Lavoro materiale o virtuale? Luoghi e tempi nel lavoro nelle Platform work
di Massimo De Minicis, Silvia Donà
Premessa
Il 9 dicembre, per la prima volta nel contesto comunitario, è stata presentata una proposta di regolazione delle diverse tipologie di lavoro realizzato attraverso piattaforme digitali (location based e on web based). La Commissione Europea ha presentato, così, una proposta di direttiva[1]che affronta tre aspetti irrisolti del lavoro su piattaforma: l’errata classificazione dello status occupazionale dei lavoratori coinvolti; la correttezza, trasparenza e responsabilità della gestione algoritmica; l’attuazione e il rafforzamento delle regole da applicare[2]. La direttiva esprimendosi su questi tre punti fondamentali, sembra orientarsi verso l’approccio del governo spagnolo attuato per la sola riclassificazione dei rider delle location based Platform. La Spagna ha riconosciuto nel 2020, infatti, una presunzione di lavoro dipendente per tale tipologia di attività lavorativa, ed è la piattaforma che deve confutare, caso per caso, attraverso una descrizione concreta della prestazione lavorativa, se quella riclassificazione dello status occupazionale è errata[3]. La proposta della direttiva della Commissione Europea non definisce, così, una fattispecie giuridica innovativa e speciale per i lavoratori delle piattaforme, ma attuando un approccio fondato sul “primacy of fact”, richiama una corretta classificazione tra quelle esistenti. La presunzione di subordinazione si basa sulla definizione di criteri atti a verificare, essenzialmente, se la prestazione lavorativa è sottoposta ad un controllo, monitoraggio e valutazione da parte dell’algoritmo. Al verificarsi di due tra i diversi criteri indicati[4]il lavoratore può essere riclassificato come dipendente, con tutte le tutele previste per tale tipologia di lavoro (assicurative, previdenziali e assistenziali).
Essenzialmente l’attuazione di tale normativa a livello degli stati membri potrebbe far emergere una errata classificazione per circa 5,5 milioni di lavoratori digitali in Europa, con un aumento delle entrate fiscali e previdenziali per gli stati membri di circa 4,5 miliardi all’anno. La direttiva, così, per la definizione delle condizioni per la corretta classificazione dello status occupazionale dei lavoratori su piattaforma, analizza concretamente la capacità degli algoritmi di riprodurre, nel mondo virtuale, tipiche dinamiche dell’organizzazione del lavoro salariato tayloriste. Il contributo presentato, mediante una analisi scientifica dell’organizzazione del lavoro e della produzione nelle Platform work, affronterà proprio questo aspetto.
Tempo e Spazio nell’organizzazione del lavoro e della produzione delle Platform work
La tecnologia algoritmica applicata alla produzione, con l’afflusso continuo di dati, informazioni relativi ad ogni fase della produzione ha consentito di radicalizzare le forme di esternalizzazione del flusso produttivo tipiche della Lean production taylorista[5]. In tale contesto produttivo, il dato, l’informazione acquisita digitalmente, assume un ruolo centrale, garantendo alti livelli di produttività e qualità dei prodotti e dei servizi offerti. Questa centralità delle informazioni ha determinato effetti importanti anche nella composizione organizzativa del lavoro, in riferimento ai tempi e ai luoghi in cui esso si materializza. Fenomeno paradigmatico, in termini evolutivi, della dinamica descritta è rappresentato dall’organizzazione della produzione nelle piattaforme digitali di lavoro, Platform work o Lean platform. In questa tipologia di piattaforme l’innovazione tecnologica, garantendo una incessante acquisizione di dati, ha permesso una così ampia estensione dei processi di esternalizzazione da determinare un completo dissolvimento di qualsiasi elemento di internalizzazione, finanche in riferimento al luogo della produzione. Tale spinta centrifuga, per alcuni, ha comportato una sorta di immaterialità del lavoro, anche per la non rintracciabilità del luogo e del tempo in cui si realizza, mutando il capitalismo taylorista in capitalismo cognitivo[6]. Per studiosi come Boutang e Lazzarato ad esempio, il capitalismo è cambiato in quanto la finalità produttiva non è più il consumo della forza lavoro materiale, ma unicamente la sua potenza inventiva (Boutang, 2011). Per tali autori il capitalismo cognitivo rappresenta una cesura definitiva con l’universo taylorista, perché estrae valore da azioni e momenti produttivi che si attuano in forme casuali, dove si dissolvono il luogo e il tempo del lavoro. Così la tecnologia non è più una risorsa esogena per accelerare la produttività, ma unica finalità della produzione. Per tale analisi teorica, nelle piattaforme digitali nate a metà degli anni 2000[7], l’estrazione di produttività avviene mediante relazioni cognitive, artistiche, affettive, creative, che nascono e si sviluppano spontaneamente, in cui le informazioni cognitive, il sapere sociale, diviene contemporaneamente struttura e lavoro del processo produttivo. I possessori della proprietà algoritmica non determinano, quindi, il processo produttivo cognitivo, né i tempi e i luoghi in cui questo si sviluppa, ma semplicemente lo cavalcano, l’imprenditore digitale è un surfista che non crea l’onda (Boutang, 2011). Accanto a tale interpretazione teorica vi è un’ analisi opposta. Per studiosi come Reich, 1992, Gallino, 2007, Caffentzis, 2013, Srniceck, 2016 l’intervento degli algoritmi nel flusso produttivo non ha definito l’eclissi del senso materiale del lavoro, esprimibile in preordinati luoghi e tempi lavorativi rigidamente strutturati in senso taylorista, ma ne ha, invece, determinato una crescita, realizzando fenomeni di iper-taylorismo. Il proseguo del lavoro sarà dedicato ad una analisi finalizzata a sostenere in termini conoscitivi, scientifici e giuridici questa seconda interpretazione.
