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intellettuale collettivo

La tesi di Costanzo Preve che spaventa i marxisti italiani

di Fabio Rontini

1422349 584449871635209 393600164 nSi propone all’attenzione dei lettori il presente saggio di Fabio Rontini che, brevemente e sinteticamente, ripercorre alcuni temi fondamentali del dibattito teorico-politico avvenuto negli ultimi anni in Italia tra autori di grande livello, come Preve, Losurdo e altri. L’autore ripropone nel finale alcune tesi già precedentemente espresse in un lavoro più ampio, e sul quale a mio personale avviso, occorre procedere con molta prudenza. Il livello di regressione e semplificazione teorica a cui è giunto il movimento comunista italiano impone la necessità di portare avanti uno studio più sistematico e collettivo su una serie di tematiche complesse che necessitano non solo una conoscenza puntuale dei classici, ma anche un aggiornamento agli studi più recenti, specie nei campi della psicologia e delle neuroscienze. Chi scrive, a differenza dell’autore del saggio, non ritiene che il materialismo neghi l’esistenza reale e concreta delle idee, ma le ritiene dei costrutti socio-individuali prodotti dal cervello, e quindi come tali determinati dialetticamente dalle esperienze sensoriali esterne. Il problema vero è capire se e quando tali idee siano in grado di svincolarsi dal determinismo a cui l’essere umano, come ogni essere naturale, è sottoposto fino al momento in cui acquista un livello di sviluppo cerebrale tale da rendere la sua attività ideale (e utopica) superiore agli input provenienti dalla realtà materiale ed ideale a lui esterni. Il tema non è una questione di lana caprina, ma si coniuga con la possibilità o meno di combattere e sconfiggere il controllo sociale attuato dall’attuale totalitarismo “liberale”. Da cui consegue la necessità di riflettere costruttivamente sulle possibilità concrete di vittoria di un movimento comunista in un contesto, come quello dell’Occidente, in cui l’egemonia è totalmente nelle mani della borghesia.

Nonostante alcune divergenze, ritengo che Rontini abbia il merito di presentare dei punti di riflessione importanti, riportandole a questioni di attualità politica e alle problematiche strategiche dei comunisti. Per questo invito a leggere tale testo, a ragionarci sopra e ad inviare proprie riflessioni e repliche, critiche e costruttive, all’indirizzo This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. (Alessandro Pascale).

* * * *

Il 6 Febbraio 2020 è uscito in edicola il primo numero di una nuova rivista mensile, “Vivere con Filosofia: pensieri grandi e piccoli per il quotidiano”. Come si evince dal titolo, la pubblicazione si pone come punto di riferimento della divulgazione del pensiero filosofico presso un pubblico non specializzato, affrontando una certa varietà di argomenti, anche importanti, in modo piacevole e non eccessivamente approfondito. Tra gli articoli principali ritengo sia da segnalare una breve intervista al noto, giovane filosofo marxista Diego Fusaro dal titolo “Quel che resta di Marx”, nella quale il nostro, in breve, oltre a difendere giustamente la piena attualità del pensiero marxiano, ne propone una interpretazione in termini idealistici, avanzando contestualmente l’ipotesi che l’attuale movimento politico sovranista e populista, al quale Fusaro rivendica la propria appartenenza, sia l’autentico erede, quel che resta, appunto, del pensiero di Marx. Fino al punto di sostenere che se il pensatore di Treviri fosse vivo oggi verrebbe percepito più facilmente come un ideologo interno allo schieramento di destra piuttosto che all’attuale sinistra cosmopolita e globalista.

Ora, se un simile paradossale ragionamento, seppur non privo di una qualche perversa plausibilità, è in procinto di passare, o ha qualche possibilità di passare come senso comune largamente accettato, ciò significa che la destra, nella quale il populismo-sovranismo indubbiamente si colloca, dopo aver sottratto alla sinistra la classe operaia, si sta appropriando senza colpo ferire persino della figura di Marx.

Viene da chiedersi da dove derivi questa straordinaria debolezza egemonica della sinistra, impossibilitata non solo a recuperare il proprio precedente radicamento tra le masse lavoratrici, ma addirittura a difendere e conservare il proprio inestimabile patrimonio teorico.

E’ sufficiente una spiegazione di questo fatto, materialisticamente, in termini di sfavorevoli rapporti di forza? Oppure il fenomeno è talmente pronunciato ed evidente da suggerire una concomitante insufficienza teorica? E in che modo le due concause interagiscono tra di loro?

Va certamente ricordato che l’attuale configurazione del quadro politico, con una destra nazionalista e popolaresca e una sinistra elitaria e mondialista, ha un chiaro antefatto nella demolizione controllata, nel 2001 a Genova, della sinistra No-global, la quale, pur con le sue debolezze ed ambiguità, aveva individuato correttamente i termini del problema della globalizzazione e la risposta da dare, coerentemente internazionalista e anti-imperialista. E questa è certamente una delle molteplici possibili spiegazioni di tipo materialistico, basata sulla valutazione dei rapporti di forza, della condizione poco entusiasmante della sinistra radicale odierna.

Ma c’è un altro antefatto, nell’ambito del dibattito delle idee, che consiste nella singolare marginalizzazione del pensiero e della produzione di Costanzo Preve, tra i maggiori filosofi marxisti italiani, recentemente scomparso, e di cui Fusaro è uno degli epigoni più seguiti. E’ possibile notare come, nonostante la scarsa considerazione di cui le opere di Preve godettero al momento della pubblicazione, esse siano state largamente recepite nella galassia della sinistra anticapitalista odierna, contribuendo a formare un vasto e variegato schieramento di sedicenti marxisti eterodossi.

Con il senno di poi, visto che ciò che di buono la sinistra abbandona, la destra se ne appropria, possiamo dire che il non essersi confrontati fin da subito con le tesi previane, è stata una discutibile mossa tattica e una sciagurata scelta strategica. Al che viene da chiedersi cosa vi fosse di così disturbante nel suo pensiero da limitarne in modo così deciso la diffusione e l’interlocuzione con altri intellettuali, peraltro espressamente ricercata da Preve stesso.

Una risposta a questo quesito è stata avanzata da Carlo Formenti in un recente articolo commemorativo (qui) di cui riporto un estratto:

Il primo peccato di Preve consiste nell’aver bestemmiato il nome del padre, mettendo in luce il carattere ossimorico della teoria marxiana, che consiste nella convinzione di poter dare vita a un’utopia “scientifica”. […] E’ da questo pasticcio che nascono: 1) la convinzione storicista (o meglio, evoluzionista in senso darwiniano) secondo cui la transizione al socialismo sarebbe inscritta nelle dinamiche immanenti al capitalismo; 2) una concezione del comunismo come comunità paradisiaca in grado di realizzare tanto la riconciliazione fra uomo e natura quanto quella fra tutti gli esseri umani, finalmente ricongiunti in un abbraccio ecumenico; 3) la grande narrazione che attribuisce a un soggetto salvatore (la classe operaia, le donne) la missione di realizzare l’utopia del paradiso in terra.

e ancora:

Emanciparsi dal mito del comunismo come un mondo futuro pacificato e unificato significa emanciparsi dalla radice illuminista che permea il marxismo non meno del liberalismo, per cui la lotta di classe si rivela in ultima istanza lo strumento per realizzare il trionfo dell’individuo razionale universale. […] La lotta anticapitalista è in primo luogo lotta fra individualismo e comunitarismo, fra una visione del mondo che intende i rapporti fra esseri umani come rapporti fra atomi individuali che si scambiano merci, e una visione del mondo che valorizza la resistenza delle comunità locali all’espansionismo globale dei mercati.

In breve, possiamo dire, per Formenti il motivo dell’ostracismo della sinistra nei confronti di Preve è dovuto al suo scetticismo, alla sua sfiducia nella possibilità di realizzare il comunismo; scetticismo che farebbe rientrare Preve, non meno che Formenti, il quale evidentemente rivendica tale sfiducia, nella nutrita schiera degli intellettuali marxisti ma non comunisti. La lotta contro il capitalismo, dunque, per Formenti come per Preve, consisterebbe in una resistenza reattiva, da parte delle varie comunità, all’individualismo borghese e all’espansione globale dei mercati; al fine di un ritorno, presumibilmente, alle precedenti comunità organicistiche che il capitalismo ha, nella sua marcia inesorabile, irrimediabilmente disgregato.

A questo punto, se la mia analisi del ragionamento di Formenti è corretta, si impongono immediatamente due domande:

1) Costanzo Preve, che pure si definiva un pensatore “comunitarista”, può essere correttamente interpretato in questo modo, cioè come un teorico del ritorno ad una configurazione sociale “organicistica” precedente all’avvento del capitalismo?

2) E’ veramente questo, ossia la messa in luce dell’aspetto “ossimorico”, cioè “scientifico-utopistico” del concetto di comunismo in Marx, l’aspetto del pensiero previano che ne ha causato il rigetto da parte della sinistra radicale italiana?

Sul primo punto ha recentemente risposto il professor Stefano Azzarà in diversi interventi tra cui questo : sotto molti aspetti la filosofia di Preve non può essere fatta rientrare nell’ambito delle teorie politiche conservatrici, in particolare per aver posto in evidenza il concetto marxiano di comunismo, che Preve rivendica integralmente, come società della libera individualità, da contrapporsi sia alla mera indipendenza personale del capitalismo che, a maggior ragione, alla dipendenza personale tipica delle società organicistiche pre-capitalistiche.

Dando per scontata la correttezza della interpretazione di Azzarà vorrei passare a commentare la seconda questione precedentemente sollevata: qual’è l’aspetto del pensiero di Costanzo Preve che ne ha determinato la sua esclusione dal dibattito della sinistra radicale? C’è una tesi da lui avanzata che è risultata, in passato, talmente indigesta da provocare il rifiuto di sollevare ogni commento?

Si prenda a mo’ di esempio il famoso e notevole scambio di opinioni tra Preve e Domenico Losurdo sulla vigenza attuale delle categorie politiche di Destra e Sinistra (qui, qui e poi qui). Nel primo dei tre articoli Costanzo Preve commenta una intervista di Losurdo il quale lo chiama in causa come sostenitore della tesi della scomparsa di Destra e Sinistra; egli ribadisce che sì, secondo lui Destra e Sinistra, nel contesto politico attuale, non esistono più e ne specifica il motivo principale: la Sinistra si è storicamente costituita come il luogo della convergenza tra le istanze riconducibili ad una frazione progressista della borghesia, interessata all’allargamento a tutta la società dei diritti civili individuali, e le istanze di emancipazione economica e riconoscimento del proletariato; convergenza che Preve giudica, allo stato attuale, come non più sussistente. Nel secondo articolo Losurdo ribatte che Destra e Sinistra non sono categorie statiche, che ogni tematica può essere ascritta di volta in volta alla Destra oppure alla Sinistra in considerazione del contesto storico-politico in cui vengono poste, ma che in definitiva è sempre possibile individuare una parte Destra e una Sinistra, basandosi sulle categorie, hegeliane più che marxiane [NdA], del Particolarismo e dell’Universalismo, quest’ultimo ulteriormente suddivisibile in Universalismo Astratto vs. Concreto; procede dunque ad illustrare con svariati esempi la bontà del suo schema interpretativo. Infine nel terzo articolo, Preve interviene commentando in senso positivo la costruzione teorica di Losurdo ma denuncia, ecco, che il suo argomento principale non è stato preso in considerazione, manco sfiorato: fino ad una certa epoca, gli anni ‘70 del Novecento, nei paesi occidentali (imperialisti, NdA), Progresso in senso borghese ed Emancipazione economica del proletariato sono andati a braccetto; da quel momento in poi gli interessi della borghesia progressista e quelli dei lavoratori hanno incominciato a divergere. Dopodiché Losurdo decide di non dare seguito alla discussione.

