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Valore senza crisi - Crisi senza valore?
Sull'assenza di una teoria della crisi in Moishe Postone
di Richard Aabromeit
"Una nuova interpretazione della teoria critica di Marx" è il sottotitolo del libro di Moishe Postone "Tempo, Lavoro e Dominio sociale" del 1993 [*1]. Questa bella dichiarazione fa venire l'appetito e se, come ho fatto io, si comincia a leggerlo pieni di grande aspettativa e poi, in seguito, si partecipa anche ad un seminario per poter completare la discussione del libro in un circolo di lettura, con partecipazione attiva - e sì, allora probabilmente quanto meno alcuni desideri si avverano, e vuol dire che in questo paese l'elaborazione della teoria critica non è poi messa tanto male... Eravamo fiduciosi, fin dall'inizio della nostra lettura e della nostra discussione cominciata più di un anno fa, che, al di là della definizione o della reinterpretazione di molte categorie sociali, come il genere, il valore, il lavoro, il denaro, il capitale ecc., il testo si sarebbe pronunciato circa quello su cui si può basare una prospettiva che punti al superamento della formazione sociale capitalista o del patriarcato produttore di merci: fornire, fra le altre cose, una teoria (radicale) della crisi. Tale teoria della crisi, da un lato, dovrebbe riferirsi ai frammenti in tal senso ammissibili di tutta l'opera di Marx, in particolare ai tre volumi del Capitale, ai Grundrisse e al Contributo alla Critica dell'Economia Politica. Dall'altro lato, si dovrebbe condurre la discussione anche nel senso di unire, collegare e trasformare questi frammenti, con l'obiettivo di effettuare il completamento e l'attualizzazione di tale teoria. Dopo la morte di Marx nel 1883, com'è noto, questi tentativi vennero intrapresi varie volte, ma in realtà più sporadicamente, fra gli altri da Rosa Luxemburg, Karl Korsch ed Henryk Grossmann.
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Il vecchio muore e il nuovo non può nascere
di Renato Caputo
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”*, osservava Gramsci in una nota scritta in carcere nel 1930; questa considerazione è purtroppo ancora oggi particolarmente attuale. Se non saremo in grado di far nascere una più razionale organizzazione della società, sulle rovine dell’attuale, andremo incontro a un’epoca ancora più oscurantista e imbarbarita della presente
Sfruttando a proprio vantaggio una crisi provocata da assetti proprietari sempre più monopolizzati da pochissimi privati, che impediscono lo sviluppo economico, una élite progressivamente ristretta si appropria di una quota sempre più spropositata del prodotto di un lavoro in misura crescente diviso e strutturato a livello internazionale. Così oggi l’1% della popolazione, senza dover lavorare, possiede maggiori ricchezze del 99%, spesso costretto a faticare per tutta la vita per consentire a una ristrettissima minoranza di vivere nel lusso più sfrenato, tanto che 63 nababbi si appropriano di una quota maggiore della ricchezza totale di 3 miliardi e seicento milioni di persone, il 50% più povero dell’umanità.
In tale situazione ormai solo un mentecatto può dar credito all’ideologia positivista, espressione sovrastrutturale del dominio della borghesia, secondo la quale il progresso tecnologico e scientifico risolverà progressivamente i problemi della società visto che gli interessi degli industriali non possono che coincidere con gli interessi dei salariati. Allo stesso modo non può che apparire assurda la fede liberale nelle capacità della società civile, non ostacolata dal potere politico, di autoregolarsi secondo le sacre leggi di un mercato, per cui domanda e offerta tenderebbero spontaneamente a equilibrarsi.
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La Sostanza del Capitale 2
Seconda parte: Il lavoro astratto come metafisica sociale reale ed il limite interno assoluto della valorizzazione
di Robert Kurz
Il fallimento delle teorie della crisi del marxismo dell'ontologia del lavoro e le barriere ideologiche contro la continuazione dello sviluppo della critica radicale del capitalismo. Qui la prima parte
Soggetto ed oggetto nella teoria della crisi. La soluzione apparente del problema per mezzo di mere relazioni di volontà e di forza
Se dovessimo tornare a rivedere tutto il dibattito storico, sarebbero due realtà a richiamare la nostra attenzione. Da una parte, la fobia rispetto all'idea di limite interno della valorizzazione del valore in realtà non si trova associata a situazioni sociali dell'economia e della politica, di crisi e di prosperità. La cosiddetta teoria del collasso è stata fin dall'inizio uno scandalo ed un estremo imbarazzo, sia durante i tempi indolenti di notabili marxisti dell'impero guglielmino che all'epoca delle catastrofi delle guerre mondiali e della crisi economica mondiale, e lo è stata maggiormente nell'epoca di prosperità del dopoguerra, ed infine lo è anche oggi, di nuovo, nella crisi mondiale della terza rivoluzione industriale. Lo scandalo è rimasto, indipendentemente dalle specifiche esperienze storiche, e così l'idea di un limite assoluto immanente non è mai diventata egemone nel discorso marxista mainstream, nemmeno nel bel mezzo delle maggiori catastrofi della storia mondiale.
Dall'altra parte, però, quel che è palese è la mancanza di profondità nella riflessione teorica intorno a tutto questo dibattito, la rapidità con la quale si passa sopra il concetto di dinamica capitalista e quanto poco si tenga in considerazione tutto l'armamentario concettuale che era già rappresentato da Marx.
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Capitalismo senza fine?
