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coku

Il prezzo. Iliénkov e Marx

di Leo Essen

evald ilyenkov by mary skies d9p2azcNella Critica dell’economia politica Marx presenta una serie di equazioni (1Q di ferro = 2 di oro; 1x di caffé = 1 di oro; eccetera), e dice che in questa serie, il ferro, il caffè, eccetera, appaiono l’uno all’altro come materializzazioni di lavoro uniforme, cioè di lavoro materializzato in oro, lavoro in cui siano cancellate (ausgelöscht) in pieno tutte le particolarità dei reali lavori. Come materializzazione uniforme dello stesso lavoro manifestano una sola differenza, di carattere quantitativo, ossia appaiono come grandezze di valore differenti.

È evidente che le differenze dei lavori effettivi che fanno del caffè e del ferro valori-uso apprezzabili non possono essere cancellate, non possono essere spazzate via. Queste differenze devono essere negate, ma allo stesso tempo mantenute.

Il valore-scambio delle merci, dice Marx, espresso in tal modo come equivalente generale e allo stesso tempo come grado di questa equivalenza in una merce specifica, oppure in un’unica equazione fra le merci e una merce specifica, è il prezzo.

Il prezzo esprime sia l’equivalente generale, sia il grado dell’equivalenza. L’equivalente generale è ciò che è comune sia al caffè sia al ferro. Questo comunità, dice Iliénkov, non è quella della classe o dell’universale.

L’universale, dice Iliénkov, nel senso stretto della parola, è ciò che è comune a tutte le merci. Tutte hanno in comune di rappresentarsi in oro – in una quantità determinata di oro. Tuttavia, dice, l’universale non è affatto la reiterata ripetizione, in ogni singolo oggetto, preso separatamente, di una somiglianza che si presenta come connotato comune ed è fissata da un segno.

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blackblog

La forma del valore, la reificazione e la coscienza del lavoratore collettivo

di Alan Milchman (Mac Intosh) 1940-2021

milchmanLa teoria critica di Marx ha svelato un modo di produzione, una civiltà, basata sul valore, che egli ha descritto come una «forma squilibrata» o «perversa» [verrückte Form], nella quale i rapporti sociali tra le persone sono invertiti e appaiono come relazioni tra cose. A produrre e riprodurre questa forma squilibrata, è il lavoro astratto della classe operaia. Come sostiene Max Horkheimer nel 1937, in "Teoria tradizionale e teoria critica": «Attraverso il proprio lavoro, gli esseri umani riproducono [erneuern] una realtà che li rende sempre più schiavi» [*1] È stato Georg Lukács, nel suo saggio "Reificazione e coscienza del proletariato", che fa parte della collezione "Storia e coscienza di classe" (1923), a elaborare per primo una teoria della reificazione attraverso cui gli effetti della forma valore - quella forma perversa - e il feticismo della merce che ne è parte integrante, si impadroniscono della società. La conclusione cui arriva Lukács, ancora prima che fossero stati pubblicati molti dei vasti manoscritti "economici" di Marx, è una svolta teorica, su cui il marxismo, in quanto critica negativa del capitalismo, è ancora basato. Come ha sostenuto Lukács, in maniera convincente: «Come il sistema capitalistico si produce e riproduce continuamente ad un grado sempre più alto, così nel corso del suo sviluppo, la struttura della reificazione si insinua sempre più a fondo, in modo denso di conseguenze, nella coscienza degli uomini fino a diventare suo elemento costitutivo.» [*2] Tuttavia, il concetto di reificazione di Lukács implicava anche la pretesa che il proletariato, in quanto identico soggetto-oggetto, avrebbe potuto sfuggire alla schiavitù della reificazione; cosa che Horkheimer avrebbe in seguito sottolineato.

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materialismostorico

La dialettica tra “vecchio e nuovo”. Gramsci e la marcia dell’universalità nelle note di Domenico Losurdo

di Gianni Fresu (Universidade Federal de Uberlândia/Università di Cagliari)

Losurdo inscrive la transizione di Gramsci dal liberalismo al comunismo critico nella lunga marcia dell’univer- salità, in quella interminabile dialettica tra vecchio e nuovo all’interno della quale si situano contraddizioni e salti qualitativi immanenti al divenire storico. Le prospettive di trasformazione radicale della società, attorno all’idea di integrale emancipazione umana, sarebbero uno sviluppo del principio di universale dignità dell’uomo (in contrapposizione al particolarismo giuridico aristocratico-feudale) al centro dei rivolgimenti politici di fine Settecento e inizio Ottocento. Gramsci non intende fare del socialismo un becchino della società borghese ma il suo erede. In tal senso si pone in termini dialettici, concependo l’avvento del nuovo ordine come superamento del vecchio, non come la sua semplice negazione. Così, anche in una fase storica segnata dalla grave crisi del libera- lismo italiano, disposto a mettere da parte le proprie istituzioni e i suoi valori ideali pur di impedire il cambia- mento dell’ordine sociale, Gramsci concepisce il socialismo all’interno di un processo ascendente e progressivo apertosi con la distruzione del vecchio ordine feudale, trovando in Hegel il filosofo che con maggior sistematicità ha saputo concettualizzare il trapasso dal vecchio Stato patrimoniale per caste chiuse al moderno Stato etico

36154303z   1. Tra rivoluzione e restaurazione.

Occupandosi di singoli autori o di intere tradizioni filosofiche, Domenico Losurdo non ha mai confinato le proprie ricerche a uno specifico campo disciplinare, né limitato le sue riflessioni all’insieme degli avvenimenti immediatamente riconducibili all’argomento trattato. Al di là del concepire il marxismo come visione unitaria e autosufficiente del mondo, i suoi studi sono caratterizzati da un approccio complesso che chiama in causa questioni estremamente articolate di carattere filosofico, storico, giuridico, sociale, economico e politico. In tal senso, per comprendere in profondità le sue riflessioni su Antonio Gramsci è necessario inserirle all’interno del discorso complessivo sviluppato da Losurdo nella sua vasta e ricca produzione intellettuale, avendo ben chiara la natura organica e unitaria delle battaglie filosofiche e politiche di cui è stato protagonista. All’interno di questo percorso intellettuale, Losurdo ha costantemente sottolineato l’importanza della filosofia di Hegel per comprendere premesse e eredità delle due più grandi rotture della storia moderna e contemporanea: la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa. Ciò ha significato anche porre in evidenza la stretta relazione tra dimensione teoretica e finalità normative nelle argomentazioni concettuali utilizzate dal vasto fronte ideologico contrappostosi alla funzione storica assolta prima dai giacobini e poi dai bolscevichi1.

