Turchia: l’Europa si schiera contro Erdogan ma Putin lo sta aiutando a vincere

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Russia e Turchia hanno formalizzato, pochi giorni fa, un accordo economico per la fornitura di combustibile nucleare, da parte della Rosatom, alla centrale turca di Akkuyu. Non curandosi dell’inevitabile stizza di Washington, il governo di Ankara ha così assicurato alla Turchia, che ne è carente, una nuova e importante fonte di produzione energetica, che coprirà il 10% del fabbisogno nazionale. Non approfondirò adesso l’importanza di quest’accordo, che ha inserito di fatto la Turchia nel club degli Stati nucleari e che, forse, è la premessa di una futura, storica ed inaudita partnership strategica tra Mosca ed Ankara. Qui voglio, invece, solo parlare della posizione di RecypErdogan che, in vista delle prossime elezioni presidenziali del 14 maggio, viene osteggiato attivamente dall’Occidente. I media europei, che ormi da marzo 2022 formano un unico coro, hanno già iniziato la campagna denigratoria contro Erdogan. La rivista francese Le Point, nel numero del 4 maggio (vedi foto 1), lo ha definito un “secondo Putin”. Ciò significa che l’Occidente vuole sbarazzarsi di Erdogan per cambiare, a proprio vantaggio, la politica estera della Turchia.

Finora, quella di Erdogan ha avuto per filo conduttore il doppiogiochismo. Giocarsi le carte che ha in mano su tavoli diversi è, per Erdogan, la tattica più utile per perseguire meglio non solo gli interessi nazionali della Turchia, ma anche il sogno geopolitico di una rinascente potenza neo-ottomana.

Nel quadro di questa voluta ambiguità[i], rispetto alla NATO, il governo Erdogan resta strettamente legato all’Alleanza Nord-Atlatntica[ii], ma senza partecipare all’accerchiamento geostrategico della Russia, giacché la Turchia – nonostante le pressanti richieste di Zelensky – non solo non si è unita alle sanzioni occidentali, ma ha anche negato l’accesso al Mar Nero alle flotte militari della NATO e, di fatto, ha così appoggiato il blocco navale del porto di Odessa da parte della Marina da guerra russa, riconoscendo a quest’ultima un diritto previsto dal vecchio trattato di Montreaux[iii].Il riconoscimento di tale diritto è stato ribadito pubblicamente da Ibrahim Kalin, portavoce ufficiale di Erdogan, appena due giorni fa[iv]. Infatti, Erdogan tutto vuole, tranne che uno scontro diretto con la Russia. Ne ha già constatato, nel corso della lunga guerra di Siria (2011-2020), la netta superiorità politica e militare, che è stata così evidente da indurlo a rinunciare ad ogni latente desiderio di approfittare, oggi, del conflitto bellico che si sta svolgendo in Ucraina, per riproiettare la sfera d’influenza geopolitica di Ankara sulla Crimea e su quella striscia di terre nere che, nella seconda metà del XVIII secolo, furono tolte alla Turchia dalla Russia dello zar Pietro il Grande e della zarina Caterina II.

La Turchia, però, trae profitto dalla crisi ucraina in un altro modo. Ufficialmente, Erdogan non arma (gratis) il regime di Kiev. Ma lo fa armare a pagamento, a mezzo leasing, dalle imprese private turche, a partire dalla Bayraktar, l’industria che produce quei famosi droni che, secondo quanto asseriva un anno fa il coro dei media occidentali, avrebbero dovuto far “impazzire Putin” e distruggere l’esercito russo. Peraltro, è utile sottolineare che, sempre nascondendosi dietro la longa manus del “libero mercato”, Erdogan ha portato la Turchia a essere, nel 2022, il 12° venditore mondiale di armamenti, togliendo quote di export internazionale, per le armi leggere e le munizioni, proprio alla Russia (soprattutto nei  mercati africani).

