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intrasformazione

Novità su Marx, novità da Marx

di Antonino Morreale

karl marx 1967 06 15Nostalgie?

Se mai qualcuno della generazione che ha avuto i suoi primi contatti con Marx negli anni ’60 e ‘70, ritornasse oggi a rileggerlo, avrebbe di che meravigliarsi, scoprendo che tutto è cambiato.

I 35 anni che ci separano dal centenario della morte di Marx nel 1983 al bicentenario della sua nascita nel 2018 (che abbiamo festeggiato in allegria qui al Gramsci con una banda musicale al suono dell’Internazionale), hanno consumato molte illusioni.

Abbattuti muri che andavano abbattuti, altri ne sono stati costruiti che non andavano costruiti. E il mondo non si presenta più oggi come una marcia trionfale nel regno della libertà capitalistica finalmente realizzata; così come l’URSS allora e tutte le guerre di liberazione, dall’Algeria, al Vietnam, dall’Angola a Cuba, e il maggio francese, non erano una marcia trionfale verso il socialismo.

Il mondo è cambiato, noi con lui, e anche Marx è cambiato nel frattempo, ma diversamente da molti di noi è cambiato in meglio, e può aiutarci a decifrare il nostro diverso presente.

Certo, non basta tirar giù dagli scaffali più alti le vecchie edizioni Rinascita o Editori Riuniti, perché, ed è questa la novità, oggi il Marx che può aiutarci è molto diverso dal Marx che ci aiutò e guidò allora.

A questa premessa, diciamo così, generazionale, devo aggiungerne una più personale.

È per me una occasione singolare e fortunata parlare di questo libro di Musto K. Marx. Una biografia intellettuale e politica (1857-1883)”, perché è con un suo precedente lavoro Ripensare Marx del 2011 che mi è capitato di tornare a questo tipo di studi dopo molti anni dedicati ad altro.

Bisognava tornare a leggere Marx, ed è a questo punto che ho incontrato i lavori di Musto.

Anche per questo il libro che discutiamo non è per me uno dei tanti buoni libri che si possono leggere sull’argomento.

 

Il libro

Il libro che abbiamo in mano è uno dei migliori che possiamo leggere, e certo il migliore nella nostra lingua, perché, nonostante la giovane età, il professor Musto è già uno studioso di lungo corso, la cui ottica su Marx è ricca e innovativa.

Ve ne dò subito una prova con questa bella pagina tratta da un suo libro precedente:

Ripensare Marx dove a pagina 197 è riassunta con efficace gioco retorico la sua immagine di

Marx.

“Piegato da più parti in funzione di contingenze e necessità politiche, venne a queste assimilato e nel loro nome vituperato.

La sua teoria da critica qual era, fu utilizzata a mo’ di esegesi di versetti biblici. Nacquero così i più impensabili paradossi.

Contrario a “prescrivere ricette (…) per l’osteria dell’avvenire, fu trasformato, invece, illegittimamente, nel padre di un nuovo sistema sociale.

Critico rigoroso e mai pago di punti d’approdo, divenne la fonte del più ostinato dottrinarismo.

Strenuo sostenitore della concezione materialistica della storia, è stato sottratto al suo contesto storico più d’ogni altro autore.

Certo che “l’emancipazione della classe operaia deve essere opera dei lavoratori stessi”, venne ingabbiato, al contrario, in una ideologia che vide prevalere il primato delle avanguardie politiche e del partito nel ruolo di propulsori della coscienza di classe e di guida della rivoluzione.

Propugnatore dell’idea che la condizione fondamentale per la maturazione delle capacità umane fosse la riduzione della giornata lavorativa, fu assimilato al credo produttivo dello stakanovismo.

Convinto assertore dell’abolizione dello Stato, si ritrovò ad esserne identificato come suo baluardo.