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carmilla

La storia segue vie diverse, come la rivoluzione

di Fabio Ciabatti

Umberto Melotti, Marx passato, presente, futuro. Una visione alternativa dello sviluppo storico, Meltemi, Milano 2021, pp. 312, € 20,90

MarxAlgeriIl multiculturalismo è stato una delle ideologie delle classi dominanti durante gli anni rampanti della globalizzazione. Non bisognerebbe dimenticarlo quando ci si accinge a criticare l’idea che la storia sia un percorso unilineare dalle società primitive a quelle più evolute. Certamente questa visione ci può condurre facilmente a una concezione eurocentrica che, volenti o nolenti, finisce per essere di supporto alle politiche colonialiste e imperialiste dell’Occidente. Un relativismo poco accorto, però, ci può portare con altrettanta facilità all’accettazione acritica non solo delle culture “altre”, ma anche degli effettivi sistemi politico-sociali extra-occidentali perché considerati espressioni dirette o indirette di quelle culture. Anche quando questi sistemi colludono di fatto con il dominio imperialistico.

Se vogliamo orientarci in questo orizzonte problematico non possiamo prescindere dal contributo del vecchio rivoluzionario di Treviri. Ma come, si potrebbe obiettare, non fu Marx artefice di una filosofia della storia finalistica e meccanicistica che lascia poco spazio alla pluralità delle traiettorie storiche? Le cose non stanno così secondo Umberto Melotti: “L’unilinearismo costituisce indubbiamente una delle tentazioni del pensiero di Marx, e più ancora di Engels, così come di tutti i sistemi storicistici e positivistici dell’Ottocento. Eppure Marx unilinearista non è”.1 Fu infatti lo stesso Marx a scrivere che “La storia non fa niente, non possiede alcuna ricchezza, non combatte alcuna lotta! È l’uomo, l’uomo reale e vivente, che fa tutto, possiede tutto e combatte tutto”.2 Un pensiero che viene così completato da Melotti: “Come risultato dell’agire degli uomini, la storia non è, né può essere, unilineare sviluppo di un processo finalisticamente necessario, ma è manifestazione multilineare e disgiuntiva di qualcosa di variamente possibile, se pure non privo di senso”.3

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materialismostorico

Note su lotte di classe, nazione e internazionalismo in Engels e Marx

A partire da un libro di Domenico Losurdo

di Fortunato M. Cacciatore (Università della Calabria)

Sicilia01La storia di ogni società finora esistita è la storia

delle lotte di classe.

1.

Nella frase d’apertura del Manifesto del partito comunista, il plurale, Klassen- mpfe, non è casuale, né accessorio, ma è una importante indicazione di lettura per i testi di Marx, di Engels e della loro eredità1. Una lettura che, commisurando il «piano filologico e logico» a quello della «storia reale» (e viceversa)2, provi a inoltrarsi nella complessità delle posizioni, delle contraddizioni, delle oscillazioni interne a una elaborazione teorica e pratica che, nel XIX secolo, ha saputo più di altre confessare la propria intrinseca storicità3. Una lettura che sappia tenere conto degli scarti tra le «definizioni», i «principi», le «teorie» e la loro «applicazione» in circostanze spazio-temporali differenti, o del tutto eterogenee. In tali sfasature, hanno luogo i momenti della pratica politica: sono i momenti in cui la strategia è messa alla prova della congiuntura e della sua irriducibile contingenza. Momenti nei quali, proprio in quanto scissi e contestati, i termini politici si definiscono, si traducono in principi o si istituiscono come elementi teorici fondamentali. Momenti nei quali l’inimicizia non è mai pura perché determinata dall’amicizia che (più o meno inconsapevolmente) vincola tra loro i contendenti (termini, concetti e rispettivi portatori) nella disputa di una tradizione filosofica, politica e lessicale condivisa. Le semplici opposizioni non reggono al fuoco della polemica, a cominciare dalla dicotomia nazionalismo/cosmopolitismo. Assertori del principio di nazionalità si appellano al fine ultimo dell’umanità cosmopolita, per sfuggire alle chiusure nazionaliste; sostenitori del cosmopolitismo si appellano, per incarnarlo, all’esemplarità di una Nazione (della propria).

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perunsocialismodelXXI

Comunismo, democrazia e liberalismo

di Carlo Formenti

Note a margine di un libro postumo di Domenico Losurdo e di un’intervista ad Alvaro G. Linera

losurdo 678x381Nota introduttiva

Nel dibattito teorico interno al campo marxista, la questione del rapporto fra comunismo e democrazia liberale è intricata, controversa e divisiva. Non solo perché eredita le scorie ideologiche di passaggi storici come la rottura fra Seconda e Terza Internazionale, la guerra fredda, la svolta eurocomunista e il crollo dei regimi socialisti, ma soprattutto perché il trionfo del pensiero unico negli ultimi decenni è riuscito, da un lato, a inscrivere nel senso comune l’equazione comunismo=totalitarismo (vedi la delibera del Parlamento Europeo che equipara comunismo e nazismo), dall’altro lato, a liquidare ogni interpretazione alternativa del termine democrazia, ormai univocamente associato ai regimi liberal liberisti dei Paesi occidentali (e ciò malgrado le analisi di autori come Colin Crouch e Wolfgang Streeck (1) abbiano ampiamente descritto il divorzio fra democrazia e liberalismo che si è celebrato dopo la svolta neoliberista).

