destra, e non di rado ritenuti retrivi, gli stessi esponenti del neo-comunitarismo democratico americano presentano in realtà profili sfaccettati, simpatie politiche o affiliazioni ideologiche assai variegate e spesso sorprendenti. Per fare qualche esempio significativo: il conservatore aristotelico-tomista Alisdair Mac Intyre ha una filiazione ideologico-culturale marxista e ha avuto trascorsi trotszkisti; Roberto Mangabeira Unger è un anarchico atipico con influenze nietzschiane; Charles Taylor è stato per molto tempo molto vicino alla sinistra radicale e in seguito è stato candidato del New Democratic Party alle elezioni distrettuali in Canada; Amitai Etzioni è un ex consigliere politico di due presidenti liberal statunitensi (Carter e Clinton); Michael Sandel nel 1988 ha sostenuto la candidatura alle presidenziali del democratico Dukakis; Michael Walzer è chiaramente posizionato su posizioni liberal e in Europa (specialmente in Italia) è considerato un intellettuale di riferimento della sinistra di governo.

III.

Una più franca considerazione degli argomenti e una più attenta valutazione delle tesi comunitarie aiuta a comprendere perché, in effetti, tali argomenti e tesi scompiglino l’asse ideologico destra-sinistra e come essi sollevino temi cruciali rispetto ai quali il posizionamento da una parte o l’altra della frattura politica destra-sinistra finisca per equivocare o immiserire la portata culturale, antropologica, morale e persino esistenziale di questioni niente affatto banali ma rilevanti  per la vita collettiva[9] e per la “convivenza tra diversi”, a partire da quelle relative al rapporto individui/società. Mi pare miope continuare a non volere afferrare quanto tali questioni obliterino la politica rappresentata convenzionalmente in termini di destra e sinistra ovvero come schieramento conservatore vs progressista.  Nel pensiero politico comunitario e nell’idea di comunità si racchiudono sfide politiche e valoriali che dovrebbero indurci a un paziente lavoro culturale di re-framing dei valori dominanti nella nostra epoca, e a liberarci da un “mondo di vita” (Lebenswelt) e da un universo politico dati per scontati. Simili sfide dovrebbero, piuttosto, spingere lo spazio pubblico e il dibattito politico a recuperare il discorso sui fini e a non trincerarsi in quello dei mezzi e della loro meccanica.

Tramontata la sfida “esterna” del socialismo ancorato al blocco sovietico, le società liberal-democratiche occidentali sono ormai chiamate a confrontarsi con sfide che provengono dal loro interno. Tornare a riflettere con serietà sul senso di comunità costituisce un’occasione politico-culturale per aprire un cammino verso la ricerca di una riserva di valori e di “senso delle cose” volta a restituire un significato saliente alla politica, là dove la dimensione politica contemporanea è imbalsamata nelle strettoie che la appiattiscono su un insieme di temi e azioni di ingegneria politica. La politica intesa come risposte tecniche a questioni tecniche oggi più che mai tende a sancire il compimento della “neutralizzazione della politica”. Ma la storia mostra quanto simili propositi si rivelino chimerici o forieri di realtà da incubo.

Quella comunitaria è una sfida intellettuale etico-politica, teorica e pratica, che va raccolta. Implica un confronto critico aperto e serrato. A maggior ragione ai nostri giorni. Anche di fronte al rilevo crescente che nelle società occidentali hanno assunto una varietà di fenomeni politici, sociali e culturali diagnosticabili come sintomi di un “malessere democratico” esploso propria nell’epoca in cui in Occidente la democrazia liberale è diventata the only game in the town[10]. Diffusa apatia politica dei cittadini, calo della partecipazione elettorale, credibilità declinante dei partiti tradizionali, autoreferenzialità delle élite che diventa “tradimento della democrazia”; diffusi umori “anti-politici”, sfiducia nei parlamenti e nelle istituzioni politiche, percezione (non solo popolare) dell’opacità dei processi decisionali democratici, ostilità verso i centri decisionali tecno-burocratici, libertà compromesse da nuovi regimi e tecnologie di controllo, centralità di interessi egoistici e di potentati economico-corporativi, esplosione di domande di riconoscimento micro-identitario e fallimento del multiculturalismo irenico e decontestualizzato (a sfondo religioso, etnico, culturale, di stili di vita, ecc.): sono, questi, solo alcuni dei fenomeni che segnalano la condizione critica delle liberal-democrazie di massa del nostro tempo. Sono fenomeni che, a ben vedere, per un verso, riflettono un acuirsi del discredito che sta corrodendo la cultura, la politica e le istituzioni liberal-democratiche; per l’altro verso, mostrano una società contemporanea in preda a fibrillazioni, febbri e convulsioni. Una simile condizione critica non è estranea al tema del “senso di comunità” oggi.

(1 – CONTINUA)

NOTE

[1] Si tratta di Leon Wieseltier. La citazione è tratta da un articolo pubblicato sulla rivista “Liberties” nel 2022.

[2] Da prospettive diverse vedi, ad esempio, S.N. Huntington, Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000; B. Barber, The World vs. Jihad. How Globalism and Tribalism are Reshaping the World, Crown, New York, 1995; F. Fukuyama, Esportare la democrazia, Lindau, Torino, 2005.

[3] Ideologia: termine composto da idéo (idea) e logìa (dal greco logos: pensiero, ragione, discorso, trattazione).

[4] In corrispondenza con quanto ricordato nella nota precedente, in questa sede la nozione di ideologia è intesa nel senso weberiano di Weltanschauung, e non già in quello marxiano di “falsa coscienza”.

[5] Una rappresentazione che in buona misura coincide con l’auto-rappresentazione della cultura politica neo-liberale.

[6] Vedi G. Nevola, La democrazia nello specchio della rivoluzione: il mito della Rivoluzione d’Ottobre e la crisi della politica contemporanea, in “Rivista di Politica”, 4, 2018; G. Nevola, L’Occidente dopo la Rivoluzione russa e il disincanto democratico (2017-2017), in G. Natalizia (a cura di), La Russia e l’Occidente.  Dinamiche politiche a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, Vita e Pensiero, Milano, 2018.

[7] In merito rimando a diversi articoli pubblicati su questo sito. Più in generale vedi G. Nevola, Il malessere della democrazia e la sfida dell’”incantesimo democratico”, in “Il Politico”, 1, 2007; G. Nevola, Il ‘fatto’ democratico, in A. Millefiorini (a cura di), Democrazie in movimento, Mimesis, Milano 2022.

[8] Una meritoria antologia di testi e sul dibattito disponibile per il pubblico italiano è: A. Ferrara (a cura di), Comunitarismo e liberalismo, Editori Riuniti, Roma, 1992.

[9] Sul tema resta di riferimento R.N. Bellah et alii, Habits of the Heart. Individualism and Committment in American Life, University of California, Los Angeles, 1985.

[10] Al riguardo rimando a G. Nevola, Sulla laicità della democrazia nella società post-secolare. Fondamenti di legittimità e Benedetto XVI ‘teorico della politica’, in “Sociologia del Diritto”, 1, 2018; G. Nevola, Il ‘fatto’ democratico, in A. Millefiorini (a cura di), Democrazie in movimento, Mimesis, Milano 2022.

 


(Pubblicato su questo sito il 10 novembre 2022)

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