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carmilla

Althusser, quel filoso… vietico

di Nico Maccentelli

AlthusserPer Marx edito da Editori Riuniti (1973), è una raccolta di saggi di Luis Althusser che in questo caso non tratterò come filosofo, bensì nella sua dimensione politica dell’epoca, quando l’URSS, nel bene e nel male, rappresentava un’alternativa di carattere socialista al sistema capitalista per una bella fetta di umanità. Ho sempre pensato che questa questione non vada trattata con le sole lenti dell’ideologia, né per essere esegeti di quell’esperienza, né per demonizzarla a priori. Sulle lenti di una analisi politica c’è ancora molto da fare. Quello che però qui mi interessa è vedere l’impostazione althusseriana di quegli anni (stiamo parlando degli anni ’60, fino alla metà) in merito a questa questione. Per questo, dei saggi contenuti in questo pregevole libro da bancarella (trovato fortuitamente), mi interessa affrontare solo il capitolo relativo all’URSS, ossia al socialismo reale e all’analisi di classe che Althusser ne trae, per formulare il concetto di “umanesimo socialista”.

Luis Althusser è stato un grande intellettuale e filosofo marxista, che tuttavia risentì sul piano dell’analisi concreta del socialismo dei limiti che l’intellettualità come la militanza comuniste dell’epoca avevano.

Riporto due sue frasi che riguardano la sua adesione al passaggio kruscheviano allo “Stato di tutto il popolo”, che si sarebbe poi cristallizzato nella Costituzione Sovietica del 1977:

«L’Unione Sovietica, impegnata oggi sulla via che dal socialismo (a ciascuno secondo il suo lavoro) la porterà al comunismo (a ciascuno secondo i suoi bisogni), lancia la parola d’ordine: tutto per l’Uomo, e affronta temi nuovi: libertà dell’individuo, rispetto della legalità, dignità della persona.1

(…)

Per più di quaranta anni, in URSS, attraverso lotte gigantesche, l’«umanismo socialista», prima di esprimersi in termini di libertà della persona, si è espresso in termini di dittatura di classe. La fine della dittatura del proletariato apre nell’URSS una seconda fase storica.

I sovietici dicono: qui da noi le classi antagoniste sono scomparse, la dittatura del proletariato ha assolto il suo compito, lo Stato non è più uno Stato di classe, ma lo Stato di tutto il popolo (ossia di ognuno). In effetti nell’URSS gli uomini sono trattati senza distinzione di classe, vale a dire come persone. Ai temi dell’umanismo di classe, vediamo allora subentrare, nell’ideologia, i temi d’un umanismo socialista della persona.»2

 

I

Ovviamente non mi interessa e non mi riguarda come comunista una critica liberal-democratica a questa configurazione ontologica del socialismo sovietico data da Althusser, la solita vulgata sulle “libertà civili” tanto cara agli epigoni della democrazia borghese e delle sue apparenti libertà nel contesto dela manipolazione di massa e della società dei consumi.

Mi interessa invece, e molto, la sua visione generale di socialismo con la situazione concreta dell’URSS fin quando è esistita. E la prima considerazione è: la fine della della dittatura del proletariato in URSS è vera (resta da comprendere la collocazione cronologica di tale fine), mentre la scomparsa delle classi antagoniste vantata dai sovietici è un falso.

Da questo enunciato, che influenzò persino un pensatore acuto come Althusser, discende tutta la questione del socialismo, la sua ontologia nel “dopo”, ossia nella transizione socialista al Comunismo. Tanto è vero che Althusser vede nell’URSS indubitabilmente la tappa socialista (a ognuno secondo il suo lavoro) verso la società comunista (a ognuno secondo i suoi bisogni). E parte da un fatto che ritiene scontato e preso per buono dai sovietici: in URSS è finita la dittatura del proletariato, non ci sono più le classi sociali in antagonismo, dunque non c’è più la lotta di classe, dunque non esistono più quelle contraddizioni sociali che determinano la lotta di classe stessa. Non è dato sapere quali contraddizioni vi siano prima del Comunismo ossia in una società composta genericamente da persone considerate prive di una collocazione sociale d classe. Eppure una collocazione nella produzione sociale c’è ancora. E non è forse questa che definisce come tale una classe sociale? Gli stessi Marx, Engels e Lenin non hanno mai affermato che nel socialismo vi fosse la fine delle classi sociali, proprio perché è una società di transizione al Comunismo, ossia a quella che tutti e tre nelle loro principali opere definiscono “società senza classi” (non potevano allora dirlo del socialismo?).