Liberarsi delle pastoie ideologiche di cui sopra non è semplice, tanto è vero che, anche intellettuali che non rinunciano a indicare nel socialismo l’alternativa a un capitalismo sempre più aggressivo e predatorio, esitano ad assumere posizioni radicali e, di fronte all’offensiva ideologica del nemico di classe, ripiegano su posizioni difensive, come se, per legittimare le proprie idee, dovessero dimostrare che il futuro che prospettano, non solo è compatibile con i principi e i valori liberaldemocratici, ma ne rappresenta addirittura il compimento. Qui non mi confronterò con questi atteggiamenti giustificatori, discuterò invece le più serie motivazioni con cui Domenico Losurdo - in un’opera postuma di recente pubblicazione (2) – argomenta a sua volta che i comunisti non dovrebbero svalutare le conquiste del liberalismo, bensì appropriarsene.

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jacobin

Nell’Inferno del Capitale

di David Harvey

David Harvey sui debiti di Marx nei confronti di Dante (con una puntata su Shakespeare). E sul nodo fondamentale del rapporto tra liberazione dal lavoro e accettazione del progresso tecnologico

il capitale jacobin italia 1536x560Il centocinquantesimo anniversario della pubblicazione del libro primo del Capitale di Marx (settembre 1867) ha rischiato di provocare una serie di nuove e ingegnose interpretazioni di ciò che Marx stava facendo nel Capitale in generale e nel primo volume in particolare. Una prima scarica di colpi in quella che si annuncia come una grande battaglia per ridefinire l’eredità di Marx, sia intellettuale che politica, è venuta dalla penna del politologo William Clare Roberts, che si cimenta con il magnum opus di Marx dal punto di vista della filosofia politica e della forma linguistica e letteraria. Il libro, Marx’s Inferno: The Political Theory of Capital, è ben ponderato e scritto in modo chiaro.

Le qualità uniche del contributo di Roberts derivano da due innovazioni. In primo luogo, nota un parallelo tra l’organizzazione dei materiali del libro primo del Capitale e l’Inferno di Dante. La discesa nell’inferno del posto di lavoro e la ricerca della redenzione danno forma in modo rilevante alla narrazione di Marx, sostiene.

In secondo luogo, rifiuta l’idea che il Capitale debba essere letto esclusivamente come un saggio di economia politica. Lo tratta invece come un trattato di filosofia politica. A tal fine, si concentra sui rapporti tra Marx e i socialisti utopisti che lo hanno preceduto. Roberts conclude che Marx è andato ben oltre quella tradizione e ha raggiunto una più antica tradizione di repubblicanesimo come non-dominio nella sua ricerca di un’alternativa politica.

Se non altro, questi due punti di vista rendono la lettura fantasiosa e piacevolmente gradevole, anche se alquanto controversa.

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maggiofil

L’anomalia di un pianeta che cresce

Cronache marXZiane n. 5

di Giorgio Gattei

unnamed874fwl1. Come ho raccontato nelle precedenti Cronache marXZiane, sono stato rapito nel 1968 dalla astronave “la Grundrisse” che mi ha trascinato sul pianeta Marx dove ho dimorato per parecchi anni studiandone la complessa composizione geologico-economica, che è fatta di prezzi di mercato (la “crosta”), di prezzi di produzione (il “mantello”) e di un “nucleo” di neovalore-lavoro che è poi la sua eccezionalità. Infine sono andato ad intervistare Saggio Massimo (del profitto) che mi ha parlato di sé e degli altri due Saggi (del pluslavoro e del profitto) che coabitano con lui sul pianeta, ma di cui lui resta il più importante tanto che lo chiamano, non a caso, Saggio Massimo. Al mio ritorno sulla terra non sono però rimasto convinto di quanto mi aveva detto a proposito della sua impossibilità di caduta tendenziale per la propria formulazione algebrica:

max r = R = m / q

dove alla crescita della Composizione del capitale rispetto al lavoro (q = K/L) per la logica necessaria dell’accumulazione del Pluslavoro/Profitto realizzato si oppone un andamento altrettanto a crescere della Produttività del lavoro (m = Y/L: il reddito rispetto al lavoro), essendo di fatto quel pianeta non solo un luogo di detenzione lavorativa, ma pure un posto di creatività ed innovazione che fa sì che il lavoro sia sempre più produttivo. Eppure non ne sono rimasto persuaso perché mi frullavano per il capo due frammenti di pensiero del primo grande “mappatore” del pianeta, quel Karl Marx che poi gli ha dato il nome, secondo cui la possibilità di compensare un andamento con l’altro «ha dei limiti insuperabili: la caduta del saggio profitto può essere ostacolata, ma non annullata» e poi anche che «il vero limite del pianeta è il pianeta stesso», insinuando che doveva esserci anche dell’altro oltre alla indeterminazione di cui si faceva forte Saggio Massimo.

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intrasformazione

Marx, Il Capitale, I (1-4).

Una guida per principianti.

di Antonino Morreale

Kandinsky Jaune Rouge Bleu 1024x659.jpgPremessa

Prendiamo qui in esame il primo libro del Capitale1. Ci occuperemo dei primi quattro capitoli: 1. la merce, 2. il processo di scambio, 3. il denaro, 4. la trasformazione del denaro in capitale.

Quanto basta per entrare appena nell’argomento centrale dell’opera2 . Avremo però modo di esporre alcune questioni essenziali. Marx, infatti, rivendica a questi primi capitoli due dei suoi maggiori contributi alla scienza economica3: la duplice natura del lavoro contenuto nella merce, e la “forma di valore”.

 

1. La circolazione semplice nella “immane raccolta di merci”.

L’ipotesi di questo studio è che i primi quattro capitoli del Capitale possano essere analizzati, senza forzature, come una sola unità. L’unitarietà è data dal livello stratigrafico costruito da Marx, e sul quale ha lavorato, quello della “circolazione semplice delle merci”. Marx dedica molta cura a delimitarlo. Partendo dalla “merce”, ci conduce alla genesi del “denaro”, per giungere fino alla “compravendita della forza-lavoro”, con cui, una netta discontinuità, un” salto”, chiude una storia e ne comincia un’altra.