Interessato come pochi altri pensatori al libero sviluppo delle individualità degli uomini, affermando contro il diritto borghese che cela le disparità sociali dietro una mera uguaglianza legale, che “il diritto invece di essere uguale, dovrebbe essere disuguale”, è stato accomunato a una concezione che ha neutralizzato la ricchezza della dimensione collettiva nell’indistinto dell’omologazione”.

Questa sorta di pagina-manifesto dà un profilo denso e convincente come può riuscire di scrivere solo a chi ha alle spalle un percorso maturato da molte analisi dettagliate.

È una immagine di Marx molto diversa da quella che avevamo negli anni ‘60 e ‘70 e discende da una conoscenza dell’opera di Marx e della sterminata produzione su Marx che è aggiornatissima.

E, cosa che certo non guasta, in un’epoca in cui i marxologi sono forse più dei marxisti e in cui succede di leggere su Marx anche libri di gelido specialismo, come se si trattasse di Leibniz, i lavori di Musto trasmettono anche una “partecipazione” che rincuora.

 

La “via italiana” a Marx

Il lavoro della nuova leva di studiosi alla quale Musto appartiene percorre nuove strade, ma si va a innestare positivamente su una tradizione di studi che vanta i nomi di Labriola e di Gramsci tra fine Ottocento e metà Novecento. E alla quale, con il lavoro per l’edizione di Gramsci a guerra finita, andava ad aggiungersi una importante e del tutto diversa scuola, quella di Della Volpe inaugurata dalla Logica come scienza positiva del ’50. Anche lui a sua volta legato ad una tradizione antica in quanto allievo di almeno due grandi studiosi di Marx come Giovanni Gentile e Rodolfo Mondolfo.

E l’Istituto “Gramsci” nazionale già nell’anno ‘54-‘55 organizzava a Roma un corso sul marxismo tenuto da Antonio Banfi, da Galvano della Volpe, da Ludovico Geymonat, che giunse stampato fino alla sezione “G.Li Causi” del mio paese, Bagheria. Banfi, Della Volpe, Geymonat, teste pensanti, non funzionari fedeli alla linea. E ne era prova anche la bibliografia che Della Volpe suggeriva.1in cui accanto agli inevitabili Lenin, Stalin e Zdanov c’erano anche Lukács e Korsch, Sweezy e Dobb.

Il Marx che queste due tradizioni, quella Labriola-Gramsci e quella di Della Volpe (che convivevano facendo molte scintille dentro lo stesso partito), proponevano, si distingueva, a mio avviso in positivo, sia dal Marx che ci arrivava dalle edizioni ufficiali dei paesi comunisti, e penso alle prefazioni dei Marx Engels Werke della DDR; ma anche dal Marx meno ingessato e molto più modaiolo, di volta in volta esistenzialista, fenomenologo, strutturalista, che ci arrivava dalla Francia.

Negli anni ‘60 e ‘70 Marx insomma in Italia si collocava dentro una tradizione di alta qualità filosofica e politica. Col rischio calcolato di una “nazionalizzazione” dentro la tradizione che riconduceva a forza Marx a Gramsci, a Croce a Labriola, su su fino a Vico. Bilanciata dall’altro versante dalla linea che, con Della Volpe, piuttosto che a Vico, si collegava a Galilei e persino all’Aristotele antiplatonico.

Allora gli “ortodossi” dovevano battagliare per rivendicare l’autonomia del marxismo da quelle che si chiamavano “ideologie borghesi”, o “infantilismi ideologici”.

Anche allora, sul finire dei Sessanta, la pubblicazione di qualche opera di Marx profumava di scandalo ed eresia anti-PCI. I Grundrisse nel ’68 pubblicati però dalla Nuova Italia, come il Capitolo sesto inedito del Capitale nel ’69; mentre Sugar pubblicava Marxismo e filosofia di Korsch nel ‘66 e Storia e coscienza di classe di Lukács nel ‘67, proprio lo stesso anno in cui gli Editori Riuniti invece pubblicavano i saggi Pour Marx di Althusser, in attesa di Leggere il Capitale nel ‘71.

