Prefazione a Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica
di Giovanni Sgrò
Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica, Pgreco/Filo Rosso, 2022
1. Presentazione dei testi
Il presente volume ripropone in veste invariata la raccolta di testi marxiani, allora veramente “inediti” in Italia, pregevolmente curata da Mario Tronti nel 1963. I testi sono i seguenti:
1) Il commento di Marx agli estratti, risalenti al 1844-1845, dalla traduzione francese del libro di James Mill, Elemens d’économie politique (Paris 1823).
2) La parte superstite (risalente al periodo settembre-ottobre 1858) del secondo e del terzo capitolo, dedicati rispettivamente al denaro e al capitale, del “testo primitivo” (Urtext) di Per la critica dell’economia politica (1859).
3) L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici”, che Marx su consiglio di Friedrich Engels (1820-1895) e di Louis Kugelmann (1828-1902) preparò per la prima edizione del primo libro de Il capitale (1867). Nella seconda edizione (1872) Marx fuse poi insieme il primo capitolo della prima edizione e l’appendice per i lettori “non dialettici” nell’unica nuova versione del primo capitolo, che sarà alla base anche dell’edizione francese (1872-1875) e della terza (1883) e quarta (1890) edizione, pubblicate queste ultime due postume da Engels.
4) Le glosse, risalenti al 1881, alle parti della seconda edizione (1879) del Manuale di economia politica del “socialista della cattedra” Adolph Wagner (1835-1917), in cui erano contenuti riferimenti espliciti alla prima edizione del primo libro de Il capitale (1867).
5) L’inchiesta operaia preparata personalmente da Marx nel 1880 per il movimento rivoluzionario francese.
Nei quasi sessant’anni che ci separano dalla loro prima pubblicazione nell’accurata edizione di Tronti, queste opere hanno avuto un loro “destino” personale nelle varie e variopinte fasi della Marx-Forschung italiana.
Il testo n. 1 è stato ripubblicato in una nuova traduzione nel 3° volume dell’edizione italiana delle opere di Marx ed Engels1. Il commento di Marx al testo di Mill ha assunto una grande importanza, insieme ai coevi Manoscritti economico-filosofici del 1844, nel dibattito sul tema del riconoscimento e dell’alienazione2.
Il testo n. 2 è stato ripubblicato in una nuova traduzione nel 2° volume dell’edizione einaudiana dei Grundrisse3 e poi nel 30° volume dell’edizione italiana delle opere di Marx ed Engels4. Insieme ai più famosi Grundrisse, l’Urtext di Per la critica dell’economia politica ha assunto un ruolo di primo piano nell’ampio dibattito sulla teoria marxiana del valore nonché sui limiti dell’esposizione dialettica.
Il testo n. 3 ha avuto due nuove traduzioni. È stato, infatti, ripubblicato sia in un volumetto autonomo5 che nel 31° volume dell’edizione italiana delle opere di Marx ed Engels6. L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici” è stata di fondamentale importanza per la rilevazione della “stratigrafi del primo libro de Il capitale e per la ricostruzione genetica della teoria marxiana del valore.
Il testo n. 4 è una traduzione parziale, essendo basata sul testo, anch’esso parziale, contenuto nell’appendice a un’edizione popolare (Volksausgabe) anteguerra del primo libro de Il capitale7. Non essendo stato ancora pubblicato nel 27° volume della quarta sezione della nuova edizione storico-critica Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA), l’unica edizione tedesca integrale finora disponibile si trova nel 19° volume dell’edizione Werke8. Su quest’ultima edizione dei Werke è basata la traduzione integrale di Giorgio Backhaus, contenuta nel ricco volume di Appendici che correda l’edizione einaudiana del primo libro de Il capitale9. Oltre a completare e a precisare la teoria marxiana del valore, le glosse al manuale di Wagner rappresentano l’ultimo testo “economico” a cui Marx ha lavorato negli ultimi anni della sua vita.
Il testo n. 5, data anche la sua brevità, ha riscosso un certo successo nelle riviste e nei “ciclostilati” dei movimenti italiani di contestazione e di opposizione degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. In questa sede mi limito a ricordare il volumetto sul “significato attuale dell’inchiesta”10 e la recente edizione a cura di Riccardo Emilio Chesta11.
2. Per una periodizzazione dell’opera “economica” di Marx
L’“oggetto specifico” dei testi qui raccolti “è in generale l’economia e il […] significato politico che essa assume all’interno del rapporto sociale di tipo capitalistico” (infra, p. XVII). Nella sua ampia e accurata introduzione Tronti sottolinea, giustamente, “la continuità storica e la coerenza logica interna al pensiero di Marx” (infra, p. XXIII), il che però non significa certo che l’opera di Marx sia un blocco monolitico pienamente coerente e trasparente (e dunque esente da “opacità” e a da aporie). Al contrario: il “corpus vasto e multiforme” delle opere di Marx è caratterizzato da “fasi, stili e intenti molto diversi”.
