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Sull’orlo del precipizio climatico… aldilà dell’Ipcc/1

Il 20 marzo l’Ipcc (International Panel on Climate Change) ha emesso il sesto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici. L’allarme è sempre più grave, e credo che l’aggravamento sia sotto gli occhi di tutti, ma da anni nutro forti riserve sul credito assoluto che viene dato all’Ipcc: non certo per l’autorevolezza e la competenza scientifica delle migliaia di scienziati di 194 paesi.

L’Ipcc è un gruppo intergovernativo, finanziato attraverso i contributi volontari di pochissimi governi membri e della Ue, e di varie organizzazioni anch’esse intergovernative. Mi sembra ovvio che da un lato l’Ipcc, se pure svolge un ruolo di stimolo alle iniziative dei governi sul clima, difficilmente possa emettere giudizi ultimativi, e dall’altro debba anche per forza di cose considerare delle condizioni medie.

Quello che non approvo è che i rapporti e le ipotesi dell’Ipcc vengano assunti dall’opinione pubblica, attraverso i media, come Vangelo: da molti anni sostengo (pur con competenze più ridotte) che lo stato e l’evoluzione del clima siano molto peggiori delle previsioni dell’Ipcc. E sono convinto che una sinistra di classe, che punta a un cambiamento sociale radicale, non debba fare un riferimento assoluto all’Ipcc, e debba organizzasi e agire con altre strategie.

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Parto da un primo punto, che fa parte del Vangelo dell’Ipcc ed è un riferimento dei governi (meglio, dovrebbe esserlo, perché poi i governi non seguono neanche questo) e dell’opinione pubblica: il fatidico limite di riscaldamento di 1.5°C a me sembra un “numero magico”.

Accomuna situazioni diversissime: foreste, deserti, ghiacciai o ghiacci polari, zone agricole e zone urbanizzate, ecc. Ciascuna situazione, o regione, può avere soglie di non ritorno diverse: e lo vediamo, ci sono regioni nelle quali il riscaldamento medio è già ben superiore a 1.5°C: l’Amazzonia, il Sahel, le aree tropicali dell’Africa occidentale, l’Indonesia, la parte orientale dell’Asia centrale.

Non c’è solo la temperatura media, ma anche le precipitazioni, la variabilità inter-annuale, la frequenza di stagioni con temperatura e precipitazione media più alta o più bassa della media stagionale, ecc., tutti fattori che possono accentuare i cambiamenti. Mentre l’inverno è stato mitissimo e secco in Europa, l’occidente degli Usa ha conosciuto ondate di “fiumi atmosferici” che hanno causato alluvioni e nevicate eccezionali, mentre il sud-est soffre temperature altissime, e le masse atmosferiche fra i due estremi si scontrano annunciando possibili sconvolgimenti.

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Un’illusione che probabilmente nutre l’opinione pubblica, e a mio parere non viene rimossa dall’impostazione dell’Ipcc, è che i cambiamenti climatici siano reversibili, cioè che qualora le perturbazioni che la società umana ha provocato venissero ridotte, le condizioni del clima possano regredire e potenzialmente, con il tempo, scomparire. Ma in primo luogo l’atmosfera terrestre è un sistema termodinamico, caratterizzato dall’irreversibilità dei processi, e soprattutto che è un sistema altamente complesso e non lineare.

L’evoluzione dello stato di un sistema complesso non lineare può variare radicalmente se si modifica, o si perturba, anche impercettibilmente il suo stato. Si usa la metafora dell’«effetto farfalla»: una farfalla batte le ali, poniamo, in Maremma, e qualche settimana dopo avviene un ciclone nei Caraibi. Può esserci un nesso causale, ma il termine giusto è l’imprevedibilità.

Un sistema complesso può incontrare nel corso della sua evoluzione delle biforcazioni, imboccando strade evolutive estremamente diverse (qui può agire l’effetto farfalla) o divergenti. E in questa evoluzione imprevedibile possono presentarsi punti di non ritorno (tipping points), superati i quali il sistema non ritorna allo stato iniziale (non perturbato) anche se si spengono del tutto le perturbazioni che ne hanno innescato l’evoluzione.

Il clima della Terra non è solo perturbato: sta cambiando in modi radicali, con fenomeni e processi nuovi, che non esistevano in passato e sono destinati a imporsi ed aggravarsi. In questi gioca un ruolo fondamentale un ulteriore fattore, la presenza di meccanismi di retroazione (feedback), i quali possono essere sia positivi (forzanti) che negativi. Anche con effetti sinergici.

Nell’atmosfera è facile riconoscere l’azione di feedback forzanti: se anche si spegnesse immediatamente la perturbazione, il sistema non tornerebbe alla condizione imperturbata, ma continuerebbe ad allontanarsene, in modi imprevedibili. Qualche esempio:

  • I ghiacci possiedono un’albedo maggiore delle superfici che lasciano scoperte sciogliendosi – mare, terra, roccia – le quali quindi assorbono maggiormente la radiazione solare incrementando così il riscaldamento; per di più lo scioglimento del permafrost polare rilascia metano che ha un potere climalterante molto superiore alla CO2.
  • Un effetto analogo hanno deforestazione, incendi boschivi: all’emissione di CO2, e la distruzione di polmoni verdi, si aggiunge la distruzione di biodiversità (è stata avanzata l’ipotesi di una sesta estinzione di massa), nonché l’aumento dei rischi di zoonosi.
  • Anche l’inarrestabile cementificazione dei territori e l’urbanizzazione incrementano i meccanismi di feedback e irreversibilità, generando trappole di calore, inversioni termiche, ed aggravando la riduzione della biodiversità.
  • Agricoltura e allevamenti intensivi, con l'(ab)uso di pesticidi e antibiotici, provocano gravi danni alla salute, perdite di habitat naturali e di biodiversità, e minacciano gli insetti impollinatori.
  • Sempre più evidenti e allarmanti sono i fenomeni di siccità, carestie, nonché l’aumento delle disuguaglianze.
  • Si sta verificando un indebolimento della Corrente del Golfo, e in un futuro il suo flusso potrebbe addirittura invertirsi: per chi pensa che la crisi climatica comporti solo riscaldamenti, ciò provocherebbe un raffreddamento delle coste atlantiche dell’Europa, ad esempio un aumento nel numero e nell’intensità delle tempeste e degli uragani. Stefan Rahmstorf, del Potsdam institute for climate impact research, afferma “se continua così potremmo avvicinarci lentamente a un punto di non ritorno, dove questa circolazione si destabilizza del tutto”.
  • L’inesorabile innalzamento del livello dei mari renderà inabitabili zone costiere molto popolate e provocherà masse di migranti climatici obbligati.
  • A questo proposito va aggiunto che lo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide e della Groenlandia sta procedendo più velocemente di quanto si prevedeva anni fa.
  • È particolarmente attuale aggiungere che le guerre provocano non solo vittime e distruzioni, ma anche danni ambientali.
  • Una notizia del Washington Post sulla Florida: l’uragano Ian avvenuto a fine settembre ha lasciato montagne di detriti; l’ammasso di detriti potrebbe riempire 22 Empire State Building. “Dove troveremo mai spazio per tutto questo?”, si chiede un esperto.

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Il mio parere è che, forse, la sinistra e il movimento di classe dovrebbero prestare una maggiore attenzione al cambiamento climatico: che fra l’altro ha anche un vero effetto di classe, perché ha evidentemente conseguenze molto più pesanti sulle classi subalterne e le popolazioni dei paesi poveri e sfruttati, i quali hanno anche meno possibilità e risorse per rimediare ai danni.

Sono convinto che le lotte e le rivendicazioni, indubbiamente fondamentali e irrinunciabili, contro il potere economico e politico dovrebbero associarsi a obiettivi e rivendicazioni per contrastare in modo radicale la distruzione dell’ambiente e la manomissione del clima. C’è una consapevolezza che spesso manca ai movimenti ambientalisti, in particolare ai movimenti giovanili, che rivestono un ruolo fondamentale per il futuro: non vi possono essere cambiamenti veramente capaci di modificare la situazione se non viene radicalmente messo in discussione e trasformato il modo di produzione capitalistico.

Ritengo che sia l’occasione giusta per ricordare, sopratutto ai giovani, che il 2022 è stato il cinquantesimo anniversario della pubblicazione, nel 1972, de L’Imbroglio Ecologico di Dario Paccino (ripubblicata nel 2022 da Ombrecorte): che fu un elemento importantissimo per lo sviluppo in Italia di un ambientalismo con una radice di classe.

È il momento per riprendere questa tradizione con l’obiettivo di una trasformazione radicale del modo di produzione capitalistico e dello sfruttamento dissennato e distruttivo dell’uomo e dell’ambiente ai fini del profitto.

Oggi più che mai è attuale il motto di Rosa Luxemburg: socialismo o barbarie!

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2 Commenti


  • Oscar

    Bellissimo articolo
    Al modo di produzione capitalistico aggiungerei il modo di consumo capitalistico
    Modificando e/o riducendo il consumo si modifica sia in quantità che qualità anche il modo di produzione


  • Oscar

    Per avere maggiore consapevolezza sui cambiamenti climatici e su quello che si può fare occorre una maggiore educazione ambientale e educazione al consumo che deve iniziare dai primi anni di vita soprattutto nella scuola Così si avranno movimenti giovanili più consapevoli

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