Rispetto all’Europa, Erdogan agisce sulla stessa falsariga. Dopo aver lasciato in piedi come una beccafico, durante l’ultima visita ad Ankara della Commissione Europea, Ursula von derLeyen che lo aveva accusato di essere autoritario e irrispettoso dei diritti umani, Erdogan ha strappato alla UE un accordo commerciale di assoluto vantaggio per le imprese turche, che ora esportano i loro prodotti, nel Mercato Unico Europeo, senza il peso di balzelli tariffari e doganali. L’accordo è stato una vera boccata d’ossigeno per l’economia nazionale turca, che dal 2021 annaspa sotto il peso dell’iperinflazione della sua lira[v]. Inoltre, Erdogan ha costretto la von der Leyen a trasferire al suo governo i fondi europei per i Migranti in seguito al ricatto che, se la UE non avesse pagato tutte le spese, la Turchia non avrebbe potuto sorvegliare adeguatamente quei corridoi terrestri attraverso i quali, dalla Siria e dall’Iraq, una moltitudine di profughi spinge ogni giorno per entrare in Europa. Poi, in maniera spregiudicata e pragmatica, subito dopo aver incassato i finanziamenti europei, Erdogan ha presentato richiesta di entrare nella SCO (la Shanghai Cooperation Organization), ritenendo che per la Turchia sia più vantaggioso cooperare economicamente con l’Asia che con l’Europa. Nel motivare la nuova scelta strategica della Turchia Erdogan ha (giustamente, io credo) detto: “Non può avere futuro un’Europa che segue una politica contraria agli interessi dei suoi popoli“.

Questa apparente “svolta euroasiatica” della politica internazionale di Erdogan non rappresenta ancora, però, uno stretto avvicinamento della Turchia alla Cina. Tutto rimane sempre sul filo del doppiogioco. Perché, da un lato,Erdogan non vuole che la Turchia sia emarginata dalle infrastrutture strategiche che la Cina sta realizzando per connettere l’Asia centrale all’Europa nel quadro della Nuova Via della Seta (meglio nota come OneBelt, One Road). Dall’altro lato, però, Erdogan mira anche a scalzare il predominio geo-economico raggiunto di recente dalla Cina nel Corno d’Africa, servendosi di una serie di ONG islamiche finanziate da Ankara. Inoltre, rispetto all’insediamento geostrategico della Cina a Gibuti, Erdogan ha fatto a XiJinping lo “sgarbo” di accaparrarsi lo sfruttamento esclusivo delle risorse di gas, petrolio e carbone della vicina Somalia[vi].Soprattutto, ha installato una base militare turca presso lo stretto di Aden, occupando una posizione che potrebbe trasformarsi in una spada di Damocle per Pechino, nel caso in cui Erdogan decidesse di “rivendere” a Washington questo punto di controllo delle rotte commerciali tra l’Oceano Indiano e il Canale di Suez; rotte che sono uno snodo fondamentale delle attuali catene di valore tra la Cina e l’Europa.

Tuttavia, a mio modesto avviso, questo vantaggio conquistato da Erdogan non è moneta spendibile.Mi pare, infatti, che la Turchia abbia potuto insediarsi ad Aden, con 2.000 soldati, solo perché questo punto strategico sul Mar Rosso è stato lasciato libero da tutti i grandi player geopolitici, i quali sanno che nessuna base militare straniera potrà mai operare in sicurezza in Somalia finché questa resterà il Paese più corrotto ed instabile del mondo, messo costantemente a soqquadro sia dagli attacchi armati delle milizie islamiste di Al Shabab, sia dalle sommosse tribali interne, come quella organizzata di recente dal separatista MushaBihi Abdi che, nella regione di Lasanod, ha proclamato l’indipendenza di una nuova entità statale, il Somaliland. Difatti, nonostante dopo il vertice di Mogadiscio[vii] le potenziate forze governative somale abbiano condotto efficaci operazioni militari[viii], il gruppo di Al-Shabaab (una filiazione di Al-Qaeda) conserva ancora un notevole potenziale di combattimento.[ix]

Probabilmente, a Pechino dà più fastidio il doppiogioco che Erdogan conduce sulle rotte della Nuova Via della Seta,invocando l’unità internazionale dei popoli turcofoni, per estendere la propria influenza dall’Anatolia alloXinijang, propaggine centroasiatica della Cina popolata (oggi come minoranza) dall’etnia turcomanna degli Uijguri,tribù di zingari islamici, i cui “diritti umani” sono difesi a spada tratta dalla UE della von derLeyen[x]. Si tratta, tuttavia, di una “Internazionale Turca” immaginaria, al pari dell’immaginariacomunità duo-siciliana a pastasciutta e mandolino” di cui parlano a Napoli i gruppi neoborbonici, poiché storicamente, nel primo caso, furono proprio i khanati turcofoni a impedire l’estensione, ad Est dell’Anatolia, del Sultanato turco di Istanbul, mentre nel secondo caso la storia del Regno borbonico è quella,tutt’altro che idilliaca, del pesante sfruttamento feudale dei contadini meridionali da parte dei baroni napoletani.