Che questa posizione dei sovietici e di conseguenza quella di Althusser che la prende per buona sia totalmente fuori dal marxismo anche da un punto di vista puramente dogmatico, è una questione evidente. Questo dei sovietici è un altro tipo di dogmatismo, stretto discendente della prima volgarizzazione del marxismo, ossia il diamat.

 

II

Ma fin’ora abbiamo analizzato l’imprinting teorico di questa distorsione del materialismo storico e dialettico. Si tratta ora di comprendere le ragioni storiche e politiche di tale distorsione. Pensare che questo sia un abbaglio teorico e che non abbia basi ideologiche funzionali a un soggetto sociale e quindi politico, sarebbe un approccio astratto che ci porterebbe fuori strada.

Cosa nasconde dunque lo “Stato di tutto il popolo”? Non evidenzia certo l’uomo nuovo, libero dalle pastoie della sua appartenenza a una classe sociale. Nasconde ciò che ha caratterizzato la vita sociale e politica dell’URSS dalla presa del Palazzo d’Inverno fino alla sua fine, ossia: una tremenda e spietata lotta di classe che di fase in fase cambiava le soggettività in antagonismo tra loro, sconfitti i capitalisti, gli agrari, i kulaki, con lo sviluppo dell’industrializzazione, con la collettivizzazione forzata, con la nascita di una neo borghesia, di carattere burocratico, che deteneva non la proprietà giuridica ma la direzione del modo di produzione collettivizzato, riportando la classe operaia, i contadini, a forza-lavoro priva di una gestione o autogestione della produzione e della cosa pubblica del paese. La fine della democrazia dei soviet con l’avvento di Stalin, la burocratizzazione è l’artifizio durato 70 anni, di unpassaggio di potere legittimato proprio attraverso l’ideologia del proletariato, il marxismo-leninismo, ridotto a suo vuoto simulacro, appunto il diamat.

Per cui, svelato l’arcano, delle due l’una: o diamo del socialismo una definizione meccaniscistica: giuridicamente, costituzionalmente c’è la socializzazione dei mezzi di produzione? Sì, allora è socialismo. Oppure riportiamo al centro la questione della dittatura el proletariato, ossia della lotta di classe che vede l’esercizio del potere consiliare da parte delle masse operaie e il partito, ossia l’avanguardia del proletariato a elemento propulsore della direzione proletaria della società. Quando qualcuno dice che il partito è di tutto il popolo, significa che quel partito è di qualcuno che intende andare oltre il processo storico e politico di egemonia della classe salariata verso il Comunismo. E lo fa servendosi di altre ideologie, che siano il diamat o antiche tradizioni filosofiche e culturali come il confucianesimo nella Cina contemporanea, che come avrete capito segue la stessa dinamica ideologica dei sovietici, in presenza di una borghesia burocratica di tipo nuovo, rispetto alla borghesia e alla classe dominante feudale pre-rivoluzionaria.

Il socialismo dunque non è solo processo di socializzazione dei mezzi di produzione e della riproduzione sociale, ma è questo perché esiste l’esercizio della democrazia del proletariato, della sua dittatura di classe su ciò che resta della borghesia e dei capitalisti. L’uno è la condizione dell’altra: insieme agiscono come processo storico., materiale, sociale e politico.

Si tratta allora di comprendere che la linea di demarcazione fondamentale del pensiero marxista e leninista con il revisionismo non è solo la concezione dello Stato come apparato di dominio della borghesia sul proletariato, ma anche la lotta di classe come motore della storia, al di là di ogni soggettività falsa spacciata per universale, di ogni falsa coscienza che mantiene in piedi un sepolcro ideologico… arrossato.

Mao Tsetung affrontò la questione centrando i punti essenziali, partendo dalla cotraddizione che oppone il proletariato alla borghesia. Anche se poi perse la battaglia con la borghesia dentro il partito comunista cinese con la fine della Rivoluzione Culturale e l’avvento del denghismo dopo il 1976.

