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manifesto

Scopriamo le carte per la nuova rappresentanza

Tiziano Rinaldini

101Dopo il disastroso risultato elettorale e le non meno disastrose dinamiche che ne sono derivate all'interno dei partiti dell'Arcobaleno, è non solo comprensibile, ma auspicabile ricercare rapporti unitari tra le forze di sinistra e costruire luoghi di relazioni (forum) tra i «movimenti» o le associazioni, le organizzazioni, ma non si può confondere questo con il problema di una nuova forza politica della sinistra. Su questo piano si pongono questioni inevitabili per chiunque se ne dichiari interessato.

La prima di queste questioni è il riconoscimento che non si può non prendere atto che al problema non è interessato chi ritiene che la prospettiva politica della sinistra vada ricercata per l'oggi e per il domani nella riproposizione pura e semplice delle identità delle esperienze con cui nel '900 è stata prevalentemente interpretata la storia del movimento operaio, né chi a fronte di questa crisi della rappresentanza ritiene che ciò sia positivo non perché apre il problema di ripensarne forme e contenuti, ma perché lo ritiene uno sbocco che finalmente ci libera da un falso problema. Sono posizioni, linee di pensiero e di pratica politica notoriamente presenti, rispettabili e con cui confrontarsi, ma non certo interessate a un processo di costruzione di una nuova rappresentanza politica della sinistra.

Con questa consapevolezza, vediamo ora di mettere a fuoco i problemi che si pongono in modo che li si possa davvero affrontare e verificare consentendo a ognuno di chiarire il contributo, differenze, difficoltà, a carte scoperte. Tra i problemi non eludibili che si pongono ne elencherò alcuni che ritengo molto significativi. Una nuova rappresentanza politica della sinistra non nasce e, se nasce, non sta insieme se alla base non vi sono contenuti di fondo condivisi e traducibili politicamente.

E' evidente che su questo terreno un insieme organicamente amalgamato oggi non esiste (e probabilmente non è neanche auspicabile per il futuro), ma a me pare altrettanto evidente che non regge una sommatoria delle culture di opposizione politica e sociale sopravvissute o nate a fronte della cosiddetta globalizzazione. Ne deriva che si richiederebbe uno sforzo per verificare se è possibile uscire, senza artifici retorici, dalle separatezze e elaborare, proporre, la base comune, non certo tale da annullare le differenze, ma per costruire e definire un comune fondamento.

Centrale in questo percorso è la relazione tra il contrasto che si è determinato nei confronti di quanto avvenuto in questi decenni, sul piano del lavoro, dell'ambiente, dei diritti e della differenza di genere e il loro rappresentarsi in un processo di alternativa sociale, politica e economica all'esistente.

E' in questo che si decide la possibilità di essere forza di opposizione e di governo, e non certo in astratte chiacchiere in cui si pretenda di autodefinirsi forza di opposizione o forza di governo in una dimensione per l'ennesima volta tutta politicista, come rischia di accadere.

Una seconda questione ci riconduce ai problemi della forma di una nuova forza politica della sinistra e delle sue caratteristiche democratiche.

Se non è (e non può essere, come prima chiarito) un forum o un coordinamento di rapporti unitari, se nel contempo si afferma che occorre trovare forme nuove, non si può continuare a limitarsi a sostenere che è improponibile lo schema del «partito del '900» senza mettere in campo ipotesi definite su cui finalmente verificare e confrontarsi.

Viene da pensare che non vi siano in realtà idee precise, o che ognuno sia così chiuso nella sua idea, in una sorta di identità individualistica, da non osare di rischiare, metterla in campo e confrontarla. Voglio qui portare alcuni esempi del problema.

Come vengono assunte le decisioni e in che senso si dà risposte al fatto che vi siano procedure democratiche e partecipate diverse da quelle adottate tradizionalmente nei partiti? D'accordo, occorre che vi sia un confronto partecipato e rispettoso, alla ricerca di conclusioni condivise. Questo è il presupposto, ma non si dà democrazia se non si chiariscono anche procedure condivise che permettano di assumere decisioni con l'esercizio del voto. E non può essere certo una risposta che si decide solo sulle questioni su cui si è tutti d'accordo. Può forse essere una pratica utilizzabile per associazioni a certi livelli, e è pressoché inevitabile se un forum vuole assumere decisioni impegnative per tutti; con tutta evidenza non funziona per una forza di rappresentanza politica generale, tra i cui scopi, tra l'altro c'è la presenza nelle istituzioni elettive.

E ancora, si sente parlare di ipotesi federative, ma che vuol dire?

Qual è il rapporto in queste ipotesi tra le parti che si federano, i terreni e i percorsi decisionali, gli uomini e le donne che non si riconoscono oggi in nessuna forza politica organizzata. Anche in questo caso si rischia un puro esercizio retorico, se non si rende chiara quale cessione di sovranità e quindi come si decide sui terreni ceduti, e la disponibilità, non a sciogliersi, ma certamente a mettersi in discussione.

Un altro esempio si riferisce al radicamento territoriale. Anche in questo caso per confrontarsi occorre chiarezza. Una cosa è affermare oggi la necessità per una forza politica generale della sinistra di strutturarsi in modo da rendere estremamente democratica, decentrata e articolata la forma organizzativa, con rilevanti e definiti spazi condivisi di autonomia; un'altra cosa è pensare di risolvere genericamente la questione, richiamando il termine «rete» o «territorializzazione». Non saranno di per sé le tecnologie a risolverci il problema, né tanto meno il richiamo al territorio come sede di un neocomunitarismo salvifico.

Infine un altro insieme di problemi sulla strada di una nuova forza politica della sinistra si riferisce alla relazione tra questa, le varie associazioni e di movimenti. Anche in questo caso è necessario chiarezza su ciò di cui stiamo parlando.

A me pare evidente che, da un lato, non vi possa non essere una relazione forte, indispensabile, ma nel contempo non riuscirei a capire come potrebbe sussistere una relazione di organica identificazione tra i vari piani, con il risultato di essere nei fatti mosche cocchiere dei movimenti nel loro momento alto, o fruitori di rendite parassitarie nel ricordo di movimenti che non ci sono più. Mi fermo qui; altri potranno portare altri esempi.

Ciò che mi sono proposto con questo contributo è chiedere a tutti di fare chiarezza su ciò di cui stiamo parlando, misurandosi con questi problemi e scoprendo le carte, verificando insieme davvero se è possibile lavorare alla costruzione della rappresentanza politica della sinistra, o rassegnarsi a lasciar perdere in questa fase, pensando (illudendosi ?) a tempi migliori.

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