«A gennaio le cose si fanno serie» è quanto scrivevano sul loro appello alla resistenza gli attivisti per il clima che da due anni e mezzo vivono nell’insediamento che sta per essere raso al suolo.
Lo sgombero di Lutzerath era stato annunciato per metà gennaio ma il conto alla rovescia si è interrotto, l’invasione è stata anticipata, probabilmente per impedire ai partecipanti della grande manifestazione prevista per sabato 14 gennaio di unirsi ai 300 attivisti che ora sono barricati nelle poche case rimaste al villaggio e rifugiati in quota sulle decine di case costruite sugli alberi. La strategia è ritirarsi in alto e sbarrare i collegamenti in basso, alla peggio incatenarsi e ritardare l’occupazione. La zona è completamente circondata da migliaia di poliziotti che ne impediscono l’accesso.

Il tribunale di Aquisgrana ha decretato in modo inappellabile lo sgombero e il ministro dell’Interno del Nord Rhine Westphalia ha previsto un’operazione su larga scala per radere al suolo il villaggio: «Alla fine, Lützerath deve essere vuoto, e questo è possibile solo con un’operazione complessiva in cui prima vengono rimosse le barricate, poi le persone vengono spostate, in terzo luogo tutte le case vengono demolite e gli alberi vengono abbattuti, ovvero l’infrastruttura di occupazione viene eliminata». Infatti sono più di mille i poliziotti in assetto anti rivolta, con buldozer, mezzi pesanti e uomini attrezzati per le scalate sugli alberi che sono arrivati da tutta la Germania. L’atmosfera è plumbea e apocalittica, piove da giorni e a terra è solo fango. Le case del villaggio già tempo fa sono state quasi tutte abbattute, nessuno degli abitanti del paese originario vive più lì. I pochi edifici rimasti sono stati occupati dagli ambientalisti che hanno costruito una quarantina di casette sugli alberi, proprio sul bordo dell’enorme buca da 48 km quadrati della miniera a cielo aperto di Garzweiler II. Sono lì per opporsi non solo simbolicamente all’ulteriore estrazione di 280 milioni tonnellate di carbone fino al 2030.

L’energia più inquinante

Cera una volta un paese di contadini e un bosco, poi tutto è stato legalmente consegnato alla RWE-Power AG (multinazionale a capitale misto, al 10 per cento anche dei fondi sovrani del Qatar). Dal 2006 la società elettrica estrae dalla miniera la lignite, un combustibile molto inquinante dalla poca resa energetica e ne brucia una quantità enorme, circa 30 milioni di tonnellate all’anno nelle due centrali elettriche di Neurath e Niederaussem che sono adiacenti alla miniera.

In passato il governo dello stato del Nord Reno Vestfalia sembrava essere dalla parte degli ambientalisti, per limitare l’allargamento della miniera e porre fine alla estrazione della lignite ma in tempo di crisi energetica e di guerra tutto è di nuovo cambiato. Improvvisamente in Germania la fonte di energia più sporca è diventata quella più affidabile e il governo della Coalizione Arcobaleno dello stato federale NRW, ha stipulato un accordo per anticipare la chiusura di Garzweiler II dal 2038 al 2030. In cambio però dà il via libera alla proprietà RWE per l’allargamento della miniera sotto il villaggio di Lutzerath con il permesso di estrarre la lignite per altri sette anni.

La decisione è stata annunciata con un certo imbarazzo dai Verdi, visto che solo pochi mesi fa avevano detto che Lutzerath non sarebbe stato toccato. Parlano di un successo, Mona Neubar e Robert Habeck che adesso sono in carica al governo, dichiarano di aver salvato gli altri cinque villaggi intorno alla miniera anticipandone la chiusura ma in molti dicono che si tratta di un tradimento. Un compromesso che di fatto autorizza fino al 2030 l’immissione in atmosfera di enormi quantità di anidride carbonica per milioni di gas serra. Non è poco se si calcola che le due centrali insieme sono le più inquinanti in Europa, dannose in un anno come tutte quelle che ci sono in Grecia. Sembra inconsistente la motivazione dell’irrinunciabile bisogno di energia elettrica prodotta dalle due centrali, gli studi smentiscono le tesi governative e la tesi più attendibile è quella degli attivisti che affermano che sono proprio quei 280 milioni di tonnellate di lignite che la RWE si appresta a bruciare che faranno fallire l’impegno che fissa a 1,5 gradi il limite del riscaldamento globale. In un panorama molto poco rassicurante per i sempre più frequenti eventi climatici estremi e per i deludenti risultati delle conferenze sul cambiamento climatico Lutzerath è diventato un simbolo della protesta ambientalista e anticapitalista.

