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Il welfare diviso nove

 Valerio Selan

Il disegno di un sistema di protezione sociale efficiente deve tener conto delle esigenze e degli atti di nove gruppi o soggetti, i cui bisogni possono a volte confliggere. Proprio per questo è poco utile concentrarsi su aspetti parziali: per un riforma è necessario un approccio globale

welfareIn attesa di una ripresa della produzione e di una probabilmente più lenta ripresa dell'occupazione, riecheggiano le vecchie note della riforma del welfare. L'acuta recensione di Carlo Clericetti all'ottimo libro di Laura Pennacchi sui due opposti modelli di welfare (di destra e di sinistra, per intenderci), riaccende i fari su un fondamentale elemento di sviluppo e di equilibrio di uno Stato moderno, nonché su uno dei crinali sui quali si divaricano le politiche economiche dei neo-liberisti e dei neo-socialisti. E' opportuno far chiarezza su alcuni aspetti oggettivi del problema e sulle posizioni dei vari protagonisti di una complessa rappresentazione.

Purtroppo nella realtà dei dibattiti e delle scelte - almeno sinora, nel nostro paese - le dramatis personae si sono affacciate alla ribalta solo singolarmente o al più in coppia, impedendo così di cogliere l'intera complessità del fenomeno, le interdipendenze ed anche le eventuali sinergie.

I protagonisti sono almeno una decina. Ognuno di loro ha legittime rivendicazioni e aspettative, unite a corrispondenti responsabilità. Queste aspettative possono essere conflittuali con quelle di altri protagonisti o addirittura tra loro, in base al motto "botte piena e moglie ubriaca".

L'antinomia si risolve nell'equilibrio matematico di massimi reciprocamente vincolati o, per stare al proverbio, con una botte non proprio piena ed una moglie solo un po' brilla.

Elenchiamo preliminarmente questi soggetti, per dare un'idea dell'affollamento del palcoscenico sul quale si dovrà rappresentare l'opera (ci auguriamo non "buffa") della grande riforma del welfare. 1) I minori da 0 a 18 anni di età; 2) gli studenti (esclusi quelli che già figurano nel primo gruppo) dai 18 ai 27 anni, e cioè universitari, frequentanti corsi di specializzazione, etc; 3) i disoccupati, che comprendono quote del gruppo 2; 4) i lavoratori, sia dipendenti che professionisti e autonomi; 5) le casalinghe, che di fatto partecipano all'attività della forza lavoro; 6) i pensionati; 7) gli ammalati, compresi i lungo-degenti e i disabili; 8) le imprese; 9) il Tesoro.

Il primo gruppo dal punto di vista collettivo produce un costo per mantenimento e formazione. Esso risulterà ripartito tra le famiglie, le imprese (asili nido aziendali, permessi, etc) e lo Stato, da noi indicato come Tesoro. In quest'ottica la stratificazione dei livelli di governo è sostanzialmente ininfluente. E' evidente che una collettività che intenda progredire civilmente e demograficamente richiede un buon livello del welfare in questo campo. Si tratta dunque di un costo non comprimibile; anche se a seconda del grado di concentrazione dei redditi e soprattutto del peso dei redditi più bassi, il ruolo della spesa pubblica o del Terzo Settore può essere un po' meno rilevante. A questo proposito occorre specificare la posizione del Terzo Settore e più in generale di tutte le iniziative solidaristiche. Per estrema semplificazione esso può essere conglobato sotto la più generica definizione di "Tesoro". La solidarietà sociale che si traduce in una copertura di oneri di tipo pubblicistico può infatti manifestarsi o con il meccanismo coercitivo dell'imposta, o con quello volontaristico della sottoscrizione o del contributo. A parte i dettagli operativi, anche importanti, il risultato finale è sostanzialmente analogo.

Anche il secondo gruppo rappresenta un costo. Peraltro alcuni dei suoi componenti possono partecipare in varie forme al mercato del lavoro. Il ruolo della famiglia rimane importante e, in molti casi, decisivo. Non a caso è più facile che raggiungano le lauree "lunghe" ( Medicina, ad esempio) i figli dei professionisti rispetto a quelli degli operai. Qui si ravvisa un ampio spazio per interventi pubblici, in Italia praticamente assenti. Altrettanto importante può risultare il ruolo delle imprese, mediante finanziamento della ricerca e di borse di studio.

Il terzo gruppo (disoccupati) rappresentano un costo sociale diverso dai due precedenti, perché essi hanno natura di investimento, mentre questo è un costo non recuperabile. La disoccupazione, dal punto di vista della collettività, non rappresenta solo un onere che ricade su famiglie, imprese, Tesoro, a seconda della struttura welfaristica concreta, ma anche la perdita dei costi che la stessa collettività ha affrontato nelle prime due fasi già attraversate dal lavoratore. I vari sussidi e corsi di formazione non sono una soluzione del problema, ma provvedimenti-tampone. Una società con disoccupazione permanente, anche sussidiata, è eticamente iniqua, economicamente inefficiente, politicamente instabile.

Nel divario fra salario lordo e netto si manifesta per i lavoratori una conflittualità di interessi. La necessità di coprire i costi dei gruppi 1 e 2, di remunerare di fatto il prezioso lavoro delle casalinghe (per quelli che hanno famiglia) e di assicurarsi un buon livello di vita li spinge alla ricerca del massimo salario netto. Ma il timore di un "pauperismo senile" li indurrebbe a rinunciare a parte di questo salario per realizzare in futuro una buona pensione, o pubblica o privata o con ambedue i rami assicurativi.