 

III

E siamo arrivati così al revisionismo e alle sue ricadute storiche: il riformismo togliattiano della via pacifica al socialismo e della democrazia progressiva per esempio, che oggi viene di fatto sdoganato anche da parti della sinistra di classe nostrana. E per restare su Althusser è interessante vedere le conclusioni politiche a cui giunge:

«È un avvenimento storico (il socialismo sovietico oltre le classi sociali, il suo umanesimo, nota mia). C’è anzi da chiedersi se l’umanismo socialista non sia un tema abbastanza rassicurante e avvincente da rendere possibile un dialogo tra comunisti e socialdemocratici, se non addirittura uno scambio ancora più ampio con tutti gli uomini «di buona volontà» (sic!) che rifiutano la guerra e la miseria. Oggi la grande strada dell’umanismo sembra condurre anch’essa al socialismo.”3

Non sto a prendere nemmeno in esame l’insensatezza politica di una tale proposta per il contesto storico e politico dell’epoca, in un mondo bipolare, dove le lotte di liberazione antimperialiste infiammavano i paesi del terzo mondo nella strategia rivoluzionaria della guerra centripeta e le massicce lotte operaie anche nei paesi a capitalismo avanzato, a preludio del ’68, in una visione eterogenea ma piuttosto chiara di rottura con l’ordine esistente del capitalismo.

Mi preme invece evidenziare la conclusione politica, il punto di approdo di una tale impostazione teorico-politica, che prefigura un’unione tra socialismo, ossia comunisti e socialdemocrazia nell’ipotesi di costruire una società umanista senza… fare i conti con l’oste.

L’approccio “pacifista”, ossia conciliatore riguardo le contraddizioni materiali insite nel modo di produzione capitalistico, quindi delle contraddizioni sociali che ne derivano nelle fasi di crisi generale in particolare, sono la dominante di ogni politica revisionista basata sulla necessità di mantenere lo status quo, la stabilità dentro la propria società, alla quale si attribuisce la caratterizzazione di socialismo. Dunque lo abbiamo visto con l’URSS e il blocco dei paesi socialisti e lo vediamo oggi con la Cina. Facendo una distinzione tra un grande fronte di paesi alleati come il Patto di Varsavia, ossia una superpotenza e un singolo paese circondato dai paesi imperialisti e sottoposto a un blocco criminale come Cuba. Parlare di pace in un caso o nell’altra fa una bella differenza. Nel primo caso la questione è preservare un ordine e una stabilità interna quale fonte di sviluppo economico-sociale che non affronta con una visione strategica internazionalista le contraddizioni tra proletariato internazionale, classi oppresse da una parte e imperialismo dall’altra. Nel secondo caso la presa di posizione è tattica, lasciando il beneficio di interpretarla come tale al nostro paese caraibico autenticamente socialista: non possiamo sapere in uno sviluppo politico favorevole ai processi rivoluzionari, quale sarebbe la presa di posizione cubana. Ma mi piace immaginarla come proseguimento del guevarismo, pensando al Che e a Fidel, e ai loro continuatori.

È importante però capire di quale strategia si serva il revisionismo. In Althusser prevale dunque questo spirito umanista che farebbe da collante tra due tradizioni politiche differenti: i partiti comunisti e i comunisti in generale da una parte e il socialismo democratico che vede come via di emancipazione del proletariato (se va bene, del popolo generico oggidì) il patto sociale con la borghesia, le riforme come conseguenza di una vittoria elettorale, la via parlamentare e la democrazia rappresentativa borghese eretta a valore assoluto della democrazia in ogni società.

Forse Althusser non si rende neppure conto dell’assist che avrebbe visto crollare ciò che restava di socialismo in un’intero emisfero, se avesse per assurdo prevalso la sua elucubrazione. Ma ciò ci fa anche capire a cosa avrebbe portato quasi 25 anni dopo il disegno politico gorbacioviano.

Althusser faceva leva probabilmente sulla forza e l’influenza internazionale del socialismo sovietico, considerandolo così influente da poter mettere in atto una strategia conciliatoria nel mondo capitalista occidentale, attraverso il cavallo di Troia delle socialdemocrazie in una riedizione dei fronti popolari tra i partiti comunisti di osservanza sovietica e partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti. Con un bel po’ di eurocentrismo.

Un “bel modo” di affrontare il nodo irrisolto da 50 anni delle rivoluzioni in Occidente.

