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Sraffa sul pianeta Marx. Cronache marXZiane n. 6

di Giorgio Gattei

32082319 1762823683756903 662736487682408448 o 1114x5571. Piero Sraffa (1898-1983) è stato certamente l’astronomo più chiacchierato (a favore o contro) della seconda metà del Novecento. Educato alla migliore ortodossia astronomia geocentrica, ne aveva subito compreso le manchevolezze, considerando che sul pianeta Marx non può certo valere quella “sovranità del consumatore” tanto decantata dai suoi insegnanti: ma quando mai se i prezzi vengono imposti dalle imprese sulla base dei costi di produzione e i clienti li subiscono a colpi di pubblicità? Lui non era propriamente un marxziano, ma preferiva immaginarsi come un «uomo venuto dalla luna» che, sulla base delle merci consumate e prodotte, sarebbe stato capace di «dedurre a quali prezzi le merci possono essere vendute se il tasso di profitto dev’essere uniforme e il processo di produzione deve essere ripetuto. Le condizioni dello scambio sono interamente determinate dalle condizioni della produzione». Ed è stato sulla base di questo convincimento che egli si era rivolto, per lo studio di quel nuovo pianeta comparso nella costellazione dell’Economia che poi si sarebbe chiamato “pianeta Marx”, agli astronomi “classici” come l’Adam Smith della Ricchezza delle stelle o il David Ricardo dei Principi di economia celeste per finire, come d’obbligo, alla “mappatura integrale” che ne aveva proposto l’astronomo indipendente Karl Marx in Il pianeta. Critica della astronomia politica dandogli così il proprio nome. Tuttavia Marx l’aveva osservato soltanto al telescopio (che allora erano pure difettosi), così che all’esame in quella “mappa” per Sraffa c’era fin troppa “metafisica”, le distanze chilometriche calcolate non erano precise se non addirittura errate e c’erano pure larghi spazi bianchi sui quali si sarebbe potuto scrivere, alla maniera dei cartografi antichi, “Hic sunt leones”.

Per questo Sraffa aveva deciso di prendere quella mappatura solo come  suo punto di partenza (ma senza rigettarla, come tanti altri invece hanno fatto) e tentare di ridisegnarla con l’intenzione esplicita di  «tradurre Marx in inglese».

Però c’era una decisione iniziale da prendere, che era poi quella di abbandonare il telescopio per andare di persona a vedere come stessero le cose lassù, che nel frattempo i voli spaziali erano diventati possibili. Per questo egli da astronomo si è fatto astronauta, compiendo quel percorso di esplorazione on the ground (come si dice) di cui, al ritorno sulla terra, ha dato resoconto in uno libretto dal titolo Viaggio per merci di merci così striminzito, e che poi s’interrompeva nel bel mezzo, che ne sono sorti travisamenti finché non sono stati messi in rete anche i taccuini personali di viaggio (gli Sraffa papers) che hanno consentito di mettere le cose a posto. Da astronomo ad astronauta, dunque. Per questo io non me lo immagino col casco coloniale in testa o l’alpenstock in mano a seconda che si trovasse davanti savane assolate oppure montagne impervie, bensì (vedi l’immagine) in tuta spaziale nella osservazione delle sabbie di un pianeta extraterrestre come  Marte, pianeta “rosso” per eccellenza (Sraffa era comunista). E mi sono pure immaginato che il suo stato d’animo nel corso del viaggio abbia potuto assomigliare a quello di Marlow, il personaggio di Cuore di tenebra (1899) di Joseph Conrad (il romanzo che ha inaugurato, per le immagini potenti, la letteratura del Novecento) nella sua risalita geografica ed esistenziale dall’estuario del Tamigi fin dentro quel fiume Congo che «sulla carta sembrava un immenso serpente srotolato con la testa immersa nel mare, il corpo che si snodava per tutta l’estensione di un grande paese e la coda che si perdeva nelle profondità della terra». Marlow aveva avuto il compito di ritrovare Kurtz, un discusso agente commerciale di avorio sprofondato nella foresta equatoriale, che gli avrebbe rivelato il “cuore di tenebra” del colonialismo (e del nascente imperialismo, anche), così che quando lo raggiunge, «con quell’uomo non si parla. Lo si ascolta e basta» perché lui «era davvero poco più che una voce». «Tuttavia, per capire l’effetto che ebbe su di me, dovete per forza sapere come ci sono arrivato, quello che ho visto, e come ho risalito il fiume sino al punto in cui ho incontrato quel poveraccio per la prima volta. Si trattava del punto più lontano di tutto il percorso di navigazione e del punto culminante della mia esperienza. Fu come se quell’episodio gettasse una nuova luce su tutto quanto mi riguardava e persino sul mio modo di pensare. Fu una storia abbastanza triste e penosa, per nulla straordinaria e anche non molto chiara. Davvero poco chiara; ma anche, per certi versi, illuminante». E pure Sraffa in un appunto giovanile del 1926 aveva scritto che «nella teoria economica alle volte le conclusioni sono meno interessanti della via per la quale sono raggiunte». Quindi il percorso; ma quale Kurtz avrebbe mai trovato al termine del suo viaggio nel “cuore di tenebra”?