Troppa roba in pentola, certo, perché i sapori antichi e nuovi si amalgamassero, ma era anche tutta salute. Il dialogo risultava difficile se non impossibile. E mentre Della Volpe su “Rinascita” stroncava la “rottura epistemologica” di Althusser, Colletti nel ‘69 pubblicava i saggi di Ideologia e società, (e Il marxismo ed Hegel, con cose risalenti anche al ‘58), e nel ’70 mi parlava della corrispondenza con Althusser risoltasi a coda di topo, in un dialogo tra sordi.

Ma tutto questo non c’è più e Marx c’è ancora.

Le battaglie culturali sono nel codice genetico del pensiero di Marx, e della tradizione marxista. Il compito pesante, ingrato, di lottare a destra e a sinistra contro i Bauer e gli Stirner, i Feuerbach e persino i Vogt. Ora, battaglie in nome di un radicamento culturale grande e profondo con la migliore cultura europea e al tempo stesso il differenziarsi continuo, la ricerca di autonomia sui fondamenti teorici.

Tutto questo va ricordato perché è una bella storia e non andrebbe rimossa nemmeno se fosse brutta.

Tutto questo va ricordato perché è una bella storia e non andrebbe rimossa nemmeno se fosse

Il problema politico-culturale di inserire Marx, con le sue “tre fonti”, dentro una tradizione “nazionale” che fu il pallino del PCI di Togliatti, non esiste più. E infatti Musto si muove in tutt’altra ottica e su uno spazio “globale”.

E Marx va lasciato là dove è sempre stato, un grande intellettuale europeo, - per vocazione e per necessità-. Nella grande cultura europea, politica, filosofica, letteraria, economica. Con Hegel, Ricardo e i socialisti, mentre i suoi “autori”, oltre ai classici greci e latini e l’ovvio Goethe, sono Dante e Shakespeare, Cervantes e Balzac.

 

Il libro di Musto

Torniamo al libro. Vediamo come è strutturato. Musto fa due scelte chiare e nette. Intanto lascia fuori il cosiddetto Marx “giovane” e affronta direttamente il cuore del problema: la critica della economia politica e la questione del metodo con l’Introduzione del ’57, cui ha dedicato nel 2010 una pubblicazione specifica molto precisa.

La seconda scelta è di non considerare il filosofo separato dall’economista, e il politico dal filosofo e dall’economista e tutti separati dall’uomo. Il capitolo sulle condizioni economiche, familiari, di salute, è il più angosciante del libro ma anche indispensabile per avere la percezione dell’abisso da cui Marx ha dovuto tenersi fuori, e di come potesse essere vivere a Londra, centro del mondo, per un intellettuale esule e avverso al sistema.

Non sono due Marx, ma certo qui c’è un Marx diverso da quello degli anni quaranta dell’800. È un Marx che ha ormai due poli ben chiari, l’analisi del capitale, la lotta politica. Entrambi ai livelli più alti: la stesura del Capitale, come teoria e storia di un sistema economico nato nel secolo XVI, e l’organizzazione dell’Internazionale come arma per combatterlo. Due ambizioni davvero “prometeiche”.

Biografia intellettuale e politica. Lasciar fuori i primi dieci anni di attività per concentrarsi sui 30 fino alla morte. Non certo perché si possa ritenere trascurabile il Marx dei Manoscritti del ‘44 e della Ideologia tedesca (1846). Anche lì ci sono importanti novità filologiche da registrare. E vanno valutate e recepite con giudizio pensando che nemmeno la filologia può pensare di essere una neutrale arma finale. E sto pensando al libro di Carver e Blanck sulla storia delle edizioni della Ideologia tedesca e alle recentissime critiche di Carver alla fresca edizione (2017) in MEGA2.