Il taylorismo virtuale delle Platform Work
I principi comuni nella organizzazione produttiva taylorista erano, infatti, riferibili ad una scientifica scomposizione del lavoro in fasi tra loro coordinate, per la completa eliminazione di ogni tempo improduttivo, nel costante monitoraggio e controllo dell’azione lavorativa, nella segnalazione di ogni malfunzionamento presente, nella precisazione di tempi e luoghi produttivi costantemente monitorati per rispondere alle esigenze del piano industriale centrale. In una fase inziale il taylorismo garantiva la soddisfazione di tali principi mediante una completa internalizzazione e centralizzazione del luogo produttivo, generando un unico luogo e tempo per tutti i lavoratori coinvolti. La presenza di un unico centro di produzione, permetteva l’acquisizione di immediate informazioni per il monitoraggio e il controllo di ogni fase della prestazione lavorativa. Dagli anni ’60 del XX secolo, con l’emergere delle prime forme di tecnologia digitale cibernetica, tale dinamica muta. Le macchine digitali permettono, infatti, l’acquisizione e la condivisione di costanti informazioni sul lavoro anche in luoghi distanti dal centro produttivo principale, evidenziando la possibilità di esternalizzare parti del ciclo di produzione per diminuire i costi, aumentare la qualità e varietà dei prodotti e dei servizi. La divisione del ciclo produttivo in fasi, viene riconsiderata, con la possibilità di rideterminare la sua unitarietà ovunque si realizzino le sue fasi. L’informazione, infatti, acquisita digitalmente, consente di controllare la corrispondenza di ogni singola azione dei lavoratori al piano industriale, anche se svolta in luoghi e tempi differenziati (Just in time workforce). Tale dinamica si intensifica quanto più l’acquisizione delle informazioni digitalmente ottenute diviene rapida ed efficace. In tale prospettiva teorica, a metà degli anni duemila, nel pieno di una seconda intensa rivoluzione informatica, la genesi dell’economia digitale delle Platform work, rappresenta la massima accelerazione del fenomeno descritto. L’informazione si mantiene centrale nel processo produttivo, rimanendo, però, funzionale al controllo dei tempi e dei luoghi di lavoro e non esclusivo obiettivo del ciclo produttivo. In tale prospettiva teorica, una delle ragioni della rapida crescita delle Labour Platform, è che queste, per aumentare la quantità e la qualità dei luoghi e dei tempi della produzione, non necessitano di nuovi sedi produttive, piuttosto di affittare nuovi server (Srnicek, 2016). Una esperienza paradigmatica, in tal senso, è quella relativa alla nascita della prima piattaforma di lavoro digitale su larga scala: Amazon Mechanical Turk. Il programma, infatti, era stato pensato originariamente come un tipico processo taylorista per la distribuzione di specifici compiti lavorativi per i dipendenti interni all’azienda. Il lavoro, tramite un software, era diviso per singole unità di dipendenti in microfasi e microcompiti e costantemente monitorato. Con lo sviluppo di algoritmi sempre più efficaci nella elaborazione e controllo delle microprestazioni svolte, nel 2005, Amazon stabilisce l’esternalizzazione di questo flusso lavorativo interno, al di fuori dell’organizzazione aziendale, realizzando, così, una piattaforma digitale, in grado di distribuire, monitorare e controllare luoghi e tempi lavorativi riferibili non a lavoratori presenti in altre aziende (outsourcing), ma ad una folla di fruitori della rete sconosciuta (digital crowdsourcing) De Minicis, 2018. Amazon estese, successivamente, questo procedimento di organizzazione e distribuzione del lavoro ai più svariati compiti lavorativi. Gli algoritmi della piattaforma permettevano di gestire una quantità crescente di lavoro e di migliorare le prestazioni proporzionalmente alla quantità aggiunta. D’altronde è lo stesso Amazon che interpreta questa evoluzione della produzione e del lavoro in senso taylorista, definendo gli userworkers come scalable workforce messa a disposizione di qualsiasi azienda, o cliente senza la necessità di acquisire nuova forza lavoro[8]. Riconfigurando il taylorismo, non come un elemento storicamente contingente del ciclo industriale, ma come un processo tendenziale. In fondo dalla centralità dell’informazione operativa[9] operaia, della lean production nelle prime aziende cibernetiche (IBM, Olivetti…) all’organizzazione della forza lavoro scalabile di Amazon Mechanical Turk, la distanza non è poi così grande[10].