Dunque abbiamo qui un esempio di dibattito pubblico in rete nel quale una tesi di Costanzo Preve viene ripetutamente ignorata, nonostante essa venga posta esplicitamente all’attenzione dell’interlocutore. Sui motivi che indussero Losurdo a non commentare quella teoria, se si sia trattato di una disattenzione o di una difficoltà a confrontarsi con essa, se egli ritenne che non valesse la pena rispondere oppure di aver già esaurito l’argomento e non ci fosse altro da aggiungere, non è dato sapere. Né mi cimenterò in un commento dei rispettivi modelli teorici, non ritenendomi all’altezza di farlo. Dico solo che le due proposte mi sembrano ugualmente valide e non in contraddizione tra di loro: Losurdo, che accusa Preve di nominalismo, sta ragionando sulla possibilità di identificare una parte Destra e Sinistra in generale e nonostante le mutevoli condizioni sociali e politiche in vari contesti; Preve, che riprende Losurdo in quanto userebbe categorie “idealtipiche”, denuncia la scomparsa della Sinistra (e con essa della democrazia moderna), così come si era configurata nei paesi europei almeno fino a tutti gli anni ’70.

Per cui, prendendo spunto da questo esempio, e non essendo a conoscenza di altri pensatori non previani che si sono cimentati con essa in modo specifico, assumerò che questa tesi della scomparsa della Sinistra, dovuta alla rottura da parte della borghesia progressista dell’alleanza strategica con il proletariato, sia la chiave di volta del pensiero di Preve e la vera ragione della sua rimozione e marginalizzazione da parte degli altri intellettuali marxisti italiani. Intendo sottoporre all’attenzione dei lettori questa tesi, pur non essendo in grado di commentarla esaustivamente io stesso, per la sua estrema rilevanza, perché se essa è vera, come io credo, ciò comporta delle notevolissime conseguenze sulla strategia da seguire nella lotta contro il capitalismo e per la stessa esistenza, nei paesi a capitalismo avanzato, dei comunisti in quanto tali.

Molto spesso nella sua opera, Preve, descrive un cambio di fase del capitalismo, avvenuto in tempi recenti, il quale avrebbe terminato la sua fase speculativa, contraddistinta, appunto, da un accentuato antagonismo tra le classi sociali, e quindi una forte polarizzazione tra destra e sinistra, per approdare alla sua fase di Capitalismo Assoluto, caratterizzato dalla generalizzazione totalitaria delle relazioni mercantili ad ogni aspetto della vita associata e quindi ad una crescente atomizzazione sociale e difficoltà di mobilitazione politica per fini collettivi. L’esistenza della Sinistra, intesa come soggetto politico collettivo che si faceva carico di portare avanti esigenze di modernizzazione capitalistica (contro la vecchia morale austera borghese, patriarcale, maschilista, razzista ecc.) e contemporaneamente rivendicazioni salariali, di sicurezza e di riconoscimento del proletariato, sarebbe stata un’esigenza dello stesso capitalismo in una certa fase, adesso conclusa, del suo sviluppo. La stessa vicenda del comunismo storico novecentesco, ovvero l’ascesa e la caduta dell’Unione Sovietica, e le lotte anticoloniali da essa innescate, si inquadrerebbero nella stessa dinamica di espansione planetaria, seppur contraddittoria e contrastata, del capitalismo nella sua fase precedente a quella attuale. Il segmento “progressista” della borghesia, in altre parole, sarebbe stato interessato allo sradicamento del proletariato dalla sua precedente condizione contadina (arretrata) e al suo crescente coinvolgimento nelle dinamiche del nuovo modo di produzione, con il corollario della sua acquisizione di una nuova cultura individualista e pragmatica. In cambio la borghesia avrebbe acconsentito a farsi carico delle rivendicazioni del proletariato in termini di reddito, sicurezza e partecipazione politica. E il proletariato si sarebbe posizionato a sinistra (cioè dalla parte del progresso, contro la propria precedente condizione di dipendenza personale) non tanto perché avesse visto a sinistra dei valori ad esso più congeniali, quanto perché quel posizionamento “pagava”, portava dei molto tangibili vantaggi materiali e di status sociale, sia nei paesi capitalisti che, a maggior ragione, nei paesi socialisti. E da un certo momento in poi il proletariato avrebbe smesso di essere naturalmente di sinistra perché quel posizionamento politico non paga più. E’ un fatto che le riforme strutturali che hanno portato allo smantellamento dello stato sociale e al crollo delle retribuzioni da lavoro, privatizzazioni, liberalizzazioni e quant’altro, sono state portate avanti, in Italia come nel resto d’Europa, prevalentemente dai partiti di sinistra. Sinistra che ha conservato, tuttavia, la propria adesione ai diritti civili, contro il razzismo, per la parità di genere e così via.

Si è perciò verificata una scissione tra il livello ideale dei valori e quello che succede nella realtà. E’ assolutamente chiaro che, a livello ideale, l’indipendenza personale è un presupposto necessario della libera individualità integrale, essendo quest’ultima l’unione della prima con la sicurezza e ricchezza materiale dell’individuo (non soggetta a condizionamenti politici o sociali di alcun tipo). Per cui, a livello astratto, ha perfettamente senso giudicare lo schieramento progressista come il più vicino agli interessi di lungo periodo del proletariato. Tuttavia, nella realtà politica concreta, il progresso avviene non a favore, ma a discapito degli interessi materiali immediati dei lavoratori. Allo stesso modo è indubbio che a livello ideale l’universalismo astratto è certamente più vicino all’universalismo concreto (rispettoso delle diversità) di quanto lo sia il particolarismo. Nondimeno possiamo constatare che spesso sono proprio gli schieramenti che propugnano valori universali (astratti) i più aggressivi e guerrafondai contro gli altri paesi.

Bene, stabilito che questa teoria di Preve sulla scomparsa della Sinistra (così come si era configurata fino agli anni ‘70 del ‘900 nei paesi capitalistici avanzati), se non è dimostrabile in senso assoluto, è quantomeno piuttosto plausibile, si pone la necessità di chiarire due aspetti, tra loro collegati, della situazione nuova che si è venuta a creare: quali sono le cause strutturali di questo fatto, e quali potrebbero essere le correzioni nella strategia, e nella teoria di riferimento, che si impongono ai comunisti.

Sul primo punto, le spiegazioni di questo fatto possono essere suddivise in due tipi: la borghesia non si fa più carico dei bisogni materiali del proletariato perché non ha più interesse a farlo, le lotte dei lavoratori sono diventate inefficaci, gli oppositori sono diventati subalterni all’ideologia del capitale, la loro sconfitta è stata totale, in breve i rapporti di forza si sono talmente sbilanciati in favore della borghesia da rendere superflua ogni concessione all’avversario di classe.

Oppure la borghesia non si fa più carico degli interessi materiali del proletariato perché non può più farlo; in questo ordine di spiegazioni direi che potrebbero rientrare le classiche teorie economiche marxiane e leniniane della caduta tendenziale del saggio di profitto medio e dell’esaurimento dei sovrapprofitti imperialistici dovuto all’accresciuta competitività (e indipendenza politica) dei paesi una volta arretrati (e sfruttati): vuoi per l’uno o per l’altro di questi due motivi la borghesia non può più permettersi di redistribuire parte della ricchezza al proletariato senza infrangere i vincoli strutturali del modo di produzione che la mantiene al potere.

E’ chiaro che se si adotta una spiegazione del primo tipo, modificando non si sa come i rapporti di forza in senso più favorevole al proletariato, diventa teoricamente possibile portare avanti con successo delle rivendicazioni di maggiore redistribuzione della ricchezza per via fiscale. Mentre invece se si privilegia un tipo di spiegazione di tipo “economicista” del secondo tipo, diventa chiaro che ipotesi di modificazione della fiscalità generale (includendo in esso anche lo stato sociale) in senso sostanzialmente più favorevole al proletariato, e rimanendo all’interno di una cornice capitalistica, sono da escludere perché impossibili.

Va fatto notare che la questione è rilevante sia per coloro che propendono per una soluzione riformistica delle contraddizioni sociali, sia per chi auspica una rottura rivoluzionaria del ordine esistente, in quanto questi ultimi si troverebbero nell’impossibilità di raggiungere il necessario radicamento tra le masse al fine di una accumulazione di forze di una certa consistenza, prima della rivoluzione stessa.

E mi sembra di capire che né Losurdo, né Preve, né Fusaro, né Formenti, né Azzarà siano dei cultori del secondo tipo di spiegazione, economicistica, preferendo concentrarsi, al di là delle loro profonde differenze di vedute generali, su un tipo di interpretazione basata sui rapporti di forza, in termini di egemonia, tra classi sociali con interessi contrapposti. Tuttavia va fatto notare che questo ordine del discorso (solo apparentemente più ottimistico perché in effetti postula uno strapotere della borghesia in termini di rapporti di forza, che sembra quasi insormontabile, mentre le teorie economicistiche ne mettono in luce i potenziali punti deboli) è a forte rischio di sfociare in una spiegazione di tipo circolare: i rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia, perché i mezzi di comunicazione sono nelle mani della borghesia, cioè perché i rapporti di forza sono sfavorevoli.

Passando ora al problema delle scelte strategiche che questo cambio di fase del capitalismo, una volta identificato, dovrebbe imporre ai comunisti, mi sembra evidente che se (e sottolineo se) ci troviamo nell’impossibilità di conquistare con le lotte degli aumenti di reddito per i lavoratori, diretti o indiretti che essi siano, allora la mobilitazione ed il coinvolgimento del proletariato nella lotta contro il capitalismo dovrà avvenire necessariamente sulla base di incentivi di tipo non materiale, cioè sulla base dell’adesione delle masse a degli ideali di giustizia e di fratellanza che non comportano nell’immediato un miglioramento della condizione economica dei lavoratori. Ovvero abbandonare la formulazione materialistica del marxismo.

E qui mi ricongiungo all’incipit sull’articolo di Diego Fusaro e sul suo giudizio di Marx come filosofo idealista. Si tratta di un tema già presente in Preve, che giudica Marx il terzo grande filosofo idealista tedesco dopo Fichte e Hegel. Mi sembra che il suo argomento, però, paradossalmente, si basi su un assunto del marxismo classico, piuttosto debole, e che egli accetta senza metterlo in discussione: ovvero che non esiste un alternativa tra l’Idealismo e il Materialismo, e quindi che se un filosofo, ad esempio Marx, non risulta essere un materialista allora è per forza di cose idealista.