Intervista con Anselm Jappe
Nato e cresciuto in Germania Anselm Jappe ha studiato filosofia in Italia e in Francia. È autore di vari vari libri, tra cui: Guy Debord, Roma, Manifesto libri, 2013²; Les Aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur, Éditions Denoël, 2003; Crédit à mort: la décomposition du capitalisme et ses critiques, Éditions Lignes, 2011; Contro il denaro, Milano, Mimesis, 2013; Uscire dall’economia. Un dialogo fra decrescita e critica del valore: letture della crisi e percorsi di liberazione, con Serge Latouche, Milano, Mimesis, 2014. Ha collaborato con le riviste tedesche “Krisis” e “Exi”t (fondate da Robert Kurz), che sviluppano la “Critica del valore”.
Il 17 dicembre del 2015, ospite delle comunità zapatiste del Chiapas, ha presentato la conferenza “En busca de las raíces del mal” al Cideci/Universidad de la Tierra Chiapas, visualizzabile → qui.
Nell’intervista rilasciata successivamente a Radio Zapatista, tradotta per TYSM (e → qui ascoltabile in versione originale), Jappe parla del modo in cui certi concetti marxisti – in particolare la critica del valore – risultino indispensabili alla comprensione della realtà attuale, soprattutto in relazione a quella che egli chiama la crisi terminale del capitalismo. Allo stesso modo, Jappe riflette sulle implicazioni che tutto questo ha rispetto agli attuali movimenti di emancipazione.
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Karl Marx, il risveglio del giornalista
Fabrizio Denunzio
Una raccolta di articoli lucidi e appassionati composti dal filosofo di Treviri che tra il 1852 e il 1861 si trasferì a Londra e lavorò nella redazione della «New York Daily Tribune», dividendosi tra le ricerche per i «Grundrisse» e l’attività da reporter
Qualunque soggetto volesse tornare a mettere piede sul campo delicatissimo e strategicamente determinante dell’organizzazione politica delle masse, lo dovrebbe fare tenendo sempre presente le indicazioni fornite da Gramsci in quella nota del primo quaderno del carcere dedicata a Hegel e l’associazionismo. Ciò che si trova di operativo in queste annotazioni si riferisce non tanto a Hegel ma, naturalmente a Marx: «Marx non poteva avere esperienze storiche superiori a quelle di Hegel (almeno molto superiori), ma aveva il senso delle masse, per la sua attività giornalistica e agitatoria. Il concetto di Marx dell’organizzazione rimane impigliato tra questi elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli gruppi, organizzazione giornalistica».
Sebbene limitate dalle condizioni storiche del tempo, teoria e prassi dell’organizzazione di Marx vengono riportate da Gramsci al medium egemone dell’Ottocento: il giornale. Tradotta e operativizzata nel linguaggio di una qualunque media theory, questa geniale osservazione non vuol dire altro che Marx, lavorando come giornalista, faceva esperienza delle masse nella forma di quella del pubblico di lettori e che riversava, tra gli altri, il modello organizzativo dell’industria culturale giornalistica su quello dell’organizzazione operaia. Tornare a mettere piede sul terreno organizzativo significa, allora, riflettere sul modo in cui i media strutturano i pubblici e li fidelizzano e su come, debitamente riutilizzato, questo stesso modo può rilanciare le forme politiche dell’associazionismo collettivo.
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Gramsci e la “Rivoluzione in Occidente”
di Renato Caputo
Nato 125 anni fa, Gramsci è il pensatore italiano più letto e studiato al mondo dopo Machiavelli. Il suo pensiero è infatti ancora attuale per chi non intende limitarsi a comprendere la realtà, ma mira a trasformare radicalmente un mondo nel quale l’1% della popolazione si accaparra più ricchezze del 99%, in cui le 62 persone più ricche si appropriano di maggiori risorse del 50% più povero, ossia di 3,6 miliardi di persone
L’opera di Gramsci può essere interpretata come un trait d’union fra il marxismo della Terza Internazionale e i successivi sviluppi che ha avuto la riflessione marxista nel mondo occidentale. Gramsci, infatti, si pone il compito di tradurre il pensiero di Lenin, adattandolo alle peculiari condizioni delle società a capitalismo avanzato.
Antonio Gramsci nasce ad Ales (Cagliari) nel 1891. Terminate le scuole elementari, è costretto a lavorare, ma continua a studiare e, nonostante la difficile situazione economica della famiglia, riesce a iscriversi all’Università di Torino. Sono anni molto duri per la condizione di povertà, l’isolamento e un grave esaurimento nervoso.
Rimessosi, si iscrive al Partito Socialista e decide di lasciare l’università per dedicarsi all’attività pubblicistica sui giornali del partito. Il crescente impegno politico non lo porta ad abbandonare gli interessi culturali: diventato direttore di un piccolo settimanale di propaganda di partito, “Il grido del popolo”, lo trasforma in una rivista di cultura. In seguito fonda «Ordine Nuovo», di cui è direttore. La rivista ha un ruolo di direzione nel movimento dei consigli, durante l’occupazione delle fabbriche del 1920. La sconfitta del movimento, scarsamente appoggiato dal Partito Socialista, porta Gramsci a seguire Amedeo Bordiga nella costruzione del Partito Comunista d’Italia (1921).