Speculare il comportamento delle imprese. Esse vorrebbero contemporaneamente ridurre il costo del lavoro e pagare bene i propri dipendenti, per fidelizzare i migliori. Solo le aziende miopi privilegiano il precariato. Auspicano conseguentemente la riduzione del cuneo fiscale. Donde la richiesta di allungamento dell'età pensionabile.

I disabili e i malati, soprattutto i lungodegenti rappresentano infine un costo la cui copertura sociale misura il grado di civiltà di un paese. Il Pianeta Sanità è però troppo complesso per trattarne in questo quadro. Semmai nel welfare globale potranno figurare benefici fiscali o contributi a favore delle famiglie che si assumono l'onere dell'assistenza parentale.

Il Tesoro è chiamato a far fronte a tutte le "mancate coperture di costi" da parte degli altri protagonisti. Esso è null'altro che un intermediario dotato di potere di coazione che si procura le somme prelevandole dai lavoratori o dalle imprese. Il suo "lavoro" ha un costo, detto di trasformazione, corrispondente alle spese per l'apparato politico-burocratico, che però svolge anche altri compiti di interesse collettivo, quali la sicurezza e la giustizia.

In un quadro così complicato, gli interventi settoriali non sono risolutivi. Le richieste dei protagonisti sono spesso contradditorie. Valga l'esempio di quella confindustriale. Se l'età pensionabile fosse spostata a 65 anni si realizzerebbe un risparmio previdenziale ed un alleggerimento del cuneo fiscale, gravando però le aziende con lavoratori anziani, con salari alti e produttività decrescente e con un aumento di incidenti sul lavoro, scarti di lavorazione, assenze per malattia. Se, contemporaneamente, non aumentasse la domanda di lavoro, i costi della disoccupazione giovanile potrebbero ricadere in parte sulle stesse imprese.

La soluzione corretta consiste dunque nell'affrontare il problema nella sua globalità, anziché strattonare di qua e di là una coperta troppo corta. Occorre sommare da una parte tutti i costi potenziali; dall'altra aggregare tutte le possibili fonti di copertura che in realtà sono imputabili ai soli soggetti produttori di reddito (lavoratori, professionisti, imprese, rentiers). Come già detto, il Tesoro agisce da leva di intermediazione, più o meno costosa. L'equilibrio del welfare globale, tenendo conto delle posizioni di partenza (struttura demografica, grado di concentrazione dei redditi e della ricchezza, sentimento di solidarietà sociale) e degli obiettivi da massimizzare, si ottiene in due modi:

a) diminuendo l'area dei costi (nella Sanità, con la prevenzione e l'efficienza strutturale, nella disoccupazione, con la formazione continua e la fluidità del mercato del lavoro, atta a coniugare il permanere del reddito del lavoratore con l'elasticità occupazionale). E' compreso in quest'area il costo di trasformazione, da minimizzare con la razionalizzazione dell'apparato politico-burocratico.

b) Ampliando l'area dei ricavi. Ciò si può ottenere anticipando l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, eliminando le sacche di disoccupazione, posticipando l'uscita degli anziani, anche sperimentando sistemi di part-time e mezza pensione. Poiché l'area dei ricavi comprende professioni e imprese, le liberalizzazioni e le tecnologie innovative accrescono il loro apporto al totale.

La leva fiscale però rimane lo strumento principale di finanziamento di tipo redistributivo. Il ruolo delle famiglie, pur importante, se non assistito da provvidenze pubbliche, tende ad essere regressivo, perché favorisce i ricchi. Ciò vale anche per i sistemi assicurativi (pensionistici o sanitari) di tipo privatistico. Diverso, e simile a quello pubblico, il ruolo del Terzo Settore.

Questi sono i termini del problema. Le recenti proposte del governatore della Banca d'Italia, limitate alla riforma pensionistica, si basano sull'ipotesi poco plausibile in questa fase di una domanda di lavoro crescente. Se così non fosse, l'aumento dell'occupazione nella fascia di età 55-65 sarebbe compensato da un aumento della disoccupazione nella fascia da 20 a 30 anni. Se il costo di un pensionato per la collettività nel suo complesso fosse maggiore di quello di un disoccupato (ammortizzatori più oneri sulle famiglie) si avrebbe un piccolo vantaggio netto. Se no l'effetto sarebbe nullo o negativo.

E' evidente che tale equilibrio gobale verrà raggiunto più agevolmente e con minore pressione fiscale se i redditi sono meno sperequati, il mercato del lavoro è più fluido, le liberalizzazioni azzerano le rendite e il senso della solidarietà è più diffuso. Le difficoltà aumentano quando i redditi sono concentrati, la solidarietà carente, l'evasione fiscale pervasiva e la disoccupazione strutturale.

In questo caso la soluzione risiede in un sistema fiscale fortemente progressivo a sostegno di un welfare che abbraccia tutte le età della vita (dalla culla alla tomba, come si diceva quando nacque). Il sistema globale risulta in definitiva più efficiente, anche perché potenzia le eventuali sinergie. Partire dalla coda (età pensionabile) o tentare fantasiose comparazioni con strutture socio-economiche e psicologie collettive ben diverse dalle nostre, risulterebbe a medio-lungo termine controproducente.

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