Ora è facile rendersi conto, soprattutto leggendo le sue opere giovanili e quelle scritte senza il contributo di Engels, che Marx non può essere definito un materialista così come lo erano Diderot e La Mettrie, e che il suo profilo intellettuale paga un debito assolutamente non trascurabile al sistema hegeliano. Ma il fatto che un pensatore riconosca l’esistenza e la assoluta oggettività, realtà e potere causale dei concetti astratti e degli ideali etici (cioè di qualcosa di diverso dalla materia) non fa di esso un filosofo idealista, che è invece quello che nega l’esistenza di una realtà indipendente che si contrappone alla coscienza del soggetto. Il filosofo idealista è in primo luogo quello che idealizza il mondo naturale, come il Leibniz della Teodicea, il proprio tempo storico, come Hegel, o le epoche passate, come Diego Fusaro. Ma mi sembra che Marx fosse decisamente alieno da tentazioni di questo tipo ed avendo profuso una buona parte del suo ingegno nell’analisi dell’economia (inteso come sistema dei bisogni materiali) era sicuramente lontano dal negare l’esistenza della materia.

Discorso diverso, probabilmente, andrebbe fatto per Engels il quale, a differenza di Marx, era a tutti gli effetti un’intellettuale materialista al 100%; e la profonda amicizia e la provvidenziale collaborazione che ha unito i due filosofi per tutta la vita, non dovrebbe oscurare il fatto che il loro profilo intellettuale non fosse esattamente lo stesso. Marx, ad esempio, nella seconda della sue Tesi si Feuerbach, si dice convinto che: “La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. È nella prassi che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero”. Dal che se ne deduce che per Marx la verità del pensiero non consiste nel suo migliore o peggiore rispecchiamento della materia, bensì nella sua realtà, nel suo potere e nel suo carattere immanente, cioè nell’essere esso stesso un elemento della realtà e una forza con potere causale.

Ben diverso è invece il concetto per cui le contraddizioni dialettiche, che di per sé sarebbero una caratteristica del pensiero stesso, si trovano già nella materia garantendone la sua trasformazione in senso razionale. Questo concetto assomiglia molto, fino quasi a coincidere, con quello della “mano invisibile” del mercato (che a sua volta assomiglia molto a quello della provvidenza), per cui la risultante di un insieme caotico di interessi egoistici finisce per essere il benessere della collettività.

So bene che spesso la figura di Engels, ed il suo materialismo, vengono criticati al fine di gettare una luce sinistra su Lenin, Stalin e la storia dell’Unione Sovietica. Ma a questo si potrebbe obiettare che al proclamato (in falsa coscienza necessaria) materialismo della teoria e della dottrina sovietica non corrispondesse affatto una pratica di tipo materialista, come diagnosticato da Gramsci nel suo la Rivoluzione contro il Capitale. Che la svolta ideologica di Lenin comincia con la (ri)scoperta delle radici hegeliane del pensiero di Marx, nella sua lettura de Il Capitale come svelamento del meccanismo dell’alienazione dello Spirito nella Materia, piuttosto che come scoperta di leggi evolutive del capitalismo. Che la Rivoluzione di Ottobre e la vicenda russa fino a tutto l’operato di Stalin, lungi dall’aver costituito il compimento di leggi dialettiche necessarie, hanno rappresentato la vittoria dello Spirito (e dello spiritualismo russo) sulle avversità delle condizioni materiali, e che il materialismo (la convinzione della inesorabilità delle leggi della materia) sia stato la cifra di ogni disfattismo, di ogni opportunismo, e di ogni capitolazione davanti all’avversario.

Dunque l’antinomia Idealismo/Materialismo va scomposta in due coppie di opposti:

1) Idealismo (negazione dell’esistenza, o semplificazione, della realtà, idealizzazione) vs. Realismo (convinzione dell’esistenza di una realtà dei fatti indipendente dal soggetto conoscente) dal lato della coscienza, l’aspetto passivo/ricettivo della soggettività.

2) Materialismo (negazione dell’esistenza reale, oggettiva, o dell’effettività dello Spirito, degli ideali, delle categorie, delle leggi della logica, dei concetti astratti ed in generale degli enti non materiali) vs. Spiritualismo (convinzione della realtà dello Spirito e nella possibilità del comportamento autodeterminato indipendente dagli stimoli materiali) dal lato della prassi/comportamento, l’aspetto attivo/creativo della soggettività.

Concludo dicendomi convinto della necessità di superare il materialismo contenuto nella sistematizzazione engelsiana del pensiero di Marx, che era adatta ad affrontare la precedente fase del capitalismo. Quella in cui rivoluzioni borghesi e proletarie si sono mescolate tra di loro: talvolta è stata la borghesia a sfruttare il proletariato come manovalanza per raggiungere i suoi scopi, oppure a comprarsi il proletariato con il consumismo, altre volte è stato il proletariato a sfruttare, come in Russia, la spinta della rivoluzione borghese per superare il capitalismo stesso o a far leva sulle borghesie nazionali per sottrarsi al giogo dell’imperialismo. Questa fase sembra ora conclusa, almeno in occidente, e si prospetta ai comunisti di questi paesi l’immane compito di pensare e mettere in atto una rivoluzione proletaria pura che si contrapponga ad un tempo sia alle classi reazionarie e idealiste, che a quelle conservatrici e materialiste borghesi.

Pur sapendo di non essere la persona più titolata ad affrontare questi difficili problemi, che ho comunque cercato di delineare in questo precedente contributo, spero almeno di aver sollevato degli interrogativi su una questione importante e non più a lungo rinviabile.

Comments

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Alessandro
Tuesday, 26 January 2021 14:46
Dimenticavo di dire che pertanto i marxisti italiani possono dirsi spaventati come un bambino può essere spaventato di un fantasma in soffitta :) . Comunque ancora complimenti per il bello e interessante articolo.
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Stefania
Sunday, 31 July 2022 16:04
E' arrivato a difendere l'amichetto. Siete ridicoli.
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Alessandro
Tuesday, 26 January 2021 14:39
Complimenti per l'articolo. Sulla questione dei rapporti mutati tra borghesia e proletariato mi/vi chiedo se i soggetti storici proletariato e borghesia esistano ancora. Secondo me no. Per cui porre la questione dei loro rinnovati rapporti oggi appare "inutile".
Mi pare che Fusaro, allievo di Preve, insista molto sulla nuove contrapposizioni elitè-popolo, tecnocrazia-democrazia, individualismo-comunitarismo, "progresso economico"-benessere sociale. Per contro borghesia-proletariato , destra-sinistra mi sembrano cose di un secolo fa.. Ma è solo la mia opinione da "ignorante" non addetto ai lavori
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Fabio Rontini
Tuesday, 07 April 2020 22:16
Quoting Stefania Rombola:
In Russia agli inizi del novecento hanno fatto così. Se poi siamo moderati, se abbiamo paura della rivoluzione, se anche tu hai paura di perdere con la rivoluzione la tua piccola o grande, non so, proprietà privata, allora è un altro discorso, ma allora dobbiamo tenerci gli attuali rapporti di forza. E se la rivoluzione ci sarà, credo sarà più sociale che ideologica.


Adesso la butti in caciara perché ti scopri sconfitta ma non ti lascerò togliere il disturbo a buon mercato (cit.) per il seguente motivo:
diversamente dall'accusa che mi rivolgi, sono ben disposto a lasciar correre un ragionamento su cui non sono pienamente d'accordo (si veda la mia risposta al commento #10), ma le tue futili obiezioni toccavano un punto talmente marginale, irrilevante ed erano talmente pretestuose, che anche se fossero state perfettamente corrette, rivelavano di essere state formulate con la sola intenzione di gettare discredito sulle mie opinioni. Poco male, se non per questo semplice fatto, che se uno si propone davvero di cambiare le cose, ammesso che sia possibile alcune domande sono ineludibili, e continuano ad essere eluse, da te come da molti altri:

1)Senza teoria rivoluzionaria non c'è movimento rivoluzionario (Lenin). Si pensa di fare la rivoluzione con la stessa teoria di 100 anni fa?

2) Perché mai si dovrebbe fare la rivoluzione se, stando alla filosofia denominata materialismo (dialettico o non dialettico), il concetto di Dovere, di Bene, di Male, di Giustizia, non sono altro che processi neuronali della corteccia cerebrale? Molto più facile risolvere il problema con degli psicofarmaci, no?
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 19:26
In Russia agli inizi del novecento hanno fatto così. Se poi siamo moderati, se abbiamo paura della rivoluzione, se anche tu hai paura di perdere con la rivoluzione la tua piccola o grande, non so, proprietà privata, allora è un altro discorso, ma allora dobbiamo tenerci gli attuali rapporti di forza. E se la rivoluzione ci sarà, credo sarà più sociale che ideologica.
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 19:09
Quoting Stefania Rombola:
[quote name="Fabio Rontini"][quote name="Stefania Rombola"]La doppia implicazine è lo strumento più forte e più usato dalla logica e dalla matematica. Nessuno l'ha mai messo in discussione.

E una doppia implicazione Fabio, A implica B e B implica A, il connettivo logico se e solo se. Vuol dire che per avere l'egemonia è condizione necessaria e sufficiente avere i rafforti di forza favorevoli, e lo stesso vale mettendo davanti la negazione, non A implica non B e non B implica non A.
[/quot[[censore[censored]]

Lo vedi che mi dai ragione: è proprio perchè il primo termine (rapporti di forza) implica il secondo (egemonia) che la frase "se i rapporti di forza sono sfavorevoli è perchè non abbiamo l'egemonia" è una tautologia.

Se vai su questa pagina (https://it.wikipedia.org/wiki/Tautologia) scoprirai che tutti i tipi di implicazione logica (compresa la tua doppia implicazione) sono delle tautologie.

Detto questo il mio scopo non era dimostrare che quella frase è falsa (cosa ovviamente impossibile) quanto che essa è STERILE, come la discussione che, facendomi un favore, ti ostini a portare avanti.

Es. se chiedo ad una persona "come facciamo a cambiare i rapporti di forza?" e lui mi risponde "bisogna conquistare l'egemonia" io dico "benissimo, e come facciamo a conquistare l'egemonia?" e lui mi risponde "bisogna cambiare i rapporti di forza" io gli risponderei " ma mi stai prendendo in giro?"

Se non hai capito neanche ora io veramente non so cosa farci.[/quot[censored]
sei tu che non vuoi capire, perchè ti interessa solo avere ragione! bisogna trovare il modo di cambiare i rapporti, con la prassi, con la rivoluzione .... vedi tu! andando in piazza, ... non certo discutendo sui social in modo sterile.


Tolgo anch'io il disturbo!!!! Buona serata!
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 19:06
Quoting Fabio Rontini:
[quote name="Stefania Rombola"]La doppia implicazine è lo strumento più forte e più usato dalla logica e dalla matematica. Nessuno l'ha mai messo in discussione.

E una doppia implicazione Fabio, A implica B e B implica A, il connettivo logico se e solo se. Vuol dire che per avere l'egemonia è condizione necessaria e sufficiente avere i rafforti di forza favorevoli, e lo stesso vale mettendo davanti la negazione, non A implica non B e non B implica non A.
[/quot[censored]

Lo vedi che mi dai ragione: è proprio perchè il primo termine (rapporti di forza) implica il secondo (egemonia) che la frase "se i rapporti di forza sono sfavorevoli è perchè non abbiamo l'egemonia" è una tautologia.

