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L’anti-positivismo rivoluzionario e il ruolo del partito nel pensiero di Lenin

di Alberto Sgalla*

IMG 20220821 200020Positivismo, Empiriocriticismo

Il Positivismo è un indirizzo filosofico che si è sviluppato a partire dalla prima metà del sec. XIX accompagnando l’organizzazione tecnico-industriale, capitalistica, della società. Il termine, coniato da Saint-Simon, fu poi adottato da Comte per designare lo stadio scientifico del sapere umano in contrapposizione agli stadi precedenti, teologico e metafisico. La scienza era posta come unico fondamento possibile della vita degli esseri umani, garanzia infallibile del loro destino, suo compito era scoprire le “leggi” dei fenomeni. Comte riteneva razionalmente inevitabile il progresso, cioè il perfezionamento incessante che la società umana subisce nella sua storia.

La scoperta di Darwin del principio dell’evoluzione biologica comportò una diffusione del Positivismo nella seconda metà del sec. XIX, con una conclusione ottimistica della dottrina darwiniana: l’evoluzione è il fatto fondamentale della natura e della storia, è ineluttabile il progresso anche biologico dell’uomo. Spencer, il maggiore esponente del Positivismo inglese, ritenne il principio evoluzionistico valido per ogni campo della realtà, la legge universale dell’evoluzione doveva essere applicato anche alla vita sociale e alla vita psichica. Lo sviluppo graduale della società era ritenuto possibile lasciando libero gioco al conflitto tra le classi sociali e vietando ogni forma di dirigismo pubblico, ritenuto contrario al progresso. Il Positivismo inglese, individualistico-liberale, fu tipica espressione della borghesia che vedeva il progresso nel pieno dispiegamento degli appetiti speculativi e della libera concorrenza nel mercato.

Il Positivismo raggiunse larga diffusione divenendo un clima culturale, in cui culminava una concezione meccanica del mondo, secondo la quale ciò che è così dev’essere, dal momento che dalle “leggi” della natura e della psiche derivano, per un processo continuo di evoluzione, tutti gli aspetti della realtà. Veniva stabilito un principio di determinismo assoluto: caratteri e comportamenti dell’uomo sono determinati necessariamente o dalla sua struttura organica o dal condizionamento sociale subìto. Nell’ambito del Positivismo l’italiano Lombroso (1836-1909) elaborò una teoria patologica della criminalità basata sulle caratteristiche biologiche e psicologiche che differenzierebbero i soggetti criminali da quelli normali, dando alla diversità criminale un fondamento ontologico-naturalistico. Lombroso fondò l’antropologia criminale come studio delle caratteristiche fisio-psichiche che determinano la delinquenza, affermando che i criminali delinquono perché hanno tendenze malvagie, che ripetono la loro origine da un’organizzazione fisica e psichica diversa da quella normale.

Il Positivismo ha offerto un modello di natura umana che, in quanto postulava il consenso rispetto all’assetto sociale dato, permetteva alla società capitalistica di presentarsi come incontestabile.

Il passaggio dal vecchio al nuovo Positivismo è segnato dall’Empiriocriticismo, termine usato da Avenarius nel 1894 per designare la propria “critica dell’esperienza pura”, servito poi ad indicare l’orientamento di Mach (1838-1916), che intese criticare il meccanicismo della fisica e la sua rivendicazione di un primato metodologico su tutto il sapere. Mach riconobbe come realtà originaria le sensazioni, ritenute gli elementi della relazione fra organismo e ambiente, i dati ultimi, né soggettivi, né oggettivi. I corpi esterni e l’io sono risolti in un complesso di sensazioni, che non hanno stabilità, organizzate da regole di dipendenza funzionale, fissate dai concetti ed elaborate quindi matematicamente.

 

L’anti-positivismo marxista

Il Positivismo fu attaccato da diverse correnti di pensiero che si rifacevano allo spiritualismo, al criticismo kantiano, all’idealismo, al vitalismo nietzschiano, allo storicismo, ma soprattutto fu lo stesso sviluppo delle scienze a dimostrare che il determinismo dei positivisti era inadeguato a comprendere la complessa realtà umana, i reali metodi scientifici e i risultati conoscitivi da essi raggiunti.