Tornando a Erdogan, nel quadrante euroasiatico la sua trama geopolitica è come il peplo di Penelope: ogni volta che viene tessuto, poco dopo si sfilaccia, perché il filo che loordisce è fatto, dal punto di vista economico, da materiale scadente[xi]. Si tratta del filo fragile e striminzito, fornito da Londra, che ormai da un secolo è solo un emporio mondiale, ma non più un grande centro industriale di manifattura. Inoltre, insieme al Pakistan[xii] che coadiuva la Cina nella ricerca della stabilità regionale euroasiatica[xiii], la vera potenza che tiene sotto controllo il doppiogioco di Erdogan è la Russia di Putin.

Su invito di Putin, il mese scorso Erdogan ha partecipato a uno storico tavolo negoziale accanto alla stessa Russia, all’Iran e al legittimo governo siriano di Bashar Al Assad, per concretizzare il processo di pace nel Medio Oriente. A Erdogan questo processo di distensione torna utile perché,con la normalizzazione della situazione in Siria, la Turchia potrebbe, da un lato, soffocare più agevolmente le spinte indipendentistiche dei guerriglieri curdi e, dall’altro,accontentare l’elettorato nazionalista sunnita, che chiede l’espulsione dei  profughi sciiti siriani che hanno trovato rifugio momentaneo dalla guerra nei territori turchi di frontiera. Con la collaborazione del governo di Damasco,il rimpatrio “anti-umanitario” dei siriani, da parte del governo Erdogan, risulterebbe un’operazione “soft”, accettabile dal resto del mondo islamico. Tuttavia, mentre collabora così con Putin a portar pace in Medio Oriente, lo stesso Erdogan non cessa di destabilizzare la faglia di confine transcaucasica, fomentando focolai locali di guerra ai danni della stessa Russia, dell’Armenia e dell’Iran, per mezzo dell’Azerbaijan, Paese con cui la Turchia ha stretto un patto di ferro.

Mi riferisco alla costante pressione militare, che forse scatenerà una terza guerra locale (dopo quelle del 1992-1994 e del 2017-2020), da parte delle forze armate azere ai confini dell’ex oblastsovietico del Nagorno Karabakh (vedi foto 2), autoproclamatosi il 6 gennaio 1992 Repubblica indipendente dell’Artsakh. Si tratta di un’enclave armeno interamente circondato dall’Azerbaigian, popolato probabilmente ormai da non più di 120.000 karabachi (di maggioranza etnica armena e di fede cristiana), che dal dicembre scorso è stato messo sotto assedio dagli attivisti islamici azeri, appoggiati dal movimento nazionalista turco Bozkurt. Bloccando il corridoio di Lachin, unico collegamento tra il Karabach e l’Armenia, l’assedio turco-azero ha già provocato una crisi umanitaria, a causa dell’interruzione forzosa delle forniture di cibo, farmaci e gas, che impedisce il regolare funzionamento di servizi quali scuole e ospedali.