Se vai su questa pagina (https://it.wikipedia.org/wiki/Tautologia) scoprirai che tutti i tipi di implicazione logica (compresa la tua doppia implicazione) sono delle tautologie.

Detto questo il mio scopo non era dimostrare che quella frase è falsa (cosa ovviamente impossibile) quanto che essa è STERILE, come la discussione che, facendomi un favore, ti ostini a portare avanti.

Es. se chiedo ad una persona "come facciamo a cambiare i rapporti di forza?" e lui mi risponde "bisogna conquistare l'egemonia" io dico "benissimo, e come facciamo a conquistare l'egemonia?" e lui mi risponde "bisogna cambiare i rapporti di forza" io gli risponderei " ma mi stai prendendo in giro?"

Se non hai capito neanche ora io veramente non so cosa farci.

sei tu che non vuoi capire, perchè ti interessa solo avere ragione! bisogna trovare il modo di cambiare i rapporti, con la prassi, con la rivoluzione .... vedi tu! andando in piazza, ... non certo discutendo sui social in modo sterile.
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Fabio Rontini
Tuesday, 07 April 2020 18:49
Quoting Stefania Rombola:
La doppia implicazine è lo strumento più forte e più usato dalla logica e dalla matematica. Nessuno l'ha mai messo in discussione.

E una doppia implicazione Fabio, A implica B e B implica A, il connettivo logico se e solo se. Vuol dire che per avere l'egemonia è condizione necessaria e sufficiente avere i rafforti di forza favorevoli, e lo stesso vale mettendo davanti la negazione, non A implica non B e non B implica non A.


Lo vedi che mi dai ragione: è proprio perchè il primo termine (rapporti di forza) implica il secondo (egemonia) che la frase "se i rapporti di forza sono sfavorevoli è perchè non abbiamo l'egemonia" è una tautologia.

Se vai su questa pagina (https://it.wikipedia.org/wiki/Tautologia) scoprirai che tutti i tipi di implicazione logica (compresa la tua doppia implicazione) sono delle tautologie.

Detto questo il mio scopo non era dimostrare che quella frase è falsa (cosa ovviamente impossibile) quanto che essa è STERILE, come la discussione che, facendomi un favore, ti ostini a portare avanti.

Es. se chiedo ad una persona "come facciamo a cambiare i rapporti di forza?" e lui mi risponde "bisogna conquistare l'egemonia" io dico "benissimo, e come facciamo a conquistare l'egemonia?" e lui mi risponde "bisogna cambiare i rapporti di forza" io gli risponderei " ma mi stai prendendo in giro?"

Se non hai capito neanche ora io veramente non so cosa farci.
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 16:44
La doppia implicazine è lo strumento più forte e più usato dalla logica e dalla matematica. Nessuno l'ha mai messo in discussione. Tu non ti rendi conto della portata della tua affermazione. Non verrebbe smentito solo il marxismo ortodosso, ma tutta la logica e tutta la matematica, la maggior parte dei teoremi sono doppie implicazioni. Se ci credi così tanto, devi sottoporlo alla comunità dei logici e dei matematici, altrimenti è solipsismo.
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 15:59
Per la definizione di doppia implicazione ho usato l'enciclopedia treccani. Buon pomeriggio
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 15:56
Quoting Fabio Rontini:
@Stefania Rombolà
La frase “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia culturale” è una giusta spiegazione fattuale.
Anche la frase “non abbiamo l’egemonia culturale perché i rapporti di forza sono sfavorevoli” è una giusta spiegazione fattuale.
E qui tu ignori deliberatamente una parte importante del mio discorso, che è questa: molte analisi, in quanto soprassiedono l’aspetto materiale del saggio di profitto e dei sovrapprofitti imperialistici, finiscono, a mio parere, per dire questo: “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia perché i rapporti di forza sono sfavorevoli”. Ti sfido a dimostrarmi che quest’ultima non è una spiegazione circolare!
Ora, sopprimendo il termine medio di questa catena causale “rapporti-egemonia-rapporti” abbiamo la seguente conclusione: “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché i rapporti di forza sono sfavorevoli”. E questa frase può essere scomposta in due enunciati:
1) Il primo è una constatazione fattuale “i rapporti di forza sono sfavorevoli”
2) Il secondo è una tautologia “se i rapporti di forza sono sfavorevoli allora i rapporti di forza sono sfavorevoli”
Bene, così può andare? Ci siamo chiariti?


E una doppia implicazione Fabio, A implica B e B implica A, il connettivo logico se e solo se. Vuol dire che per avere l'egemonia è condizione necessaria e sufficiente avere i rafforti di forza favorevoli, e lo stesso vale mettendo davanti la negazione, non A implica non B e non B implica non A.

doppia implicazione o bicondizionale, connettivo logico denotato con il simbolo ⇔. Dati due enunciati A e B, l’enunciato A ⇔ B (si legge «A se e solo se B») si definisce come la congiunzione di due implicazioni; equivale cioè alla congiunzione dell’enunciato A ⇒ B e del suo inverso B ⇒ A, ovvero a (A ⇒ B) ∧ (B ⇒ A) o, in altri termini, alla coppia di affermazioni «da A discende B e da B discende A».
A volte per tradurre la doppia implicazione fra due enunciati (A ⇔ B) si usa anche la dicitura «A è condizione necessaria e sufficiente per B»; in questa duplice espressione la parte «A è condizione necessaria per B» corrisponde all’implicazione (B ⇒ A) mentre la parte «A è condizione sufficiente per B» corrisponde all’implicazione (A ⇒ B).

Non c'è circolarità, non ci sono problemi logici, devi trovare un altro argomento per confutare quella affermazione. Spero di essere stata chiara.
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Fabio Rontini
Tuesday, 07 April 2020 12:53
@Stefania Rombolà
La frase “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia culturale” è una giusta spiegazione fattuale.
Anche la frase “non abbiamo l’egemonia culturale perché i rapporti di forza sono sfavorevoli” è una giusta spiegazione fattuale.
E qui tu ignori deliberatamente una parte importante del mio discorso, che è questa: molte analisi, in quanto soprassiedono l’aspetto materiale del saggio di profitto e dei sovrapprofitti imperialistici, finiscono, a mio parere, per dire questo: “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia perché i rapporti di forza sono sfavorevoli”. Ti sfido a dimostrarmi che quest’ultima non è una spiegazione circolare!
Ora, sopprimendo il termine medio di questa catena causale “rapporti-egemonia-rapporti” abbiamo la seguente conclusione: “i rapporti di forza sono sfavorevoli perché i rapporti di forza sono sfavorevoli”. E questa frase può essere scomposta in due enunciati:
1) Il primo è una constatazione fattuale “i rapporti di forza sono sfavorevoli”
2) Il secondo è una tautologia “se i rapporti di forza sono sfavorevoli allora i rapporti di forza sono sfavorevoli”
Bene, così può andare? Ci siamo chiariti?
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Stefania Rombola
Tuesday, 07 April 2020 03:01
Quoting Fabio Rontini:
[quote name="Stefania Rombola"]Nell'articolo si dice:

La circolarità dei ragionamenti è un requisito delle dimostrazioni matematiche: non si può usare nella dimostrazione ciò che si vuole dimostrare.

L'accusa di circolarità fatta a Mill è la seguente: tu usi il principio di uniformità della natura, (su cui non abbiamo nessuna certezza, non è un fatto che vediamo nella realtà, e mai possiamo farlo per Hume definendolo un assunto metafisico) per spiegare l'induzione e usi l'induzione per spiegare il principio di uniformità della natura. La tua spiegazione è circolare.

Ora l'affermazione che i rapporti di forza siano determinati dall'egemonia culturale non viola la non circolarità logica. E' una semplice spiegazione fattuale: è un fatto che la borghesia abbia il dominio culturale e questo quindi (semplice implicazione logica) determina che i rapporti di forza siano a vantaggio della borghesia. Non vedo circolarità.
VIl ragionamento dell'articolo fa acqua da tutte le parti, come fa ad essere convincente?

Stefania Rombolà[/quot[censored]

Ogni spiegazione circolare, che si risolve in una tautologia (due modi diversi per dire la stessa cosa), si riduce ad una constatazione fattuale:

Non si può usare il principio di induzione per spiegare l'uniformità della natura perchè quest'ultima è già implicata dall'uso del principio di induzione; e viceversa non si può giustificare il principio di induzione basandosi sull'uniformità della natura perchè quest'ultima si ricava per induzione. Il tutto si risolve nella constatazione: "il sole sorge tutte le mattine".

Allo stesso modo non si può usare il dominio culturale per spiegare i rapporti di forza perchè il primo non è che un aspetto degli stessi rapporti di forza; e non si possono far valere i rapporti di forza come giustificazione del dominio culturale perchè quest'ultimo è già implicato dai primi. Anche qui il tutto si risolve nella constatazione: "i rapporti di forza sono sfavorevoli".

Inoltre:

1) ho detto che le spiegazioni basate sui rapporti di forza "sono a forte rischio di sfociare in una spiegazione circolare"; non che "tutte le spiegazioni che utilizzano i rapporti di forza sono circolari".

2) si tratta di un aspetto veramente marginale di tutto il ragionamento complessivo. Non vedo come da ciò si possa concludere che "fa acqua da tutte le parti"


Ma cosa dici? La tautologia e' una verita' autoevidente, non ha bisogno di essere dimostrata, un assioma, una proposizione sempre vera, piove o non piove e' una tautologia, e' sempre vero o piove o non piove. La costatazione fattuale e' una proposizione la cui verità' dipende dall'esperienza, da una osservazione, tipica del metodo induttivo. Sono una l'opposto dell'altra. Qui non e' questione di opinione. Tu dici bestialita'. Sono d'accordo con Eros Barone.
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Fabio Rontini
Sunday, 05 April 2020 20:44
Quoting Stefania Rombola:
Ho cercato di portare la discussione su un livello più basso.
Non credo che la fine dell’Unione Sovietica abbia sancito il fallimento della teoria marxista. Non credo neppure che la teoria marxista sia stata smentita, tu lo dai per scontato. Forse semplicemente noi stessi non la conosciamo abbastanza bene, allora bisogna studiare, studiare, studiare. Il lavoro di ricerca è un lavoro duro, lungo e faticoso, fatto più di momenti di frustrazione che di risultati. Forse la tua teoria è corretta, io però non l’ho compresa. Ti chiedo però di non usare il 5° postulato o il principio di non circolarità per sostenerla, se non sai cosa sono, altrimenti la tua teoria perde in credibilità già in partenza. Usa altre argomentazioni, magari risultano più convincenti.