Il Positivismo contaminò il socialismo della Seconda Internazionale (fondata nel 1889), in cui le tesi marxiste venivano proposte in un senso deterministico, con una visione evolutiva, meccanica, della trasformazione sociale, tale per cui lo sviluppo delle forze produttive, con una serie successiva di riforme, avrebbe portato al socialismo. Lo Stato era presentato come apparato neutro rispetto alla società, svaniva la questione del potere.

La rinascita del marxismo, fondamentale “potenza” del ‘900 e di questo secolo, è stata possibile attraverso la sua liberazione dalle pastoie positivistiche nelle quali era caduto alla fine del’800, attraverso l’affermazione che

  • la complessa realtà sociale deriva da un intreccio di azioni e reazioni multiformi,
  • il socialismo non è l’esito naturale e necessario inscritto nella forza delle cose, come riteneva il positivismo riformistico, ma il frutto di una concreta azione rivoluzionaria in cui deve impegnarsi il proletariato, cosciente dei propri compiti storici.

Ad es. Labriola (1843-1904) criticò la tendenza del socialismo del suo tempo ad assimilare il pensiero di Marx allo scientismo positivistico, sostenendo che le leggi dialettiche di Marx sono irriducibili alle leggi della fisica e della biologia e che il materialismo storico è una teoria dell’uomo sociale, non dell’uomo naturale.

Lo shock del 1914 fece collare l’idilliaca fede borghese nel progresso e quel socialismo positivistico che l’accompagnava. “In quel momento di disperazione nacque il Lenin che, tramite la diversione di una lettura approfondita della Logica di Hegel, fu in grado di scorgere l’eccezionale possibilità della rivoluzione” (Zizek). Lenin ha combattuto il gradualismo evoluzionistico, asserendo che il crollo del capitalismo poteva accadere solo attraverso la funzione attiva dell’avanguardia politica, l’iniziativa rivoluzionaria, che non è il riflesso meccanico della situazione oggettiva Lenin e Gramsci hanno combattuto le interpretazioni deterministiche della storia, hanno assunto un’impostazione antipositivistica del rapporto tra iniziativa soggettiva e situazione oggettiva e hanno accentuato il valore della decisione. Centrale nel loro pensiero è l’essere umano come soggetto, vale a dire sintesi di corpo, intelletto e volontà, materialità determinata e ragione, soggetto dotato di capacità creativa, di intervento razionale trasformatore della realtà, volto alla costruzione di vita buona, vita felice.

Lenin (come già Engels) s’è avvalso di un concetto della storia affermata come sintesi dialettica di necessità e di libertà, di oggettivo e soggettivo. Questa valorizzazione della soggettività è basata sul fatto che Marx ha trasformato in concetto scientifico ciò che per Hegel restava un concetto filosofico: la passione. Per Hegel la passione è la forza che muove la storia, è la negatività come appare all’uomo nella sua storia (= per sé), la rottura. In Marx c’è il richiamo alla passione, all’organizzazione della passione, che è determinata in ogni momento della storia, la passione non è soltanto necessaria per realizzare la libertà, ma è determinata nella sua tendenza dalla forza concreta della realtà nella e contro la quale si scatena. Possono essere scientificamente conosciute le linee di forza secondo le quali la passione deve attaccare, se vuole restare passione della libertà concreta.

 

Metodo materialistico marxiano

Lenin svolge una serrata critica filosofica delle astrazioni generiche, senza vita, non scientifiche, degli schemi astratti che pretendono di fare a meno del “controllo dei fatti”, delle posizioni che fanno di pensieri e sentimenti gli “edificanti precetti della morale piccolo-borghese”. Nella sua polemica contro gli “economisti” Lenin ha ripreso la posizione di Engels sul valore della lotta teorica, che sempre deve accompagnare la lotta economica e politica. Per Lenin è indispensabile muoversi con una “concezione generale del mondo”, un progetto di civiltà, perché è impossibile una prassi rivoluzionaria senza una compiuta teoria rivoluzionaria, che è valida se si affianca all’azione capace di intervenire direttamente sulla società. Con Marx la filosofia si “è fatta mondo” e per Lenin rimane un punto fermo l’idea marxiana di passare dalla filosofia alla scienza, idonea a mettere in luce la configurazione autentica del divenire, destinata all’incremento della potenza umana (come già affermava Bacone: la meta del cammino delle scienze “è quella di dotare la vita umana di nuove scoperte e sostanze”).