La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”, la merce singola come sua forma elementare. La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”4.

Illimitata in estensione, quindi, ma dallo spessore sottile, appena una “superficie”, quella della circolazione delle merci. E ancora nulla da dire, per ora, su ciò che sta “prima”, il passato precapitalistico; né su quel che sta “sotto”, la produzione; ma, solo la circolazione semplice delle merci nella società capitalistica.

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consecutiorerum

Antonio Gramsci e le scienze sperimentali

di Camilla Sclocco

4jo875r1. Introduzione

Le note dei Quaderni del carcere sulle scienze sperimentali coinvolgono un ampio ventaglio di discussioni particolari. Dalla polemica verso il causalismo meccanicistico alla critica del concetto di previsione come atto conoscitivo, dal rifiuto di elevare il metodo sperimentale a metodologia universale alla polemica con il riduzionismo della scienza agli strumenti materiali, fino alla questione epistemologica dell’esistenza della realtà esterna. Il fil rouge è la critica a Teoria del materialismo storico di Bucharin1, che aveva assunto acriticamente i concetti di causa, legge e previsione delle scienze sperimentali, intese nella loro formulazione positivistica, e le aveva applicate allo studio di una storia come materia autosvolgentesi. Come il recluso sintetizzerà tra il luglio e l’agosto 19322, la conseguenza era la scissione della filosofia della prassi in “una teoria della storia e della politica concepita come sociologia” “da costruirsi secondo il metodo delle scienze naturali (sperimentale nel senso grettamente positivistico)” e in una “filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico”3.

Gramsci affronta le tematiche sulla scienza dal maggio 1930 alla fine del 1932. Inizia a enucleare le questioni nelle prime due serie degli Appunti di filosofia4, per poi ritornavi nella terza e in due note del Quaderno 6. Tra il luglio e il dicembre 1932 rielabora le riflessioni nel Quaderno 11, dove su trenta testi di prima stesura ventitré sono rielaborati nella sezione seconda del quaderno, “Osservazioni e note critiche su un tentativo di ‘Saggio popolare di sociologia”, cinque nella terza, “La scienza e le ideologie scientifiche” e uno nella quarta, “Gli strumenti logici del pensiero5.

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machina

L’operaismo. Un’antifilosofia della storia

di Giulia Dettori e Andrea Cerutti

Giulia Dettori e Andrea Cerutti si concentrano sugli anni Cinquanta di Mario Tronti, la fase cioè in cui pone le fondamenta della sua riflessione teorica e politica. È il periodo in cui il futuro autore di Operai e capitale fa i conti con la tradizione del marxismo italiano e con la sua impronta idealista, con Gramsci e con la categoria di nazionale-popolare. La polemica con lo storicismo e con la linea Croce-Gramsci-Togliatti rappresenta un passaggio necessario per mettere al centro la negazione senza sintesi del capitale, il rifiuto ad asservirsi alla dialettica progressiva, la rottura. E per aprire Marx all’uso del grande pensiero conservatore. Per dirla con gli autori dell’articolo: «pensiero della crisi + marxismo = operaismo». 

0e99dc f2a42ec785fa4782a2e62c10bbd29a66mv2Che la fede illuministica nel progresso sopravviva in modo quasi ostinato – nonostante le leggi dell’evoluzione abbiano dimostrato che è piuttosto l’interazione, tanto complessa da risultare sconvolgente, tra casualità e adattamento a permettere la sopravvivenza per un certo lasso di tempo – è forse da imputare alla facile attrattiva di un tempo storico lineare e smodatamente ambizioso e alla sua analogia con la scrittura lineare delle culture occidentali. In considerazione di questo è fin troppo semplice trarre l’erronea conclusione naturalistica che tutto ciò che esiste, benché le istanze divine abbiano perso ogni significato, sia frutto di una volontà e abbia un senso. Nella sciocca eppur dominante fantasia di un’evoluzione inarrestabile, l’unica utilità del passato consiste nel sottomettersi al nuovo e nell’immaginare la Storia – sia quella della propria vita, sia quella di una nazione o del genere umano – come un progresso ineluttabile, e comunque non casuale. Tuttavia è dimostrato che la cronologia, l’assegnazione di numeri progressivi per ciascun nuovo arrivo, nella sua logica impotente, rappresenta, come ogni archivista sa, il meno originale di tutti i principi organizzativi, dato che si limita a simulare l’ordine.

(Judith Schalansky, Inventario di alcune cose perdute) 

Nel contesto del processo di destalinizzazione che segue all’«indimenticabile» 1956, con il progressivo affacciarsi in Italia di nuove forme di dominio capitalistico, caratterizzate da fenomeni di razionalizzazione e pianificazione, e dal sorgere di dibattiti sullo statuto teorico del marxismo italiano e sulla sua efficacia nell’interpretare queste profonde mutazioni, Mario Tronti, allora studente universitario di filosofia e membro della cellula giovanile del Pci, inizia a porre le fondamenta della sua successiva riflessione teorica e politica. 

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jacobin

Il vecchio Karl

Nicolas Allen intervista Marcello Musto

Gli ultimi anni di vita di Marx spesso vengono trascurati dai suoi biografi, ridotti a una fase di declino intellettuale e fisico. Invece, spiega Marcello Musto, in quel periodo Marx si è cimentato con questioni ancora attuali

marx jacobin italia 1536x560Il lavoro dei suoi ultimi anni di vita, tra il 1881 e il 1883, è uno dei settori meno sviluppati all’interno degli studi su Karl Marx. Questa negligenza è in parte dovuta al fatto che le infermità di Marx in quel periodo gli hanno impedito di scrivere in modo regolare, non ci sono praticamente opere pubblicate risalenti a quella fase.

In mancanza delle pietre miliari che hanno caratterizzato il primo lavoro di Marx, dai suoi primi scritti filosofici ai successivi studi di economia politica, i biografi hanno a lungo considerato quegli ultimi anni come un capitolo minore segnato dal declino della salute e dalla crollo delle capacità intellettuali.

