La guerra in Ucraina, un anno dopo

Categoria: Europa
Creato: 22 Marzo 2023 Ultima modifica: 22 Marzo 2023
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 640

                                                                                                   Ché quer covo d’assassini

                                                                                                   che c’insaguina la terra

                                                                                                    sa benone che la guerra

                                                                                                         è un gran giro de quattrini

                                                                                                che prepara le risorse

                                                                                                 pe’ li ladri de le borse

                                                                                                                          (Trilussa)[1]

È trascorso ormai più di un anno da quando è scoppiata la guerra fra la Russia e l’Ucraina e tutto lascia presagire che sia destinata a durare ancora per molto tempo.

La pace, per quanto tutti la invochino, in realtà non la vuole e non può permettersela nessuno.  

orrore guerraInnanzitutto gli Stati Uniti. Per loro era particolarmente importante impedire che si consolidasse una area economico-finanziaria da consentire ai suoi membri di poter fare a meno dell’impiego del dollaro come valuta di riserva internazionale e mezzo di pagamento per regolare il loro interscambio commerciale. Vale a dire, da un punto di vista geopolitico: di impedire che l’asse Berlino (Ue)/Mosca/Pechino si consolidasse fino a divenire irreversibile. Cosa che sarebbe accaduta qualora fosse entrato in esercizio il North stream 2.

Però dopo un anno di guerra ed aver ottenuto:

  1. la messa fuori uso, attaccandoli militarmente - come ha denunciato il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh[2]- sia del North Stream 1 che del 2.
  2. di costringere così la Germania e mezza Unione europea ad acquistare il loro gas benché di gran lunga più inquinante e più costoso di quello russo;
  3. inferto un duro colpo all’asse Berlino (Ue)/ Mosca/Pechino;
  4. la rivalutazione del dollaro grazie all’aumento vertiginoso dei prezzi di tutti i prodotti energetici e delle materie prime, dando una bocca d’ossigeno alla loro situazione finanziaria gravata com’è dall’enorme doppio debito di bilancio e commerciale;
  5. la completa sottomissione dei recalcitranti “alleati” europei nei ranghi della Nato.

Benché Biden non perda occasione per cantare vittoria, non è stato raggiunto quello che era l’obbiettivo più importante: l’isolamento della Russia dal resto del mondo ivi compresa la Cina per ricondurla a quello stato di semicolonia costretta a vendere le materie di cui è ricca denominandone i prezzi esclusivamente in dollari.

Una svolta storica

È accaduto, come hanno dovuto prendere atto, loro malgrado, il capomissione dell’ambasciata americana in Arabia Saudita, David H. Rundell e l’ex consigliere politico del comando centrale americano, Michael GFoeller che:

Il nostro sistema tradizionale di alleanze [quello Usa -n.d.r.] sta cambiando e nulla lo ha reso più evidente delle varie reazioni all’invasione russa dell’Ucraina. Mentre gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati in Europa e in Asia hanno imposto dure sanzioni a Mosca, l’87% della popolazione mondiale ha rifiutato di seguirci».[3] E quell’ 87% annovera, oltre alla Cina anche alcuni dei loro alleati storici del calibro dell’India e dell’Arabia saudita.

L’India:

«Nonostante il suo ravvicinamento a Washington, frutto della rivalità con la Cina […], ha aggiunto ai tradizionali acquisti di armi [dalla Russia- n.d.r.] anche imponenti commesse di petrolio russo (quasi un milione di barili al giorno) [e] l’Arabia saudita, pilastro dell’influenza statunitense in Medioriente, si è alleata con la Russia all’interno dei paesi esportatori di petrolio ( Opec+), per sabotare l’iniziativa [Usa - n.d.r.] di limitazione del prezzo del petrolio. Il cartello ha deciso di ridurre la propria produzione, dissimulando con Washington l’operazione, nonostante una visita a Riyad, il 14 e il 15 luglio, del presidente statunitense, che ora, assicura, ci saranno ripercussioni».[4]

Oltre all’India e all’Arabia Saudita, non si sono allineati ai voleri di Washington anche il Brasile, mezza Africa, ivi compreso il Sudafrica, e perfino l’Ungheria e la Turchia, benché entrambi membri della Nato. Ma si è trattato solo in parte di una sorpresa; in realtà le premesse perché ciò accadesse c’erano tutte già da molto tempo.