 

2. Prima di tutto c’era da decidere in quale direzione muoversi sul terreno e l’indicazione gli venne suggerita dal suo maestro di Cambridge John Maynard Keynes, allora in polemica con l’astronomo reale Arthur Cecil Pigou: insomma, lui si sarebbe diretto verso la Terra del Netto sulla quale incombe la vetta del Numerario. Tutto partiva dal suggerimento di Pigou che il National Dividend (come lui chiamava il Netto) poteva essere una categoria astronomica «di grande importanza anche per la soluzione di concreti problemi pratici» e di questo era così convinto da farne pubblicità fin dal 1920. Nel 1932 in Astronomia del benessere per spiegarlo meglio era ricorso alla immagine di «un lago in cui entra una gran varietà di cose che ci restano per qualche tempo e poi se ne vanno. Il suo contenuto consiste quindi in ogni momento di tutto quanto vi è stato immesso nel passato meno tutto ciò che ne è uscito. E siccome è teoricamente possibile farne un inventario, è anche possibile calcolarne il valore giorno per giorno». Quindi il livello del lago, che poi non è altro che la dimensione del Prodotto Netto Y, è la conseguenza di tutta l’acqua che ne può uscire (l’output delle merci prodotte, chiamiamolo il “raccolto” X) al netto, come è proprio il caso di dire, dell’acqua che vi è entrata (l’input delle merci necessarie per produrlo, diciamo le “sementi” K), così che indicativamente:

Y =  (X – K)

Ora questa idea del National Dividend era stata accolta da Keynes (che nella Teoria generale dello spazio l’aveva ridefinita «nel senso della produzione netta, ossia come l’aumento netto dei mezzi della collettività, disponibili per il consumo e per l’accantonamento come capitale, derivante dall’attività e dai sacrifici economici nel periodo considerato, tenuto conto  del deprezzamento delle quantità di capitale reale esistente all’inizio del periodo stesso»), ma poi essa era stata fatta propria dal suo miglior discepolo Piero Sraffa, che già lavorava all’Osservatorio astronomico di Cambridge, che in un appunto del 1931 aveva annotato che «lo studio del surplus product è il vero oggetto dell’economia». Per questo, quando si  decise a fare il primo passo della sua “lunga marcia” sul pianeta Marx, lo indicò esattamente nella relazione di viaggio pubblicata (ma non nella prima pagina!) come ciò «che è formato dall’insieme delle merci che rimangono dopo che dal prodotto nazionale lordo abbiamo tolto una per una le merci che occorrono per reintegrare i mezzi di produzione che sono stati usati dall’insieme delle industrie.. E’ questo gruppo di merci, o “merce composita” come possiamo chiamarla, che costituisce il Reddito Nazionale», ossia come l’esatto equivalente del National Dividend di Pigou.