Azione, coscienza e organizzazione sono inseparabili, fra teoria e prassi c’è unità dialettica: la prassi è efficace se viene connessa ad una teoria, i cui principi-guida vanno costantemente corretti secondo i suggerimenti della prassi. Troviamo questo concetto nell’idea di egemonia: la classe operaia deve conquistare la direzione politica della società e concepire la propria azione rivoluzionaria come una funzione storica universale, in una lotta da svolgere sul terreno delle contraddizioni strutturali della società, basata su una scrupolosa riflessione critica sul concreto contesto della realtà storica che s’intende trasformare.

Il passaggio da un tipo di civiltà ad un altro superiore non è conseguenza meccanica dei mutamenti strutturali, ma risultato di un’azione consapevole che formi senso comune, consenso di massa e attivi per fini comuni i lavoratori.

La novità del metodo materialistico marxiano, che Lenin rilancia, sta nel concetto di concreta formazione economico-sociale, la cui analisi viene contrapposta al pensiero acritico sulla società in generale. La teoria è un’ipotesi complessiva, da verificare costantemente, circa le tendenze di sviluppo della formazione economico-sociale capitalistica. Ogni teoria deve andare alla scuola dei fatti. È il criterio della pratica (ad es. l’avvenuto tipo di sviluppo dei paesi capitalistici) a dimostrare la verità. È lo spazio storico, perciò reale, a delimitare le possibilità d’essere delle scienze.

Le condizioni della rivoluzione vanno trovate nell’acuirsi concreto dei conflitti di classe interni ai singoli paesi, nell’aggravarsi della contraddizione interna tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione, a cui s’aggiungono i mutamenti della scena mondiale, come ad es. la mondializzazione della fase imperialistica del capitalismo. Fu sulla scia del metodo materialistico che Lenin coniò la parola d’ordine di “trasformare la guerra imperialistica in guerra civile”, nell’azione del proletariato per la presa del potere. L’Ottobre che ha rivoltato il mondo è stato un colpo preparato nella fabbrica bolscevica del Partito come soggetto dialettico, dal cumularsi dell’analisi di classe e dall’organizzazione teorica di una soggettività che non temeva il piacere della lotta e la tendenziosità del punto di vista razionale operaio.

 

La Dialettica

La dialettica è la legge autentica del divenire, significa umanesimo e liberazione del razionale. Nella visione hegeliana e marxista il superamento delle contraddizioni è un atto creativo, ha una forza motrice. Il mondo è contraddizione, ogni configurazione della realtà è il risultato che si forma necessariamente “nel fluire del movimento”.

Per Marx il conflitto di classe è il motore della storia e la dialettica è “rivoluzionaria per essenza”, perché in ogni stato di cose esistente esiste la sua negazione. La dialettica quindi stabilisce “il necessario tramonto” della società borghese, del mondo del “cittadino” lacerato dai rapporti di forza fra le classi sociali. La dialettica delle cose impone la distruzione e la trasformazione delle cose. Per Marx il problema del superamento della realtà disumanizzante, alienante, “sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono o almeno sono in formazione”. All’uomo appartiene innanzitutto l’azione, la prassi con la quale egli produce le condizioni della propria esistenza e trasforma il mondo.

Il fondamento della coscienza è l’essere sociale, l’esperienza, l’insieme dei dati di fatto constatabili per via empirica, la vita, che è attività, volontà e può essere illuminata dalla scienza, nutrita dal sapere, che è comunicazione, espressione umana della verità della propria esistenza.