Il nostro libro non si lascia travolgere neppure da quella “filologia estrema” e mira al contrario a far uscire la dottrina dalla vita e dalla lotta politica.

Il libro di Musto inizia, dopo una breve introduzione sugli anni quaranta, direttamente dal momento più alto della ricerca di Marx l’Introduzione del ’47.

Strutturato in quattro parti

  1. La critica dell’ec. Politica Cap. 1. La crisi del ’57; 2. Cambiamenti mondiali; 3 Il Capitale

  2. La militanza politica 4. l’Internazionale; 5. la Comune; 6. Contro gli anarchici

  3. Le ricerche dell’ultimo decennio 7. Studi teorici e politica; 8. Gli ultimi anni

I primi tre capitoli coprono il periodo che va dal ‘57 al ‘76 circa.

La parte prima è dedicata alla critica dell’economia politica. Alla elaborazione dei Grundrisse attorno alla crisi del ‘57, la polemica con Vogt, e l’analisi della guerra civile americana, il Capitale fino alla pubblicazione del primo libro e la elaborazione dei libri successivi.

La seconda parte comincia col 1864, la nascita dell’Internazionale, la Comune di Parigi, la lotta all’anarchismo.

La terza riprende i temi che Musto ha già analizzato in una specifica pubblicazione sull’ “ultimo Marx” cioè sugli anni settanta e le lotte politiche, le nuove ricerche di antropologia, fino alla morte.

E qui il libro, nel significato di biografia intellettuale e politica, sarebbe finito2, e invece l’autore ci sorprende con una quarta parte intitolata “la teoria politica” che si compone di due capitoli dedicati, il 9, alla “Dialettica del capitalismo”, il 10 alla società comunista. Perché questi sono i due nodi, questi sono i due Marx, scrive Musto, “indispensabili”.

Nel primo capitolo, si affronta uno dei nodi decisivi del pensiero di Marx: la necessità del capitalismo perché si possa avere il comunismo. Non si può saltare. È un’idea che in Marx è presente dagli anni quaranta in poi, dall’Ideologia tedesca al Manifesto fino ai Grundrisse. Ma è un’idea che subisce ripensamenti critici molto importanti. Fino al primo libro del Capitale Marx torna sul carattere necessario del capitalismo.

Musto conclude:(p. 219-20):

“Con continuità, dunque, dalle prime formulazioni della concezione materialistica della storia, risalente agli anni ‘40, fino agli ultimi interventi degli anni Ottanta, Marx mise in evidenza la relazione esistente tra il ruolo fondamentale dell’incremento produttivo generato dal modo di produzione capitalistico, e le precondizioni necessarie alla nascita della società comunista per la quale il movimento operaio avrebbe dovuto lottare. Le ricerche condotte negli ultimi anni della sua esistenza gli permisero, però, di rivedere questa convinzione e di evitare di cadere nell’economicismo che contraddistinse invece le analisi di tanti suoi seguaci”.

È la riflessione sulla Russia. L’invito a” studiare separatamente i singoli fenomeni”. E poi le bozze di lettera per Vera Zasulic. “senza passare necessariamente”; “una transizione non sempre necessaria “scrive Musto. Così come Marx cambia opinione sul colonialismo britannico in India. Marx si allontana dall’idea che sembra deterministica nella “Prefazione del ’59” di un meccanismo necessitante.

Qui si tocca un tema centrale della sua riflessione, quella del motore della concezione materialistica della storia, il rapporto tra il “pistone” delle forze produttive e il “cilindro” dei rapporti di produzione. Su cui una riflessione è necessaria se non altro perché, a me pare, che tra le esposizioni della concezione materialistica della storia presenti nella Ideologia tedesca, nella Miseria, e nella “Prefazione del ‘59”, e la concreta ricostruzione della storia inglese nel primo libro del Capitale, ci siano differenze di impostazione da chiarire.

Qualcosa del genere accade anche per quanto riguarda le prospettive future.