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Orientarsi nel labirinto della lotta di classe
A proposito di un libro di Domenico Losurdo
Elena Maria Fabrizio
Non è stato l’Occidente a essere colpito dal mondo; è stato il mondo che è rimasto colpito - e duramente colpito - dall’Occidente
A. Toynbee, Il mondo e l’Occidente
Domenico Losurdo, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 387
L’assenza cronica di visioni globali della storia è il più grave colpo inflitto dall’umore postmoderno alla contemporaneità. Di questa assenza soffre anche certa cultura marxista, spesso retrocessa a visioni che hanno rimosso dall’orizzonte storico la portata universalistica del conflitto di classe, qualche volta ridotto a semplice stagione del più ampio processo moderno di emancipazione, qualche altra a progetto fallimentare di cui solo la tradizione liberal-riformista avrebbe saputo tesaurizzare gli aspetti propulsivi.
In questa situazione culturale e politica analizzare i processi storici attraverso la categoria della lotta di classe è un’operazione coraggiosa perché tocca questioni ideologiche e etico-politiche che dal crollo del comunismo sovietico è politicamente scorretto, se non scandaloso, evocare. La critica dell’ideologia però resiste, in uno studioso che ne è tra i più illustri e forse ortodossi rappresentanti e di cui ci sono noti i meticolosi controcanti all’edificante apologia di quella storia che l’Occidente proclama come progressiva e propria. Con questo libro, Losurdo riprende il filo di una ben nota narrazione che si vuole far passare per fallita o passé, ma che forse non si conosce ancora abbastanza. Ne scandaglia l’interna complessità e senza riduzionismi di sorta ci restituisce una visione globale della storia nella quale la lotta di classe riceve il ruolo di spinta che le spetta nel processo di emancipazione e costruzione di unità del genere umano.
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Tesi sulle radici del male
di Anselm Jappe
1. Il sistema capitalista è entrato in una grave crisi. Non si tratta di una crisi ciclica ma di una crisi terminale, non nel senso di un collasso istantaneo bensì come un processo che segna la fine di un sistema plurisecolare. Non si tratta di profetizzare un evento futuro, ma di constatare un processo che ha cominciato a rendersi visibile all'inizio degli anni 1970 e le cui radici risalgono all'origine stessa del capitalismo.
2. Non stiamo assistendo ad una transizione verso un altro regime di accumulazione (come avvenne con il fordismo) o a nuove tecnologie (come avvenne con l'automobile), né tanto meno allo spostamento del centro del sistema verso altre regioni del mondo, ma all'esaurimento di ciò che è la fonte stessa del capitalismo: la trasformazione del lavoro in valore.
3. Le categorie fondamentali del capitalismo, così come sono state analizzate da Karl Marx nella sua critica dell'economia politica, sono il lavoro astratto ed il valore, la merce ed il denaro, che si riassumono nel concetto di "feticismo della merce".
4. Una critica morale, basata sulla denuncia della "avidità" di alcuni individui o gruppi, perderebbe di vista ciò che è essenziale.
5. Non si tratta di definirsi marxisti o post-marxisti, né di interpretare l'opera di Marx o di completarla per mezzo di altri contributi teorici.
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Antonio Gramsci e la concezione del partito comunista
di Andrea Catone
Questo 95° anniversario della fondazione del Pcdi a Livorno cade in un momento particolare, in cui i comunisti in Italia si cimentano nuovamente con l’impresa “grande e terribile” di ricostruire in Italia un partito comunista “degno di questo nome”. Impresa grande e terribile perché i comunisti, che hanno contribuito in modo determinante a scrivere la storia d’Italia nel ‘900 – dalla Resistenza antifascista alla stesura della Carta costituzionale, alle lotte politiche e sociali del secondo dopoguerra condotte lungo il filo rosso della strategia della “democrazia progressiva” – sono oggi ridotti ai minimi termini, dispersi e frammentati in piccoli rivoli. Eredi di una storia gloriosa, ma anche di errori teorici e di pratiche politiche rovinose, dovuti in gran parte a subalternità ideologica e politica alle classi dominanti e ai loro partiti di riferimento, ci proponiamo di consegnare alle nuove generazioni uno strumento – il partito comunista – che riteniamo, oggi come ieri, indispensabile per resistere al capitalismo finanziario e all’imperialismo sempre più aggressivi, e accumulare forze per la trasformazione rivoluzionaria della società.
Impresa resa ancor più difficile dal fatto che oggi è abbastanza diffusa anche nella cultura di “sinistra” la messa in discussione del partito politico tout court, in quanto tale. Questo attacco alla “partitocrazia”, apparentemente anarchico e libertario, è funzionale allo stadio oggi raggiunto dal dominio del capitale finanziario, che privilegia una società “liquida”, il più possibile atomizzata e incapace di esprimere strutture e corpi organizzati, resistenti e duraturi, alla quale far pervenire messaggi dall’alto, senza il filtro e l’elaborazione di un organismo critico e strutturato.