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Da quanto leggo, quasi tutti gli analisti politici, anche quelli russi, ritengono che l’attuale destabilizzazione turco-azera della regione del Nagorno Karabach stia indebolendo, nel Caucaso meridionale, l’influenza geopolitica della Russia e rafforzando l’autorità del presidente filo-occidentale dell’Armenia, Nikol Pashinyan, che già nel 2019 aveva lavorato per portare la sua nazione fuori dall’Unione Economica Eurasiatica, gestita di fatto da Putin,per stringere alleanza con la UE, gli USA e la NATO. Sotto questo profilo, ritengo infondate le speranze occidentaliste degli euro-politologi, che mi sembrano perlopiù degli auspici, piuttosto che delle serie considerazioni geopolitiche. Di questo mi riservo di darne prova in un prossimo articolo, anche perché l’Italia di Giorgia Meloni sta tentando di inserirsi in questo gioco euroasiatico, riproponendo la strategia fascista del Corridoio 8 e pensando di far transitare, sotto il naso di Putin, il gas e il petrolio del Mar Caspio fino al terminale di Brindisi. Ma, per ora, basti dire che le pseudo-analisi propagandistiche dei media occidentali non tengono conto del fatto che, al fine di bloccare ogni tentativo di sovversione euro-atlantica, la Russia dispone già da anni di due basi militari in Armenia e, dal novembre 2020, di un’altra base militare presso l’aeroporto di Stepanakert, capitale dell’ex oblast del Nagorno Karabach, ridenominatosi nel 1992 Repubblica dell’Artsakh, con il nome dell’antica regione armena. Inoltre, le predette pseudo-analisi trascurano il ruolo filo-russo che in quest’area gioca l’Iran, che ha il massimo interesse ad ostacolare l’occupazione azera, nel Karabach, del corridoio di Syunik, che è il canale terrestre attraverso il quale il governo di Teheran riceve ad oggi, aggirando le sanzioni americane, tutti i beni di prima necessità.

E’ del tutto chiaro che l’ordine imperialista unipolare dominato da Washington, di cui l’Italia è sempre stata l’anello più debole, lavora per la rottura dei rapporti russo-armeni e per l’imposizione del controllo turco-azero sul Karabach. In particolare, la monarchica Gran Bretagna, proprio su quest’esito geopolitico, ripone le sue ultime speranze di tornare ad essere una potenza economica mondiale, in base alla Dottrina Boris Johnson della Global Britain.[xiv] Tuttavia, non credo proprio che uno statista astuto come Erdogan sia così ingenuo da farsi strumentalizzare dalla Gran Bretagna in un nuovo Big Game 3.0 contro la Russia di Putin[xv]. Credo che, da vero statista, Erdogan sfrutti le ambizioni britanniche per trarne il massimo profitto per la Turchia. Ed è proprio questa indipendenza politica di Erdogan che, come ora mostrerò, oggi è osteggiata dall’Occidente.

Infatti, con le varie finte e controfinte, il doppiogiochismo di Erdogan, alla fine, ha avvicinato la Turchia alla Russia. Oltre all’accordo nucleare di cui, come già detto, parlerò in un prossimo articolo, la Turchia ha aumentato il suo interscambio commerciale con la Russia al valore storico di 62 miliardi di dollari all’anno. Segno che le imprese turche non solo non hanno mai abbandonato la Russia, in barba alle sanzioni occidentali, ma hanno anche approfittato dello spazio economico lasciato libero dalle imprese euro-atlantiche che hanno rinunciato al mercato russo (in tutto solo 150 multinazionali su un totale di 150.000 imprese internazionali estere rimaste a operare in Russia).

Pertanto, una domanda sorge spontanea: quali carte aveva in mano Erdogan per poter giocare così a lungo su tavoli diversi ingannando, apparentemente, tutti ?

Premesso che Erdogan è un vero Statista nazionale, al contrario dei corrottissimi “euro-burocrati  sovranazionali di Bruxelles”, gli assi di briscola che ha saputo giocare per la Turchia sono, a mio avviso,  fondamentalmente due:

  1. Quello di essere, secondo l’azzeccata ma poco nota teoria di Samuel Cohen del Potere Geopolitico Multipolare[xvi], il Check-Pointpiù strategico del mondo, essendo un doppio punto nevralgico di connessione tra aree regionali diverse, in quanto la Turchia, per un versante, controlla i due Stretti del Bosforo e dei Dardanelli che collegano l’accesso tra il Mediterraneo e il Mar Nero; e, per l’altro versante, è Shatterbeltmediana tra il Medio Oriente e l’area transcaucasica.
  2. Quello di essere la terra di transito delle risorse energetiche che dal Mar Caspio si dirigono verso l’Europa, nonché –dopo l’attentato terroristico ai due gasdotti baltici North Stream – lo snodo più sicuro per gli altri due gasdotti russi – il Blue Stream e il TurkishStream – che forniscono metano e gas naturale all’Europa orientale e all’Europa meridionale.