Fineschi ha individuato (correttamente) uno “snodo fondamentale”12 nell’anno 1857, vero e proprio “punto di non ritorno” nella produzione teorica marxiana, anno in cui Marx incomincia per la prima volta a esporre in modo autonomo e organico quel progetto di critica dell’economia politica che lo ha impegnato – tra letture, estratti, manoscritti, tentativi di pubblicazione ed edizioni a stampa – per tutta la vita. Il lungo e complesso cammino di Marx verso Il capitale può essere quindi sostanzialmente suddiviso in due periodi: 1844-1857 e 1857-1883.
Il primo periodo è quello che va dal 1844 al 1857: Marx studia i classici dell’economia politica (Smith, Ricardo, Mill), elabora una nozione embrionale della dialettica di forze produttive e rapporti di produzione, critica il socialismo piccolo-borghese (Proudhon) e si avvicina allo studio della realtà economica a partire dalle manifestazioni fenomeniche (le crisi monetarie).
Il secondo periodo inizia nel 1857 e coincide con la costruzione del modello teorico del “capitale”, che si articola a sua volta in quattro fasi cronologicamente successive: a) i manoscritti del 1857/1858; b) i manoscritti del 1861-1863; c) i manoscritti del 1863-1865; d) il periodo che inizia con la pubblicazione del primo libro nel 1867.
Questa quarta e ultima fase (1867-1883) si sviluppa in tre direzioni che si intrecciano a vicenda: d1) pubblicazione e rielaborazione del primo libro de Il capitale (Manoscritto 1871/1872, seconda edizione, edizione francese, materiali per la terza edizione); d2) manoscritti per il secondo libro; d3) manoscritti per il terzo libro13.
I quasi sessant’anni che ci separano dalla prima pubblicazione di questa raccolta di testi marxiani sono stati (e continuano ad essere) anni d’oro per quella Marx-Philologie, che Tronti ritiene (giustamente) il punto di partenza necessario per “riprendere un discorso che con l’opera di Marx abbia un rapporto non di fedeltà – che è atteggiamento passivo – ma di coerenza – che è rapporto attivo di conoscenza e di sviluppo insieme” (infra, p. XXXIII).
Alla base della più affidabile Marx-Forschung internazionale vi è, infatti, quel “fondamentale passaggio storico-esegetico” rappresentato dalla nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels in lingua tedesca, la Marx-Engels-Gesamtausgabe, che da quasi mezzo secolo sta contribuendo a ridefinire, ad arricchire e a precisare la fisionomia teorica di Marx, rendendolo “per molti aspetti un autore nuovo, che solo oggi è possibile leggere ‘nelle sue stesse parole’”14.
Limitandoci all’oggetto specifico dei testi raccolti nel presente volume, la nuova MEGA, più specificamente la seconda sezione, ci offre adesso la possibilità di entrare nel “laboratorio” di Marx e di leggere tutti i manoscritti e tutte le edizioni a stampa riconducibili a quel grandioso progetto di critica dell’economia politica, che impegnò Marx per buona parte della sua vita15.
Parallelamente, nella quarta sezione della nuova MEGA, vengono pubblicati i numerosi quaderni di estratti e di appunti – i quaderni di Parigi, di Bruxelles, di Manchester, di Londra16 ecc. –, che permettono di ricostruire la genesi e la composizione delle opere maggiori.
3. Le implicazioni politiche dell’opera “economica” di Marx
Nella sua bella introduzione Tronti offre – e pour cause! – una lettura “operaista” ante litteram, vòlta a evidenziare le implicazioni politiche della ricerca scientifica di Marx (cfr. infra, pp. XXI-XXIV e XLV-XLVI)17. A partire da questo tipo di approccio, l’intero percorso teorico marxiano può essere interpretato come un vero e proprio “laboratorio”, come un “cantiere a cielo aperto”, all’interno del quale il dispositivo categoriale risulta sottoposto a una continua opera di trasformazione, revisione e “settaggio”. Contrariamente, infatti, a quanto ritiene una certa storiografia filosofica di stampo idealistico, non si tratterebbe solo di un processo di maturazione intellettuale, di una “biografia intellettuale”, ovvero di una storia delle idee: a produrre cambiamenti significativi – che li si voglia chiamare “fratture”, “rotture”, “crepe” o “dislocazioni” – è l’irruzione della pratica politica, il confronto serrato con le situazioni politiche concrete, irriducibili a uno schema teorico complessivo (siano esse la rivolta dei tessitori slesiani del 184418, la Rivoluzione europea del 1848 o la prima crisi mondiale di sovrapproduzione del 1857).