Non è vero, non lo do affatto per scontato. Ma do per scontato che se il marxismo è una teoria scientifica allora, come ogni altra teoria scientifica, deve poter essere rivedibile, cioè modificabile, alla luce dei fatti. Non si può partire dal presupposto che Marx, Engels o Lenin abbiano avuto sempre ragione in ogni cosa che hanno detto o scritto. Quello è il principio di autorità ed è tipico della religione rivelata, non della scienza. Ma mi sembra che molti seguano proprio questo principio, accusando di blasfemia, o di essere un "agente della borghesia", chiunque provi a rimettere in discussione ogni pur minimo aspetto del pensiero di questi autori. Bisognava, al momento del crollo dell'URSS, aprire una discussione a tutto campo per capire i motivi di quello che era successo. Invece questo non è stato fatto, e chi ci ha provato, come Preve, è stato ignorato e isolato. Intanto la sinistra (quella vera) è finita fuori dal parlamento (cioè, nei fatti, non esiste quasi più) e le cose continuano ad andare sempre peggio. Allora il mio sospetto è: c'è qualcuno che ha interesse a difendere una teoria che non funziona (più)?
Ti ringrazio per aver letto e riflettuto sul mio scritto. Spero di riuscire a spiegarmi meglio la prossima volta. Intanto sarò lieto di rispondere ad ogni tua domanda in merito. Se vuoi scrivi a oppure
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Fabio Rontini
Sunday, 05 April 2020 20:10
Quoting STEFANIA ROMBOLA:
Non è vero che la filosofia dice tutto e il contrario di tutto, questa è la sofistica. Non lo fa certamente la filosofia materialista e dialettica di Marx ed Engel, altrimenti si potrebbe dire, come qualcuno fa, gli idealisti, che lo sfruttamento della classe operaia non è una realtà, ma una invenzione della filosofia.


Forse non mi sono spiegato bene. Non ho detto che la filosofia, o una certa filosofia, dice tutto e il contrario di tutto. Io intendevo accusare il mio interlocutore di usare la dialettica (dove ad es. non vale il principio del terzo escluso) come autogiustificazione per evitare di essere messo alle strette dal sottoscritto su alcuni temi di cui stavamo discutendo.
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Fabio Rontini
Sunday, 05 April 2020 19:57
Quoting Stefania Rombola:
Nell'articolo si dice:

La circolarità dei ragionamenti è un requisito delle dimostrazioni matematiche: non si può usare nella dimostrazione ciò che si vuole dimostrare.

L'accusa di circolarità fatta a Mill è la seguente: tu usi il principio di uniformità della natura, (su cui non abbiamo nessuna certezza, non è un fatto che vediamo nella realtà, e mai possiamo farlo per Hume definendolo un assunto metafisico) per spiegare l'induzione e usi l'induzione per spiegare il principio di uniformità della natura. La tua spiegazione è circolare.

Ora l'affermazione che i rapporti di forza siano determinati dall'egemonia culturale non viola la non circolarità logica. E' una semplice spiegazione fattuale: è un fatto che la borghesia abbia il dominio culturale e questo quindi (semplice implicazione logica) determina che i rapporti di forza siano a vantaggio della borghesia. Non vedo circolarità.
VIl ragionamento dell'articolo fa acqua da tutte le parti, come fa ad essere convincente?

Stefania Rombolà


Ogni spiegazione circolare, che si risolve in una tautologia (due modi diversi per dire la stessa cosa), si riduce ad una constatazione fattuale:

Non si può usare il principio di induzione per spiegare l'uniformità della natura perchè quest'ultima è già implicata dall'uso del principio di induzione; e viceversa non si può giustificare il principio di induzione basandosi sull'uniformità della natura perchè quest'ultima si ricava per induzione. Il tutto si risolve nella constatazione: "il sole sorge tutte le mattine".

Allo stesso modo non si può usare il dominio culturale per spiegare i rapporti di forza perchè il primo non è che un aspetto degli stessi rapporti di forza; e non si possono far valere i rapporti di forza come giustificazione del dominio culturale perchè quest'ultimo è già implicato dai primi. Anche qui il tutto si risolve nella constatazione: "i rapporti di forza sono sfavorevoli".

Inoltre:

1) ho detto che le spiegazioni basate sui rapporti di forza "sono a forte rischio di sfociare in una spiegazione circolare"; non che "tutte le spiegazioni che utilizzano i rapporti di forza sono circolari".

2) si tratta di un aspetto veramente marginale di tutto il ragionamento complessivo. Non vedo come da ciò si possa concludere che "fa acqua da tutte le parti"
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Stefania Rombola
Sunday, 05 April 2020 17:39
Ho cercato di portare la discussione su un livello più basso.
Non credo che la fine dell’Unione Sovietica abbia sancito il fallimento della teoria marxista. Non credo neppure che la teoria marxista sia stata smentita, tu lo dai per scontato. Forse semplicemente noi stessi non la conosciamo abbastanza bene, allora bisogna studiare, studiare, studiare. Il lavoro di ricerca è un lavoro duro, lungo e faticoso, fatto più di momenti di frustrazione che di risultati. Forse la tua teoria è corretta, io però non l’ho compresa. Ti chiedo però di non usare il 5° postulato o il principio di non circolarità per sostenerla, se non sai cosa sono, altrimenti la tua teoria perde in credibilità già in partenza. Usa altre argomentazioni, magari risultano più convincenti.
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Stefania Rombola
Sunday, 05 April 2020 11:18
Tranne nel caso in cui si voglia eliminare la filosofia dalle attivita' culturali dell'uomo. Correggo i refusi.
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Stefania Rombola
Sunday, 05 April 2020 11:06
Questo deve far riflette soprattutto chi come me insegna storia e filosofia nelle scuole secondarie, quando ci propongono di usare il metodo didattico fantastico e anglosassone del debate, dove due gruppi di studenti devono difendere una posizione a loro assegnata, anche se non la convidono. Questa non è filosofia, ma sofistica. Tranne nel caso in cui si vuole eliminare definitivamente la filosofia dallle attività culturali dell'uomo. Giusto per collegare la teoria alla prassi.
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STEFANIA ROMBOLA
Sunday, 05 April 2020 10:18
Non è vero che la filosofia dice tutto e il contrario di tutto, questa è la sofistica. Non lo fa certamente la filosofia materialista e dialettica di Marx ed Engel, altrimenti si potrebbe dire, come qualcuno fa, gli idealisti, che lo sfruttamento della classe operaia non è una realtà, ma una invenzione della filosofia.
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Stefania Rombola
Sunday, 05 April 2020 06:56
Nell'articolo si dice:

"i  rapporti di forza sono sfavorevoli perché non abbiamo l’egemonia, perché i
mezzi di comunicazione sono nelle mani della borghesia, cioè perché i rapporti di forza sono sfavorevoli" è circolare.

Ho dei dubbi a proposito.

La circolarità dei ragionamenti è un requisito delle dimostrazioni matematiche: non si può usare nella dimostrazione ciò che si vuole dimostrare.

Una accusa di circolarità in Filosofia è stata rivolta alla difesa del metodo induttivo di Stuart Mill in risposta all'osservazione di Hume del carattere metafisico del principio di uniformità della natura: chi mi assicura che domani il sole sorgerà? La risposta di Mill è che lo stesso principio di uniformità della natura è una legge induttiva: io vedo tutti i giorni sorgere il sole e allora inferisco induttivamente che la natura abbia un comportamento uniforme e pertanto il futuro sarà come il passato.

L'accusa di circolarità fatta a Mill è la seguente: tu usi il principio di uniformità della natura, (su cui non abbiamo nessuna certezza, non è un fatto che vediamo nella realtà, e mai possiamo farlo per Hume definendolo un assunto metafisico) per spiegare l'induzione e usi l'induzione per spiegare il principio di uniformità della natura. La tua spiegazione è circolare.

La reazione di Mill? Sì è vero da un punto di vista logico, ma io sono un inglese pragmatico e non mi interessa l'errore logico. Il metodo induttivo si è sempre rivelato utile e quindi lo uso, non mi darà leggi certe, ma affidabili con un alto grado di probabilità.


Ora l'affermazione che i rapporti di forza siano determinati dall'egemonia culturale non viola la non circolarità logica. E' una semplice spiegazione fattuale: è un fatto che la borghesia abbia il dominio culturale e questo quindi (semplice implicazione logica) determina che i rapporti di forza siano a vantaggio della borghesia. Non vedo circolarità.
VIl ragionamento dell'articolo fa acqua da tutte le parti, come fa ad essere convincente?

Stefania Rombolà
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Fabio Rontini
Saturday, 28 March 2020 18:13
@ Barone
Adesso è Barone che pensa di cavarsi di impaccio a buon mercato. Troppo facile denigrare (“ignorante, infantile”) chi, consapevole dei propri limiti, sta avanzando una proposta teorica differente dalla propria, per poi, una volta constatato che l’interlocutore ribatte con delle osservazioni, evitare di entrare nel merito e dire “tolgo il disturbo”. Si capisce la sua predilezione per una filosofia che consente di dire tutto e il contrario di tutto senza che la cosa risulti sconveniente; troppo rischioso condurre il confronto sottoponendosi al vaglio di volgari aut-aut. Dimostri, allora, Barone, che la sua dialettica è qualcosa di diverso dalla saccenteria, e dalla vuota retorica, e ci spieghi, di grazia, le seguenti cose:

1) se la fine dell’Unione Sovietica (fonte Wikipedia) possa essere considerata o meno una smentita sufficientemente chiara della teoria marxista

2) se no, quale secondo lui potrebbe essere una tale smentita, e cosa dovremmo dunque attendere prima di farsi venire qualche dubbio sull’efficacia della nostra teoria rivoluzionaria

3) se sì, che razza di scienza sarebbe quella che di fronte ai più spettacolari fallimenti delle proprie teorie sia dispensata dal rimettere in discussione i propri fondamenti

4) come sia possibile sostenere che, per dire, lo sfruttamento del lavoratori sia qualcosa di sconveniente, senza che il concetto di Bene venga posto come altro da un processo neuronale nella testa di alcuni individui

5) se ciò è possibile dov’è che Engels ci avrebbe spiegato come avverrebbe questo miracolo

6) se ciò non è possibile, se non gli sembra strano che una dottrina che si propone di rendere il mondo migliore di quanto non sia già, difetti di un così basilare tassello

7) e se non siamo in grado neanche di stabilire su dei principi solidi che il socialismo è meglio del capitalismo di che cosa stiamo, allora, a ragionare

Con rispetto, F.R.
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Eros Barone
Friday, 27 March 2020 21:12
@ Rontini
La lascio in compagnia del Suo metodo di analisi e dei Suoi filosofemi, entrambi dedotti dal metodo enciclopedico di Bouvard e Pécuchet. Scusi il disturbo.
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Fabio Rontini
Friday, 27 March 2020 16:36
materia: La sostanza di cui sono fatti gli oggetti sensibili, concepita come esistente in sé, provvista di peso e di inerzia, estesa nello spazio e capace di assumere una forma.
In filosofia: La sostanza fisica che, assumendo forme diverse nello spazio, può essere oggetto di esperienza sensibile, ed è in generale concepita come esistente indipendentemente dalla coscienza individuale (contrapposta a spirito e a forma).

realtà: Qualità e condizione di ciò che esiste effettivamente e concretamente.

materialismo: Teoria filosofica che nell’interpretare gli eventi del mondo naturale e il corso della storia umana assume la materia come unico principio esplicativo.

realismo Nella filosofia scolastica, l’attribuzione di una realtà oggettiva ai concetti universali. Nella filosofia moderna, ogni dottrina che consideri l’oggetto della conoscenza come esistente in sé, indipendentemente dall’attività conoscitiva.