Però immediatamente si apriva una grave difficoltà di viaggio perché sulla terra del Netto incombe la vetta del Numerario (o della Unità di misura) che va scavalcata per poter procedere oltre. Infatti il Netto, comunque lo si denomini, rimane una accozzaglia di merci tra loro eterogenee, cosicché una sua valutazione economica, per sapere se è aumentato oppure diminuito, necessita che ci si fornisca di una unità di misura, un Numerario per l’appunto, capace di rendere quelle merci fra loro omogenee e quindi sommabili. Senza pensarci troppo Pigou aveva considerato il National Dividend come l’insieme dei «beni e servizi scambiabili in moneta» (tra l’altro col bel risultato che «se un uomo sposa la sua governante oppure il suo cuoco (!) il National dividend diminuisce» perché si risparmia il suo salario!), così che per amalgamare quelle merci differenti poteva bastare prendere un indice statistico del livello dei prezzi (che ce ne sono diversi, dato che gli statistici non stanno con le mani in mano…). Però Keynes non era affatto convinto, dato che i prezzi sono una misura ingannevole (ad un loro aumento può corrispondere un calo della quantità fisica del Netto e viceversa) e ci aveva ironizzato sopra: «argomenti del genere del prodotto netto reale e del livello generale dei prezzi trovano la propria sede più opportuna nel campo della descrizione storica e statistica, nel qual caso non si richiede comunemente, né sarebbe necessaria, quella perfetta precisione che è invece richiesta nella analisi causale… (perché) dire che il prodotto netto odierno è maggiore, ma il livello dei prezzi è minore, di un anno o dieci anni fa è press’a poco come dire che la regina Vittoria fu, come regina, migliore della regina Elisabetta, ma non più felice come donna: proposizione non priva di significato né priva d’interesse, ma inadatta a fornire materia per il calcolo differenziale».

Ma se i prezzi monetari sono equivoci, dove ritrovare una misura più solida (“oggettiva”, come si diceva allora) del Numerario? Da parte sua Keynes, partendo dal fatto indiscutibile che il National Dividend è comunque il prodotto di lavoratori, si era rivolto alla approssimazione del Salario che veniva loro pagato nel complesso (più alto il salario, più alto sarebbe stato il valore del Netto, e viceversa) e quindi aveva proposto «di fare uso soltanto di due unità fondamentali di misura:… chiameremo unità di di lavoro l’unità nella quale si misura il volume dell’occupazione; e chiameremo unità di salario il salario monetario di una unità di lavoro, così che, se W è la somma erogata in salari (e stipendi), w l’unità di salario e L il volume dell’occupazione, sarà W = Lw». Era questa certamente una misura del valore del Netto più solida dei prezzi monetari di Pigou, ma si trattava comunque di una approssimazione, dato che anche i salari sono prezzi in moneta e poi nel Netto non dovrebbero essere compresi anche i redditi non da lavoro, a partire dai profitti?

Come che sia, è stata da questa approssimazione che Piero Sraffa ha preso l’avvio (diciamo che ne ha fatto il suo “campo-base”) per la conquista, sul terreno concreto del pianeta, della cima del Numerario. Ma più che nella relazione pubblicata è nei taccuini personali che egli ha documentato la faticosa ascensione alla vetta: a quota 1942 di altitudine già teneva conto che «il prodotto netto come un tutto è sempre prodotto da L», e cioè dal Lavoro, poi a quota 1943 segnalava che «non abbiamo ancora esplicitamente utilizzato la conoscenza del fatto che il valore del National Income è uguale al lavoro dell’anno» ed infine a quota 1944 si affermava che «una caratteristica notevole di questo fatto è che noi non abbiamo necessità (e nemmeno possibilità) di scegliere l’unità dei prezzi. E’ il sistema stesso che se la sceglie – ed è la quantità annuale di lavoro o, il che è lo stesso, il Social Revenue che possiamo considerare una vera misura naturale che noi semplicemente estendiamo (non scegliamo arbitrariamente) al sistema dei prezzi».