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La sostanza del capitale
Prima parte: La qualità storico-sociale negativa dell'astrazione "lavoro"
di Robert Kurz
L'Assoluto [Absolutheit] e la relatività nella Storia. Per la critica della riduzione fenomenologica della teoria sociale
A ben vedere, quasi sempre si può constatare che esistono delle corrispondenze e delle correlazioni fra mutazioni storiche del tutto diverse, in aree del sapere o sfere della vita apparentemente separate fra di loro. Nel sistema produttore di merci della modernità, già nella sua costituzione primitiva, aree come la filosofia, la medicina, l'economia, le scienze naturali, la politica, il linguaggio, ecc., sebbene non si siano sviluppate secondo lo stesso ritmo, si sono pur sviluppate secondo una direzione comune, riferendosi sempre, oggettivamente, le une alle altre. Il motivo di questa concordanza o correlazione, a volte sorprendente, dev'essere evidentemente cercato nello sviluppo della relativa formazione sociale, la quale costituisce il legame comune intrinseco ai vari domini esistenziali, aree di conoscenze e competenze. Con ciò, tuttavia, si dice che non si può avere un sapere assoluto nel modus esistenziale della temporalità: tutto il sapere, anche quello che sembra puramente oggettivo, "rigido", atemporale, è storico e socialmente condizionato, ed è anche in un certo qual modo (non a caso) relativo.
Apparentemente, questa consapevolezza della relatività costituisce un progresso del sapere avvenuto nel XIX e nel XX secolo, che proviene dalla storiografia (a partire dallo storicismo) e passa dall'economia politica (dottrina del valore soggettiva o relativista), dalle scienze naturali (fisica quantistica), dalla linguistica (Saussure) e dalla filosofia (il "pensiero post-metafisico", la "svolta linguistica"), e sfocia nel generalizzato anti-essenzialismo, e relativismo, postmoderno.
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La cassetta degli arnesi di Marx
Ascanio Bernardeschi intervista Roberto Fineschi
Roberto Fineschi, giovane filosofo senese, allievo del compianto Alessandro Mazzone, è uno dei pochissimi italiani che ha seguito da vicino i lavori della nuova edizione critica delle opere di Marx e di Engels. È autore di diversi saggi [1] che, partendo dall'illustrazione di questa novità editoriale, forniscono alcune indicazioni utili per sviluppare la ricerca sulle orme del lascito marxiano. Ha tradotto in italiano e curato la pubblicazione del primo libro del Capitale [2] che tiene di conto di tali novità
La nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2) ci riserva molte sorprese. Non cambiano solo le interpretazioni dei testi, ma i testi stessi. Che uso farne per rilanciare una prospettiva comunista su basi teoriche solide?
***
Roberto, puoi dirci in cosa consistono i lavori della MEGA2 e perché sono importanti?
Si tratta della nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels iniziata nel 1975. Prevede la pubblicazione di oltre un centinaio di volumi, tant'è vero che è stata definita scherzosamente “megalomane”. Si articola in 4 sezioni. La prima contiene tutte opere pubblicate e i manoscritti, escluso Il Capitale; la seconda comprende Il Capitale e i relativi lavori preparatori a partire dai manoscritti del 1857-58, i cosiddetti Grundrisse; la terza sezione è dedicata al carteggio e la quarta alle note di lettura e gli estratti dei due autori.
È importante perché Marx in vita non ha pubblicato molto e quindi la stragrande maggioranza delle sue opere che conosciamo sono pubblicazioni postume di manoscritti editati e curati da varie persone in maniera più o meno filologicamente corretta. Quindi la nuova edizione offre per la prima volta i veri testi di Marx. Si tratta di opere non marginali, ma capitali, sulla base delle quali si sono sviluppate le varie interpretazioni. Per esempio, i cosiddetti Manoscritti economici-filosofici del '44, nella forma in cui li conosciamo, non sono un'opera unitaria.
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Moneta, finanza e crisi. Marx nel circuito monetario
Marco Veronese Passarella*
Ricorre il 5 gennaio il secondo anniversario della morte di Augusto Graziani, uno dei più eminenti economisti italiani del novecento e padre del filone teorico eterodosso noto come teoria del circuito monetario. Per l’occasione, rendo qui disponibile la bozza preliminare di un mio contributo recente su teoria del circuito monetario, critica marxiana e finanziarizzazione. Per gli aspetti più tecnici della teoria del circuito, rinvio ad un secondo contributo (in lingua inglese) in uscita su Metroeconomica
1. Introduzione: l’altro Marx
Fin dalla pubblicazione postuma del Terzo Libro de Il Capitale, il dibattito “economico” attorno alla grande opera incompiuta di Karl Marx si è concentrato prevalentemente sul cosiddetto problema della trasformazione (dei valori-lavoro in prezzi di produzione), nonché sulla legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. In altri termini, è soprattutto sulla possibile frizione tra Primo Libro e (prima e terza sezione del) Terzo Libro che si è storicamente focalizzata l’attenzione dei più, dentro e fuori le mura accademiche. Per contro, ad eccezione dei capitoli finali dedicati agli schemi di riproduzione,1 il Secondo Libro de Il Capitale è stato a lungo trascurato. Peggior sorte è toccata alla quinta sezione del Terzo Libro, dedicata al credito, al capitale fittizio ed al sistema bancario. In effetti, se l’analisi delle due forme – mercantile e capitalistica – della circolazione è stata solitamente sminuita a sorta di breve introduzione al problema dell’individuazione dell’origine del plusvalore (problema affrontato compiutamente da Marx nel Primo Libro), il ruolo della moneta, del credito e della finanza nell’ambito della teoria marxiana, laddove contemplato, è stato quasi sempre ridotto a quello di amplificatori del ciclo economico.2 Lungi dall’essere considerati elementi costitutivi del modo di produzione capitalistico, e dunque di ogni modello analitico che aspiri ad indagarne le leggi di movimento, moneta, istituzioni creditizie e finanza sono state di norma assimilate a “frizioni” nell’ambito di un modello fondato sull’interazione tra grandezze “reali”. Paradossalmente, si tratta di una visione non dissimile da quella che ha permeato il pensiero economico dominante a partire dalla fine del diciannovesimo secolo.