Riformulandolo in termini althusseriani19, si potrebbe dire che, secondo questo tipo di approccio, è la pratica politica a “stimolare” la pratica teorica, la quale a sua volta agisce sulla (e reagisce alla) pratica politica. È dunque la pratica politica lo “sprone” che spinge la pratica teorica alla “ristrutturazione” e “riarticolazione” delle coordinate, appunto teoriche, di riferimento20. Al centro del discorso marxiano si troverebbe quindi il continuo confronto con la dimensione della pratica politica, e quindi il riferimento allo scenario sociale e politico nella sua singolarità, nella sua irriducibilità a uno schema categoriale onnicomprensivo.
Questo tipo di approccio all’opera teorica di Marx mi sembra insistere, però, un po’ troppo sullo “scarto” esistente tra i due piani della critica dell’economia politica e della critica della politica, mentre, a mio avviso, andrebbe fortemente sottolineato e affrontato proprio il problema della mediazione dialettica tra i diversi livelli di astrazione presenti nell’analisi marxiana del modo di produzione capitalistico. Andrebbe cioè evidenziato che la logica “singolare” del “pensare nella congiuntura” è possibile solo sulla base della (e a partire dalla) logica “universale/generale” della critica epocale del modo di produzione capitalistico, rappresentata dalla marxiana critica dell’economia politica.
Con il suo grandioso progetto di una critica categoriale del “sistema complessivo delle categorie economiche”21, Marx si era indubbiamente proposto, da un lato, di distruggere “dalle fondamenta il socialismo proudhoniano”, che egli considera un “‘falso fratello’” del comunismo22, dall’altro, di “infliggere alla borghesia un colpo tale, per quanto riguarda la teoria, dal quale essa non si riavrà più”23. In entrambi i casi si trattava per Marx di “conquistare” una “vittoria scientifica”24 al partito della “classe operaia”, della quale egli si è sempre considerato un “fedele combattente di prima linea”25.
Personalmente ritengo che la vera concezione marxiana dello Stato e della politica si trovi non tanto e non solo nelle opere specificamente politiche, quanto soprattutto nel suo imponente (e incompiuto) progetto di critica categoriale dell’economia politica. Come sottolinea però giustamente Fineschi26, non si dovrebbe dimenticare che Il capitale non è, a rigore, un’opera im-mediatamente (ovvero senza ulteriori mediazioni) politica. In esso Marx ci ha lasciato essenzialmente una teoria generale del funzionamento del modo di produzione capitalistico. L’esposizione di tale teoria si colloca, inoltre, a un livello di astrazione molto alto, di modo che le leggi che Il capitale descrive sono leggi epocali, di lunga durata, che non hanno cioè corrispondenza empirica im-mediata né im-mediata applicabilità contingente.
Nel rapporto dialettico tra la teoria e la prassi, tra la pratica teorica e la pratica politica, ovvero tra la scienza e la politica – che si rivela essere un rapporto estremamente complesso, irriducibile a soluzioni predeterminate – non si verifica una deduzione im-mediata della prassi dalla teoria: non ci si trova di fronte a una teoria immutabile, da cui viene ricavata la pratica politica, dal momento che, al contrario, la pratica politica sposta continuamente le condizioni della teoria, che non possono mai essere fissate una volta per tutte.
La politica non può essere mai totalmente derivata da una teoria precostituita, risultando sempre “eccedente” e “insorgente” rispetto a essa27. Marx intende la pratica politica nel suo carattere di estrema contingenza, nella sua eccentricità rispetto a leggi onnicomprensive: ogni ipotesi di pratica politica va continuamente sottoposta al vaglio degli eventi storici, per confermarne e rafforzarne la validità, o al contrario, per metterne in discussione gli stessi presupposti teorici.
L’analisi della situazione contingente nella sua determinazione specifica – nel suo specifico milieu historique, direbbe il Marx degli importantissimi abbozzi di lettera a Vera Ivanovna Zasulič (1849-1919) del febbraio/ marzo 1881, che rappresentano in realtà un vero e proprio abbozzo di saggio teorico28 – fa mutare costantemente l’articolazione del discorso teorico e anche l’individuazione della pratica politica più adeguata allo scopo. Sorretto da coordinate mobili, mai interamente preventivabili, e sempre “esposte” all’imprevedibilità degli eventi, il cambiamento politico deve essere praticato a partire dai rapporti di forza presenti, a partire dalle istituzioni effettivamente operanti, ma in tensione critica rispetto a tali elementi. Dall’altra parte, il pensiero non si configura come una mera elaborazione concettuale della prassi, non è una mera “trascrizione” im- mediata della pratica politica, in quanto possiede una “relativa autonomia” rispetto a essa.