Già nel 2006 l’economista statunitense James K. Galbraith scriveva:

« Nel corso degli anni [ …] abbiamo lasciato deteriorare [tanto era più conveniente importare beni e servizi dall’estero anziché anche produrli in patria – n.d.r. ] la nostra posizione commerciale nell’economia mondiale, passando dall’assoluta supremazia […] alla situazione attuale[…]. Per il mantenimento del nostro standard di vita siamo divenuti dipendenti dalla disponibilità del resto del mondo ad accettare asset in dollari (azioni, obbligazioni, liquidità) in cambio di beni e servizi reali: il prodotto del duro lavoro di gente molto più povera di noi in cambio di biglietti che non richiedono alcun sforzo per essere prodotti. Per decenni il mondo occidentale ha tollerato l’ ”esorbitante privilegio” di un’economia fondata sul dollaro come riserva mondiale perché gli Usa rappresentavano la potenza necessaria per garantire sicurezza affidabile contro il comunismo»[5].

È svanita la paura del comunismo ma soprattutto è venuta meno la capacità del sistema “America” nel suo complesso:

«Di instillare direttamente valore aggiunto nelle industrie degli altri. il valore aggiunto di matrice americana generato[…]nel resto del mondo, in quasi vent’anni [ 2008-2020], è sceso dall’11 al 5,5 per cento […] è calato di un terzo nella fisiologia del corpo economico e manifatturiero mondiale[...] Secondo le elaborazioni su dati Cepii-Baci, la quota di commercio mondiale […] è calata […] dal 23,3% al 16,9 per cento. La quota dei beni intermedi, che rispecchiano le intersezioni fra i sistemi produttivi, è scesa in maniera ancora più accentuata: dal 24,5% al 16,1 per cento. La stessa tendenza si riscontra circoscrivendo i numeri alla manifattura pura: la quota dei beni manifatturieri in capo all’America è calata, fra il 2000 e il 2018, dal 23,2% al 15,7 per cento. E quella dei beni manifatturieri intermedi dal 24,6% al 16,1 per cento»[6].

In altre parole, l’America preleva dall’estero molto di più di quanto essa restituisce, dando in cambio esclusivamente “biglietti che non richiedono alcun sforzo per essere prodotti.”

Per cui lamenta, per esempio, l’analista ed ex maggiore generale dell’aviazione militare cinese Quiao Liang:

«Lo sviluppo economico della Cina dipende parecchio dai dividendi della manodopera a basso costo. Nel contesto della globalizzazione economica (fortemente voluta dagli Usa – n.d.r.), la Cina ha raccolto un dividendo abbastanza piccolo dal lavoro a basso costo, mentre gli Stai Uniti e altri paesi occidentali ne hanno raccolto uno molto maggiore».[7]

Ora, osservano ancora i già citati Rundell e GFoeller: «La globalizzazione può funzionare solo se la maggior parte dei partecipanti ritiene che promuova i propri interessi. Se gli altri credono che l'Occidente stia usando ingiustamente il sistema a proprio vantaggio, l'ordine internazionale basato sulle regole si disgregherà ed emergeranno alternative»[8].

L’oggetto del contendere è tutto qui: l’accaparramento delle quote più grandi possibili del “dividendo della manodopera a basso costo” ossia del plusvalore estorto ai lavoratori di tutto il mondo.

Quindi: da una parte gli Usa, e i loro più diretti alleati-vassalli che con la “fabbrica della carta-moneta” si appropriano della maggior parte e, dall’altra, le tante Cine che vi si oppongono con il rifiuto sempre più esteso del dollaro, strumento principe della rapina.