Tuttavia, c’è un numero crescente di ricerche che suggerisce che questa storia non è esaustiva e che gli ultimi anni di Marx potrebbero effettivamente essere una miniera d’oro piena di nuove intuizioni sul suo pensiero. In gran parte contenuti in lettere, quaderni e altri marginalia, gli ultimi scritti di Marx ritraggono un uomo che, lontano da quello che si considerava un declino, ha continuato a lottare con le proprie idee a proposito del capitalismo come modo di produzione globale. Come suggerito dalle sue ultime ricerche sulle cosiddette «società primitive», sulla comune agraria russa del diciannovesimo secolo e sulla «questione nazionale» nelle colonie europee, gli scritti di Marx di quel periodo rivelano in realtà una mente che si interroga sulle implicazioni nel mondo reale e sulla complessità del suo stesso pensiero, in particolare sull’espansione del capitalismo oltre i confini europei.

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cumpanis

Vladimir Il’ič Lenin

Cosa sono gli amici del popolo

di Alberto Lombardo

Immagine primo pezzo sezione Scuola quadri. LeninLenin ci ha lasciato tre fondamentali contributi nel campo della filosofia.

Il primo è Cosa sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? scritto tra la primavera e l’estate del 1894. In quest’opera Lenin difende l’interpretazione materialistica contenuta nel Capitale contro un filosofo soggettivista. Quindi, un’opera che nasce da un intento fortemente polemico ma molto istruttiva per comprendere non solo lo “scheletro” del testo di Marx, ma soprattutto il metodo e la “carne” storica – come si esprime Lenin – che riveste questo scheletro. Questa precisazione fa comprendere alcuni passaggi che possono sembrare in contraddizione con il pensiero di Engels. In particolare il passo seguente, letto senza il giusto inquadramento storico e soprattutto senza tenere conto dell’avversario contro cui è rivolto, può suscitare un equivoco.

L’idea del determinismo, stabilendo la necessità delle azioni umane, rigettando la favola sciocca del libero arbitrio, non sopprime affatto la ragione, né la coscienza dell’uomo, né l’apprezzamento delle sue azioni. All’opposto, soltanto dal punto di vista del determinismo è possibile dare un apprezzamento rigoroso e giusto, invece di attribuire tutto ciò che si vuole al libero arbitrio. Nello stesso modo anche l’idea della necessità storica non compromette per nulla la funzione dell’individuo nella storia: tutta la storia si compone appunto delle azioni di individui che sono indubbiamente dei fattori attivi.

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circolointernazionalista

L’indipendenza di classe e i suoi avversari, oggi come ieri

di Rostrum

K. Marx-F. Engels – Indirizzo del Comitato centrale alla Lega del marzo 1850, scaricabile in formato PDF a questo link

akg1184161Nel mettere a disposizione dei nostri lettori la trascrizione completa dell’importante testo di Marx ed Engels Indirizzo del Comitato centrale alla Lega del marzo 1850, vorremmo sottoporre una modesta riflessione sui numerosi temi da esso affrontati; sforzandoci di mettere nel giusto rilievo gli insegnamenti più pertinenti alle battaglie che il movimento operaio internazionale si trova ad affrontare anche nella fase attuale e cercando di contestualizzare le preziose assunzioni che afferiscono all’epoca specifica nella quale il testo fu elaborato.

Uno dei temi principali della circolare del Comitato centrale della Lega dei comunisti, indirizzata da Londra ai membri della Lega che operavano in Germania, è la valutazione della natura sociale del processo rivoluzionario che si riteneva imminente sia nei paesi tedeschi che, più in generale, nel continente.

Su questo tema, l’Indirizzo del 1850 non si discosta molto dall’impostazione già espressa ad esempio da Engels nel 1845 nel suo Principi del comunismo, o dal Manifesto del 1847, ma, come vedremo, sulla base delle esperienze maturate in seguito ai movimenti rivoluzionari del 1848-49, approfondisce il quadro, definisce maggiormente i rapporti fra le classi in Germania e tratteggia con maggiore precisione le tappe della “rivoluzione in permanenza”.

Una fondamentale acquisizione nell’Indirizzo è il ripiegamento della grande borghesia liberale nel campo della reazione, il suo definitivo – alla scala storica – compromesso con le forze feudali nel timore delle sempre più assertive istanze del proletariato.

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sinistra

Lenin e “la questione economica fondamentale”

Dai Quaderni sull’imperialismo al Saggio popolare

di Eros Barone

Lenin reading newspaper«…le alleanze “interimperialistiche” o “ultraimperialiste” non sono altro che un “momento di respiro” tra una guerra e l’altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un’altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste…».

Lenin, L’imperialismo.

  1. Genesi della categoria leniniana di imperialismo

La categoria concettuale di imperialismo ebbe largo corso, nella letteratura politica di diverso colore, a partire dall’inizio del Novecento, ma essa veniva adoperata prevalentemente per indicare i caratteri dell’azione politica. Bisogna giungere all’opera del socialdemocratico Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario, 1 perché venga individuata nella formazione del capitale finanziario, in quanto fusione del capitale bancario con il capitale industriale fondata sulla preminenza del primo, la causa strutturale del fenomeno politico dell’imperialismo. Sennonché, come osserverà Lenin nei suoi appunti sull’imperialismo (pubblicati sotto il titolo di Quaderni sull’imperialismo), 2 Hilferding ignora o quasi la spartizione del mercato mondiale che viene operata dai trust internazionali, ignora il rapporto tra il capitale finanziario e il formarsi di un ceto parassitario che vive di reddito azionario, ignora i nessi tra lo svilupparsi dell’imperialismo e il sorgere dell’opportunismo nel movimento operaio. 3 Insomma, non gli sono chiare tutte le conseguenze politiche dei processi strutturali che egli è nondimeno il primo ad indagare in modo organico.