La derivazione non im-mediata – il che però non vuol dire non esistente – della logica “singolare” della pratica politica dalla logica “generale/ universale” della critica dell’economia politica implica che la pratica di soggettivazione non possa essere dedotta im-mediatamente dalla “teoria” della critica dell’economia politica, ma debba essere “giocata” nella pratica politica, il che vale a dire che le soggettivazioni politiche non possono essere dedotte da uno schema unico, valido per tutti i casi, ma devono essere continuamente ricalibrate a partire dall’unicità della contingenza – della congiuntura – presente.
Stando così le cose, Il capitale può fornire quindi delle indicazioni solo di massima sulle dinamiche concrete e reali, che possono essere utilizzate anche in senso politico; ma di per sé Il capitale non è sufficiente per elaborare e formulare una teoria politica esaustiva ed efficace. Per costruire una teoria politica ispirata a Il capitale è necessario – come sostiene giustamente Fineschi – riprendere la strada interrotta della catena delle mediazioni e della esposizione dall’astratto al concreto per cogliere, dall’alto livello di astrazione del modello puro del capitale in generale/universale, i particolari capitalismi determinati storicamente, geograficamente, giuridicamente ecc., immersi nelle singole realtà concrete e specifiche.
Non è però possibile derivare im-mediatamente una strategia, se non addirittura una tattica, politica dal modello astratto: si possono sì mostrare le linee di tendenza di un processo che si realizza certo in congiunture specifiche, ma credere di operare nelle congiunture applicando alla lettera (vale a dire im-mediatamente) Il capitale sarebbe fuorviante, in quanto porterebbe a dei cortocircuiti teorico-politici, come troppi vi sono stati nel corso del Novecento.
Per poter offrire la “ricostruzione sistematica di una teoria marxista dello Stato e del diritto che sia al contempo una critica della politica e del diritto e una coerente teoria dello Stato di transizione”29, è necessario dunque includere nella teoria “astratta” analisi più “concrete” – Fineschi le definisce opportunamente e appropriatamente “teorie cuscinetto” –, che “ammortizzino” la discesa dei gradini concettuali (scivolosi e spigolosi) che dall’astratto portano al concreto, attraverso tutta “una lunga serie di anelli intermedi”30, di mediazioni appunto, che rendano possibile la comprensione concettuale anche delle specifiche figure politico-istituzionali in cui si configura la forma epocale del modo di produzione capitalistico.
Concordo quindi pienamente con Fineschi anche quando sostiene che tra i due piani della critica dell’economia politica e della critica della teoria e pratica politica, la priorità vada alla critica dell’economia politica, in quanto le figure specifiche (le congiunture), in cui di volta in volta si configura il movimento strutturale del capitale, sono ricostruibili e inquadrabili solo individuando la forma epocale del modo di produzione, e solo a partire da essa si può svolgere dialetticamente il sistema complessivo31.
Comments
Tuttavia, è necessario conoscere innanzitutto il Capitale, l'opera principale di Marx. Solo dopo aver letto il Capitale (almeno il I Libro) si dovrebbero leggere le altre opere, e solo dopo di queste si dovrebbero leggere anche gli inediti.
La completa rimozione di Marx da ogni ambito di istruzione e la conversione dei sedicenti partiti comunisti o di sinistra in agenzie della promozione del capitalismo neoliberale fascista, in un contesto di acceso propagandismo negativo e di condanna, contro le esperienze storiche di socialismo reale, ha, da un lato, privato le classi sociali inferiori e sfruttate di una grammatica per capire il capitalismo e il mondo in cui si vive e dall'altro, peggio ancora, ha generato sfiducia e sospetto nei confronti di chi si ostina a proporre come viva e valida la rappresentazione di Marx.
Solo la classe dominante si è appropriata di alcune categorie marxiane, per gestire le esasperate criticità del capitalismo neoliberale fascista della moneta simbolo e capitale fittizio.
L'autore della elaborata introduzione dichiara di assegnare, in una condivisibile scelta e visione, una priorità al Marx e suo piano della critica dell'economia politica, rispetto a quello della critica della teoria e pratica politica, e ne motiva in modo fondato la ragione.