Al riguardo fa scuola la condotta più recente dell’Arabia Saudita.

Sfidando gli Stati Uniti, prima ha stipulato un accordo con la Cina per negoziare fra di loro nelle loro rispettive valute e solo qualche settimana fa ne ha concluso un altro anche con l’Iran nonostante:

«Lo sforzo guidato dagli Usa per isolare economicamente l’Iran attraverso sanzioni».[9] Peraltro solo dopo che:

« la Cina è riuscita a prendere il sopravvento grazie al proprio peso economico e geopolitico»[10]. Si, proprio la Cina, ossia quello che gli Stati Uniti ritengono essere addirittura un loro nemico esistenziale. D’altra parte - come ha dichiarato il ministro degli esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan al-Saud la Cina :

« É il nostro principale partner commerciale. È anche il più grande partner commerciale della maggior parte dei Paesi. E questa è una realtà con cui dovremo fare i conti»[11]. Come a dire: degli Usa e del dollaro si può fare a meno, della Cina, la “fabbrica del mondo”, no! E per quanto possa apparire paradossale, a complicare ulteriormente le cose per gli Stati uniti è stato proprio l’adozione di quelle sanzioni “ senza precedenti”[12] contro la Russia.

Il fallimento delle sanzioni

Soltanto un anno fa Biden, ritenendole un’arma: «capace di infliggere danni, in competizione con il potere militare»[13] , era sicuro che le sanzioni avrebbero messo in ginocchio la Russia nel giro di qualche mese.

Ne era fermamente convinta anche Elina Ribakova, vicecapo economista all’Istituto di Finanza Internazionale di Washington che a febbraio dell’anno scorso pronosticava: “un crollo della valuta e tensioni sulle riserve e un possibile crollo totale del sistema finanziario russo”». Salvo poi dover prendere atto, già alla fine del mese di aprile, che: «La Russia nuota[va] nella liquidità».[14]

Capita spesso ai potenti, forse perché accecati dalla loro arroganza, di ritenere che ciò che è bene per loro lo è anche per l’universo mondo; così né Biden né i suoi cortigiani hanno previsto al contrario dei già citati, Rundell e GFoeller, che:

«Le sanzioni economiche con il sequestro dei beni e l’annullamento dei contratti sulle merci annullati e il blocco dei trasferimenti di fondi per mezzo del sistema Swift, hanno allarmato parti del settore bancario e assicurativo internazionale e le richieste di de-dollarizzazione sono diventate più forti. Quando la Russia ha chiesto pagamenti energetici in rubli, yuan o dirham degli Emirati Arabi Uniti, Cina e India hanno acconsentito».[15]

La Russia, non solo non è crollata, ma si è ritrovata ad avere molti più “alleati” di quanti forse lo stesso Putin potesse prevedere prima dell’attacco all’Ucraina. É certo invece che, grazie ad essi, la Russia nel corso del 2022 ha perfino migliorato la sua posizione finanziaria:

«il rublo ha raggiunto il tasso di cambio più alto della storia [e] Il surplus commerciale della Russia nel 2022, pari a 227 miliardi di dollari, è aumentato dell'86% rispetto al 2021. Nello stesso periodo, il deficit commerciale degli Stati Uniti è aumentato del 12,2%»[16].