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Una candela che brucia dalle due parti
Rosa Luxemburg tra critica dell’economia politica e rivoluzione
di Riccardo Bellofiore*
Nous ne pouvons plus maintenant avoir aveuglément confiance, come Rosa, dans la spontanéité de la classe ouvrière, et les organisations se sont écroulées. Mais Rosa ne puisait pas sa joie et son pieux amour à l’égard de la vie et du monde dans ses espérances trompeuses, elle les puisait dans sa force d’âme et d’esprit. C’est pourquoi à présent encore chaucun peut suivre son exemple (Simone Weil).
Introduzione
Sono passati ormai quasi cent’anni da quando, nel gennaio del 1919, Rosa Luxemburg venne assassinata. L’immagine che di lei hanno avuto ed hanno i suoi avversari, di ieri e di oggi, è semplice abbastanza da poter essere sintetizzata in un’espressione efficace come “Rosa la sanguinaria”. Ma anche le immagini che di lei hanno dominato e dominano tra chi dovrebbe averne più a cuore la memoria – penso ai marxisti di questo secolo, e a un certo femminismo – sono a volte talmente semplificate da risultare ancora meno accettabili.
Si prenda, per esempio, un articolo di Margarethe von Trotta, regista di un film su Rosa Luxemburg. La regista tedesca sintetizzava l’eredità della rivoluzionaria polacca nell’amore, nell’incapacità di odiare, nel rifiuto della violenza. Non si potrebbe immaginare certo nulla di più lontano da “Rosa la sanguinaria”. Già nel film, peraltro, la Luxemburg vi appare come una pacifista, amante della natura, che patisce la divisione tra politica e sentimenti, precocemente oltre il femminismo nella convinzione di una maggiore positività delle relazioni femminili. Tutti tratti, si badi, che hanno un riscontro in momenti ed aspetti di questa donna cui è capitato di essere rivoluzionaria. Ma se si assolutizzano questi lati mettendo tra parentesi la sua vita spesa nel lavoro teorico marxista, tra analisi dell’accumulazione e agire politico, la sua lucida coscienza della amara spietatezza delle leggi della storia e della lotta contro di esse, si finisce – magari contro le intenzioni – con il riproporre una divisione delle ragioni dalle passioni.
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Salario minimo garantito (reddito di cittadinanza)*
Gianfranco Pala
“Se ci vien fatto di dimostrare che la carità legale, applicata secondo questo principio, può essere utilmente introdotta nelle società moderne, noi avremo tolto al comunismo i suoi più formidabili argomenti, e segnata la via a migliorare le sorti delle classi più numerose, senza mettere a repentaglio l’esistenza stessa dell’ordine sociale” (Camillo Benso conte di Cavour)
Il carattere “sociale” e “minimo” del salario non deve assolutamente essere frainteso. Vi sono difatti molti, oggigiorno, che sull’onda delle mode riproduttive e fuori mercato, intendono con codesto tipo di dizioni forme spurie di salario o reddito garantito dallo stato o da altre istituzioni pubbliche, mediante prestazioni più o meno accessorie fornite a lavoratori e disoccupati, donne e giovani, cittadini e utenti. Una tal commistione di categorie, e meglio anzi sarebbe dire una tale lista di attributi tra loro incongruenti, conduce a un pasticcio di rapporti di forza, di lotta e di diritti, di assistenzialismo e di elemosina (quel tipo di confusione concettuale “inetta e barbarica” sulla quale Hegel ironizzava chiamandola “un ferro di legno”). L’essere sociale e minimo del salario è invece unicamente conseguenza dell’essere merce della forza-lavoro entro il rapporto di capitale posto da questo modo della produzione sociale. Non vi è spazio né teorico né storico, perciò, per confondere il carattere sociale del salario con sole sue parti o con differenti forme assistenziali cui le istituzioni borghesi saltuariamente provvedono per concessioni parziali, né il suo livello minimo con analoghe forme assistenziali o contrattuali che dànno veste legale all’ipocrita solidarietà della filantropia borghese.
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Il pranzo al sacco di Mario Mineo
di Angelo Foscari
Avvertenza: nella migliore tradizione post-althusseriana, ho scritto quanto segue avendo letto poco di Mario Mineo e pochissimo di Lefebvre. D’altro canto, il ‘Modo di Produzione Statuale’ pone dei problemi evidenti, e qualcosa andava detto. Sempre alla maniera della scuola di pensiero di cui sopra, sono comunque disponibile a compiere una o due (massimo 3!) autocritiche. Perciò fatevi sentire.