Ciò fa venire in mente una semi-umoristica osservazione di Norberto Bobbio, che facendo riferimento a un libro dell'epoca su Marx, notava come si parlasse di tutto, dal Marx filosofo a quello giovanile o politico, ecc., meno che del Marx studioso del Capitale e capitalismo. Probabilmente per molti prevaleva una sorta di autocompiaciuto specialismo e autopromozione, piuttosto che una più ampia e adeguata lettura e comprensione di Marx.
La tesi centrale dell'autore si può riassumere nella convinzione, altrettanto condivisibile, che la concezione marxiana dello stato e della politica si trovano "nel suo imponente (e incompiuto) progetto di critica categoriale dell’economia politica" e che tuttavia "le soggettivazioni politiche non possono essere dedotte da uno schema unico, valido per tutti i casi, ma devono essere continuamente ricalibrate a partire dall’unicità della contingenza" in rapporto allo schema più generale, universale e astratto.
Se ciò è vero nondimeno presenta alcuni elementi di limitazione o opacità narrativa.
Norberto Bobbio fu uno studioso iideologicamente parecchio avverso a Marx, probabilmente anche per non rischiare di perdere i crismi e privilegi di riconosciuto vate liberale, tuttavia molto del suo pensiero è ossessionato.da Marx, a cui non smette mai di fare riferimento e dedicarvi acute analisi. E uno dei temi centrali della sua riflessione su Marx è relativo allo stato, a partire dalla interrogazione, se esista una teoria dello Stato in Marx.
Il motivo di fondo dei dubbi di Bobbio nei confronti della rappresentazione di Marx, oltre che affiorare dalla apparente personale permalosa insoddisfazione per ogni "spregiudicato" cedimento rivoluzionariao, risiede nella contrapposizione tra la prospettiva escatologica, cristologica irriducibilmente ottimistica di Marx e il suo, di Bobbio, pessimismo dichiarato, cristiano o cosmico che uno voglia aggiungere, e che non gli permetteva di vedere oltre una imperfetta per quanto perfettibile (o degenerabile come da decenni avviene) democrazia.
E ciò nonostante condividesse integralmente e accogliesse l'analisi di Marx sullo stato e la guerra di classe, con il limite di non riuscire a scorgere la dissoluzione delle classi e il passaggio a nuove forme organizzative, che non fossero la transitoria dittatura del proletariato.
Quando l'autore (della introduzione) afferma che in Marx il capitale non è sufficiente per elaborare e formulare una teoria politica esaustiva e comprendere i capitalismi paricolari, nella loro evoluzione e condizione storica determinata, commette una imprecisione o incongruenza discorsiva. Marx è perfettamente e fortemente convinto, e a ragione, di riuscire a descrivere da un punto di vista di dinamiche finanziarie, monetarie, politiche e delle forze produttive ogni determinata situazione capitalistica. La sua potente rappresentazione scientifica, dalle sofisticate architetture e categorie, tra rimandi esoterici e essoterici, con qualche eventuale minima aggiunta o accorgimenti, successivamente suggeriti da alcuni altri grandi, sostanzialmente seguitori delle sue orme o dallo scheletro calcificato dal suo spirito, permette di capire e descrivere adeguatamente ogni capitalismo, compreso l'attuale degenerato neoliberale fascista finanziarizzato.
Dovrebbe, per inciso, essere un obbligo e prerequisito minimo, soprattutto da parte delle classi sociali inferiori, l'acquisire e disporre dell'impianto categoriale per comprendere il mondo in cui si vive e il funzionamento, almeno nelle linee essenziali, del capitalismo. Il che non è neanche troppo arduo, se si avesse a disposizione del materiale introduttorio rigoroso, ancorché snello e semplificato e soprattutto si avvertisse lo stimolo o esigenza a leggerli e fruirli.
Ciò sarebbe inoltre tecnicamente partcolarmente utile in ogni democrazia rappresentativa imperfetta e sistema parlamentare, per costruire posizioni politiche e controbattere alle spudorate scempiaggini economiche e finanziarie contrabbandate come scienza, dai maggiordomi della classe dominante, per promuovere specifici interessi e guerre di classe.
Il che, infine, per terminare, darebbe forse anche un essenziale contributo alla soluzione del vero problema teorico e pratico di Marx; della identificazione e maturazione del soggeto politico rivoluzionario; che accumuli sufficiente consapevolezza e spirito, da riconfigurare a un livello moralmente, civilmente, culturalmente; politicamente e spiritualmente superiore il sistema di valori e rapporti sociali, per uscire dall'irrazionale, predatorio, disumanizzante capitalismo, oggi degenerato in occidente nella versione neoliberale fascista.