Del senno di poi sono piene le fosse. La fine dell’impero sovietico ha segnato da una parte l’avvento pervasivo del capitalismo e la sua globalizzazione, le “socialdemocrazie” e i partiti comunisti trasformati e ridenominati sono diventati gli agenti di questo capitale neoliberale, del primato dei mercati, ossia tutto l’opposto della visione althusseriana dell’epoca.

Ma ha segnato anche una sconfitta del socialismo per come si è manifestato nel Novecento, proprio a causa delle sue contraddizioni interne, economiche, di classe, di stasi nella speranza di trovare una “coesistenza pacifica” con le forze del capitale.

La Cina di oggi ne è la conseguenza e ha fatto prima: ha aperto le porte al capitalismo rinunciando nel contempo a sostenere le lotte sociali e di classe che i sovietici talvolta appoggiavano conciliando ideologia a convenienza geopolitica.

Se non erano le basi allora per sostenere un “umanesimo socialista” come modello e presupposto di transizione mondiale al socialismo, via e più non lo sono neppure oggi con la Cina, come modello di “società armoniosa”.


Note
  1. Per Marx, Louis Althusser, Editori Riuniti, 1972, opera del 1965, Marxismo e umanesimo, pag. 197
  2. Ibidem, pag. 197 e 198
  3. Ibidem, pag. 197

Comments

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Pantaléone
Thursday, 20 January 2022 22:06
Una delle azioni che sono mancate al "capitalismo" sovietico sono state le crisi del capitalismo, che in una certa misura hanno permesso di liquidare il vecchio modo di produzione, verso un salto qualitativo verso un nuovo modo che superasse la contraddizione del vecchio modo, ma non così facile poiché è puramente uno strumento capitalista che ha introdotto una tecnologia migliorata per ridurre il tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci. ...il secondo è la mancata riduzione dell'orario di lavoro negli anni '70, che avrebbe potuto portare a un aumento della produttività e quindi essere un modello avanti all'Occidente.
Ma ovviamente queste osservazioni sono produzioni puramente soggettive...

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Paolo Selmi
Thursday, 20 January 2022 23:27
Ciao Pantaléone.

Ti giro questo materiale qualora ti possa interessare. Al termine del mio lavoro sui sindacati sovietici, ho già preparato un'appendice sull'orario di lavoro in URSS. Questo è il paragrafo ottavo sul periodo brezneviano:

---

Le riforme di Leonid I. Brežnev:

l’epoca brezneviana parte con due nuove festività nazionali introdotte nel 1965, ovvero la Festa internazionale della donna (Международный женский день 08/03) e la Festa della vittoria (День Победы 09/05 ) sul nazifascismo. Altre 14 ore in meno portavano il monte ore annuale a 1947 ore e a 293 giorni lavorativi all’anno.
Ma è nel 1967, per la precisione il 7 marzo, che è annunciata la riforma principale: la settimana lavorativa diventa di 5 giorni + 2 festivi. Inizialmente il monte ore settimanale resta inalterato, ovvero 42. Per fare ciò e rispettare le 8 ore, ogni 4 sabati si va a lavorare: è il “sabato nero” (чёрная суббота).

Il 9 dicembre 1971 la RSFSR riduce di un’ora il monte ore settimanali consentito (41 al massimo), decisione ratificata per tutta l’URSS nella Costituzione del 1977 (7 ottobre 1977, Cap. VII Art. 41).

I cittadini sovietici hanno diritto al riposo. Questo diritto è assicurato da una settimana lavorativa che, per operai e impiegati, si stabilisce non superare le 41 ore, da una giornata lavorativa ridotta per una serie di professioni e produzioni, da una produttività ridotta durante il turno di notte; tale diritto è assicurato da ferie retribuite annuali, dai giorni di riposo settimanale, oltre che dall’ampliamento della rete di enti culturali, educativi e per la salute e la cura del corpo, dallo sviluppo dello sport di massa, della cultura fisica e del turismo; tale diritto è infine assicurato dalla creazione di condizioni favorevoli per il riposo nei luoghi di abitazione e da altre condizioni di impiego razionale del tempo libero. La durata del tempo di lavoro e di riposo dei kolchoziani è regolata dai kolchoz. 1

Si configura quindi un monte di 1960 ore annuali con 239 giorni lavorativi. Se a questo aggiungiamo i permessi retribuiti, gli orari ridotti e i congedi per legge (декретный отпуск)2 per un totale massimo di 810 ore annue, il quadro è completo.