Si trattava della conquista della quota:

Y = L

da intendersi come la (poi denominata) equazione del  neo-valore che mette in equivalenza il valore del Netto di un periodo, calcolato a «prezzi necessari, prezzi naturali o prezzi di produzione, ma mai a prezzi di mercato» (Pigou, sei fuori!), con la quantità del Lavoro vivo (numero degli occupati per ore di lavoro giornaliero) che sono stati attivati in quello stesso periodo (Keynes, anche tu sei fuori!). E’ questo il cosiddetto “valore-lavoro del Netto” che rappresenta la determinante caratteristica di quella “nuova astronomia” che ha sostituito l’impossibile “valore-lavoro del Lordo” (Lavoro vivo + Lavoro morto) cavalcato invece dagli astronomi “classici” per tutti gli equivoci di calcolo del Lavoro morto.

Raggiunta la vetta del Numerario (che perciò si dovrebbe chiamare “cima Sraffa” alla maniera della “cima Coppi”, l’altitudine più alta raggiunta nel Giro ciclistico d’Italia), il percorso successivo correva poi tutto in discesa dentro la Valle della Distribuzione del Netto, dato che il Netto sarà da spartirsi nelle due quote di reddito del Salario ai lavoratori (W = Lw, col salario unitario w identico per unità di lavoro L) e del Profitto ai capitalisti (P = rK, col saggio del profitto r identico per unità di valore di capitale K), così che:

Y = W + P = Lw + rK

Risolvendo poi per il saggio del profitto e utilizzando l’equazione di neo-valore, risulta immediatamente:

r =  L (1- w)/K = L/K (1-w) = R (1 – w)

dove c’è una relazione distributiva inversa tra Salario e Profitto che si presenta mediata da un coefficiente R che misura il rapporto Lavoro/Capitale L/K, ma pure per sostituzione con l’equazione di neo-valore il rapporto Reddito/Capitale Y/K. Però al momento proprio questo rapporto R si dimostra anch’esso equivoco essendo calcolabile, sia a numeratore come a denominatore, soltanto tramite la mediazione dei prezzi.

 

3. Il fatto è che la valle della Distribuzione del Netto è una palude dove le emergenze di reddito affiorano in un acquitrino di prezzi in movimento che, quando risalgono (si parla allora di “inflazione”) possono sommergere tutto. rendendo impossibile vedere dover si mettono i piedi con il rischio di cadere in pozzanghere profonde anche parecchio. Per questo la palude della distribuzione è un territorio in cui è difficile procedere a meno che non ci si doti di un qualche artificio che permetta di camminare sulle parti solide della relazione Salario/Profitto sorvolando sulla maretta dei prezzi. E’ stata questa la trovata sraffiana della «costruzione puramente ausiliaria» della passerella (simile a quelle che si mettono in piazza San Marco a Venezia quando arriva l’acqua alta) del “sistema-tipo” che viene meticolosamente descritto (perché è complicato) in Viaggio per merci di merci. Per quanto qui serve basti soltanto dire che si tratta di un “ritaglio” delle equazioni della produzione reale tale per cui «le varie merci vengono prodotte nelle stessa proporzioni in cui si ritrovano nel complesso dei mezzi di produzione», dopo di che ciò che più importa è di ritrovare la relazione distributiva inversa tra salario e profitto (in questo caso addirittura lineare):

r = R* (1 – w)

dove il nuovo rapporto R*, che sostituisce il precedente coefficiente R, gode della straordinaria proprietà di «rimanere immutato qualunque sia la variazione dei prezzi» essendo composto, a numeratore come a denominatore, della medesima proporzione di merci del “sistema-tipo”. Insomma, lungo la passerella del “sistema-tipo” i prezzi non contano più ed è procedendo su di essa che Sraffa ha potuto attraversare speditamente la palude della distribuzione del Netto senza nemmeno bagnarsi i piedi, arrivando così sulla sponda opposta, ad un terreno nuovamente solido, addirittura roccioso. Ma terreno di cosa, o piuttosto di chi?