Il villaggio e la lotta

I residenti a Lutzi, il movimento di protesta Ende Gelande, Greenpeace e altre associazioni ambientaliste si oppongono da anni alla speculazione. Già nel 2015 vicino a Erkelenz i manifestanti hanno fatto irruzione nella miniera a cielo aperto di Garzweiler I e hanno occupato un escavatore. La polizia tedesca ha usato le maniere forti e sgomberato la miniera con 1.200 agenti che hanno usato gas lacrimogeni e manganelli, arrestando più di 100 persone, fatto 36 feriti. Uno studente di cinema è morto per una caduta da 20 metri. Si calcola che almeno 30.000 persone sono state dislocate altrove per lasciare il posto ad una delle più grandi miniere a cielo aperto del mondo.

A dicembre 2022 la RWE ha tagliato completamente la corrente elettrica all’insediamento ma i quasi 200 attivisti che vivono stabilmente lì si sono organizzati con lampadine LED e pannelli solari. Fa freddo e ci si scalda con le stufe a legna. Si resiste e si continuano a rinforzare le casette sugli alberi, la cucina collettiva funziona molto bene, ci si serve da soli e quando sei là in zona Kufa bisogna indossare la mascherina, la zuppa è buonissima. Sulla via del campo un ragazzo sorridente, molto giovane con un grande cappello elegante mi parla in inglese con accento olandese, non so da dove viene ma l’Olanda è a 30 chilometri, è lì da due mesi. Mi dice della vocazione anarchica e anticapitalista del villaggio, mi parla di utopia che vive, e degli occupanti che studiano a Dusseldorf, Berlino e Amburgo. Con una lunga scala di legno saliamo su una delle case più alte, una torre tra gli alberi tenuta da lunghi tiranti. In cima ci sono due ragazze che lavorano per isolare e proteggere meglio le pareti dal freddo, scatto qualche foto ad un elicottero che sorvola la zona.

Purtroppo da quando è iniziato il conto alla rovescia per lo sgombero dopo due anni di esperienza collettiva nel villaggio le attività culturali si sono fermate, ne restano ormai solo i segni e i graffiti negli spazi di incontro: la libreria, l’atelier, la sala della musica, l’assistenza psicologica, il cibo e la salute, i molti workshops sul clima, lo spazio «only feminist» e quello internazionale. Chissà come potrebbe diventare il villaggio se quel territorio fosse bonificato senza più le centrali elettriche. La miniera riempita con l’acqua del Reno che scorre a pochi chilometri di distanza, ma ahimè pure quello non troppo a causa delle siccità. Forse tra una decina di anni su quella terra, che sembra essere molto pregiata, ci si potrebbero fare innovative coltivazioni di bio-agricoltura, con il villaggio di Lutzi in riva al lago. Peccato che nessuno vuole farsi fotografare, accettano soltanto se sono mascherati, che invece sarebbero dei testimonial perfetti per il movimento contro il cambio climatico. Si danno da fare per resistere, qualcuno si aggira preoccupato, qualcun altro pare sconsolato ma ottimista fatalista, altri sbarrano gli ingressi al campo con delle barricate.

Gli avvisi ai resistenti

Le pratiche di comunicazione di Lutzi sono piuttosto avanzate sul web e su Telegram per i collegamenti on-line, le conferenze zoom etc. e in particolare per le comunicazioni interne. Al press(e) point, dove ogni tanto arrivano i giornalisti e le troupe televisive, c’è Avic, a Berlino fa il sindacalista ed è tra i pochi che non ha problemi di farsi fotografare. Mi guida nei percorsi sul campo e mi descrive quello spazio di ufficio stampa sempre aperto, con un pc e molti carica batterie per laptop e telefonini. Le e-mail di solito sono criptate per le segnalazioni e gli appuntamenti. Il loro è un algoritmo che si chiama Systemil Paste «Perché l’ignoranza è una benedizione», un sistema on-line open source minimalista con «Zero Knowledge» dei dati inviati. Insomma capacità di gestione su multi-piattaforme e connessioni da fare invidia a industrie 4.0 e università.