Fonte: enciclopedia filosofica Treccani online

Si tratta forse di definzioni sbagliate perchè date da una enciclopedia borghese?

La filosofia di Lenin, se il suo fine è quello di affermare l'esistenza di una realtà indipendente dalla coscienza del soggetto, non dovrebbe più convenientemente essere chiamata "realismo"?

Qual'è la differenza tra il realismo e il materialismo? Che nel secondo si esclude che i concetti universali possano avere una realtà oggettiva (li si relega a "doxa").

E questo apre la strada al nichilismo. Come fare a stabilire, su una base materialistica, che il capitalismo è un male, è peggiore del socialismo? Sono opinioni soggettive.

Nichilismo che poi si è manifestato nella condotta senza principi della miriade di oppurtunisti che hanno costellato la storia del comunismo, nell'appiattimento della strategia sulla tattica, e in tanto altro.
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Eros Barone
Friday, 27 March 2020 13:44
@ Rontini
In realtà, se il materialismo marxista è ancora un materialismo in qualche misura dualistico (ma ciò si spiega con l'esigenza di semplificazione posta dalla polemica, peraltro fondamentale, contro la “critica critica” dei giovani hegeliani, polemica che impegnò Marx ed Engels nel periodo giovanile), Lenin sopprime ogni dualismo, a partire da quello tra la materia e la coscienza: il suo materialismo è infatti compiutamente monistico. Ed è proprio questo il salto filosofico formidabile che si effettua da Marx a Lenin, per il quale tutto, dal minerale al pensiero, è
determinazione della materia. L’azione decisiva che Lenin, facendo della teoria una forza materiale, ha esercitato sull’esito vittorioso della rivoluzione socialista è allora la prova provata dell’importanza causativa del fattore
teorico-ideologico, che egli ha sempre riconosciuto, anzi che egli stesso ha personificato. La coscienza, in quanto modificazione della forma della teoria, a giudizio di Lenin non è allora un indebolimento epifenomenico dell’azione materiale, bensì una funzione squisitamente materiale di prim’ordine. Sarebbe infatti difficile riuscire a comprendere il passaggio che Lenin opera quando rende pubbliche le "Tesi di aprile", o il passaggio politico che impone fra l’aprile e l’ottobre del 1917, o ancora l’intera interpretazione che egli dà del processo rivoluzionario russo, se non si avesse ben presente la posizione teorica che egli era venuto assumendo, prima, in “Materialismo ed empiriocriticismo” e poi nei “Quaderni filosofici”. Sennonché questo approccio integralmente materialistico e, nello stesso tempo, integralmente proattivo è l’espressione, in Lenin, di un grande principio filosofico: l’unità della pratica e della teoria. Un principio affermato, fra l’altro, da un grande pensatore a cui il marxismo deve molto: «La volontà e l’intelletto sono la stessa e unica cosa» (Spinoza). Del resto, Lenin dimostra in “Materialismo ed empiriocriticismo” che l’errore del machismo consiste nell’ignorare che «il materialismo e l’idealismo differiscono per la diversa soluzione che essi danno al problema dell’origine della nostra conoscenza, dei rapporti tra la conoscenza (...) e il mondo fisico». Perciò, quando i machisti affermano che «la materia scompare», ciò può significare e significa solo – dice Lenin - «che scompare il limite al quale finora si arrestava la nostra conoscenza della materia, significa che la nostra conoscenza si approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali (impenetrabilità, inerzia, massa ecc.) e che ora si dimostrano relative, inerenti soltanto a certi stati della materia». Si potrebbe osservare, a questo proposito, quanto sia significativo l’errore concettuale in cui incorre Rontini, il quale, pur di sostenere la sua falsa interpretazione del materialismo leniniano come una variante del dualismo (addirittura come una variante del dualismo cartesiano), scambia la proprietà con il genere ed evoca una contrapposizione, quella tra materia e coscienza, là dove, dal punto di vista ontologico, metodologico e gnoseologico, vi è solo distinzione (di gradi della materia nel primo caso, di astratto-concreto nel secondo e di approssimazione nel terzo), ma non separazione o contrapposizione. E sì che Lenin insiste continuamente sul fatto che «l’unica “proprietà” della materia il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza». Questa è, per l’appunto, l’unica cosa immutabile che vi sia: «il riflesso nella coscienza umana (quando esiste una coscienza umana) del mondo esterno, che esiste e si sviluppa indipendentemente da essa». Lenin ribadisce pertanto la tesi fondamentale secondo cui la materia è primordiale, mentre il pensiero, la coscienza e la sensazione sono il prodotto di uno sviluppo molto elevato della materia, e sottolinea che tale tesi caratterizza la teoria materialistica della conoscenza, sulla quale poggiano istintivamente le scienze naturali. Da questa fondamentale premessa discendono due corollari: il primo è la ‘teoria del rispecchiamento’, ove Lenin ripropone la stessa istanza della ‘verità come corrispondenza’, che è quanto dire della priorità dell’essere rispetto al pensiero, fatta valere da Aristotele nel libro IX della "Metafisica", in cui è dato leggere quanto segue: «Non perché noi ti reputiamo bianco, tu sei bianco davvero, ma, all’incontro, perché tu sei bianco, pensiamo il vero noi che ti diciamo tale». Il secondo corollario concerne il rapporto tra scienza e filosofia, a proposito del quale il rivoluzionario russo, dimostrando un acume sorprendente in un uomo che, pur essendo di altissima levatura, non era un professionista della ricerca filosofica (ma quanto spesso accade di trovare gemme di autentica filosofia nelle attività e nelle riflessioni dei ‘non-filosofi’!), distingue tra il “concetto filosofico” e il “concetto scientifico” di materia, laddove il primo, come ho già detto, si riduce ad affermare la semplice esistenza di una realtà indipendente dal pensiero, senza dire in che cosa essa consista, perché non spetta alla filosofia il cómpito di determinare come la realtà sia fatta, mentre il secondo è interamente deputato alla scienza, che è la sola che possa stabilire se quella realtà sia un corpuscolo, un campo elettromagnetico o un’altra entità ancora. D’altra parte, sono chiari e indubbi i difetti del vecchio materialismo, e cioè l’incomprensione della relatività di tutte le teorie scientifiche, l’ignoranza della dialettica, la sopravvalutazione della concezione meccanicistica ecc. E tuttavia sarebbe un errore – e un errore da cui deve preservare proprio l’attenta lettura dell’opera di Lenin – estendere la portata della critica al materialismo metafisico fino al punto di sostenere (come pure talvolta è stato sostenuto) che il marxismo è un superamento tanto della filosofia idealistica quanto di quella materialistica, o meglio ancora che esso è il ‘tertium datur’ di cui discorre l’empiriocriticismo. Infatti, è vero che Marx ed Engels hanno sempre condannato il cattivo materialismo (e, in primo luogo, il materialismo antidialettico), ma essi lo hanno condannato a partire dal punto di vista del “nuovo materialismo” ("Xª tesi su Feuerbach"), cioè di un materialismo più elevato. A Büchner e soci Marx ed Engels non hanno rimproverato «d’essere stati materialisti, come pensano gli ignoranti, ma di non aver fatto progredire il materialismo», di non aver compreso il materialismo storico, di aver cioè conservato l’idealismo “in alto”, nel campo della scienza sociale. In conclusione, le osservazioni finora svolte dovrebbero essere sufficienti a comprovare la debolezza concettuale e interpretativa della posizione di Rontini, la quale, nel caso migliore, sembra sostanzialmente assimilabile alle critiche rivolte al pensiero e all’opera di Lenin dalla "Sacra famiglia" del ‘marxismo occidentale’, così affine, 'mutatis mutandis', per ispirazione stile metodo e contenuti, alla "critica critica" dei giovani hegeliani citata all'inizio di questo intervento.
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Fabio Rontini
Thursday, 26 March 2020 23:57
Quoting Mario Galati:
Io ho l'impressione che l'errore, a mio giudizio, di Rontini nel raffronto tra la citazione di Lenin e quella di Gramsci sia contenuto già nel suo, peraltro interessante, articolo.
Non vedo come il giudizio di Marx sul carattere immanente del pensiero possa avere il significato di una terza via tra idealismo e materialismo. Non vedo come possa porsi a metà strada tra l'idealismo e il materialismo (che riconosce l'esistenza di una realtà oggettiva esterna).
Ho l'impressione che si scopra ciò che era già noto: che il materialismo marxiano non è il materialismo meccanicista.
No credo si possa imputare ad Engels l'idea del pensiero come semplice riflesso di una realtà esterna. Ma che il pensiero sia esso stesso un processo materiale e che questo processo materiale abbia un oggetto e non sia attività solipsistica o creatrice dal nulla, e che il pensiero, pur essendo prassi, sia necessariamente in rapporto con un oggetto, perciò necessariamente riflesso di qualcosa, credo non possa dubitarsi. A meno di ricorrere alla trascendenza.
La spiritualità di Gramsci, come di altri autori materialisti, non è altro che la seconda natura storico-sociale dell'uomo, anch'essa immanente e materiale, non certamente trascendente e autonoma.
Concordo sulla non contraddizione tra la tesi di Preve sulla sinistra come alleanza tra intellettualitá borghese progressista (lotta alla morale borghese tradizionale) e classe operaia con le sue rivendicazioni, e la tesi di Losurdo sulla sinistra come categoria generale dell'universalismo (emancipazione, sinistra, contro deemancipazione, destra, sosteneva Losurdo). Losurdo, però, sostenendo la sua tesi aveva già risposto a Preve, pur non prendendo posizione sulla tesi storica di quest'ultimo.
Allo stesso modo, non trovo contraddittorie le due ipotesi sulla fase attuale dei rapporti di classe: se essa sia determinata dalla lotta di classe e dall'azione egemonica capitalistica (spiegazione soggettivistica-idealistica, o tautologica, secondo l'osservazione di Rontini), o dall'assenza di margini di concessione dovuta alla caduta del saggio di profitto (spiegazione oggettivistica economicista). Mi sembra che le due cose vadano a braccetto. La chiave è la caduta dell'URSS e la sconfitta del socialismo reale, quasi in coincidenza con la manifestazione del ciclo discendente del profitto, nei primi anni '70.
L'esistenza del campo socialista e di una concreta alternativa storica creava in precedenza le condizioni anche dell'azione socialdemocratica nei paesi capitalistici: la predisposizione alla lotta da parte dei lavoratori e la predisposizione alle concessioni da parte dei padroni.
La controffensiva capitalistica, iniziata con il decisivo decentramento produttivo negli anni '70, ha trovato campo libero con l'indebolimento, prima, e il crollo, poi, dell'URSS. In questa situazione di potere senza antagonista non fare e non riuscire ad ottenere (anzi, nemmeno rivendicare) concessioni assume il carattere di "oggettiva" impossibilità, poiché dall'orizzonte è esclusa qualsiasi alternativa. L'impossibilitá è oggettiva perché vista in un quadro statico e immutabile.
Alla caduta del saggio di profitto i capitalisti applicano senza ostacoli i loro rimedi perché solo loro possiedono una prospettiva storica e tutto ciò contribuisce a disgregare ulteriormente il campo avversario e a forgiare la loro fortissima egemonia (mi sembra che il cosiddetto capitalismo assoluto non sia altro che questo). Insomma, l'egemonia soggettiva ha una base oggettiva.
Resta da indagare il punto fondamentale delle cause della sconfitta dl'URSS e del suo campo.
Preve, in ogni caso, considerava il sistema sovietico un tertium genus tra capitalismo e socialismo, un prodotto della lotta di classe, anche se con i limiti e la subalternità che i lavoratori, interessati da esigenze pratiche immediate (lotta essenzialmente economica), portano rispetto al capitalismo. Ma, che io ricordi, Preve non considerava l'URSS un semplice stato capitalistico.
In definitiva, il problema di interpretazioni e posizioni economiciste all'interno dei marxisti e della sinistra, esiste. Ma non che non siano stati mai affrontati questi nodi. Il fatto è che determinate tendenze recedono e riaffiorano continuamente. Sotto l'aspetto della lotta all'economicismo Preve e Losurdo possono essere accomunati. Preve (che riprende Aristotele e Kant, mi sembra), pur molto acuto, è pervenuto a conclusioni discutibili. Losurdo (che riprende Hegel), invece, penso sia fondamentale per la ricostruzione di una sinistra marxista. Egli, tra le altre cose, ci invita hegelianamente a comprendere la portata dei lunghi processi storici, oltre le letture economicistiche immediate.
Infine, l'affermazione dell'epigono di Preve, Fusaro (che non è Preve, ricordiamolo), che Marx oggi starebbe dalla parte della destra populista sovranista è semplicemente ridicola. L'idealismo della posizione di Fusaro, peraltro, non è altro che la copertura di un bieco economicismo, se esso porta all'adesione al particolarismo piccolo borghese del sovranismo populista (la posizione sull'immigrazione è la tipica gretta posizione economico-corporativa; cosa c'entra con il Marx che definiva "plebaglia" i lavoratori emigrati irlandesi in America, che pur aveva difeso in Irlanda, che appoggiavano la fazione razzista e schiavista perché temevano la concorrenza dei futuri lavoratori liberi neri?).