 

Giocando bene il primo asso sul tavolo della politica internazionale, Erdogan ha conquistato, rispetto alle costanti ingerenze del governo di Washington, un’autonomia che altri Paesi, come ad esempio l’Italia o la Germania, possono solo sognare[xvii]. Con il suo secondo asso, Erdogan ha finora costretto anche a Putin a far buon viso di fronte al doppio gioco della Turchia. Ciò perché Putin sa che, se ad Ankara ci fosse un presidente diverso da Erdogan, la Turchia assumerebbe una posizione russofoba e filoamericana. E’ il progetto a cui l’Europa sta lavorando politicamente.

Come i media francesi, ancheThe Economist (vedi foto 3) ha demonizzato Erdogan con gli slogan “Erdogan deve andarsene” e “Via Erdogan per salvare la democrazia”, definendo le presidenziali turche le elezioni più importanti del mondo nel 2023. Ricordiamo che The Economist è una testata di proprietà degli Agnelli-Elkann, che sono tra i maggiori esponenti della massoneria europea capitalistica transnazionale del Gruppo Bilderberg. La succitata Famiglia, in Italia, ha affidato invece la propaganda all’Huffington Post (vedi foto 4).

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In generale, tutta l’Europa si sta impegnando per far perdere le elezioni ad Erdogan. Dalla Germania è stato inviato appositamente in Turchia il politologo della SPD di governo, Kenan Kolat, per riunire tutte le“forze democratiche” di opposizione, con l’esclusione quindi del partito comunista turco, in una coalizione anti-Erdogan. Kolat ha avviato una vera campagna elettorale a Berlino, Essen, Amburgo ecc. per mobilitare contro l’attuale presidente il voto dei numerosi emigrati turchi, la comunità straniera più numerosa della Germania. Non sarà un’impresa facile capovolgere il voto storicamente favorevole ad Erdogan (circa il 65%) da parte di questi emigrati turchi, dal momento che la Germania ha tagliato loro negli ultimi anni alcuni benefici, in termini di salario sociale, che non potranno essere più ripristinati da nessun governo tedesco a causa dell’aumento del Debito Pubblico per le sanzioni antirusse[xviii].

Il predetto faccendiere di Scholz, il politologo Kolat, aveva puntato inizialmente sulla candidatura a Presidente del giovane sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu del partito popolare repubblicano (CHP). Ma, a causa di alcune pendenze penali di Imamoglu, la scelta è virata alla fine su Kemal Kilicdaroglu, anch’egli esponente del CHP, partito laico che si richiama a Kema Ataturk. Le altre due forze di peso della coalizione anti-Erdogan sono ilDYP, il partito socialdemocratico, che è inconsistente dal 2002, dopo l’uscita di scena dell’ex presidente Ecevit; il partito nazionalista del MHP, che si pone più a Destra di Erdogan, e l’HDP, il partito liberale filo-curdo, che è sempre stato in aspro contrasto con l’MHP, che chiedeva ad Erdogan, addirittura, di metterlo fuori legge per favoreggiamento dei terroristi del PKK. Inoltre, mentre l’MHP aspira ad una Turchia più forte, l’HDP di Mithat Sancar, deputato dal 2015, promette al suo elettorato una Turchia più debole con l’abolizione di alcuni poteri presidenziali. Fondatore in Turchia del movimento per i “diritti civili”, il summenzionato Sancar, essendo anche docente di diritto costituzionale, pare essere pienamente asservito all’Occidente, poiché afferma che, se Erdogan perderà, in Turchia ci sarà il “ripristino della democrazia”. La cosa ridicola è che in Turchia, patria del “dispotismo asiatico” (come lo chiamava Marx), la democrazia non c’è mai stata[xix] e, quindi, non c’è nulla da ripristinare. Farebbe meglio a invocare, invece, l’instaurazione della democrazia, in Turchia, il professor Sancar che, non a caso, modella il suo pensiero sulla teoria politica pseudo-aristotelica che l’ottusa Hannah Arendt maturò quando era la giovane amante del teologo nazista Martin Heidegger.

L’instaurazione dei principi socialidi base almeno della democrazia formale rappresentativa, che pur non è quella vera, e di uno stato di diritto pur minimo ma reale (che, purtroppo, dal 2010 ad oggi anche in Italia si è ridotto ai minimi termini), sarebbe oggi tanto più necessaria in Turchia, quanto più si è accresciuta a dismisura una massa di diseredati. Dal 2020 la crisi economica, legata all’inflazione galoppante e al carovita, ha determinato in Turchia un rapido processo di proletarizzazione di massa, che ha investito anche il ceto medio. Di contro, come sempre avviene nelle crisi capitalistiche, le classi dominanti sono diventate ancora più ricche. Il terremoto del 6 febbraio 2023, che ha danneggiato 11 cittàabitate da 13 milioni di persone, ha peggiorato ancora di più la situazione.