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moneta e credito

Bellofiore R. (2020), Smith, Ricardo, Marx, Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Note bibliografiche

di Giorgio Rodano*

Bellofiore R. (2020), Smith, Ricardo, Marx, Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica, Torino: Rosenberg & Sellier, pp. vii+388, € 24, ISBN: 9788878858442

mistero concettuale 103497Il titolo del libro è un evidente (ed esplicito) omaggio a uno dei maestri di Bellofiore, Claudio Napoleoni, che negli anni Settanta del secolo scorso aveva scritto un libro quasi con lo stesso titolo, Smith Ricardo Marx. L’oggetto di questo lavoro – a parte il dialogo a distanza col vecchio maestro (che, tra parentesi, è stato anche uno dei miei maestri) – è dunque, in modo immediatamente evidente, il pensiero economico classico, cui viene assimilato, per i motivi che vedremo, anche Piero Sraffa. Ma vedremo che Bellofiore si cimenta anche con le idee e le tematiche di altri importanti protagonisti della storia del pensiero economico, in particolare John Stuart Mill e John Maynard Keynes.

All’origine del volume ci sono vari saggi scritti da Bellofiore tra il 1983 e il 2017 (uno in collaborazione). Per l’occasione essi sono stati rivisti e fusi per eliminare le ripetizioni (non tutte) fino a comporre un filo unitario; anzi – come cercheremo di mostrare (e come del resto suggerisce qua e là lo stesso Bellofiore) – un paio di fili che si rincorrono e si intrecciano per tutte le pagine del libro. Questo si articola in una premessa (in cui vengono sommariamente illustrati i contenuti dei vari capitoli e introdotti i temi principali che li legano), otto capitoli e due appendici. Sono capitoli di grosse dimensioni, ricchi di spunti e di annotazioni, in cui Bellofiore dà conto non solo del pensiero degli autori presi in esame, ma di tutto il dibattito che i vari temi considerati hanno suscitato tra gli studiosi. Il che rende il libro utile per orientarsi su questioni spesso assai intricate, ma lo rende al tempo stesso di lettura a volte piuttosto ardua e faticosa anche per chi, come me, su molte di quelle questioni ha avuto modo, in passato, di misurarsi.

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circolointernazionalista 

La rivolta evoluzionista contro l’economia classica

di Henryk Grossmann

Riproponiamo e mettiamo a disposizione del lettore, per il suo interesse, un importante testo dello studioso marxista Henryk Grossmann, pubblicato per la prima volta in inglese sul Journal of Political Economy 51, n. 5 e 6, The University of Chicago Press, 1943. Tradotto in italiano da Nestore Pirillo e pubblicato nel volume di H. Grossmann, Saggi sulla teoria delle crisi, De Donato, Bari, 1975. Trascrizione in PDF di Rostrum e Riddx, dicembre 2020

external c985f64se1. In Francia: Condorcet, Saint-Simon, Simonde de Sismondi

Qualsiasi analisi teorica di un sistema economico contemporaneo deve condurre alla formulazione di un modello con il quale sia possibile valutare il livello di sviluppo esistente. Per avere validità tale modello deve essere elaborato a partire dallo stesso processo di sviluppo e non solo dal livello raggiunto al momento dell'analisi. Sarà quindi utile al teorico contemporaneo guardarsi indietro e vedere in che modo il pensiero dinamico o evolutivo sia effettivamente entrato nel campo della teoria economica. Il problema non è stato presentato in modo adeguato o sufficientemente accurato nella nostra letteratura economica. Così, Richard T. Ely scrive: "Si deve probabilmente a Herbert Spencer più che a chiunque altro se siamo giunti a riconoscere l'applicabilità dell'evoluzione ai vari settori della vita sociale dell'uomo"1. Ma il saggio di Spencer a cui Ely si riferisce non apparve fino al 18572, decenni dopo che altri avevano già utilizzato le nozioni evoluzioniste nelle scienze sociali. John Bagnell Bury, per citare un esempio più recente, ha scritto un intero libro sull'idea di progresso3 senza nemmeno menzionare Sismondi o Richard Jones – i due uomini che per primi elaborarono l'idea della successione storica di stadi economici sempre più avanzati. Nella letteratura economica tedesca il problema o non viene affatto discusso, come nel noto studio di [Karl] Bücher sulla genesi dell'economia politica4, che non menziona feudalesimo o capitalismo neanche una volta, oppure la responsabilità esclusiva di ciò che essi chiamano la "sociologizzazione" dell'economia viene falsamente attribuita a Hegel e alla sua scuola5.

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sinistra

Teoria del valore-lavoro, totalità dello sviluppo ed egemonia della classe operaia

di Eros Barone

metalmeccanici 1969 scioperoL’oggettività del valore delle merci si distingue da Mrs. Quickly perché non si sa dove trovarla. In diretta contrapposizione all’oggettività rozzamente sensibile dei corpi delle merci, nemmeno un atomo di materiale naturale passa nell’oggettività del valore delle merci stesse. Quindi potremo voltare e rivoltare una singola merce quanto vorremo, ma come cosa di valore rimarrà inafferrabile. Tuttavia, ricordiamoci che le merci posseggono oggettività di valore soltanto in quanto esse sono espressioni di una identica unità sociale, di lavoro umano, e che dunque la loro oggettività di valore è puramente sociale, e allora sarà ovvio che quest’ultima può presentarsi soltanto nel rapporto sociale tra merce e merce.

Karl Marx 1

1. L’unica merce che produce valore

L’analisi che Marx conduce nel I libro del Capitale mostra una rete di scambi in cui si incrociano quantità di lavoro differenti, in una parola scambi ineguali. Si tratta allora di comprendere quale posto hanno questi processi nell’analisi complessiva di Marx, al fine di comprendere, fra le altre cose, l’importanza politica che tali problemi assumevano agli occhi dello stesso Marx. E qui si colloca una pietra angolare dell’analisi della società capitalistica, poiché all’interno di quella rete di scambi esiste uno scambio che assolve un ruolo assiale, definendo la società capitalistica e determinandone la differenza rispetto alla società mercantile: lo scambio tra salario e forza-lavoro.