Aggiungiamo infine, a puro titolo informativo, qualche informazione sul lavoro straordinario, così come regolato dal Codice delle leggi sul lavoro (Кодекс законов о труде, abbr. KzoT) nella sua ultima scrittura (prima del crollo dell’URSS) datata 9 dicembre 1971.

Art. 54: “Gli straordinari, di norma, non sono consentiti” (Сверхурочные работы, как правило, не допускаются). Niente otto di sera, niente “giro dell’orologio”. L’articolo successivo cita gli unici casi in cui gli straordinari sono consentiti:
1. lavori necessari alla difesa del Paese (необходимыe для обороны страны) o alla prevenzione di calamità naturali o sociali, o incidenti che richiedano intervento immediato;
2. lavori socialmente necessari di approvvigionamento acqua, gas, riscaldamento, canalizzazione, trasporti, comunicazioni, oltre che interventi straordinari di manutenzione a tali reti;
3. quando è necessario terminare un lavoro già iniziato (при необходимости закончить начатую работу), lavoro che non si è potuto concludere normalmente per cause accidentali o tecniche e la cui conclusione differita può comportare un danno o la distruzione di proprietà statali o sociali (может повлечь за собой порчу или гибель государственного или общественного имуществ);
4. lavori temporanei di riparazione o ripristino di meccanismi o dispositivi il cui mancato o cattivo funzionamento comporta l’interruzione del lavoro per un numero significativo di lavoratori;
5. per continuare un lavoro qualora mancasse un lavoratore al cambio turno (для продолжения работы при неявке сменяющего работника) nel caso di lavori che non consentano interruzioni; in tal caso l’amministrazione è obbligata IMMEDIATAMENTE a intraprendere misure per sostituire il turnista che si è fermato con un altro lavoratore (администрация обязана немедленно принять меры к замене сменщика другим работником).

L’Art. 56, quindi, a scanso di equivoci, limita in 4 ore per un massimo di 2 giorni consecutivi il ricorso al lavoro straordinario ANCHE IN QUEI CASI, per un tetto massimo annuale di 120 ore (10 al mese, 2 ore e 18 minuti alla settimana in media). Con tale configurazione, si va fino al 19 aprile 1991 quando, in uno degli ultimi suoi atti, l’URSS abbassa l’orario di lavoro settimanale massimo a 40 ore.

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Quando parli di aumento di produttività, tocchi un tasto dolente. L'emulazione socialista poteva essere una leva potente, in questo senso, ma non per buttare dentro più carbone nella caldaia della propria locomotiva, come invece finì col diventare, bensì per ragionare collettivamente su realizzazione del piano corrente ed elaborazione, al contempo, del nuovo. Alla luce di nuovi bisogni sociali da soddisfare o di bisogni esistenti da MEGLIO soddisfare. E in questo l'aumento di produttività sarebbe stato non più il risultato di uno stimolo/incentivo materiale, bensì il risultato di una rinnovata presa di coscienza sulla sua necessità per il raggiungimento di un obbiettivo più grande, in funzione di un ancora più grande bene comune. Un carissimo saluto.

Ciao!
Paolo
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Paolo Selmi
Thursday, 20 January 2022 19:18
Nico ciao,

Grazie anzitutto per questo lavoro che parla di URSS, cosa non di moda di questi giorni. provo a esporti il mio punto di vista. Dire che in URSS non ci siano state contraddizioni è palesemente falso, e ci mancherebbe. Dire che queste contraddizioni fossero antagonistiche, è però altrettanto falso. Le contraddizioni tra proletariato e borghesia nel capitalismo sono antagonistiche. Capitale da una parte, Lavoro dall'altra. Due facce della stessa medaglia, il modo capitalistico di produzione, che però a un certo punto non riesce più a gestire le spinte centrifughe e si sfalda. Ma non per ricomporsi come sta facendo, per esempio, ora, sotto la direzione del Capitale. Bensì per essere messo insieme alla bell'e meglio dall'ALTRA parte, il Lavoro, e in funzione unicamente del suo superamento. Abbiamo la dittatura del proletariato.

