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È caos in Usa, adesso rischia anche la First Republic Bank. Soffrono in Borsa anche le banche europee

Il fallimento della Silicon Valley Bank contagia anche le banche europee, in preda a una “reazione emotiva e psicologica” che sta mandando al ribasso tutti i principali listini, dal Cac 40 di Parigi (-3,10%) al nostro Ftse Mib, che sta facendo registrare una flessione vicina al 5% (-4,46%). Intanto a Wall Street si rischia un altro fallimento: quello di First Republic Bank. All’apertura della seduta odierna l’istituto di credito sta infatti facendo registrare un crollo del 76%.

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Fatti principali

  • In seguito al fallimento della Silicon Valley Bank, questa mattina le principali borse europee stanno facendo registrare dei rialzi mediamente al di sopra dei due punti percentuali. Milano va addirittura oltre.
  • A spingere il ribasso dei principali listini è il comparto bancario, preoccupato da quanto accaduto negli ultimi giorni alla Silicon Valley Bank. Guardando a Piazza Affari, i tre titoli che stanno registrando le perdite più pesanti sono Bper (-10,5%), Banco Bpm (-9,91%) e UniCredit (-9,98%). Male anche gli altri istituti, come dimostrano Banca Mediolanum (-8,4%), Intesa Sanpaolo (-7,28%), e Finecobank (-6,76%).
  • Intanto a Wall Street un altro istituto di credito rischia il fallimento: First Republic Bank. All’apertura della seduta di oggi, il titolo sta infatti facendo segnare un crollo del 76%.
  • Nonostante tutto, secondo quanto evidenziato da Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, quella odierna è “una reazione psicologica e di pancia” degli investitori, più che il segnale di una crisi imminente, come quella del 2008 che portò, per esempio, al crollo di Lehman Brothers.
  • Quello di Silicon Valley Bank è il più grande fallimento di un istituto di credito dopo il crack di Washington Mutual del 2008.
  • “Se osserviamo più dall’alto il caso SVB, può essere interpretato più genericamente come uno dei possibili effetti collaterali di un eccesso di politica monetaria resosi necessario per sedare la forte inflazione”, ha evidenziato Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte.

Pressioni sulla Fed e sulla Bce

Anche se lo spettro di un nuovo 2008 sembra essere abbastanza lontano, tuttavia secondo quanto evidenziato da diversi azionisti il fallimento di Silicon Valley Bank è un chiaro campanello d’allarme della politica economica aggressiva attivata dalle banche centrali, in particolare dalla Fed e dalla Bce, per contrastare l’inflazione. Una politica che inevitabilmente sta peggiorando il valore delle obbligazioni in possesso dei vari istituti di credito mondiali.

Da qui l’ipotesi, sempre più concreta, di un possibile cambio di marcia nel campo dei tassi di interesse. “La Fed e la Bce, adesso, dovranno gestire un problema in più oltre l’inflazione”, assicura Diodovich. “È evidente, infatti, che si sta creando una situazione di instabilità finanziaria che sta creando importanti ripercussioni sul mercato obbligazionario”. Ecco perché, se da una parte “è molto probabile che la Fed decida alla fine di alzare i tassi di 25 punti base e non più di 50”, contestualmente la Bce “che si trova in una situazione molto delicata perché si riunirà in settimana provvederà ugualmente al taglio di 50 punti (già ampiamente discusso), ‘promettendo’ al contempo di non provvedere a un ennesimo rialzo nei prossimi mesi”.

Uno stop, peraltro, che questa volta avrebbe anche il consenso dei cosiddetti ‘falchi’ d’Europa (paesi del Nord Europa), dato che lo scenario sta intaccando tutte le banche del continente”, conclude Diodovich. Dando quindi ragione a quanto dichiarato da diversi esponenti del mondo economico nelle scorse settimane, come Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, e Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce, contrari all’ipotesi di altri rialzi dei tassi di interesse.

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