1. On s’engage et puis on voit ?
Per parafrasare lo stesso Mineo: “Qualsiasi imbecille è oggi in grado di spiegarvi che Marx non scriveva ‘ricette per le osterie dell’avvenire’, rifiutandosi di definire a priori i caratteri della futura società socialista”. Dato però che la strada della fuoriuscita dell’umanità dal sistema capitalista è lunga e impervia, né ci è data alcuna certezza riguardo alla conclusione di tale cammino, in attesa di raggiungere questo benedetto avvenire e scoprire cos’è che si mangia nelle sue osterie, all’inizio del 1987 – circa sei mesi prima dell’improvvisa scomparsa – il dirigente e teorico marxista rivoluzionario palermitano Mario Mineo volle fornire ai viandanti anticapitalisti un assai opportuno pranzo al sacco, sotto forma di Lo Stato e la Transizione. Un saggio sulla teoria marxista dello Stato, testo che costituisce una buona metà del volume che raccoglie gli Scritti Teorici di Mineo (a cura di Dario Castiglione, Enrico Guarneri e Piero Violante), da cui cito e sul quale ha relazionato per i seminari di PalermoGrad Giovanni Di Benedetto in questo articolo. Se l’interlocutore polemico cui Mineo si rivolge in prima battuta, Norberto Bobbio (che faceva notare l’assenza di una teoria marxista dello Stato) è scomparso da tempo, quasi tutti gli altri sono ben presenti nel dibattito attuale e seguitano a dire – più o meno - le stesse cose di trent’anni fa, dal Mario Tronti dell’Autonomia del Politico al Claus Offe del Capitalismo Disorganizzato, fino a Toni Negri per cui, in seguito ad una rivoluzione anticapitalista “il proletariato sarà sempre e in ogni caso capace di inventare le forme istituzionali della gestione del potere”: posizione questa che Mineo considera fuori dalla realtà, ma non più di quella dello stesso Bobbio, che spera “in un sostanziale avanzamento della democrazia rappresentativa in Occidente” a fronte invece di “tendenze involutive che sono in opera da parecchio tempo” (126-7).
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I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto
di Paolo Ercolani
Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti, il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica. (H. Marcuse1)
Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti. L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perderela capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia
Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe interessato la sovrastruttura ideologica 2. In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello spettacolo, con i suoimeccanismi tecnologici annessi 3.Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità) come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale, soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4. All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimentofilosofico» che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa «vita» 5.
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Mario Mineo e il modo di produzione statuale
di Giovanni Di Benedetto
È probabile che le profonde contraddizioni interne al capitalismo precipiteranno l’intero pianeta in una crisi sempre più drammatica, segnata da un intensificarsi ulteriore di guerre, terrorismi, oppressione e sfruttamento. Gli sviluppi dell’aggressione militare in Medio Oriente per il controllo delle risorse energetiche e della guerra al terrorismo dell’Isis non promettono nulla di buono. La natura costituente della crisi, che sta originando una radicale riorganizzazione dei processi produttivi, è dimostrata dall’impossibilità, da parte degli interessi delle forze dominanti, a operare, a livello nazionale e internazionale, forme di mediazione sul terreno della redistribuzione della ricchezza sociale o della stessa gestione dei rapporti di potere economico e politico. D’altra parte, è pur vero che possono aprirsi, all’interno di questo scenario catastrofico, tenui spiragli alla critica al sistema capitalistico, sebbene i rischi di derive reazionarie e regressive (si veda il voto tributato a Marie Le Pen alle ultime elezioni regionali in Francia) non possano essere per nulla sottovalutati. A patto che, una volta elaborata l’analisi sulle cause della crisi economica e di civiltà, si sia in grado di avanzare un progetto alternativo di società capace di unificare i conflitti, le lotte e i numerosi focolai di rivolta per dare luogo a forme nuove e vitali di aggregazione sociale.
Si tratta allora di lavorare alla costruzione di un progetto razionale che prenda atto, in primo luogo, della necessità di uno sforzo conoscitivo, per così dire di lunga durata, con il fine di costruire un’ipotesi di lavoro che sappia proporre uno sbocco produttivo, da una prospettiva democratica e comunista, alla questione del che fare. E dunque, è ancora possibile pensare a un’uscita dal capitalismo e alla costruzione di formazioni sociali che possano vivere e realizzare un processo di transizione verso il socialismo? E se sì, non è forse doveroso porre come condizione preliminare quella di riconoscere, senza per questo ricadere in attese messianiche come quelle in auge ai tempi della Seconda Internazionale, che questa urgenza deve essere un’ipotesi strategica capace di interessare tutta un’epoca storica? Gli scritti teorici di Mario Mineo (1920-1987), intellettuale di vaglia del panorama politico siciliano e palermitano della seconda metà del Novecento, si rivelano, da questo punto di vista, di inaspettata attualità.
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Dal programma minimo al fronte anticapitalista
di Renato Caputo
I comunisti hanno bisogno oggi in Italia di definire un programma massimo, sulla cui base rifondare un partito comunista all’altezza delle sfide del XXI secolo, e di un programma minimo a partire dal quale costruire un fronte unico antiliberista e anticapitalista. Tale fronte deve essere costruito a partire dai conflitti sociali e non nella prospettiva di semplice occupazione degli incarichi nelle istituzioni borghesi. Altrimenti i comunisti non potranno vincere la decisiva lotta con le forze democratiche piccolo-borghesi con cui dovranno necessariamente fare i conti nel fronte unico
Il senso comune del popolo di sinistra ritiene un valore essenziale per battere le destre, da troppi anni dominanti, l’unità della sinistra. Troppo spesso, però, il termine “sinistra” proprio perché noto non è in realtà conosciuto. Dal punto di vista empirico, al quale si ferma il senso comune sotto l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa, è di sinistra chi si autodefinisce tale. Tanto più che storicamente il termine, come una parte significativa degli elementi costitutivi della filosofia moderna, è sorto con la consuetudine sviluppatesi durante la Rivoluzione francese, per cui gli esponenti più progressisti del parlamento occupavano l’ala dell’assemblea legislativa posta a sinistra del suo presidente.