Rispetto a ciò manca, enormemente, un’azione politica forte da parte del partito comunista turco, tesa a rivendicare almeno degli obiettivi minimi, nei confronti del governo Erdogan: una rete di protezione sociale contro la povertà o la fissazione di un salario minimo, visto che l’alta borghesia turca ha gravi colpe nella catastrofe sociale del terremoto: i palazzi sono crollati perché, praticando la speculazione edilizia, le imprese costruttrici turche non hanno rispettato la normativa in materia antisismica. Furfanterie capitalistiche che sono accadute anche in Italia, come quando vi fu il terremoto in Irpinia o a L’Aquila ecc., e che ancora accadono anche senza scosse sismiche, come nel crollo del ponte Morandi a Genova o della strada Sibari-Sila in Calabria, presso Longobucco, pochi giorni fa. Ma sia i Benetton che tutti i responsabili in solido di questi disastri sociali, che vanno al di là della catastrofe naturale, sono rimasti e rimarranno a piede libero, così come i padroni delle imprese edili turche, che sostengono politicamente Erdogan.

Manca in Turchia, come dicevo, un partito comunista con un grande progetto sociale di cambiamento, capace di attrarre il movimento operaio turco, che segue invece Erdogan, i nazionalisti dell’MHP o l’HDP di Mithat Sancar. Questa sorta di “grado zero” della rappresentanza politica è la conseguenza diretta, a mio avviso, dell’allontanamento politico della Sinistra dal marxismo. Perciò, l’appello al voto per i comunisti turchi, lanciato da Eliseos Vagenas del KKE (il partito comunista greco), per unire i popoli di Grecia e Turchia nella pace e nella cooperazione sociale, resterà purtroppo solo una pia aspirazione[xx].

Probabilmente, Erdogan rivincerà le elezioni. Anche perché ciò che tiene insieme la contrapposta coalizione di partiti tra loro incompatibili è solo il miraggio di una vittoria elettorale. Definisco così la loro prospettiva di vittoria perché, per quel po’ che ho seguito la campagna elettorale, questa coalizione anti-Erdogan promette cose irrealizzabili, con slogan del tipo: “ricostruiremo la Turchia terremotata senza far pagare le tasse”, o “sistemeremo in hotel (magari con piscina e sauna) tutti i senzatetto”… di una metropoli come Istanbul di 16 milioni di abitanti !

C’è da dire, infine, che Erdogan è scaltro e non concede filo da tessere ai politici di opposizione. Proprio ieri, a soli 5 giorni dalle elezioni, ha concesso un aumento salariale del +45% a circa 700.000 dipendenti pubblici, per indicizzarne il potere d’acquisto al carovita. Ha impedito infatti alle ONG occidentali di fare proselitismo con gli aiuti ai terremotati, centralizzandone la distribuzione e affidandola all’esercito. Soprattutto, Erdogan sta giocando di sponda con Putin. Ha ottenuto da Putin la centrale nucleare, che non è solo uno status symbol per la Turchia, ma un’infrastruttura necessaria per coprire il fabbisogno energetico della nazione. Ha acquistato anche un autorevole ruolo internazionale, davanti a tutto il mondo, perché Putin lo ha accettato come mediatore super partes nello scambio di prigionieri e negli accordi sul passaggio del grano nel Mar Nero. Putin ha pazientemente sopportato il doppio gioco di Erdogan e, nel 2016, già lo ha aiutato a sopprimere un tentativo di colpo di Stato. Ed ora lo aiuterà a restare Presidente per non ritrovarsi ai propri confini una Turchia retta da un burattino dell’Occidente.

Putin ha già dichiarato alla Tv turca che, in caso di riconferma di Erdogan a presidente, la Russia fornirà i materiali per la ricostruzione delle zone terremotate. E, purché vinca Erdogan, Putin è disposto a fornire a prezzo scontato anche gas naturale e derrate agricole. Ecco perché, nonostante l’inflazione abbia impoverito tutti i turchi, Erdogan resta ancora il favorito per vincere le elezioni.