D’altro canto, la prospettiva teorica di consonanza delle prestazioni lavorative svolte nelle Labour platform ai principi organizzativi tayloristi sembra avvalorarsi anche nella ricostruzione dei processi produttivi presente nelle aule giudiziarie. Chiaro esempio, in tal senso, la giurisprudenza di merito (Tribunale Palermo 24 novembre 2020) che, dopo aver valutato le concrete modalità di svolgimento, organizzazione, controllo della prestazione di un lavoratore digitale, si è orientata dichiarando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. Per arrivare a tali conclusioni vi è stata un’articolata istruttoria in cui si evidenzia come il lavoratore digitale fosse solo formalmente libero nella definizione dei tempi e dei luoghi del lavoro, perché questi nella realtà erano determinati in modalità costrittiva dalla piattaforma, pena l’esclusione per future prestazioni lavorative (Fava, 2021, 3ss.). In tale configurazione l’azione di controllo e monitoraggio dell’algoritmo appare estremamente pervasiva. Si evidenzia, infatti, come ilciclo produttivo della piattaforma si realizza, attraverso un algoritmo che sulla base di previsioni statistiche, calcola il fabbisogno di manodopera necessario per soddisfare la domanda dell’utenza di una determinata area e in una determinata fascia oraria. La piattaforma, quindi, individuata un’area nella quale effettuare il servizio, stabilisce nell’arco della settimana, per ciascun giorno e fascia oraria, il numero ottimale di lavoratori digitali che intende avere a sua disposizione. Una descrizione corrispondente ad un ciclo produttivo taylorista che coordina e utilizza una forza lavoro altamente scalabile. Per garantire tale processo costante di scalabilità della forza lavoro il sistema di controllo e coordinamento dei lavoratori impiegati appare estremamente pervasivo, per garantire il rispetto di ogni tempo della fase produttiva stabilita dal piano industriale. L’applicativo digitale che il rider deve installare tramite app controlla infatti oltre alla sua geolocalizzazione finanche il livello di carica della batteria dello smartphone, inibendo l’accesso alla sessione di lavoro in caso di carica inferiore al 20%. In sostanza, quindi, la piattaforma definisce i tempi del lavoro, analizza l’efficacia della strumentazione predisposta dal lavoratore e indica il luogo dove svolgere la prestazione, alternando continuamente forza lavoro in relazione alle domanda di beni e servizi pervenuta. Nella sessione il lavoratore digitale deve quindi: – recarsi nella zona di lavoro – effettuare il cd check in, ovvero il collegamento alla piattaforma 15 minuti prima dell’inizio della sessione, rendendosi in tal modo geolocalizzabile nell’area di lavoro. In caso di mancato check in il sistema sollecita il lavoratore con una notifica sullo smartphone che lo avvisa dell’approssimarsi dell’inizio della sessione e, perdurando l’inerzia, lo sanziona con la perdita di punteggio. L’algoritmo permette, quindi, alla piattaforma digitale di esercitare il potere di controllo e disciplinare tipico del datore di lavoro taylorista, dove l’attribuzione di una valutazione della prestazione lavorativa inferiore a seguito del verificarsi di determinati eventi, sanziona un rendimento del lavoratore inferiore alla sue potenzialità, con una retrocessione nel punteggio e quindi nella possibilità di lavorare a condizioni migliori o più vantaggiose. Descrizione dettagliata delle modalità attuative in termini di controllo, monitoraggio e valutazione di ogni fase della prestazione lavorativa nelle Labour Platform è data anche dalla giurisprudenza di merito del Tribunale di Bologna del 31 dicembre 2020, nell’ambito di una pronuncia che ha verificato l’esistenza di effetti discriminatori tra i lavoratori legati al funzionamento di una piattaforma. Dall’istruttoria si evidenzia, infatti, come la valutazione interna di ogni lavoratore digitale fosse determinata sulla base della raccolta di informazioni determinanti statistiche individuali realizzate grazie all’impiego di due parametri, quello della affidabilità e quello della partecipazione[11].