In tal modo però l’identità della sinistra resta piuttosto incerta, in quanto è troppo soggetta ai diversi rapporti di forza fra le classi sociali e alle diverse forme di selezione dei deputati nelle assemblee legislative. Così, già nel corso della Rivoluzione francese, a seconda del prevalere nelle sue diverse fasi delle componenti più radicali o moderate e del conseguente mutare delle modalità di selezione dei rappresentanti mutava in modo sostanziale il contenuto concreto dei termini destra e sinistra. In altri termini, in fasi molto progressive anche alla destra del presidente dell’assemblea prenderanno solitamente posto esponenti del centro sinistra, mentre in fasi come la nostra di Restaurazione anche nei banchi di sinistra troveranno posto esponenti del centro destra.
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Considerazioni sul marxismo e la filosofia
Un piccolo tentativo
Mauro Tozzato
In Materialismo ed Empiriocriticismo Lenin cita il teorico marxista, operaio autodidatta, Joseph Dietzgen, giudicato con apprezzamento anche dallo stesso Marx:
<<All’”equivoco” degli universitari liberi pensatori, Dietzgen avrebbe preferito volentieri “l’onestà religiosa”: qua almeno “c’è un sistema”, ci sono degli uomini completi che non separano la teoria dalla pratica. Per i signori professori “la filosofia non è una scienza, bensì un mezzo di difesa contro la socialdemocrazia”. “Professori e ordinari, tutti coloro che si dicono filosofi, cadono, più o meno, malgrado la loro libertà di pensiero, nei pregiudizi, nella mistica … Nei riguardi della socialdemocrazia tutti costoro non formano che una massa reazionaria. Occorre, per seguire il buon cammino senza lasciarsi smontare dalle assurdità religiose o filosofiche, studiare la più falsa delle vie false (den Holzweg der Holzwege), la filosofia”>>.
In Lenin e la filosofia Althusser interpreta la posizione di Lenin come un modo alternativo di fare della filosofia, in corrispondenza allo spunto fornito da Marx: invece di “ruminare nella filosofia” si tratterebbe, infine, di praticarla. Questo diverso modo di “professarla” porterebbe come conseguenza a riconoscere che la filosofia non è <<altro che politica investita in un certo modo, politica proseguita in un certo modo, politica rimuginata in un certo modo>>. A questo punto Althusser pone il problema cruciale su cui ci si è scontrati innumerevoli volte che concerne la natura prevalentemente filosofica o scientifica del marxismo. Per questo blog il problema sembrerebbe ormai superato: tutti noi, che condividiamo l’impostazione di base centrata sulle riflessioni teoriche di La Grassa, pensiamo che Marx sia stato un teorico (scienziato) della società che soltanto in gioventù si è anche un pochino occupato di filosofia.
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Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo
Hans Heinz Holz
Prefazione di Stefano Garroni
Già a partire dal 1968, chi avesse detto <sono comunista>, avrebbe detto qualcosa dal significato non chiaro, ma sì equivoco.
Voglio dire, restando nel confine di casa nostra, che il dichiarante avrebbe potuto essere, indifferentemente, un militante di Potere operaio o del Pc d’I, della Quarta Internazionale o di Lotta continua e così via; avrebbe potuto essere, dunque, portatore di analisi, lotte e prospettive sensibilmente diverse tra di loro ed anche opposte, per certi versi.
Gli anni successivi, fino a giungere allo sciagurato 1989 e seguenti, non hanno certo semplificato la situazione, al contrario: oggi più che mai dire <sono comunista> risulta dare un’informazione pressocché incomprensibile.
Un merito del libro di Holz è invertire questa tendenza e dare, invece, un preciso contributo al restituire un senso determinato al nostro asserto, <sono comunista>.
A tutta prima, l’operazione di Holz sembra un esempio del classico ‘uovo di Colombo’: comunista, egli dice, è chi si riconosce nell’intera storia del movimento comunista, appunto.
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Una teoria che non fa scuola
Stefano Petrucciani
Dopo anni di ricerca ai margini dell’industria culturale e in piena egemonia neoliberale, «Una storia del marxismo» è l’importante iniziativa editoriale in tre volumi della Carocci. Pubblichiamo un brano dell’introduzione del curatore
L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia successiva.
Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica, attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che dopo di lui si è sviluppata.
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Che cos'è la critica del valore
la Rivista Marburg-Virus intervista Robert Kurz ed Ernst Lohoff
Domanda: Una caratteristica centrale del Gruppo Krisis, è il suo approccio della critica del valore. Potreste descrivermi succintamente che cosa significa per voi la critica del valore, e in che cosa consiste la differenza decisiva di quest'approccio rispetto alle altre teorie tradizionali della sinistra? La "critica della società della merce" è, come recita il sottotitolo della rivista Krisis, la stessa cosa che è la critica dell'economia politica? Cosa significa "valore" e "socializzazione per mezzo del valore?
Risposta: Che cos'è il valore, la sinistra lo sa per mezzo di mille corsi di formazione su "Il Capitale" - e tuttavia ancora non lo sa. Vale perciò la pena ricordare alcuni concetti fondamentali al fine di rendere intellegibile la nuova lettura della critica del valore. E' necessario tornare alle basi logiche della forma-merce. Dal momento che i membri di un sistema produttore di merci sono socializzati soltanto in forma indiretta (attraverso il mercato), essi non si relazionano attraverso una comprensione cosciente dell'utilizzo delle loro risorse comuni, ma soltanto attraverso il dispendio isolato di quantità di forza lavoro umana - che, socialmente allucinato, diventa "lavoro coagulato" (valore), e quindi viene trasformato in merci. Nella misura in cui le quantità di lavoro passato, fittiziamente contenute in queste merci, vengono messe in una determinata relazione di grandezza, esse appaiono come valori di scambio, la cui misura interviene solo a posteriori, attraverso la mediazione del mercato.