La fortissima tensione utopica che tanto affascina ancora oggi il lettore dei Manoscritti economico- filosofici non poteva sparire, e la ritroviamo ancora in qualche passo del Capitale. Anche se Marx non organizzò mai falansteri o “ricette per l’osteria dell’avvenire”.

Così come si tenne ben lontano dalle ricette dei cosiddetti utopisti che pure apprezzava e prendeva in giro, si sarebbe tenuto ben lontano anche dalle realtà del “socialismo” reale che abbiamo visto nascere e finire nel XX secolo.

Va condivisa infatti quest’altra osservazione di Musto:

p. 244 “l’dea di società di Marx è dunque l’antitesi dei totalitarismi sorti in suo nome nel xx secolo. I suoi testi sono utili non solo per comprendere il modo di funzionamento del capitalismo, ma anche per individuare le ragioni dei fallimenti delle esperienze socialiste fin qui compiute.”

Ma mi pare che da parte marxista non si siano individuate quelle ragioni dei fallimenti, e non va bene.

Le questioni dell’attualità di Marx sono l’abbiamo detto, il destino del capitalismo, e la possibilità del socialismo.

Marx è indispensabile, anzi, ci dice Musto, i Marx “indispensabili” sono due. Il “critico del modo di produzione capitalistico”, “l’altro, al quale bisognerebbe rivolgere grande attenzione, è il teorico del socialismo” (Ripensare p. 219).

Il destino del capitalismo, perché come formazione sociale e modo di produzione determinato storicamente, non può non finire; e la possibilità del socialismo, perché se è buona la prima, nelle mani degli uomini c’è la possibilità di una nuova e diversa organizzazione della società.

 

Novità su Marx, novità da Marx

L’emergere di “nuovi” elementi sinora ignoti, o trascurati, e la lettura nuova di testi noti converge nel fornire di Marx un’immagine molto diversa da quella che ci si poteva formare in passato.

Novità su opere come l’Ideologia tedesca, che finalmente sappiamo cos’è, sul Manoscritto del Capitale, il capitolo che è anche il più laborioso da leggere, sull’epistolario, sui quaderni

In ognuno dei quattro settori in cui è suddivisa la grande edizione MEGA2 ci sono novità molto importanti che hanno contribuito a liberare Marx ed Engels da letture rigide, ideologiche, troppo interessate alla costruzione di una dottrina compatta, ufficiale. Tutto il contrario di quanto è nello spirito di Marx.

Il Marx più tardo è forse quello che ha beneficiato di più da questa ondata d’aria fresca filologica.

Un silenzioso quanto patetico convincimento continua ad accompagnare l’ultimo Marx. La stranezza di uno studioso che pubblica il primo libro del Capitale nel ‘67, e nei 16 anni che gli restano non ce la fa a pubblicare il secondo. Esaurimento fisico, crisi della creatività scientifica, irrisolvibili contraddizioni dell’impianto teorico del Capitale: è stato detto di tutto. Anche su questo punto Musto ha una risposta complessa quanto equilibrata e condivisibile.

Il merito di questa nuova immagine di Marx non è solo della filologia che ci sta restituendo anno dopo anno le tessere del puzzle, semmai ora si tratta di digerire queste nuove tessere in un disegno che ormai appare ben delineato e aperto.

E bisogna trovare il tempo di chiedersi se sulle 4-5 questioni decisive Marx possa ancora servire.

A chi parla di “superamenti” di Marx ad opera di non si sa chi o che cosa, l’unica risposta possibile è:” magari!”

Perché le questioni sul tappeto non sono scomparse, semmai si sono acuite e non dobbiamo scambiare le sconfitte storiche reali per le soluzioni teoriche dei problemi, questo sì sarebbe hegelismo:

  • Sul rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione, c’è tensione oggi più di ieri.

  • sull’eurocentrismo e globalizzazione, la storia universale, prodotto storico specifico del capitalismo, oggi è più vero di ieri.