Mi sembra che abbia colto piuttosto bene le problematiche che intendevo sollevare (e che non pretendevo di risolvere), e la ringrazio per l'attenzione.
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Mario Galati
Thursday, 26 March 2020 23:36
Scusate se il mio commento precedente sembra intempestivo rispetto all'ultimo di Rontini, ma non l'avevo letto perché stavo scrivendo.
A questo proposito, è l'opinione di un dilettante, non penso che il pensiero di Lenin e Gramsci sia dualista. A me sembra che, come Marx (e anche Engels, che non credo di possa scindere così nettamente da Marx), tutti possano dirsi monisti alla maniera del monismo totalitario di Hegel. Il rapporto soggetto-oggetto, pensiero-realtà è il rapporto particolare-universale. Sotto questo aspetto il dualismo coincide con il suo opposto, il monismo. La dialettica non è la giustapposizione degli opposti, ma la loro compenetrazione, la loro identità. E Lenin e Gramsci erano dialettici, come Marx ed Engels.
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Mario Galati
Thursday, 26 March 2020 23:14
Io ho l'impressione che l'errore, a mio giudizio, di Rontini nel raffronto tra la citazione di Lenin e quella di Gramsci sia contenuto già nel suo, peraltro interessante, articolo.
Non vedo come il giudizio di Marx sul carattere immanente del pensiero possa avere il significato di una terza via tra idealismo e materialismo. Non vedo come possa porsi a metà strada tra l'idealismo e il materialismo (che riconosce l'esistenza di una realtà oggettiva esterna).
Ho l'impressione che si scopra ciò che era già noto: che il materialismo marxiano non è il materialismo meccanicista.
No credo si possa imputare ad Engels l'idea del pensiero come semplice riflesso di una realtà esterna. Ma che il pensiero sia esso stesso un processo materiale e che questo processo materiale abbia un oggetto e non sia attività solipsistica o creatrice dal nulla, e che il pensiero, pur essendo prassi, sia necessariamente in rapporto con un oggetto, perciò necessariamente riflesso di qualcosa, credo non possa dubitarsi. A meno di ricorrere alla trascendenza.
La spiritualità di Gramsci, come di altri autori materialisti, non è altro che la seconda natura storico-sociale dell'uomo, anch'essa immanente e materiale, non certamente trascendente e autonoma.
Concordo sulla non contraddizione tra la tesi di Preve sulla sinistra come alleanza tra intellettualitá borghese progressista (lotta alla morale borghese tradizionale) e classe operaia con le sue rivendicazioni, e la tesi di Losurdo sulla sinistra come categoria generale dell'universalismo (emancipazione, sinistra, contro deemancipazione, destra, sosteneva Losurdo). Losurdo, però, sostenendo la sua tesi aveva già risposto a Preve, pur non prendendo posizione sulla tesi storica di quest'ultimo.
Allo stesso modo, non trovo contraddittorie le due ipotesi sulla fase attuale dei rapporti di classe: se essa sia determinata dalla lotta di classe e dall'azione egemonica capitalistica (spiegazione soggettivistica-idealistica, o tautologica, secondo l'osservazione di Rontini), o dall'assenza di margini di concessione dovuta alla caduta del saggio di profitto (spiegazione oggettivistica economicista). Mi sembra che le due cose vadano a braccetto. La chiave è la caduta dell'URSS e la sconfitta del socialismo reale, quasi in coincidenza con la manifestazione del ciclo discendente del profitto, nei primi anni '70.
L'esistenza del campo socialista e di una concreta alternativa storica creava in precedenza le condizioni anche dell'azione socialdemocratica nei paesi capitalistici: la predisposizione alla lotta da parte dei lavoratori e la predisposizione alle concessioni da parte dei padroni.
La controffensiva capitalistica, iniziata con il decisivo decentramento produttivo negli anni '70, ha trovato campo libero con l'indebolimento, prima, e il crollo, poi, dell'URSS. In questa situazione di potere senza antagonista non fare e non riuscire ad ottenere (anzi, nemmeno rivendicare) concessioni assume il carattere di "oggettiva" impossibilità, poiché dall'orizzonte è esclusa qualsiasi alternativa. L'impossibilitá è oggettiva perché vista in un quadro statico e immutabile.
Alla caduta del saggio di profitto i capitalisti applicano senza ostacoli i loro rimedi perché solo loro possiedono una prospettiva storica e tutto ciò contribuisce a disgregare ulteriormente il campo avversario e a forgiare la loro fortissima egemonia (mi sembra che il cosiddetto capitalismo assoluto non sia altro che questo). Insomma, l'egemonia soggettiva ha una base oggettiva.
Resta da indagare il punto fondamentale delle cause della sconfitta dl'URSS e del suo campo.
Preve, in ogni caso, considerava il sistema sovietico un tertium genus tra capitalismo e socialismo, un prodotto della lotta di classe, anche se con i limiti e la subalternità che i lavoratori, interessati da esigenze pratiche immediate (lotta essenzialmente economica), portano rispetto al capitalismo. Ma, che io ricordi, Preve non considerava l'URSS un semplice stato capitalistico.
In definitiva, il problema di interpretazioni e posizioni economiciste all'interno dei marxisti e della sinistra, esiste. Ma non che non siano stati mai affrontati questi nodi. Il fatto è che determinate tendenze recedono e riaffiorano continuamente. Sotto l'aspetto della lotta all'economicismo Preve e Losurdo possono essere accomunati. Preve (che riprende Aristotele e Kant, mi sembra), pur molto acuto, è pervenuto a conclusioni discutibili. Losurdo (che riprende Hegel), invece, penso sia fondamentale per la ricostruzione di una sinistra marxista. Egli, tra le altre cose, ci invita hegelianamente a comprendere la portata dei lunghi processi storici, oltre le letture economicistiche immediate.
Infine, l'affermazione dell'epigono di Preve, Fusaro (che non è Preve, ricordiamolo), che Marx oggi starebbe dalla parte della destra populista sovranista è semplicemente ridicola. L'idealismo della posizione di Fusaro, peraltro, non è altro che la copertura di un bieco economicismo, se esso porta all'adesione al particolarismo piccolo borghese del sovranismo populista (la posizione sull'immigrazione è la tipica gretta posizione economico-corporativa; cosa c'entra con il Marx che definiva "plebaglia" i lavoratori emigrati irlandesi in America, che pur aveva difeso in Irlanda, che appoggiavano la fazione razzista e schiavista perché temevano la concorrenza dei futuri lavoratori liberi neri?).
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Fabio Rontini
Thursday, 26 March 2020 22:48
Quoting Eros Barone:
Giustapponendo alla citazione tratta da "Materialismo ed empiriocriticismo" di Lenin una citazione tratta da un articolo del giovane Gramsci e ponendo la domanda infantile: "Chi dei due sbaglia?", Rontini pensa di cavarsi d'impaccio a buon mercato. In realtà, mancando un ragionamento che le giustifichi egli rende un pessimo servizio sia a Lenin che a Gramsci. Al primo perché dimostra di non aver compreso la natura monistica del materialismo leniniano; al secondo perché ritiene di poter identificare il pensiero marxista del Gramsci più maturo con il pensiero del giovane Gramsci fortemente influenzato dal neo-idealismo di Croce e di Gentile, oltre che dall'attivismo di Sorel. In realtà si tratta, come ho rilevato nei miei commenti, di una linea di pensiero la cui matrice è l'idealismo soggettivo di Fichte, ripresa poi in Italia soprattutto da Gentile e confluita, al pari della stessa elaborazione di Sorel, nell'ideologia fascista. Libero Rontini, lui come altri (penso a Fusaro), di riproporla. Ma anche liberi noi di criticarla e di respingerla per la sua totale estraneità al campo teorico e politico del materialismo storico-dialettico e per l'uso meramente analogico di alcune categorie tratte da tale campo e scorporate da esso, quindi depotenziate della 'vis' materialistica che le informa. Esattamente come accade nelle ideologie della "terza via" tra materialismo e idealismo, tra socialismo e capitalismo, tra borghesia e proletariato: da quella cattolicacu a quella fascista.