La dialettica sociale è iscritta nel nostro profondo, sorge per desiderio di cura comune, di superamento delle contraddizioni interdipendenti del capitalismo nella società comunista, che è la sintesi che unisce ciò che la separazione capitalistica ha diviso (valore d’uso/valore di scambio, lavoro concreto/lavoro astratto, mercificato, corpo soggetto/corpo oggetto, singolarità/comunità…), nuova società che accomuna tra loro gli individui e rispetto al prodotto del loro lavoro. Il comunismo, come lo Spirito assoluto hegeliano, è il culmine dello sviluppo storico, la suprema sintesi in cui viene rimossa la massa delle contraddizioni che hanno avvolto la struttura economica della società e imposto a tutto il codice della merce. La rimozione della contraddizione tra il divenire, cioè lo sviluppo delle forze produttive della società e i rapporti di produzione, che in precedenza erano considerati la condizione che dava forma all’attività umana, poi divenuti un ostacolo a tali forze, deve avere un carattere pratico, deve trasformare la base economica della società dominata da quella contraddizione.

Dialettica vuol dire ricerca della verità che sappia guidare l’azione, analisi concreta di come le leggi generali del capitalismo operano in una determinata situazione concreta e anche del modo, delle forme, del ritmo di sviluppo, delle contraddizioni del processo di costruzione del socialismo (individuare le tendenze vitali dello sviluppo umano nel socialismo e gli ostacoli che le bloccano).

 

Quadro teorico della dialettica materialistica

Il mondo della natura e della storia ha un’esistenza da noi indipendente, ma con tre relazioni fondamentali: subiamo condizionamenti da parte della realtà esterna, conosciamo il mondo, operiamo su di esso.

Il mondo non è statico ed è interconnesso in tutte le sue parti, qualificabili come fenomeni (naturali, storici…), che variano nel tempo. Le relazioni fra fenomeni hanno un carattere non deterministico (dalla causa all’effetto), ma dialettico, includono anche il rapporto di contraddizione. Le contraddizioni connettono dialetticamente le parti del mondo.

I processi conoscitivi, collegati ai processi pratici mediante i quali operiamo sul mondo, pervengono a risultati sempre relativi, cioè modificabili. Le conoscenze, pur relative, hanno una base oggettiva, le nuove conoscenze destinate a sostituirle devono essere in grado di approfondire tale base, di farci penetrare più a fondo la realtà. Marx ha dimostrato che la dinamica delle società storiche è derivata dalla contraddizione fra le classi sociali in lotta tra loro, in forma aperta o mascherata, poi si è avuto lo sviluppo per approfondimento del marxismo, che ha introdotto articolazioni più precise nel rapporto dialettico fra lotta di classe e dinamica delle società. Mao, ad es., ha insegnato a distinguere fra le contraddizioni particolari in cui si esplica la contraddizione generale, a distinguere una contraddizione principale da altre contraddizioni secondarie. Solo l’azione politica capace di risolvere la contraddizione principale di una certa società in un dato tempo merita la qualità di azione rivoluzionaria.

Per la dialettica materialistica il mondo nella sua interezza costituisce un’unità dialettica in continuo sviluppo, il mondo umano non può essere nettamente separato dal mondo della natura, la storia dell’umanità è comprensibile in riferimento al suo fondamento materiale, alla determinata forma sociale e tecnica di vita in cui gli uomini progettano e usano mezzi per trasformare e sfruttare l’ambiente naturale. L’unità uomo-natura, che si manifesta nella produzione, costituisce la base materiale della storia, la produzione reale della vita è il presupposto della formazione sociale. Fonte dei valori d’uso sono la natura e il lavoro, che è a sua volta manifestazione di una forza naturale, forza-lavoro, forza-invenzione, potenze che con il capitale diventano un puro oggetto di utilità e non sono più riconosciute come forze per sé.

In base alla dialettica materialistica anche il marxismo non è un sistema di pensiero definitivamente costituito (ad es. il problema dello Stato si pone entro la lettura complessiva del modo di produzione e di circolazione e dei rapporti di classe nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi). Già Marx non si lasciava guidare dall’esigenza di un astratto socialismo ideale, ben agghindato, traeva la visione di un futuro ordine comunitario dall’analisi scientifica delle dinamiche contraddittorie reali del sistema capitalistico. Marx ipotizzava che

  • con il processo di costruzione del socialismo le attività di lavoro e di vita cooperativa (società civile) si sarebbero unificate con la direzione collettiva (società politica);
  • base materiale del progetto comunista fosse la riappropriazione delle forze produttive da parte del proletariato.