Mentre gli Stati Uniti:

«Hanno chiuso il 2022 con un disavanzo commerciale pari a 1.181 miliardi di dollari, un deficit di bilancio pari a 1400 miliardi di dollari e un debito federale pari a 31420 miliardi di dollari. Ma non è tutto. Dopo essere migliorata, passando da 18.124,293 a 16.285,837 miliardi di dollari di passivo (- 1.838,456) tra il quarto trimestre del 2021 e il secondo trimestre del 2022, la loro posizione finanziaria netta è tornata a peggiorare rapidamente, giungendo a 16.710,798 miliardi di dollari, nonostante l’immane deflusso di capitali dalla sponda europea a quella americana dell’Atlantico verificatosi in seguito alla degenerazioni del conflitto russo-ucraino. I dati indicano che tra il settembre e l’ottobre 2022 […] Complessivamente, il volume delle detenzioni internazionali di Treasury Bond statunitensi era diminuito tra settembre e ottobre di ben 170,9 miliardi di dollari (da 7.302,6 a 7.131,7 miliardi di dollari), che andavano a sommarsi ai 243 miliardi di dollari

(da 7.545,6 a 7.302,6 miliardi) di passivo registrati il mese precedente, nonostante la

Federal Reserve avesse portato i tassi di interesse dallo 0,25 al 2,5% tra marzo e

settembre».[17]

Questi numeri parlano chiaro: se oggi c’è qualcuno che rischia più di tutti il default, questo qualcuno sono proprio gli Stati Uniti, come sta a dimostrare il recente parziale default del fondo immobiliare Blackstone - un colosso che gestisce circa mille miliardi di dollari- e il fallimento della Silikon Valley bank, la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti nonché della First Repubblic bank.

Alla luce di tutto ciò non occorre la sfera di cristallo per prevedere che, essendo la posta in gioco esistenziale per tutti i contendenti, questa guerra divenuta ormai mondiale, potrà finire solo con la sconfitta di uno dei due fronti, mettendo a rischio la sopravvivenza della stessa umanità. O con la rivoluzione comunista che, ponendo fine al sistema capitalista e allo sfruttamento del lavoro salariato, rimuoverebbe alla radice la causa prima di tutte le guerre.

[1] Trilussa – La Ninna- Nanna de la guerra- Tutte le Poesie - A. Mondadori ed. 1954 – pag. 500.

[2] Seymour Hersh è il giornalista statunitense che nel 1970 ha vinto il premio Pulitzer per aver reso nota il massacro di My Lai in Vietnam in cui i soldati americani trucidarono dai trecento ai cinquecento civili completamente disarmati.

3 D.H. Rundell e Michael GFoeller.– Quasi il 90% del mondo non ci segue in Ucraina – Newsweek del 15.09.2022 . https://www.newsweek.com/nearly-90-percent-world-isnt-following-us-ukraine-opinion-1743061

[4] Helen Richard – Ucraina, l’escalation – Sanzioni a doppio taglio – Le Monde Diplomatique – nov. 2022.

[5] J.K. Galbraith – Unbearable cost. Bush, Grenspan and the economic of empire- Citazione tratta da: G. Gabellini – Krisis – Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense- pag. 246 - Ed Mimesis – 2021.

[6] Paolo Bricco - L’America cerca i suoi anni verdi persi nel deserto manifatturiero – Il sole 24 ore del 14.09.2022

[7] Quiao Liang- L’arco dell’Impero con la Cina e gli Stai Uniti all’estremità - Leg edizioni – pag.233.

[8] D.H. Rundell e M. GFoeller - art. cit.

[9] Robert Zunini – La Cina fa fare pace ai dirimpettai del Golfo – Iran e Arabia Saudita da nemici a compagni d’affari -Il fatto quotidiano dell’11.03.2023.

[10] Ib.

[11] Ib.

[12] Così Mario Draghi che le elaborò su input della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

[13] Helen Richard – Sanzioni a doppio taglioLe Monde diplomatique – novembre 2022.

[14] Ib.

[15] Art. cit.

[16] Robert Freeman – Il tunnel in fondo alla luce - https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/25074-robert-freeman-ucraina-il-tunnel-in-fondo-alla-luce.html.

[17] Giacomo Gabellini – Lo stato dell’economia Usa: verso il punto di non ritorno? - https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24890-giacomo-gabellini-lo-stato-dell-economia-usa-verso-il-punto-di-non-ritorno.html.