Quella dittatura che Gramsci definisce ESPANSIVA e non REPRESSIVA, ci sto ricercando ora sul mio lavoro sui sindacati sovietici per colpa di Tomskij che, nella sua relazione, mi tira fuori un "pojti k massam" (andare alle masse) che vaffanbagno, mi ha riportato al III Congresso del Komintern, a Longo, a Bordiga... e a Gramsci. Ma tant'è, o un lavoro di ricerca si fa, o è meglio buttare via l'ultima ora utile della giornata attaccando la pedaliera e facendo gli Angeli di Vasco Rossi col chorus e il distorsore (in genere cerco di fare entrambe, con risultati deludenti in entrambi i casi...).

Finisce la NEP e arriva Stalin. Piaccia o non piaccia, e sicuramente per tutto si paga un prezzo e l'URSS ha pagato un prezzo CARISSIMO per questo, ma a metà degli anni Trenta l'intera economia era socializzata. Un solo padrone, il popolo russo. Che non ha più senso neppure chiamare padrone. Così come non ha più senso chiamare l'operaio proletario, visto che ora ha in mano i mezzi di produzione. I due opposti si sono fusi. Proprietà sociale dei mezzi di produzione e conduzione pianificata degli stessi.

E ma caspita! C'è differenza fra il minatore del Donbass e l'impiegato del Gosplan! Giusto. E c'è differenza fra chi abusa della propria posizione e cerca di portare a casa sempre più privilegi, e chi invece è lì in catena di montaggio e da lì non si schioda. Giusto. Il socialismo non abolisce il burocratismo, o l'opportunismo. E poi, diciamocela tutta, un po' di soldini dal cielo e non capiscono più una cippa neanche loro: "Ljudi kak ljudi", esclamava sconsolato Woland alla reazione scomposta degli astanti durante il suo spettacolo di magia, coi soldi che piovevano dal cielo... come dire di no...

Diciamo anche che sotto Stalin bastava una lettera delatoria e finivi male. Quindi questa paura continua delle reazioni del vicino poneva anche chi stava in alto in una specie di controllo reciproco che poi venne a mancare. Ma uno stato di polizia e di TERRORE non sono mai la soluzione. Sono SOLO una vergogna e basta. Tomskij, per inciso, si spara nel '36 alla notizia, apparsa sul giornale, che lo avevan messo in mezzo nell'ennesimo complotto. Prima che lo venissero a prendere. Era un grande anche lui. E alla fine chi rimase a Stalin, dopo che dove non arrivò lui arrivarono i nazifascisti? "Il partito… partito cosa… guarda cosa è diventato, un coro di salmodianti, una truppa di alleluianti" (Партия ... Что партия ... Она превратилась в хор псаломщиков, отряд аллилуйщиков ...)
https://www.sinistrainrete.info/storia/18411-paolo-selmi-2-2-5-l-emulazione-socialista-in-urss-parte-iii.html

Parliamo quindi di secondo dopoguerra. L'emulazione socialista costituì, in parte la negazione di quanto comunemente affermato circa la divisione fra "classe" burocratica e "classe" proletaria nella società sovietica. Ci ho lavorato nella ricerca che ho appena citato, e non ci ritorno. Diciamo che però un buon operaio che finiva sulla "doska pochet" aveva buone possibilità di diventare quadro, faceva le serali e diventava dirigente. Allo stesso modo, un dirigente che si dimostrava incapace, aveva più probabilità di vedere saltare (metaforicamente...) la propria testa lì che qui.

Ma non basta un'emulazione socialista che poi, col tempo, rischia pure di ritualizzarsi, di scadere nel rituale, a tenere a bada l'ingordigia di chi comincia a guardarsi intorno, cambiato il clima, e ad adagiarsi sul "così fan tutti" per ampliare la propria "nicchia ecologica". Anche se fatta la macchina, fatta la dacia, sistemati i figli, passata anche la dogana con qualcosa di "interessante" proveniente da una missione all'estero e col funzionario che richiude la valigia e tutti e due gli occhi, lì finisce. TECNICAMENTE, infatti, non era possibile neppure spendere di più, l'accumulazione fine a sé stessa era inutile. Per non parlare poi dell'impossibiltà di speculare, o creare profitti da intascarsi. Proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione e conduzione pianificata degli stessi vuol dire anche controllo rigoroso della massa monetaria, e col "nero" non si va molto lontano. Un "nero" peraltro che si esaurisce prevalentemente nel mercato colcosiano, a livello puramente economico, e nella malversazione che produce gruzzoli che, man mano che aumentano di dimensione, diventano sempre più difficili da gestire e più esposti a controlli dall'esterno. L'intero decennio dei Settanta è costellato di film "detektiv" dove l'argomento è peraltro trattato ampiamente. Negli Ottanta, con l'uomo dalla voglia in fronte, finisce il tutto: il burocrate diventa borghese, PERCHE' GLI SI DA LA POSSIBILITA' DI DIVENTARLO. Prodromo al successivo quinquennio dove i burocrati ai vertici diventeranno oligarchi.

