ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùMercati

I tre motivi per cui i 300 miliardi della Fed non bastano a calmare le Borse

Nonostante le enormi iniezioni di liquidità sul sistema bancario Usa e svizzero, le Borse non fermano la discesa. Ecco le ragioni

di Morya Longo

(Reuters)

4' di lettura

La serenità non si compra. Tantomeno la fiducia. Così non bastano neppure i 300 miliardi di dollari iniettati dalla Federal Reserve nelle banche statunitensi, sommati ai 200 miliardi di liquidità arrivati sull’economia a stelle e strisce dal Conto di disponilità del Tesoro Usa, sommati ai 50 miliardi di franchi iniettati dalla Banca centrale svizzera al Credit Suisse per ripristinare la fiducia sui mercati. Non bastano. E neppure le parole rassicuranti del presidente Biden: «Questa settimana abbiamo preso azioni decise per stabilizzare il sistema bancario senza mettere a rischio i contribuenti - ha detto -. Il nostro sistema creditizio è più resiliente e stabile grazie alle azioni prese». Niente: qualche cosa sui mercati si è rotto. Le banche vengono ancora guardate con sospetto sui mercati.

Così venerdì, dopo una partenza positiva, alla fine le Borse sono tornate a scendere: Milano -1,64%, Parigi -1,43%, Francoforte -1,33%. Ribassi che hanno portato la performance settimanale in negativo per tutti i listini europei. Negativi ieri anche i listini Usa, che però hanno retto meglio in settimana. Perché? Perché scende ancora tutto, dopo le iniezioni record di liquidità da parte delle banche centrali? Cosa teme davvero il mercato? La risposta a questa domanda va data su tre livelli diversi. Uno: il timore di una più ampia crisi del sistema bancario. Due: l’impatto che questa può avere sull’economia reale. Tre: i giganteschi movimenti tecnici degli investitori determinati dalla necessità di ridurre i rischi.

Loading...

Primo motivo: è davvero crisi bancaria?

Ieri a dare il via alle vendite è stato da un lato il Credit Suisse, dopo che la concorrente svizzera Ubs ha fatto capire di non essere disposta ad acquisirla. «La crisi di liquidità sarà anche stata tamponata - sintetizza Giuseppe Sersale di Anthilia - ma resta ancora la crisi industriale». Così la banca svizzera è tornata a scendere in Borsa, perdendo l’8,1%. E lo stesso è capitato all’americana First Republic Bank, crollata anche oltre il 25% in Borsa, sebbene il giorno prima avesse ricevuto 30 miliardi di depositi di ”solidarietà” da altre 11 banche statunitensi. E sebbene abbia comunicato di avere in cassa 34 miliardi di dollari cash (escludendo i 30 ricevuti) e di aver preso in prestito dalla Fed 109 miliardi. All’umore negativo ha contribuito anche la richiesta di Chapter 11 (amministrazione controllata) da parte della holding della Silicon Valley Bank.

Ma queste non sono notizie così clamorose. Cosa continua davvero a preoccupare, anche di fronte ai 300 miliardi arrivati dalla Fed? Il mercato è rimasto colpito dalla notizia, data nei giorni scorsi dalla Fdic (l’Autorità Usa garante dei depositi), secondo cui le banche americane hanno 620 miliardi di dollari di perdite potenziali dai titoli di Stato e dai bond in generale. Questo, nonostante le innumerevoli linee di credito della Fed, lascia il mercato in ansia.

Per almeno due motivi. Il primo è legato ai 30 miliardi depositati giovedì dalle grandi banche Usa in First Republic Bank. Quella che sembrerebbe una misura di salvataggio sistemico, ieri è apparsa più come una potenziale mina sull’intero sistema bancario Usa. È stato Bill Ackman, infuente gestore di hedge fund, a lanciare l’allarme su Twitter. Quel salvataggio - dice - crea «un falso senso di fiducia» e di fatto aumenta il rischio di contagio sulle altre banche. «Il risultato è che il rischio di fallimento della First Republic Bank è ora distribuito sulle nostre banche più grandi».

Il secondo motivo è che le linee di credito avviate dalla Fed, a sostegno delle banche in crisi di depositi, funzionano solo se la banca che chiede fondi deposita titoli in garanzia. La domanda che si pone il mercato, dopo i 300 miliardi prelevati negli ultimi 4 giorni, è ovvia: le piccole e medie banche quanti titoli hanno in bilancio da poter consegnare alla Fed per ottenere liquidità? Domanda che alimenta il nervosismo.

Secondo motivo: l’impatto economico della crisi

C’è poi un altra preoccupazione: se il sistema delle medie banche americane finisce in affanno, sarà costretto a ridurre il credito alle medie imprese. Questo potrebbe avere un contraccolpo sull’economia e portare gli Stati Uniti verso quella recessione che sembrava scampata. Ieri Bank of America ha pubblicato un grafico che mostra questo pericolo in maniera chiara: tutte le volte che le banche hanno attivato massicciamente la linea di emergenza con la Fed (chiamata “discount window”), alla fine per le imprese le condizioni finanziarie si sono sempre irrigidite. Capitò nel 2008 (quando il 70% delle banche strinse i rubinetti del credito), capitò nel 2000 durante il Covid (ancora il 70%) e sta già capitando ora: quasi il 50% delle banche ha già irrigidito le condizioni dei finanziamenti. E c’è già chi, come Jeffrey Gundlach, Ceo di DoubleLine Capital, prevede che la recessione arriverà in pochi mesi.

Terzo motivo: il panico e i moltiplicatori della volatilità

C’è poi una terza ragione che peggiora la situazione sulle Borse: la corsa generale a ridurre i rischi nei portafogli. Poco importa se un po’ tutti sanno che la situazione delle banche oggi è ben più solida di quella del 2008: quello che importa è comunque proteggersi da eventuali shock.

Il comportamento affannoso degli investitori (che ha l’effetto di amplificare le oscillazioni dei mercati) è ben sintetizzato nei dati sui flussi di capitale settimanali calcolati da Bank of America: questa settimana gli investitori americani hanno aumentato il cash di 113 miliardi di dollari (record settimanale da aprile 2020 in pieno Covid) e i titoli di Stato Usa di 9,8 miliardi (massimo da maggio 2022). Ma curiosamente non c’è stata un’altrettanto forte fuga dalle Borse. Segno che per ora c’è tanta paura, ma forse non un cambio strategico dei portafogli.

Le tre grandi differenze (e un punto di contatto) tra le banche europee e la SVB fallita
Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti