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Russia-Giappone: ancora la questione delle Kurili meridionali

Si torna a discutere in Russia del trattato di pace con il Giappone, che Tokyo continua ad associare al trasferimento delle isole Kurili meridionali sotto la propria sovranità. L’opinione pubblica russa è per la stragrande maggioranza contraria al trasferimento, argomentando con la ricchezza di prodotti naturali proteici, con la pescosità e la mitezza delle acque che non gelano e consentono l’accesso all’oceano in ogni periodo dell’anno, con l’abbondanza di minerali pregiati, con le esigenze della marina militare, ecc.

Preoccupata dalle tensioni che oppongono la Cina e (ora, sembra, in minore misura) Pyongyang agli Stati Uniti e rendono la regione abbastanza instabile; inquieta per i contrasti con Pechino a proposito delle contese nel mar Cinese Meridionale, Tokyo cerca di chiudere il contenzioso (il trattato di pace a conclusione della Seconda guerra mondiale, mai firmato) con Mosca che, a sua volta, sta allargando la cornice dei contatti bilaterali con alcuni dei “più solidi” alleati USA, come Israele o Arabia Saudita, e con quelli meno prevedibili, quali Turchia, Egitto e Giappone, appunto, ed è dunque disposta a compromessi.

Ma il problema rappresentato da quello che Tokyo chiama “i territori settentrionali” rimane. Era venuto alla ribalta in epoca khruscioviana, nel 1956, allorché, al “punto 9” della Dichiarazione congiunta sovietico-giapponese sulla cessazione dello stato di guerra, Mosca si era detta disponibile a che due delle quattro Kurili meridionali – Shikotan e gli scogli di Khabomai – venissero trasferite al Giappone, ma solo dopo la firma del trattato di pace. Tokyo aveva risposto picche: o tutte e quattro le isole, o nulla. Poi, silenzio sul tema dal 1960 a fine anni ’80, allorché Gorbaciov era pronto a trasferire Kunashir, Shikotan, Iturup e Khabomai, che Tokyo rivendica in base al trattato con l’impero zarista del 1855. Ne aveva seguito le orme Boris Eltsin nel 1993, disposto a cedere all’allora premier Ryutaro Hashimoto le quattro isole.

Poi, nel 2001, Putin aveva parlato di due delle quattro isole, e se ne parlò ancora nel 2012, senza risultati. Oggi, se da un lato Mosca sembra disponibile a un compromesso, aggiungendo, come dicono i maligni, “un ulteriore atto volontaristico” a quello di 62 anni fa e dunque a “cedere” Shikotan e Khabomai, ecco che Vladimir Putin ha tenuto a precisare che nella Dichiarazione congiunta del 1956 si diceva che “l’Unione Sovietica è pronta a trasferire” le due isole, ma nulla era detto “sulla loro successiva giurisdizione” e che la parola “cedere” non implica affatto un mutamento nella loro attribuzione.

Da parte sua, Tokyo sostiene che la formula “trasferimento” sia identica a “restituzione” e implichi il “naturale trasferimento di sovranità”. Tokyo dichiara che il trattato di pace, in se stesso, non costituisce un interesse prioritario per il Giappone e che la firma in calce dovrebbe essere solo un’appendice secondaria alla “restituzione” delle isole. Ma, ricorda topwar.ru, se anche oggi Tokyo accondiscendesse al passaggio di due delle quattro isole, de jure la Dichiarazione del 1956 non è più valida, dato che nel 1960 Mosca si vide costretta ad annullare il contestato “punto 9”, dopo che Tokyo aveva concluso il trattato di sicurezza militare con gli Stati Uniti. E questo, nonostante che ultimamente il Cremlino abbia accennato alla Dichiarazione del 1956 quale “base giuridica” da cui partire per nuovi negoziati.

Il tema ricompare comunque a cadenza ciclica. Anche a inizio 2016, allorché Barack Obama aveva chiesto Shinzo Abe di non incontrare Vladimir Putin, perché ciò contrastava con la politica yankee di isolamento della Russia, il premier giapponese non gli diede ascolto e volò a Soci; dopo di che annunciò un “nuovo approccio” nelle relazioni russo-nipponiche, con un nuovo round di colloqui su Kurili meridionali e trattato di pace. Già allora, come oggi, qualcuno parlò di atteggiamento “accomodante” di Mosca, in segno di “buona volontà” per la manifestamente cauta posizione giapponese sulla questione della Crimea e delle sanzioni occidentali.