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Marx: un’introduzione alla critica dell’economia politica

di Adelino Zanini

0e99dc a3fe6011725d4655a2d0c282cdc3ae6fmv2Riprendendola da Genealogie del futuro (ombre corte, 2013) pubblichiamo un’altra fondamentale lezione per comprendere le basi marxiane della critica dell’economia politica. In questo testo Adelino Zanini, utilizzando in particolare il Libro primo de Il capitale, ripercorre i concetti, il metodo e gli obiettivi principali dell’analisi di Marx, a partire dalla critica degli economisti classici (Smith, Ricardo, Malthus). Per mostrare come il progetto del Moro di Treviri non fosse quello di scrivere un peraltro impossibile «libro corretto» di economia politica, ma di forgiare uno strumento teorico di parte, utile a interpretare-per-sovvertire la realtà sociale.

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1. Non ho di certo la presunzione di affrontare i molti aspetti inerenti alla critica dell’economia politica in Marx – questione assai articolata, da un punto di vista tematico e storiografico, poiché numerosi sono i problemi connessi ai testi, differenti per maturazione, difficoltà e sistematicità, e (superfluo il ricordarlo) innumerevoli le interpretazioni, alcune davvero «epocali». Vorrei semplicemente ragionare su Marx e la critica dell’economia politica, sviluppando un’argomentazione del tutto basilare, forse utile per coloro che, per ragioni, diciamo così, generazionali, meno abbiano frequentato quei testi che, per le generazioni precedenti, erano stati «formativi».

A tal proposito sarà necessario partire dalla definizione stessa, se è lecito utilizzare questo termine. Critica dell’economia politica è locuzione che ha in effetti un valore fondativo: non solo il titolo dato da Marx al testo del 1859 (Zur Kritik der Politischen Ökonomie) e il sottotitolo de Il capitale.

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bollettinoculturale

L'originalità della teoria del crollo di Henryk Grossman

di Bollettino Culturale

33784007. SY475 La “ripresa del marxismo” operata da Henryk Grossman è stata allo stesso tempo il recupero dell'idea che il capitalismo avrebbe trovato la sua fine attraverso le sue leggi economiche immanenti e che l'azione rivoluzionaria della classe operaia dovesse basarsi sulla comprensione di queste leggi. Fu quindi allo stesso tempo un recupero del materialismo storico e dell'importanza dell'economia politica. Grossman parte dal problema lasciato da Rosa Luxemburg: fino a che punto era realmente possibile l'accumulazione prevista negli schemi produttivi? Rifiuta la soluzione della Luxemburg ma accetta le implicazioni del problema: affermare la possibilità che il capitalismo si espanda proporzionalmente, secondo schemi di riproduzione, significa accettare la possibilità dell'eterna espansione del capitalismo e privare il socialismo del suo fondamento “oggettivo”.

Imperterriti da questa accusa, i critici hanno ripetutamente presentato contro la Luxemburg la coerenza degli schemi di riproduzione e hanno affermato che il supposto "problema" dell'accumulazione non esisteva. Critica il cui massimo sviluppo è stato il modello di accumulazione di Otto Bauer. Se questa fosse la fine della questione, il trionfo teorico degli schemi di Tugan-Baranowsky, Hilferding, Pannekoek e Bauer sul sottoconsumismo rappresenterebbero il fallimento della teoria del crollo. Ma in “The Law of Accumulation and Breakdown of the Capitalist System”, Grossman usa proprio il modello di Bauer per illustrare la sua teoria e confutare la conclusione che abbandonare il sottoconsumismo significherebbe accettare la possibilità di un'espansione illimitata del capitalismo.

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sinistra

La critica di Engels al “socialismo giuridico” e il modo corretto di formulare le rivendicazioni del proletariato

di Eros Barone

51NGYBd9MELUna risposta puntuale alle posizioni del socialismo giuridico è quella data da Engels e da Kautsky in uno scritto che apparve nel 1887 sulla Neue Zeit, rivista teorica della socialdemocrazia tedesca. In questo scritto, che offre indicazioni di grande interesse per una corretta impostazione della pratica socio-politica dei comunisti, gli autori svolgono una critica delle tesi revisioniste di Anton Menger, conducendo una importante battaglia contro le posizioni antimarxiste della frazione di destra della socialdemocrazia e del suo gruppo parlamentare. Se Menger si proponeva, come è noto, di ‘rifondare’ (anche questa è una vecchia storia!) le concezioni del socialismo da un punto di vista giuridico, l’Anti-Menger di Engels e Kautsky (quest’ultimo si muoveva allora sul terreno del marxismo rivoluzionario) colpisce al cuore l’ideologia giuridica, offrendo un esempio paradigmatico del modo in cui si deve condurre la lotta teorica e politica contro l’opportunismo socialdemocratico. 1

La tesi scientifica (e sottolineo ‘scientifica’, giacché è in questione la teoria-chiave del materialismo storico, quella del rapporto struttura-sovrastrutture), che costituisce il fondamento teorico dell’Anti-Menger engelsiano e che dodici anni prima era stata posta da Marx al centro della sua Critica del programma di Gotha, è che l’ideologia giuridica e il marxismo sono come l’acqua e l’olio: tra di essi non è possibile alcuna combinazione.

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poliscritture

Il giardino dell’Eden

di Paolo Di Marco

th 51. Il plusvalore

Possiamo leggere la storia degli ultimi secoli come una progressiva espropriazione del proprio tempo, trasformato in tempo di lavoro collettivo controllato dal capitale.

Marx è l’ultimo economista che si occupa dell’origine del profitto (tema centrale dell’economia classica sino a Ricardo), e la sua analisi parte dalla giornata di lavoro, il cui tempo viene diviso in due parti: una in cui il lavoratore lavora per sé, l’altra per il padrone. Questa seconda dà origine al profitto.