Solo la concreta prassi umana, materiale e sociale, l’esperienza vivente dei soggetti e dei loro rapporti di forza, possono stabilire forme e tempi dell’unificazione fra le soggettività dei “mondi vitali” (reti sociali di aggregazione e collaborazione…) con le loro istanze di valore e di autovalorizzazione e le istituzioni politiche.

 

Blocco storico

Molto efficace nell’uso della dialettica materialistica è il concetto gramsciano di “blocco storico”, inteso come il risultato, in una certa situazione storica, del rapporto dialettico fra struttura e sovrastruttura. La reciprocità fra struttura e sovrastruttura è il processo dialettico reale, fra il contenuto (forze materiali) e la forma (ideologie). La realtà è la totalità del mondo in cui viviamo. Natura, società, cultura, l’azione e la riflessione dell’uomo entro la totalità in cui è immerso, manifestano la vicenda delle contraddizioni che formano e animano il tessuto della realtà, verità come essere che si manifesta nella realtà.

“Il concetto di blocco storico può essere assunto come il positivo, il negativo essendo le componenti che lo attuano, lo pongono in crisi e lo rovesciano” (Sichirollo).

 

Il Partito

Lenin s’è impegnato nella lotta filosofica dei materialisti contro gli adepti di Mach, la cui dottrina costituiva una varietà di positivismo, di idealismo soggettivo, una negazione del valore oggettivo delle conoscenze scientifiche. Per Lenin il sapere scientifico ha un carattere oggettivo, ma non assoluto, socialmente condizionato, approssimato. Le scienze sono libere costruzioni ipotetiche e sperimentali volte a rendere più ricche e vitali le esperienze individuali e sociali.

In Materialismo ed empiriocriticismo (1908) Lenin critica lo scientismo positivista e l’empiriocriticismo, che riduceva il mondo alle qualità sensoriali, ribadisce che in sede di dottrina della conoscenza va tenuto fermo come “dato primordiale” la materia, feconda, vera, potente e come dato secondario il pensiero, la sensazione. La conoscenza sta nell’eterno processo del movimento, della nascita e del superamento delle contraddizioni. Le generalizzazioni concettuali devono poggiare sulla materialità ontologica dei fatti, aperte ad una loro costante verifica da parte della prassi. “Le cose esistono indipendentemente dalla nostra coscienza e dalla nostra sensazione”. “La differenza è semplicemente fra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto”. “Nella teoria della conoscenza, come in tutti i campi della scienza, occorre ragionare dialetticamente, non presupporre che la nostra coscienza sia bell’è fatta e invariabile, ma esaminare in qual modo dall’ignoranza si passa alla conoscenza…”. “Il punto di vista della vita, della pratica, dev’essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza”.

Per Lenin il marxismo è in grado di cogliere i fenomeni nelle loro variazioni, senza rinchiuderli in concetti metastorici, immutabili. Respinge il materialismo rozzo, elementare, metafisico e, attraverso una lettura critica di Hegel, mette in primo piano la dialettica, da applicare come conoscenza vivente, multilaterale, conoscenza effettiva delle dinamiche sociali e di quelle delle forze oggettive della natura. Scriveva Lenin nel 1916 “La dialettica è precisamente la teoria della conoscenza di Hegel e del marxismo”, fornisce la chiave dell’automovimento di ciò che è, introduce la complessità (abolizione del vecchio, nascita del nuovo…), lo sviluppo irto di contraddizioni e di salti. Contraddizioni che sono anche dentro la realtà di classe del lavoro, nel contrapporsi fra il suo essere merce alienata (valore di scambio) e lavoro vivo, potenza creativa. Entro la condizione proletaria si svela l’opposizione fra una disponibilità della classe alla valorizzazione di sé come merce alienata (alla base del sindacato come amministratore delegato della forza-lavoro) e l’affermazione della libertà di vita, dell’esistenza di classe come corpo cooperativo indipendente.

Questa concezione dialettico-materialistica è esplicita nell’idea leninista della Forma-Partito.