Può darsi che non l'abbia compreso, così come può facilmente darsi che non lo conosca a sufficenza, ma contesto che quello di Lenin sia un monismo. In Lenin esiste la Materia e il suo Rispecchiamento nella coscienza (o Riflesso), che sono due elementi interagenti ma distinti tra loro. Quindi si tratta di un dualismo (come quello di Cartesio). Inoltre l'interazione non è a senso unico ma bidirezionale (anche il riflesso a sua volta retroagisce sulla materia). Tutto questo confluisce poi in Lenin nella dottrina del partito come avanguardia intellettuale del proletariato, che ha il compito di elaborare la realtà ma anche di illuminare e dirigere la classe operaia (contro lo spontaneismo). La differenza con Gramsci è quindi solo sulla importanza relativa dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo (infatti poi politicamente i due si trovarono più affini che distanti). Quello invece che Engels descrive nella Dialettica della Natura è un vero e proprio "processo senza soggetto" (così come lo è il capitalismo) e consiste nella trasposizione di un monismo idealistico (dove esiste solo lo spirito, o il Concetto) in un monismo materialistico (nel quale le leggi atemporali della logica vengono trasformate in processi causali necessari che hanno luogo nello spazio-tempo).
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Eros Barone
Thursday, 26 March 2020 13:39
Nell'ultima riga del commento n. 5 compare un refuso inesplicabile e del tutto inintenzionale, del quale ovviamente mi scuso.
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Eros Barone
Thursday, 26 March 2020 13:34
Giustapponendo alla citazione tratta da "Materialismo ed empiriocriticismo" di Lenin una citazione tratta da un articolo del giovane Gramsci e ponendo la domanda infantile: "Chi dei due sbaglia?", Rontini pensa di cavarsi d'impaccio a buon mercato. In realtà, mancando un ragionamento che le giustifichi egli rende un pessimo servizio sia a Lenin che a Gramsci. Al primo perché dimostra di non aver compreso la natura monistica del materialismo leniniano; al secondo perché ritiene di poter identificare il pensiero marxista del Gramsci più maturo con il pensiero del giovane Gramsci fortemente influenzato dal neo-idealismo di Croce e di Gentile, oltre che dall'attivismo di Sorel. In realtà si tratta, come ho rilevato nei miei commenti, di una linea di pensiero la cui matrice è l'idealismo soggettivo di Fichte, ripresa poi in Italia soprattutto da Gentile e confluita, al pari della stessa elaborazione di Sorel, nell'ideologia fascista. Libero Rontini, lui come altri (penso a Fusaro), di riproporla. Ma anche liberi noi di criticarla e di respingerla per la sua totale estraneità al campo teorico e politico del materialismo storico-dialettico e per l'uso meramente analogico di alcune categorie tratte da tale campo e scorporate da esso, quindi depotenziate della 'vis' materialistica che le informa. Esattamente come accade nelle ideologie della "terza via" tra materialismo e idealismo, tra socialismo e capitalismo, tra borghesia e proletariato: da quella cattolicacu a quella fascista.
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Fabio Rontini
Thursday, 26 March 2020 11:21
Quoting Eros Barone:
Anche l'autore di questo articolo, il quale tra l'altro ignora quanto sia stretto il rapporto tra Engels ed Hegel (si legga almeno l'"Anti-Duhring" e la "Dialettica della natura"), non si perita, ricalcando gli aspetti più fuorvianti dell'interpretazione proposta da Preve e ripresa da Fusaro,di recare il suo contributo alla svalutazione di Engels, quasi che molti degli scritti di Engels rappresentino un peso morto per il marxismo. E' la linea neo-idealistica e attivistica di Croce, di Gentile e di Sorel, organicamente connessa alla storia novecentesca della cultura italiana (soprattutto nel periodo fascista), che viene riproposta. Sennonché per porvi riparo occorre modificare radicalmente la nostra cultura, come ha cercato di fare Ludovico Geymonat, il quale negli anni Settanta del secolo scorso è stato il promotore del rilancio del materialismo dialettico e di un rinnovato interesse per Engels: due coefficienti fondamentali per lo sviluppo odierno e futuro del pensiero marxista e comunista.


TROVA L'ERRORE

“Basta porre chiaramente la questione per comprendere quale enorme assurdità dicono i machisti
quando esigono dai materialisti una definizione di materia che non si riduca a ripetere che la
materia, la natura, l’essere, il fisico sono l’elemento primordiale e lo spirito, la coscienza, le
sensazioni, lo psichico sono l’elemento secondario” (V. Lenin, Materialismo ed Empiriocriticismo,
1908)

“L'uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe altrimenti
il perché, essendo sempre esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori di ricchezza e consumatori egoistici
di essa, non si sia ancora realizzato il socialismo. Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato,
l'umanità ha acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere
indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa
coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la
riflessione intelligente, prima di alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui
mezzi migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di ribellione e di
ricostruzione sociale.” (Antonio Gramsci, Socialismo e cultura, Il Grido del popolo, 29 gennaio
1916)

Chi dei due sbaglia?
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Eros Barone
Wednesday, 25 March 2020 13:04
Anche l'autore di questo articolo, il quale tra l'altro ignora quanto sia stretto il rapporto tra Engels ed Hegel (si legga almeno l'"Anti-Duhring" e la "Dialettica della natura"), non si perita, ricalcando gli aspetti più fuorvianti dell'interpretazione proposta da Preve e ripresa da Fusaro,di recare il suo contributo alla svalutazione di Engels, quasi che molti degli scritti di Engels rappresentino un peso morto per il marxismo. E' la linea neo-idealistica e attivistica di Croce, di Gentile e di Sorel, organicamente connessa alla storia novecentesca della cultura italiana (soprattutto nel periodo fascista), che viene riproposta. Sennonché per porvi riparo occorre modificare radicalmente la nostra cultura, come ha cercato di fare Ludovico Geymonat, il quale negli anni Settanta del secolo scorso è stato il promotore del rilancio del materialismo dialettico e di un rinnovato interesse per Engels: due coefficienti fondamentali per lo sviluppo odierno e futuro del pensiero marxista e comunista.
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Eros Barone
Wednesday, 25 March 2020 12:37
Va ribadito, sulle orme dei classici del socialismo scientifico, che la classe si definisce in rapporto al posto occupato da un insieme di individui nel processo di produzione (e, di conseguenza, nei rapporti di produzione). In questi ultimi decenni abbiamo sentito parlare molto della presunta scomparsa della classe operaia. In realtà, come afferma il geografo D. Harvey, «il proletariato globale è più numeroso che mai». Certo, la classe operaia formata dai lavoratori manuali dell’industria è diminuita in modo netto nelle società capitalistiche avanzate, ma solo perché buona parte di questo lavoro è stato esportato verso i paesi più poveri del mondo. Si tratta, ad ogni modo, di fenomeni antichi: basti pensare che, quando Marx ed Engels davano alla luce il Manifesto e la Gran Bretagna era l’“officina del mondo”, gli operai manifatturieri erano già stati superati, in termini numerici, dal personale impiegato nei servizi domestici e dai lavoratori del settore agricolo. Inoltre, la tendenza alla diminuzione del lavoro manuale e all’aumento dei “colletti bianchi” non è un fenomeno ‘postmoderno’, poiché, al contrario, essa risale agli inizi del XX secolo. Marx, ad esempio, nel "Capitale" colloca i lavoratori impiegati nel commercio allo stesso livello di quelli industriali e non identifica il proletariato esclusivamente con i lavoratori produttivi. Pertanto, la classe operaia comprende tutte quelle persone che sono costrette a vendere la propria forza-lavoro al capitalista, che sono sottoposte alla sua disciplina oppressiva e che hanno poco o nessun controllo sulle proprie condizioni lavorative. Così, vi è pure una classe operaia di “colletti bianchi”, che include moltissimi tecnici, impiegati e amministrativi privi di qualsiasi forma di autonomia o autorità. In questo senso, per definire correttamente una classe occorre sempre distinguere tra la proprietà giuridica, che è astratta, e il possesso o il controllo degli strumenti di produzione, che è concreto.
Sennonché coloro che vorrebbero celebrare il funerale della classe operaia ed archiviare come obsoleto il termine di proletariato hanno attribuito grande importanza alla crescita impetuosa del terziario e delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). È vero che si tratta di cambiamenti importanti, che incidono sulla composizione di classe, ma è ancor più vero che nulla di tutto questo ha modificato la natura fondamentale dei rapporti di proprietà capitalistici. Insomma, la classe operaia è una parte immensa della popolazione mondiale (intorno ai tre miliardi di persone). D’altra parte, qualcosa va detto sulla scomparsa, non altrettanto decantata, dell’alta borghesia tradizionale, giacché anche la composizione di classe della borghesia cambia. Al posto dei vecchi capitalisti con la tuba e la marsina è infatti subentrato un universo monetario di manager, revisori dei conti, amministratori e speculatori del capitale contemporaneo. È tipico del capitalismo avanzato generare l’immagine ingannevole di una presunta assenza delle classi, e ciò fa parte della natura stessa del mostro. Lapo Elkann – un cocainomane frequentatore di transessuali -, John Elkann – un signorino azzimato con la erre moscia – e Sergio Marchionne – un manager che vestiva in modo informale, catasterizzato sia da vivo che ‘post mortem’ – sono tre icone di questa classe che mostrano, da un lato, una certa discontinuità con la tradizione dei “padroni delle ferriere” e, dall’altro, un’organica continuità con un sistema globale in cui le disparità di ricchezza e di potere si sono ampliate più che mai. Basti pensare che nel nostro paese, tra i più diseguali e con minore mobilità sociale che esistano in Europa, statistiche ISTAT alla mano, è praticamente impossibile che il figlio di un operaio possa diventare medico o magistrato. Fatta questa premessa, sulla quale mi sembra difficile non convenire, sono automaticamente risolte le due questioni, fra di loro strettamente connesse, che ne dipendono e che riguardano la distinzione (sostanzialmente assiale, ma anche formalmente mutevole) tra destra e sinistra, nonché il giudizio sulla parabola politica e intellettuale di Costanzo Preve: una parabola fortemente condizionata, occorre riconoscerlo, dall’acuta consapevolezza della degenerazione politica, culturale ed umana della sinistra opportunista (sia di quella trasformatasi, come il PD, in una destra liberale e liberista, sia di quella che è rappresentata dalle propaggini di questo partito, quali Sinistra italiana, "il manifesto" e il PRC.
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giorgio
Tuesday, 24 March 2020 21:30
L'analisi è inutile perchè è in evidente ritardo storico sui soggetti sui quali è fondato il dominio attuale: si continua a considerare la borghesia storica, tipicamente produttiva,come l'antagonista mentre oggi, e dagli anni '90, i capitalisti non sono necessariamente i borghesi produttivi ma sono i crcoli finanziari che nulla hanno di produttivo diverso dal capitale monetario. I nuovi poteri economici "usano" la borghesia per la gestione di alcuni loro centri di profitto nella produzione - i fondi -ma la testa pensante è nelle istituzioni finanziarie pure dove non vi è alcun rapporto con lo scontro diretto di classe.
Eppure la stessa attuale situazione seguita alla pandemia capitalista -trasmessa dai manager mondilalisti- rende evidente lo scenario :i settori produttivi possono chiudere per mesi poichè il recupero non sarà grazie alle risorse della borghesia produttiva (quella sola che occupa i salariati) ma per la forza della finanza mondiale che tutti invocano come la nuova divinità salvatrice poichè controlla il denaro e lo dispensa a tutti, proletari e borghesi.
la borghesia conta poco e il proletariato nulla ma non solo in Italia bensì intutto il mondo capitalista: solo i paesi che non hanno governi dominati dalla finanza capitalista possono ragionare dei propri conflitti interni e destini pur combattendo ogni giorno con il capitale mondiale e con gli intellettuali tutti "subordinati" alla democrazia del denaro.
Se non si parte da questa relazione di potere si ragiona di storia ma non di teoria
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