  • sulla questione ambientale oggi è più reale e più urgente di ieri

  • la “critica”, il marxismo come “critica”, parola chiave in Marx, contro le mille teste dell’ideologia, è sempre più necessaria in un’epoca in cui il “capitale” investe nel software ideologico quanto nell’hardware tecnologico.

Aspetti e ragioni storicamente pressanti e non superati, e perciò nemmeno Marx è superato. E per questo accogliamo e facciamo nostra la conclusione del libro:” Molti dei partiti e dei regimi politici sorti nel nome di Marx hanno utilizzato, invece, il concetto di “dittatura del proletariato” in modo strumentale, snaturando il suo pensiero e allontanandosi dalla direzione da lui indicata. Ciò non vuol dire che non sia possibile, provarci ancora” (p. 252).


In Trasformazione, Rivista di Storia delle Idee 8:2 (2019)

Note
1 La bibliografia consigliata da Della Volpe alla fine delle sue tre lezioni comprendeva la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, La Sacra Famiglia, Tesi su Feuerbach. Miseria della filosofia, Introduzione del ‘57, il Capitale; di Engels: Antidhüring, Dialettica della natura; di Lenin Che cosa sono gli amici del popolo, Materialismo ed empiriocriticismo; di Stalin, Materialismo dialettico e materialismo storico, Problemi economici dell’Urss; un intervento di Zdanov; ma anche Labriola, Gramsci, Korsch, Lukács, Dobb, Sweezy, Eaton, Togliatti, Mao, Banfi, Desanti, Pesenti, Pietranera, Colletti, Luporini, Spinella, Della Volpe.
2 Le note occupano oltre 50 pp. su 330 e la bibliografia 14 pagine; ma sono solo una scelta di appena 250 titoli. Straripante la presenza della lingua inglese e francese oltre all’inevitabile tedesco. Molto ridotta la presenza italiana, si arriva a 10. Lo sguardo di Musto è veramente “globale”, e un libro su cinque è posteriore al 2000. Globale e aggiornatissimo.