Ancora una volta, il problema risale dunque a Nikita Sergeevic il quale, secondo l’orientalista Valerij Kistanov, nel 1956 pensava che col trasferimento di due delle quattro isole, sarebbe riuscito a dissuadere Tokyo dall’alleanza militare con gli Stati Uniti. Visti i risultati, Mikhail Sergeevic a sua volta decise di allargare ancor più la borsa e parlò del trasferimento di tutte e quattro le isole. Il risultato è ora che Washington è pronta a installare una propria base militare a Khabomai, non appena questa passasse al Giappone. Durante i colloqui Putin-Abe dello scorso 14 novembre a Singapore, sembra che il premier giapponese abbia promesso di non installare alcuna base militare USA in caso di trasferimento delle isole. Ma a Mosca ricordano le famigerate assicurazioni date nel 1989 a Gorbaciov, su “la NATO non si sposterà di un pollice verso est”, affinché quello acconsentisse alla riunificazione tedesca e ora non mancano di dedurne le debite analogie.

Nei negoziati con Tokyo, ricorda ancora topwar.ru, si deve tener conto del fatto che “il Giappone, di fatto, non è uno stato indipendente. Le decine di migliaia di soldati di uno stato straniero sul territorio giapponese ne sono l’esempio. Si tratta di fatto di forze di occupazione. Anatolij Koshkin nota come, in realtà, Abe si dichiari ora disposto “a cominciare” con Shikotan e Khabomai, per passare poi anche a Kunashir e Iturup e le ricchissime 200 miglia di zona economica che le circondano ed è così, scrive iarex.ru, che la pensa anche il 62% dei giapponesi intervistati: Tokyo, cioè, è d’accordo alla firma del trattato di pace, ma alle condizioni giapponesi.

E, così come in Giappone gran parte dei media sono pronti ad accusare il governo di “tradimento”, nel caso acconsenta alla cessione di due sole isole e non di quattro, così in Russia si parla di “capitolazione” anche solo a porre la questione delle isole slegata dalla firma del trattato di pace.

Dmitrij Alimkin su iarex.ru lo dice senza mezzi termini: si parla di “attivizzare il dialogo” sulla disputa territoriale con il Giappone; ma non “è chiaro cosa ci sia da attivizzare. Le isole possono solo esser cedute o no. Se non si cedono, non c’è niente di cui parlare, dato che sono nostre. Se si “attiva il dialogo” significa che si stanno per cedere”. Secondo Alimkin, la questione del trattato di pace, serve solo a sviare l’attenzione dal problema reale; altrettanto per il miraggio degli “investimenti” giapponesi: oggi Tokyo, sostiene, ha bisogno di Mosca molto più di quanto Mosca non ne abbia di Tokyo. “Invece della capitolazione incondizionata del sol levante all’URSS del settembre 1945, oggi avremmo la capitolazione russa di fronte al Giappone”.

Vladimir Pavlenko, ancora su iarex.ru, traccia addirittura una linea di continuità tra “espropriazione pensionistica” (il famigerato innalzamento dell’età) e “cessioni territoriali”, quale “percorso naturale del liquidatorismo liberale”: se le Kurili diverranno giapponesi, scrive, allora “almeno una delle due squadre dei sommergibili atomici russi della flotta del Pacifico non avrà accesso all’Oceano e dovrà attraversare le acque territoriali giapponesi. Con tutte le conseguenze che ne derivano per la sicurezza nazionale e la difesa del paese”.

La questione è planetaria: pur se, con le armi moderne, missili, sommergibili, bombardieri yankee a Okinawa, Guam, a due passi da Tokyo o da Seoul, a fare la differenza non saranno trecento km in più o in meno dal territorio russo di un’ulteriore base USA; è però il significato strategico che marca lo scarto. Soprattutto quando, anche a ovest, rivendicazioni territoriali vengono nuovamente avanzate dai revanscisti finlandesi del Partito della gioventù, che tornano a chiedere aree attorno al lago Ladoga e, più a nord, Pecenga e la parte russa della regione di Salla, rientrate in territorio sovietico alla fine della Seconda guerra mondiale. La vicinanza di tali aree, a nord, con la strategica base russa di Murmansk e, a sud, con la “seconda capitale” della Russia, non possono non far sorgere il sospetto che, dietro i “giovani finlandesi”, ci siano i “vecchi” della NATO, che da decenni spingono Helsinki verso l’Alleanza atlantica.

A quel punto, l’accerchiamento della Russia sarebbe completo. Kurili e Carelia, insomma, nel quadro strategico non semplicemente russo, ma mondiale.

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