In tal senso anche i giudici del tribunale di Bologna, indicano un’azione di controllo costante del ciclo produttivo sul luogo e il tempo di lavoro, tipiche delle organizzazioni tayloriste, a cui si aggiunge una seconda valutazione nella realizzazione del servizio, determinata dal cliente finale a cui viene riservato dall’algoritmo il compito di esprimere precisi giudizi sulla qualità, l’efficienza della prestazione lavorativa realizzata[12]. Infine la sentenza evidenziata, riconosce effetti discriminatori derivanti da tale sistema di organizzazione e controllo della prestazione lavorativa, perché incompatibile con le storiche limitazioni presenti nel controllo del luogo e del tempo di lavoro della produzione taylorista, come l’esercizio del diritto di sciopero, il ricorso a specifici diritti egualmente protetti dalla legge (stato di malattia o necessità di cura familiare) (Perulli, 2021, 4 ss.; Fassina,2021,2 ss.).
A seguire vi è poi la pronuncia del Tribunale di Firenze, che con sentenza n. 781/2021, rilevata l’antisindacalità della condotta, condanna Deliveroo Italy «a porre in essere le procedure di consultazione e confronto previste dall’art. 6, CCNL terziario Distribuzione e Servizi» e «a cessare l’applicazione del CCNL Ugl Rider»[13]
Appare opportuno evidenziare, quindi, come la materialità della produzione di beni e servizi delle labour platform, in assenza di alcune storiche caratteristiche del ciclo produttivo taylorista, concentrazione in univoci spazi aziendali della forza lavoro, può comportare conseguenze discriminanti e limitanti per la forza lavoro coinvolta, provocando una dilatazione della asimmetria nella relazione tra lavoratore e impresa. La presenza di luoghi e tempi di lavoro prestabiliti e controllati, ma fortemente atomizzati e individualizzati, diminuisce la condivisione di informazioni, conoscenze, esperienze tra i lavoratori, limitando la possibilità di sviluppare percorsi di azione sindacale. Non è un caso che le forme di mobilitazione sindacale del lavoro più evidenti su piattaforma si siano mostrate tra i riders o gli autisti, dove il ciclo produttivo digitale concede, in alcuni momenti, possibilità di incontro. Per i rider pensiamo, ad esempio, ai tempi di attesa degli ordini presso i locali di ristorazione o distribuzione delle merci, divenuti spazi simbolici di partecipazione, azione, discussione e rappresentanza sindacale. Se pensiamo, poi all’evoluzione del Taylorismo fuori dalle forme più radicali di esternalizzazione digitale del lavoro, il lavoro operaio, osserviamo similitudini con il lavoro digitale in termini di scalabilità, ma una diversa espressione nelle tutele. Il tempo di lavoro, infatti, presenta una notevole rilevanza anche nel contratto collettivo dei metalmeccanici, rinnovato il 5 febbraio scorso, materia che presenta le connessioni più forti e dirette con la produttività delle imprese (Tomassetti, 2018). Ponendo l’attenzione sulla disciplina degli specifici e ferrei schemi di turnazione si osserva la convergenza dell’organizzazione oraria con l’andamento della domanda del mercato (just in time worforce), come ad esempio nell’orario plurisettimanale e nella possibilità di utilizzare direttamente alcuni istituti per far fronte ad esigenze di produttività, come ad esempio i permessi annui retribuiti spendibili per esigenze organizzative, oppure le ore di straordinario che possono essere richieste direttamente dalla direzione d’azienda. Tale scalabilità della forza lavoro, disciplinata nel CCNL, si armonizza però con la conciliazione dei tempi di vita riguardo a specifiche esigenze dei lavoratori[14]. Finanche i lavoratori studenti, iscritti a corsi regolari di studio possono essere ammessi, dietro una loro autonoma richiesta, a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi[15]. Paradossalmente, quindi, sembra maggiormente accordarsi alle esigenze di vita dei lavoratori un sistema taylorista meno distante dalle forme storiche di espressione del lavoro tradizionale, il lavoro operaio industriale, piuttosto che le forme evolutive del taylorismo digitalizzato delle Labour Paltform[16]. Piattaforme che, peraltro, hanno sempre evidenziato l’attrattività del loro modello organizzativo nella capacità di garantire una emancipazione del lavoro dai luoghi e dai tempi definiti in senso taylorista, promettendo ai lavoratori digitali di lavorare come, quando e dove vogliono: decidi tu dove, decidi tu quando, senza un capo[17].