Proprio qui Sraffa ha vissuto l’esperienza più intensa del suo viaggio dentro il pianeta Marx, dato che sulla terraferma quel Rapporto-tipo R* gli si sarebbe trasformato, davanti agli occhi, in ben altro. Nella relazione pubblicata Sraffa è preciso al riguardo: dopo aver superato la palude dei prezzi, la relazione distributiva mediata da R* «ci può interessare solo se è possibile mostrare che la sua applicazione non è limitata all’immaginario sistema tipo, ma è atta ad essere estesa al sistema economico reale», e ciò nonostante che esso non sia nelle proporzioni del “sistema tipo”. Ma proprio questo è possibile fare e senza nemmeno passare per il “sistema tipo”, potendosi ritrovare R* «come massimo saggio del profitto dalle equazioni della produzione facendo  w = 0… ed è curioso che in tal modo siamo posti in gradi di esprimere i prezzi in una misura che non sappiamo di che cosa consista». Il Saggio Massimo del profitto è infatti la forma estrema che viene ad assumere il Rapporto tipo nel sistema reale qualora non si paghino salari, perché allora :

max r = R*

La possibilità di un Saggio Massimo del profitto era stata intravista al telescopio dallo stesso Marx quando aveva accennato ad un luogo del pianeta dove i lavoratori «potessero vivere d’aria» (e Sraffa diligentemente lo ricorda nella “Nota sulle fonti”), ma su cui poi non aveva insistito. Sraffa invece non può che dilungarvisi, dedicandoci perfino una voce apposita nell’Indice analitico, per la semplice ragione che proprio allora (ci si creda o meno) sul terreno solido al di là della  palude della distribuzione del Netto gli si è materializzato davanti, quasi che l’avesse evocato, Saggio Massimo (del profitto) in persona che governa  quella porzione del pianeta dove “non si pagano salari”. E non in forma di fantasma, ma proprio in carne ed ossa  nella sua lucida consistenza analitica. Io mi sono immaginato il loro impossibile incontro alla maniera di quello storico del giornalista americano Stanley con l’esploratore britannico Livingstone (che era stato dato per disperso in Africa) sulle rive del lago Tanganika nel 1871: «avrei voluto abbracciarlo, ma era inglese e non sapevo come avrebbe accolto il mio gesto. Così mi avvicinai con passo fermo, mi levai il casco e dissi: “Il dottor Livingstone, suppongo”. “Sì, egli rispose con un sorriso gentile alzando leggermente il berretto». Altrettanto ho immaginato il dialogo di Piero Sraffa: “Saggio Massimo, suppongo”. “Sì. Lei mi conosce?” “Solo per via  deduttiva”. Dopo di che Saggio massimo prese a dire… Ma di questo dirò nella prossima Cronaca marXZiana). Qui mi basti concludere con il giudizio che in Cuore di tenebra si era alla fine dato Marlow sulla estrema confidenza di Kurtz nei suoi confronti: «sia chiaro, non sto cercando di giustificare e neppure di spiegare; sto solo cercando di farmi una ragione di… questo Kurtz… o meglio, dell’ombra di Kurtz. Prima di svanire nel nulla, quest’anima eletta scaturita dai recessi del Nulla mi ha fatto l’onore di affidarmi le sue incredibili confidenze per il semplice fatto che con me poteva parlare inglese».

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