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manifesto

«Attenti al valore del contratto»

Antonio Sciotto

Il sociologo Gallino e il testo dei sindacati: il livello nazionale è l'unico che crea una reale redistribuzione, la riforma rischia di indebolirlo. Bene la rappresentanza, ma manca una ricetta per i precari

epifaniebnonanniProfondo conoscitore del mondo del lavoro e delle imprese, il sociologo Luciano Gallino ha analizzato il testo di riforma dei contratti approntato da Cgil, Cisl e Uil, e nota subito «un'importante assenza», relativa al ruolo del contratto nazionale. Dall'altro lato, ritiene poco chiari e inefficaci, concetti come l'«inflazione realisticamente prevedibile» e la contrattazione «accrescitiva» di secondo livello, basata su parametri quali la «redditività» o la «produttività».


Professore, come verrebbe ridisegnato il sistema contrattuale?


Leggendo il testo, mi pare che ci sia un'assenza importante, relativa a un ruolo incisivo del contratto nazionale: perché la funzione fondamentale del primo livello è stata, storicamente, quella di tutelare la distribuzione del reddito tra salari da un lato, e profitti e rendite dall'altro.

Un ruolo che si è fatto particolarmente urgente negli anni più recenti, dato che in base agli ultimi dati disponibili - dai rapporti dell'Fmi all'Ocse - negli ultimi 25 anni i salari hanno perso oltre l'8% rispetto a profitti e rendite, e un 3,5% se ci limitiamo al periodo dal '93 in poi, anno del primo accordo sulla contrattazione. Stiamo parlando, con il 3,5%, di ben 50 miliardi di euro. Non basta, per recuperare quanto perso e tutelare un'equa redistribuzione, il semplice riferimento al «sostegno» e alla «valorizzazione del potere di acquisto», perché anche se quest'ultimo resta fermo e garantito, non vuol dire affatto che non possa peggiorare la disuguaglianza. Non vedo altro strumento, a parte il contratto nazionale, per affrontare il peggioramento della distribuzione del reddito, e così mi pare strano che questa funzione non venga mai nominata.


Nel testo si introduce una novità: l'«inflazione realisticamente prevedibile». Che ne pensa?


Francamente non so cosa possa rappresentare. L'inflazione o c'è o non c'è. Cioè, si misura dopo, ex post, perché è difficile prevederla, si può sbagliare per eccesso o per difetto. Basti vedere quello che è successo con i prezzi alimentari, dico a livello mondiale, balzati in alto del 40-80% in soli sei mesi. Sono proprio quei beni che pesano di più sulle spese dei redditi bassi.


La riforma fa molto affidamento sul recupero di salario nel secondo livello. Lo crede possibile?


Ecco, leggo che il secondo livello dovrebbe dispiegarsi «in una molteplicità di forme: regionale, provinciale, settoriale, di filiera, di comparto, di distretto, di sito», ma mi chiedo innanzitutto come si faccia, volta per volta, a decidere quale sia il livello più adatto; si indica che dovrebbe individuarlo il contratto nazionale, «in termini di alternatività», ma vedo poco chiaro un ruolo quasi «ad personam» dei contratti nazionali. Ma soprattutto non comprendocosa sia la funzione «accrescitiva» del secondo livello, in relazione ai 5 parametri: «produttività, qualità, redditività, efficienza, efficacia». Sono criteri che possono voler dire tanto e nulla: con le moderne filiere, con le catene di produzione di valore che si sviluppano attraverso il mondo, come si fanno a stabilire i 5 parametri su base locale, di sito, di distretto? Forse, davvero, se si riuscissero a recuperare sull'intera filiera potrebbero avere un senso: ma è estremamente difficile dato che le componenti per l'automobile, gli elettrodomestici, l'elettronica, ma anche i servizi, ormai vengono da paesi lontani, con qualità, tempi di consegna e costi diversi.


Il testo infatti auspica una maggiore informazione, la possibilità di controllo di lavoratori e sindacati sui bilanci dell'impresa.


Sono rapporti da migliorare, ma oggi è davvero difficile reperire quelle informazioni. Per almeno due motivi. Il primo è la cosiddetta «manipolazione dei prezzi di trasferimento», su cui c'è un'ampia letteratura: per dichiarare una bassa base imponibile, una società mette in bilancio di aver pagato certi prodotti a prezzi molto alti; salvo poi scoprire che ha acquistato da società del suo stesso gruppo; allo stesso modo, sempre legalmente, può dichiarare poco nel paese dove ha la sua sede principale, grazie al fatto che genera profitti in paesi dove ha delocalizzato. Così non capisco come si possano avere i numeratori e i denominatori reali sulla «redditività» o la «produttività» delle aziende con cui voglio fare contrattazione di secondo livello.


Nel testo si parla anche di una maggiore conoscenza degli aspetti finanziari dell'impresa.


Ma con il sistema finanziario che sta andando a gambe all'aria in tutto il mondo, non so come si possa avere trasparenza. Il testo prende atto della «finanziarizzazione dell'economia», ma invece di rincorrerla, io mi sarei aspettato espressioni quali: «la finanziarizzazione dovrebbe essere contrastata a favore delle componenti propriamente produttive dell'industria». Oggi anche esperti di finanza non di sinistra parlano di un sistema che va regolato da capo, tornando a Bretton Woods o anche prima.


Le regole sulla rappresentanza come le sembrano?


Mi sembra che valga la pena sperimentarle, quelle attuali portano spesso a confusioni da superare. Piuttosto, mi pare che nel testo manchi una proposta contro la precarietà, a parte un fugace riferimento. E dire che la situazione peggiora con grande velocità: gli ultimi dati emessi dal ministero del Lavoro, poco prima del passaggio da Damiano a Sacconi, parlano di un 70% di nuovi contratti precari, a fronte di un 55% negli anni 2005-2006. E stiamo parlando delle comunicazioni obbligatorie delle imprese al ministero, non di generiche interviste a campione.


Per concludere, come vede la proposta di detassare gli straordinari del governo Berlusconi?


Mi sembra che si discuta tanto per avere a fine mese sì e no una trentina di euro in più, con costi notevoli per lo Stato. A meno di non fare orari disumani, gli straordinari rendono in media 200 euro al mese: oggi sono tassati al 23-25%, dunque pago allo Stato 50 euro; se porteranno la tassa al 10%, pagherò 20 euro, guadagnandone 30. Ma se poi devo tagliare su sanità, asili, scuole, mi accorgo che il lavoratore sarà il primo a pagare per i mancati servizi. Io penso che ad aumentare i salari dovrebbero essere le imprese e non il fisco, comunque mi sembrano migliori le idee di sgravio generale su tutti i salari e le pensioni, sempre che non ci perdano poi i servizi sociali.
 

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