 

[i]“L’Europa e la Nato devono compiere passi concreti per sostenere l’Ucraina e porre fine all’attacco da parte delle truppe russe”, disse, in sostanza, RecepTayyipErdogan prima di prendere a un vertice Nato online. Ma dopo aver tirato la pietra, spronando l’Occidente a intervenire con forza contro la Russia, Erdogan ha nascosto la mano prendendo una posizione di neutralità per la Turchia. Cfr “Erdogan: la Nato sia più decisa, l’Occidente ha fallito” – AGI News ore 9.24 del 26 febbraio 2022.

[ii] Tanto da poter creare piccoli problemi, facendo valere il suo veto formale contro l’adesione ufficiale della Svezia.

[iii]Il ministro degli Esteri turco, MevlutCavusoglu, respinse infatti la richiesta formale, da parte dell’Ucraina, di chiudere il passaggio nel Mar Nero alle navi russe, dichiarando in un’intervista al quotidiano Hurriyet che, secondo le clausole 19-20-21 del trattato di Montreaux, alla Russia spetta il diritto di navigazione della sua flotta con base a Sebastopoli. Cfr. “La Turchia: anche Mosca può bloccare il Mar Nero” – AGI News ore 9.28del 26 febbraio 2022.

[iv] Ibrahim Kalyn sul canale televisivo Haberturkha anche accusato i Paesi occidentali di essere i responsabili del proseguimento della crisi ucraina, che “non è una guerra tra Russia e Ucraina, ma una guerra tra Russia e Occidente, una specie di nuova guerra fredda 2.0″. Kalynha poi ribadito l’opposizione di Ankara alle sanzioni contro la Russia, che renderebbero impossibile l’export del grano verso i Paesi in via di sviluppo. – cfr. Il portavoce di Erdogan: la Russia non ha alcun desiderio di continuare il conflitto in Ucraina, Antifashist 08.05.2023.

[v] In alcuni settori, compreso quello dei beni di prima necessità, il carovita ha raggiunto punte anche dell’80%.

[vi] Il volume del business turco-somalo sullo sfruttamento di tali risorse energetiche, che era di 5 milioni $ nel 2010, ha raggiunto nel 2021 i 355 milioni di $.

[vii] Al vertice hanno partecipato, oltre al Presidente somalo HassanSheikh Mahmoud, anche il Presidente di Gibuti, Ismail Omar Gelle, il Premier d’Etiopia, Abiy Ahmed Ali e il Presidente keniota William Ruto. Isuccitati Capi di Stato hanno convenuto sulla necessità di pianificare una strategia unitaria contro i terroristi della Jihad africana che, se tutto andrà bene, richiederà anni.

[viii]Ad esempio, durante un’operazione nella provincia di Lower Shabelle, sita al centro della Somalia, le forze armate somalehanno liquidato MaallinSalahei, uno dei leader di Al-Shabab. C’è da dire che, al contrario di quanto avviene ancora oggi in Iraq e in Siria, gli USA in Somalia non sostengono sottobanco i miliziani islamici (ciò non porterebbe utile in funzione anticinese).

[ix] Tanto è vero che, dopo il vertice di Mogadiscio, i miliziani islamisti hanno attaccato a colpi di mortaio, nel cuore della capitale,il palazzo presidenziale, mettendo in pericolo l’incolumità dei Capi di Governo africani summenzionati alla nota 7.

[x] Pur di provare a contrastare la Cina di XiJinping, la Commissione Europea, presieduta dalla von derLeyen, si è spinta fino all’assurdo di appoggiare un personaggio definito “irrispettoso dei diritti umani”, come Erdogan, per la “difesa dei diritti umani” di una tribù barbara, in quanto filiazione degli Unni di Attila, come gli Uijguri.