Comments

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Mario Galati
Tuesday, 22 October 2019 23:34
Da quanto leggo, mi sentirei di suggerire ad Antonino Morreale di lasciar perdere Musto e di ritornare a "tirar giù dagli scaffali più alti le vecchie edizioni Rinascita o Editori Riuniti".
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Franco Trondoli
Saturday, 19 October 2019 20:56
Da un lato condivido il "determinismo negativo" sul Capitalismo di Michele Castaldo. Dall'altro, in questo tempo, non sono sicuro del "determinismo positivo dell'Araba Fenice". Vedo un "lungo tempo barbarico". Come pura suggestione personale, vedo, nel ragionamento di Castaldo, una permanenza di un "processo dialettico" che troverà comunque nella tragedia ,uno "sbocco positivo". Per quello che vale, non sono sicuro di questo. Allora posso anche capire chi non "si arrende" al "determinismo negativo" e dentro la fase del processo impersonale del Capitalismo, tenta ,o meglio, vorrebbe tentare uno slancio "vitalistico" in controtendenza o trattenente (katechon). C'e' anche chi si pone un "vitalismo accelerazionistico" nel e del Capitalismo. Si pone sempre almeno un bivio in teoria. La prassi che verrà determinerà il reale. Non si può prevedere la prassi. Almeno penso. Vediamo se qualcuno cortesemente scrive delle cose. Cordiali Saluti.
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michele castaldo
Saturday, 19 October 2019 10:02
«Non sono due Marx, ma certo qui c’è un Marx diverso da quello degli anni quaranta dell’800. È un Marx che ha ormai due poli ben chiari, l’analisi del capitale, la lotta politica. Entrambi ai livelli più alti: la stesura del Capitale, come teoria e storia di un sistema economico nato nel secolo XVI, e l’organizzazione dell’Internazionale come arma per combatterlo. Due ambizioni davvero “prometeiche”. »
La persona è una, ma le espressioni sono due: una di analisi del modo di produzione, l'altra di proposta per abbatterlo. Il punto in questione è se la proposta corrisponde all'analisi.
«Nel primo capitolo, si affronta uno dei nodi decisivi del pensiero di Marx: la necessità del capitalismo perché si possa avere il comunismo. Non si può saltare. È un’idea che in Marx è presente dagli anni quaranta in poi, dall’Ideologia tedesca al Manifesto fino ai Grundrisse. »
Non io o chiunque altro, ma la storia ha dimostrato che il capitalismo non potesse essere evitato proprio perché non è un modello contro cui contrapporre un'altro modello, ma è un movimento impersonale degli uomini con i mezzi di produzione, sul superamento dei precedenti rapporti.
« È la riflessione sulla Russia. L’invito a” studiare separatamente i singoli fenomeni”. E poi le bozze di lettera per Vera Zasulic. “senza passare necessariamente”; “una transizione non sempre necessaria “scrive Musto. Così come Marx cambia opinione sul colonialismo britannico in India. Marx si allontana dall’idea che sembra deterministica nella “Prefazione del ’59” di un meccanismo necessitante. »
No, Musto si sbaglia, proprio perché è tutto IL CAPITALE che punta sul determinismo, e tutta la difficoltà di Marx sta proprio nel cercare di coniugare come causa-effetto il ruolo del proletariato come soggetto per abbattere il capitalismo. E' questa difficoltà che ci tocca sbrogliare oggi e siamo riottosi rispetto ad essa perché ci arrovelliamo il cervello alla ricerca del soggetto e non riusciamo a vederlo in quello che è: il modo di produzione capitalistico, ovvero un insieme di rapporti in cui tutto si tiene; oppure niente si tiene.
«Marx è indispensabile, anzi, ci dice Musto, i Marx “indispensabili” sono due. Il “critico del modo di produzione capitalistico”, “l’altro, al quale bisognerebbe rivolgere grande attenzione, è il teorico del socialismo” (Ripensare p. 219). »
Stando al concetto della Nottola di Minerva di Hegel non è possibile parlare di socialismo o comunismo se esso non si dà. Fare teoria su di esso vuol dire avventurarsi per i cieli immensi delle idee, lo stesso Marx prese una cantonata con la Comune di Parigi e la dittatura del proletariato scambiando uno strumento elettivo provvisorio in circostanze determinate come strumento di dominio di una classe oppressa e sfruttata contro la classe sfruttatrice; poi ci provò Korsh e ne vennero fuori dei geroglifici fanciulleschi; ci provò Gramsci coi Consigli e non andò meglio; ci provò Lenin - povero Lenin - coi soviet e si ritrovò col potere dei kombey, cioè le squadre annonarie; ci propvò ancora col Comunismo di guerra - opera straordinaria ma necessitata, storicamente determinata e fulmineamente arenata; ci provò Stalin coi colcoz e sovcos e andò peggio; ci provò Mao e finì in Deng Xiao ping; ci provò il povero Castro e ci stiamo ancora a leccare le ferite; ci provò Ho Ci Min e oggi il Vietnam esporta come i cinesi in Occidente.
Bisogna sì tornare a Marx e alla sua definizione di fondo dei Grundrisse e del Capitale: il modo di produzione capitalistico è un movimento storico finito degli uomini con i mezzi di produzione; ha avuto un suo inizio, un suo straordinario sviluppo e avrà una sua ingloriosa fine attraverso la più cruenta delle implosioni. Dalle sue ceneri sorgerà l'araba fenice delle masse oppresse e sfruttate che si costituiranno in partito politico e organizzeranno nuovi rapporti sociali sulle ceneri del mercato e del profitto.
Questo è, prima ne prendiamo atto e meno fesserie continuiamo a raccontare.
Michele Castaldo
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