Torno quindi ai Settanta. Conobbi qui decine di ex-cittadini sovietici (richiedenti asilo ora, non allora), che mi parlavano di quella che ancora oggi definiscono zolotaja epocha (epoca d'oro). Estrema mobilità e permeabilità fra mansioni operaie e mansioni impiegatizie, fra queste ultime e ruoli direttivi. In sostanza il discorso che mi fecero loro, una ventina di anni fa, e che poi ho avuto modo di verificare attraverso altri tipi di ricerche e di fonti, documentaristiche così come di prima mano, era: "volevi sbatterti? Andavi avanti." Ma già dal komsomol. "Non volevi sbatterti, volevi fare le tue otto ore e non scassatemi che stasera c'è la balera e poi possibilmente la camporella?" Facevi la tua vita da operaio se dopo le medie avevi già "capito tutto" e iniziato a lavorare, o da impiegato se andavi avanti altri cinque anni, chiuso e morta lì. Ma se ti sbattevi, chi comunque cercava un ricambio di classe dirigente ti notava e ti segnalava, e via discorrendo. Giusto o sbagliato che fosse il metodo della co-optazione, è un dato di fatto che due categorie sociali (lavoratori vs dirigenti) non possono essere configurabili come classi. E non tutti i dirigenti erano burocrati. C'erano quelli che attaccavano per primi e chiudevano per ultimi. Ed erano la maggioranza, perché un sistema non si può reggere per vent'anni, trent'anni (a seconda di quando diciamo che è iniziato il "revisionismo" e quando diciamo che è iniziata la "perestrojka", ovvero l'inizio della fine) su sprechi e inefficienze.

Althusser, nel ripetere in quel paragrafo frasi fatte da Mosca (erano quelle dei documenti ufficiali), più o meno consciamente (non so quali fossero le sue frequentazioni in prima persona) fotografava la situazione di un ventennio, che va grosso modo dal 1960 al 1980. Non oltre. Poteva andare diversamente? Si, almeno secondo me. E secondo Syroezin di cui tornerò presto a tradurre il manuale sulla pianificazione, non appena chiuderò il lavoro sui sindacati. Una Costituzione, come quella del 1977, che avesse avuto meccanismi MOLTO più rigidi di autotutela circa la possibiltà di essere emendata, cambiata o, semplicemente IGNORATA, avrebbe potuto aiutare. Ma come la nostra sotto attacco da trent'anni, non sarebbe stato sufficiente. Occorreva ragionare sul cittadino come produttore, non più sfruttato certo, ma anche contemporaneamente consumatore, quindi in grado di determinare coscientemente, collettivamente, la traiettoria di sviluppo della propria economia, della propria società, attraverso la costruzione di modelli sostenibili, in ogni senso, equi, per definizione e per campo di esistenza economico stesso, partecipati e coinvolgenti, ESPANSIVI nel senso gramsciano della dittatura del proletariato, ovvero in grado di rendere e far sentire sempre più persone PARTE integrante, quindi economicamente e socialmente responsabile, oltre che soddisfatta della risposta (etico-morale, sociale, economica) ricevuta in cambio del loro lavoro. Ci stavano arrivando, come ho avuto di constatare sia nel mio lavoro sull'emulazione socialista, sia in quello su Syroezin. La storia non si fa con i se e con i ma. Ma considerare tutte le opzioni sul tavolo, tutti i contributi, tutto lo sbattimento di tanti compagni, più o meno famosi, o più o meno anonimi poco importa, fornisce a mio modesto parere un contributo valido anche oggi.

Infine, vorrei avere anch'io la tua fortuna di poter girare le bancarelle! Si trovano davvero tante cose interessanti. Torino poi mi piaceva molto, da Piazza Castello a scendere verso il Po aveva porticati interi di roba davvero molto interessante.

Grazie ancora per il tuo lavoro e
Ciao!
Paolo
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