[xi] Anche perché le uniche due potenze nucleari regionali dell’India e del Pakistan, alleati strategici – rispettivamente – della Russia e della Cina – si oppongono al velleitario progetto geopolitico che la Turchia, sostenuta dal Mi-6 britannico, ha tentato di costruire nell’area centroasiatica. E, al di là di questo, ossia rispetto al doppiogiochismo centroasiatico di Erdogan, la Russia ha già fissato in questo quadrante geopolitico – grazie alla sagacia politica di Putin – alcuni paletti che né la Turchia né la Gran Bretagna saranno in grado di buttare giù. Si pensi solo a come gli stessi USA, che nel 2001 erano l’indiscussa potenza egemone mondiale, abbiano fallito nel tentativo strategico di porre quest’area sotto il loro controllo. Dopo 20 anni, il tentativo di Washington di imporre la sua egemonia sullo spazio geopolitico post-sovietico, dopo una spesa pubblica di più di 1 trilione di dollari, si è concluso vergognosamente con la ritirata di massa da Kabul delle forze armate statunitensi che nella loro impaurita fuga, nel 2021, abbandonarono in Afghanistan un equipaggiamento militare dal valore stimato di 7 miliardi di dollari, che è stato sequestrato ed ora è utilizzato dalle milizie talebane.

[xii]Secondo Al Jazeera, il 28 aprile scorso, a seguito di un incontro con il ministro pakistano Syed Asim Munir, il vicepresidente della Commissione militare del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, Zhang Yuxia, ha dichiarato che, indipendentemente da come sarà la situazione internazionale, la Cina e il Pakistan saranno in partnership strategica, a livello economico e militare, per tutte le stagioni. E coopereranno anche per bloccare le minacce alla sicurezza regionale centroasiatica che possono sorgere per le dispute di confine in corso con l’India.

[xiii] A mio modesto avviso, non è sicuro che la partnership sino-pakistana possa continuare nel caso in cui l’attuale presidente di Islamabad,  Shahbaz Sharif, perdesse ad ottobre prossimo le elezioni presidenziali. Se vincerà il filo-americano Imran Khan, già presidente uscente, la politica estera del Pakistan potrebbe cambiare a favore di Washington e tutto sarebbe rimesso in discussione.

[xiv] Mi riservo di spiegare meglio questa tesi in un prossimo contributo. Dovrebbe apparire, però, già chiara quella che è l’implicita conseguenza di quest’assunto, cioè il coinvolgimento diretto e preminente della Gran Bretagna nei conflitti centroasiatici e nella guerra in Ucraina, Paese che è geograficamente lo snodo terminale delle rotte transcaucasiche verso l’Europa.

[xv] Lo chiamo Big Game 3.0 perché, a pensarci bene, il Big Game 2.0fu quello che quel fetente di Lord Winston L. Churchill giàgiocò nell’immediato dopoguerra, spingendo il mondo sull’orlo della Catastrofe Nucleare, nel tentativo di risollevare la Gran Bretagna dal suo declino storico. Mi riservo di spiegare alla prossima occasione chi fu, veramente, Churchill, personaggio orwelliano par excellence.Benché storicamente abbia solo fallito sia come vice-ammiraglio della RoyalNavy che come statista, Churchill viene spacciato ancora per un leader vincente e, addirittura, liberale, nonostante sia cresciuto in un ambiente filonazista. Basti dire che, nel castello di famiglia, Lord Churchill pranzava con il quadro di Hitler di fronte al tavolo.

[xvi]COHEN S.B., Geopolitics. The Geography of International Relations, London 2014.

[xvii] Questo la Turchia è riuscita a farlo già a partire dal 1961-1962 acquisendo poi sempre più autorevolezza, grazie al fatto che, dalla fine della Guerra Fredda fino ad oggi, per gli USA il suo appoggio è diventato sempre più indispensabile, nel quadro della Dottrina americana del Grande Oriente.

[xviii] Grosso modo, per mitigare le conseguenze del carovita per le famiglie e per sostenere la competitività delle imprese tedesche, la Germania esborserà ogni anno circa 200 miliardi di euro, ferme restando la distruzione dei gasdotti North Stream e le relazioni ostili con la Russia.

[xix] La vera Democrazia non c’è, né c’è mai stata né in Italia, né in Europa; e men che meno in Turchia. Come potrebbe mai essere “ripristinata” ?

[xx] Cfr. www.resistenze.org – popoli resistenti – Grecia – 02-05-23 – n. 864.

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2 commenti per “Turchia: l’Europa si schiera contro Erdogan ma Putin lo sta aiutando a vincere

  1. Pasquale Gallo
    11 maggio 2023 at 19:28

    Analisi perfetta

  2. Pasquale Gallo
    11 maggio 2023 at 19:29

    Analisi eccezionale

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