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La miracolosa rinascita di Antonio Gramsci
di Robert Bösch
"La verità è che le possibilità di successo di una rivoluzione socialista non hanno altra misura che il successo stesso"
- Antonio Gramsci (1891-1937), riferendosi alla Rivoluzione d'Ottobre -
Al più tardi, con la sparizione dell'URSS dalla scena politica mondiale, anche quello che si soleva chiamare "teoria marxista" ha perso ogni e qualsiasi rilevanza sociale. Anche le varianti più illuminate del marxismo si riferivano all'Unione Sovietica, se non come socialista, quanto meno come formazione sociale "post" o "non-capitalista". La sua caduta catastrofica ha sigillato anche il verdetto sulla sinistra fino ad allora esistente, e sul suo concetto di teoria.
In questo contesto, non si può non considerare, o nutrire grande interesse per Antonio Gramsci. Non è facile comprendere perché un pensatore che ha visto come proprio compito quello di "tradurre in italiano" le esperienze della Rivoluzione d'Ottobre (Zamis, 1980), e per il quale Lenin era il "maggior teorico moderno" del marxismo (Perspektiven, 1988), non venga trattato come un cane morto. Di fatto, la rinascita di questo rivoluzionario fallito dei tempi della III Internazionale suscita sorpresa, se si considera che non solo la sinistra, ma anche la destra teorica, ha riscoperto per sé questo "marxista classico". Se Gramsci era già popolare a partire dal decennio 1970, in un determinato spettro della sinistra accademica, che in Germania Occidentale era riunito intorno alla rivista Argument, nel 1977 il teorico della nuova destra francese, Alain de Benoist, ha scritto un libro in cui adattava a suo modo il pensiero di Gramsci.
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La crisi odierna e la lezione di Marx
di Alberto Leiss
Un resoconto del convegno di Alessandria su «I ritorni di Marx». I nessi tra forza economica e capacità egemonica del centro del potere capitalistico. Crisi e ruolo dell’Unione europea, un «nuovo mostro» che non è stato ancora adeguatamente analizzato. La costruzione del soggetto tra neoliberismo, psicanalisi e femminismo della differenza
Dunque lo spettro di Marx è tornato ad aggirarsi sullo scenario della nuova, lunga e devastante crisi ca- pitalistica che ci accompagna dal 2008, sollevando moltissimi interrogativi sui veri meccanismi che sostengono il sistema uscito vincitore dal confronto con l’alternativa comunista e socialista. Un confronto aperto proprio dalle opere del professore di Treviri a metà dell’Ottocento, divenuto conflitto acuto e tragico dopo la rivoluzione del 1917. Apparentemente concluso con la fine dell’Urss.
Ma è davvero possibile – come si è augurato in premessa Aldo Tortorella – che questo nuovo ritorno avvenga «a occhi aperti» da parte di coloro che non rinunciano a rimeditare e attualizzare la lezione di Marx? Evitando il rischio di ulteriori errori e limiti di natura ideologica, se non propriamente dogmatica, proprio grazie al fatto che è stato abbastanza brutalmente tolto di mezzo l’equivoco di una costruzione in corso, con sicura ricetta, di «mondi nuovi»?
La discussione svoltasi per tre giorni a Alessandria, per iniziativa di Critica marxista e della Fondazione Luigi Longo, nel convegno intitolato appunto I ritorni di Marx, sembra fornire una prima significativa risposta positiva.
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Il dizionario vivente di Marx
Gianpaolo Cherchi intervista Peter Jehle
Intervista con il filosofo tedesco Peter Jehle, direttore editoriale dell’Istituto di teoria critica e protagonista del monumentale progetto internazionale di un «Dizionario storico-critico del marxismo», ormai giunto alla pubblicazione di nove volumi
Il Dizionario Storico-Critico del Marxismo è un progetto unico nel suo genere, non solo per le dimensioni monumentali e per il carattere internazionale che esso assume (si pensi solo ai numerosi collaboratori che partecipano da ogni parte del mondo), ma soprattutto per il momento storico preciso in cui una simile operazione ha luogo: un periodo che, oltre ad essere assai povero di criticità nel dibattito politico internazionale, anche sul piano culturale sembra aver perso un orizzonte critico di riferimento.
Carenza di criticità che ha portato ad una situazione assai lontana dalla «fine delle ideologie» prospettata da Francis Fukuyama: quella in cui viviamo, infatti, è in realtà l’era più ideologica della storia, con l’affermazione su scala globale del modello capitalista, supportato e mai contraddetto dalle nuove democrazie liberali.
In un tale contesto, quello di un Dizionario Storico-Critico del Marxismo (HKWM, n.d.r.) rappresenta un punto di assoluta importanza e di rilievo internazionale.
Abbiamo intervistato Peter Jehle, responsabile del progetto editoriale, nonché membro dell’Istituto berlinese di Teoria Critica (InKriT; www.inkrit.de).
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Ci vuole illustrare il progetto dell’HKWM?
Come si può facilmente prevedere, l’influenza storica del pensiero di Marx delinea il principale ambito tematico del HKWM.
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