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Il capitalista investe del denaro D per ottenere dell’altro denaro D’, che includa un guadagno D -> D’, D’D=R (profitto), (R/D == saggio profitto)

come nasce R: nel processo produttivo abbiamo: cc: capitale costante (macchinari, stabilimenti), cv: capitale variabile (gli operai); sv: il surplus prodotto solo da cv (quello prodotto nel tempo ‘del padrone’); quindi: il capitalista trasforma il denaro D in mezzi di produzione, cc e cv e ne ottiene un prodotto p (che contiene il pluslavoro sv) che trasforma sul mercato in nuovo denaro D’: cc+cv+sv= p (prodotto) R=sv e, chiamando r il saggio:

r= sv/(cc+cv)

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bollettinoculturale

Dalla sussunzione formale a quella reale in Empire

di Bollettino Culturale

9086gyrLa sussunzione è il modo marxiano di parlare, in generale, del rapporto tra lavoro e capitale – il primo è sussunto sotto il secondo. Ma Marx individua due tipi di sussunzione: sussunzione formale e sussunzione reale. La seconda sarebbe la sussunzione propria del capitalismo pienamente sviluppato, mentre la prima sarebbe quella di un capitalismo ancora in costruzione. Il modo principale di estrarre plusvalore nel primo è assoluto, mentre nel secondo è relativo. Possiamo intendere il “passaggio” da una forma di sussunzione all'altra sulla base di due elementi formalmente distinti, in quanto avvengono nello stesso processo:

1. l'espansione del capitale su tutto il pianeta (aspetto estensivo) e

2. l'estensione dello sfruttamento capitalistico a tutto il corpo sociale e a tutta la vita (aspetto intensivo).

Nella sussunzione formale abbiamo un capitalismo storicamente centrato in Europa e Nord America che si espande attraverso il colonialismo e un continuo processo di accumulazione primitiva. In questo caso il capitalismo in crescita è in costante rapporto con il suo “fuori”, con mondi ancora non capitalisti. Questo stesso capitalismo si riproduce come capitale attraverso la sussunzione formale dell'operaio al suo regime di orario di lavoro e la produzione di plusvalore attraverso il salario: se l'operaio lavora X ore riceverà solo X sottratto a Y, essendo Y la parte che rimane al capitalista, il plusvalore. La sussunzione reale, invece, in termini geopolitici coincide con il momento in cui il capitale non è più legato a un “fuori” coloniale o a un “fuori” da sussumere: l'intero globo, tutte le forme di produzione esistenti e tutte le diverse culture e i territori sono posti in un rapporto capitalista.

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Alle origini della distinzione tra Marx esoterico e Marx essoterico

di Palim Psao

postmarx doppioContrariamente a quanto credono alcuni marxisti, non è stata la corrente della Critica del Valore ad aver stabilito per la prima volta la distinzione tra un Marx essoterico e un Marx esoterico.

Nel contesto dei marxismi tedeschi, questa distinzione è stata utilizzata dalle differenti correnti e dai vari autori del campo marxista; e questo ben al di là di quelli che erano i vari circoli/riviste legati alla corrente della Wertkritik (la quale, in realtà, non ha fatto altro che inscriversi in un dibattito preesistente; cosa che invece non viene affatto recepito dalla grande maggioranza dei marxisti francofoni, in gran parte all'oscuro dei dibattiti teorici marxisti nella Germania degli anni '70).

Per la prima volta, questa distinzione tra i "due Marx" venne fatta, nel 1957, da quello che è stato il primo serio marxologo dopo la seconda guerra mondiale: Roman Rosdolsky, in "Der esoterische und der exoterische Marx. Zur kritischen Würdigung der Marxschen Lohntheorie I–III", in: Arbeit und Wirtschaft, Jg. 11 (novembre 1957) , Nr. 11ff (una rivista sindacalista austriaca, della quale, da parte francese, solo Ernest Mandel sembra esserne a conoscenza, e che segnala questo articolo nel suo "La Formation de la pensée économique de Karl Marx"). Mandel ne riporta solo una parte:

«Più di cento anni fa, Marx incominciò a scrivere le sue lezioni di economia. Si tratta di un periodo considerevole di tempo, soprattutto se si considerano le enormi trasformazioni che il mondo ha subito da allora.

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maggiofil

Tre Saggi per un pianeta (intervista a Saggio Massimo)

Cronache marXZiane n. 4

di Giorgio Gattei

index098tdoIl pianeta Marx è un corpo astrale paradossale perché ad ogni rotazione aumenta nella massa di Valore per la logica della Accumulazione del Profitto (quale Pluslavoro realizzato) che completa le due logiche dello Sfruttamento e della Trasformazione che abbiamo considerato nelle Cronache precedenti. Ciò pone però un interrogativo in merito al suo destino nello spazio: che cosa gli potrà mai accadere a forza di crescere di dimensione? Per saperlo si devono interpellare i tre Saggi che lo abitano (c’è chi, equivocando, li ha declinati al femminile equiparandoli alle Norne, che sono tre divinità nordiche che parlottano fra loro mentre intrecciano la fune del destino attorno all’albero del mondo). Questi tre Saggi non sono poi altro che tre rapporti economici che misurano lo stato di salute e di tendenza del pianeta: essi sono Saggio di Pluslavoro, Saggio di Profitto e Saggio Massimo, che è il più lontano da tutti ma è anche il più importante, con i primi due che sono stati visti al telescopio nel 1867 dal primo “mappatore” del pianeta Karl Marx, mentre il terzo è stato visitato nel 1960 dal grande esploratore Piero Sraffa che ne ha dato conto nella relazione scientifica Viaggio di merci a mezzo di merci.

Stando per lungo tempo sul pianeta Marx, anch’io ho voluto andare a conoscere Saggio Massimo (e sarei stato il secondo dopo Sraffa!) che abita in una località periferica distantissima e con mia grande sorpresa ho visto che esso era il perfetto gemello di quel “Rosseggiante” che Jack London aveva scovato nel 1916, ultimo anno di sua vita, «nell’oscuro cuore di Guadalcanal» al fondo di una giungla fetida e malvagia e che gli indigeni del luogo veneravano col nome di Nato-dalle-stelle perché era precipitato in tempi lontani dalla volta del cielo.