di Matteo Masi*

In questi giorni si susseguono i commenti e le analisi più disparate rispetto all’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico. Due le previsioni più diffuse nell’ambito delle voci politiche più critiche: la prima ritiene che il risultato delle primarie darà il colpo di grazia definitivo al Pd, che inevitabilmente si spaccherà o vedrà ampiamente ridimensionato il suo consenso, visto che le urgenze incarnate dalla nuova leadership sono assai lontane dal sentire diffuso del popolo italiano; la seconda interpretazione crede invece che Elly Schlein restituirà, almeno nel breve-medio periodo, un nuovo slancio al partito (anti)democratico come polo di un centro-sinistra rinnovato grazie agli elementi di novità e radicalità (a buon mercato) impressi dall’esito delle primarie. Entrambe le letture rimuovono comunque il fattore guerra, che è quello decisivo, quello che più determinerà i contorni del quadro politico italiano dei prossimi mesi.

Tra le due visioni, quella più convincente ci pare la seconda, che tra l’altro ha ricevuto una prima conferma dai sondaggi post-primarie. Se ci si attiene a essi, si vede infatti uno spostamento significativo (circa il 3%) di voti dai 5 stelle al Pd. Si tratta di un travaso di voti assai significativo: senz’altro più di quello proveniente dalla galassia sinistra radicale, che rappresenta ormai un’area estremamente residuale e lo sarà sempre più con la nuova segreteria del Pd.

Insomma, il punto su cui bisogna riflettere ruota proprio attorno al rapporto tra il “nuovo” Pd e il Movimento 5 stelle, il quale è ancora alla ricerca di una propria identità oscillando tra la tentazione populista delle origini e la promozione di istanze tradizionalmente legate all’immaginario di centro-sinistra (più volte Giuseppe Conte ha dichiarato che il Movimento è l’unico vero riferimento per i “progressisti” in Italia).

Il Movimento di Giuseppe Conte al momento ha quindi due opzioni: smarcarsi a livello di alleanze e parole d’ordine dal centro-sinistra per riposizionarsi in un’ottica terzo polo autonomo dai due schieramenti, con un taglio nuovamente polemico-populista, nella speranza di recuperare buona parte dei tanti voti in uscita; oppure competere col Pd sul suo stesso terreno, ma inevitabilmente da posizioni subalterne e minoritarie, tanto più ora con l’affermazione di Elly Schlein.

Naturalmente queste analisi valgono fino a un certo punto: finché lo scenario di guerra resta quello attuale non ci sarà spazio per smottamenti piccolo e grandi del quadro politico italiano, che andrà stabilizzato sempre più. Le vestali fanatiche del vincolo esterno di matrice euro-atlantista non possono infatti tollerare l’esistenza di una forza politica di peso che si proponga di modificare radicalmente gli equilibri di un Paese, come il nostro, mai così allineato come oggi.

Se negli anni precedenti ha prevalso un atteggiamento attendista di minore ostilità verso i cosiddetti movimenti populisti, lo si doveva solo al fatto che essi esprimevano comunque conflitti “intracapitalisti” (tra medio-piccolo capitale nazionale legato alla domanda interna e capitale finanziario internazionale) all’interno di uno scenario geopolitico meno agitato. Ora tutto questo è sovradeterminato dalla situazione internazionale: le contraddizioni interne cedono così il passo alla necessità di serrare i ranghi e di stabilizzare ancora di più il quadro politico a garanzia della tenuta dei vincoli esterni. Pazienza poi che le condizioni materiali non siano migliorate, ma vadano peggiorando sempre più: ciò che importa è che il malessere non si traduca sul piano dell’iniziativa politica, ma resti confinato a livello di improduttivo lamento social.

Insomma è all’interno di questo nuovo scenario che va analizzata e inquadrata l’elezione di Schlein. Ritornando in chiusura sul Movimento 5 Stelle, azzardiamo una previsione: difficilmente si organizzerà per recuperare il suo elettorato storico, ma si manterrà sulla strada di un legame stretto, seppur dialettico, con il Partito Democratico. In linea con le pressioni stabilizzatrici di cui si è appena scritto, ci confronteremo allora con un assetto a tre blocchi: 5s + Pd (quest’ultimo fagociterà tutto quello che si muove alla sua sinistra), Carlo Calenda + Matteo Renzi (proprio in questi giorni lanceranno un nuovo soggetto centrista liberale), infine il centro-destra a trazione meloniana.

Il sistema mediatico benedirà questa nuova fase politica all’insegna della ritrovata stabilità quanto a rispetto delle sacre compatibilità europee-atlantiche e del completo allineamento alle politiche di guerra, polarizzando strumentalmente il dibattito politico su questioni di comodo in modo da aggirare i nodi politici fondamentali. Nel frattempo la gran parte della popolazione italiana guarderà con sempre maggiore fastidio e indifferenza a un teatrino misero da cui si sente giustamente estranea.

* laureato in Informatica, lavora come analista in una società di consulenza It per il settore bancario

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