Così Lutzi-Action-Ticker su Telegram aggiorna sulla situazione ogni minuto: «Hands off #Lützi and the coal underneath 🧨Come by to defend Lützi! A bulldozer has begun clearing a scrap metal barricade. Monopod is occupied. Activists defend the barricade with a human chain. Cops also form chains and attack us. More people are needed. #LütziStays #LütziUnclearable.»

E i messaggi continuano così: 17:08 Il terzo tripode è stato piazzato di fronte all’ingresso della miniera. La situazione rimane stabile; 17:21 più poliziotti si stanno avvicinando rapidamente alla catena umana; è richiesto supporto; Overwiew: 200-300 cops stanno arrivando alla nuova barricata costruita oggi. È richiesto supporto; Un elicottero sta sorvolando Mawa Lutzerath,; 19:55 La barricata sulla strada sradicata da un bulldozer. Dopo un po’: la polizia ha abbandonato il campo. Non ne è rimasto nessuno? Lutzerath è diventata una zona libera dalla polizia: Oggi abbiamo mostrato a #Lutzi che siamo in tanti, che siamo di più».

Il confronto con gli occupanti è iniziato e sono centinaia i poliziotti con elmetti, manganelli e spray al peperoncino che invadono il campo ai margini della miniera, arrivano con le ruspe per demolire l’ingresso al campo, ma gli attivisti continuano a rafforzare le barricate. Tutta la settimana fino a capodanno è un alternarsi di situazioni, dall’alba fino a sera di blocchi e sbarramenti, attacchi della polizia e ritirate, senza veri e propri scontri fisici, con qualche arrestato ma poi rilasciato. Si ricomincia ogni mattina, ogni giorno così fino a domenica 8 gennaio quando grazie al tamtam su Telegram, agli appelli sul sito Lutzerath Lebt (Lutzi che vive) e alle organizzazioni per la difesa del clima sono arrivati sul posto in migliaia per manifestare e opporsi.

È vero però che le cose si fanno serie in fretta, l’assedio è iniziato ed è presto diventato invasione. I poliziotti e i contractors di RWE impegnati nella operazione diventano migliaia. Questa volta però, nonostante l’opposizione degli occupanti organizzata ma abbastanza pacifica, è stata lanciata una sola molotov, la polizia deve essere stata addestrata a delle maniere meno brutali dell’altra volta nella foresta di Hambach. Fino ad ora non ci sono stati feriti gravi e arresti indiscriminati, 200 attivisti hanno dovuto abbandonare il campo ma resistono ancora in molti. Si sono asserragliati nelle case, che in diretta televisiva dei network tedeschi vengono espugnate una per una. È più difficile per chi protesta sui tetti e sugli alberi ma sono arrivate le gru e i poliziotti arrampicatori che iniziano a tagliare i rami bassi degli alberi. Insomma una lotta che si è fatta molto dura, in attesa della grande manifestazione di sabato 14 gennaio organizzata da Greenpeace, Ende Gelande, Last Generation, Extinction Rebellion e altri movimenti per la difesa del clima, con i Fridays for Future arriverà anche Greta Tumberg, Ad aspettare ci sono già i cannoni ad acqua della polizia.

Alle 23:00 di giovedì 12 gennaio l’ultimo messaggio del Ticker-On site diceva: «Nonostante la distruzione oggi abbiamo ottenuto molte cose costruttive. Abbiamo lavorato per una vita migliore per tutti, resistito all’evacuazione, organizzato per la stampa, il campo e i letti per dormire… Ci prendiamo cura gli uni degli gli altri. Non dimentichiamo che siamo in tanti!».

Per gli sviluppi consultare il sito Lutzerath Lebt.