Lenin, in cui tendevano a coincidere la passione rivoluzionaria e il rigore scientifico, era convinto che spontaneamente la classe operaia non poteva varcare i limiti della difesa degli interessi economici, ovvero di una mentalità subordinata all’ideologia borghese. Il lavoro vivo è forza vitale attiva nella produzione e riproduzione della società, scorre dentro e fuori il tempo imposto dal capitale. Il lavoro vivo è interno al capitale (“capitale umano”), costretto nelle istituzioni in cui è nato, pur prospettando continuamente le condizioni della propria liberazione. Il lavoro è insieme sottomissione e soggettività, definita simultaneamente dalla sua capacità di produzione positiva dell’essere, ricco di tutte le sue potenze, e dalla sua attitudine ad essere prodotta. Il movimento abbandonato alla sua spontaneità si frantuma, si disperde, non genera una coscienza politica. Solo organizzandosi in partito il proletariato afferma la propria autonomia e sente la gioia che la potenza del lavoro vivo produce.

Il partito è Indispensabile strumento di lotta per la trasformazione della società borghese in comunità di lavoro e di vita, organizzazione rivoluzionaria del proletariato divenuto “classe per sé” cosciente del proprio interesse oggettivo

  • alla liberazione della propria forza-invenzione e potenza sociale dalla sofisticata prigione che le rinchiude e porta via il tempo di vita,
  • alla propria missione storica rivoluzionaria di eliminare la propria condizione d’alienazione e sfruttamento, di affermare il lavoro vivo che produce vita e costituisce società nelle reti dinamiche della cooperazione.

Il Partito è lo strumento del lavoro vivo per rifiutare la propria astrazione nel processo di valorizzazione capitalistica, rifiutare l’etica capitalistica del lavoro che nega desideri e piaceri, mettere in campo una forma alternativa di valorizzazione: l’autovalorizzazione del lavoro, che produce qualità soggettive.

“Solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente d’avanguardia”. Non un chiuso corpo dottrinario, ma un metodo di indagine aperto, fondato sul rapporto fra coscienza ed essere sociale, capace di riflessione critica su di sé. Il partito si presenta come collettiva coscienza critica, elaboratore della teoria in quanto protagonista della prassi.

Il leninismo in senso ampio concerne il rapporto dialettico fra l’iniziativa soggettiva e la condizione oggettiva, il nesso fra organizzazione e masse, tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale, la linea d’azione del partito operaio dev’essere connessa all’analisi della formazione economica capitalistica e delle classi per raggiungere un controllo integrale del potere necessario alla ricostruzione strutturale progressiva del sistema produttivo e dei rapporti sociali verso una forma di vita comunitaria.

Lenin ci ha insegnato che Il comunismo va estrinsecato con azione consapevole e costante dalla presenza reale delle premesse fondative nel capitalismo e che il partito è la parte del proletariato più risoluta e capace di cogliere e di esprimere gli interessi generali della classe: riunificazione di società civile e politica, proprietà sociale dei mezzi di produzione fonte principale del progresso, autodeterminazione matura del popolo per il popolo, riappropriazione da parte del lavoratore collettivo del “cervello sociale”, del “general intellect”, delle forze produttive sociali. Il partito è lo strumento necessario perché l’antagonismo contro i meccanismi della coercizione e dell’alienazione della vita acquisti la forza necessaria per conquistare le nuove condizioni storiche al pieno dispiegarsi dell’invenzione, dell’intelligenza, della prassi creativa, liberate dal dominio del capitale. L’avanguardia comunista è funzione organizzata dell’affermarsi di una nuova autorità proletaria (egemonia), strumento adeguato a: 1) unificare in un progetto i mille rivoli delle esperienze, dei comportamenti, dei movimenti della classe, 2) tradurli in forza materiale d’organizzazione e di programma, di capacità offensiva (contropotere) e costruttiva, entro le dimensioni sociali della subordinazione (urbanistiche, sanitarie, scolastiche…) in cui il capitale procede alla formazione, espropriazione, coercizione, riproduzione della forza-lavoro.

Partito è organizzazione di lotta strategica, piena soggettività dispiegata verso un fine storico di negazione di ciò che esiste e insieme affermazione di ciò che si proietta in avanti, impegno soggettivo, volontà consapevole di esistenza materiale e culturale come nuova forma storica di ordine sociale omogeneo ed armonico.

Lenin ha correttamente derivato l’organizzazione di partito dalla necessità operaia di dissoluzione dell’irrazionalità del modo di produzione capitalistico nella sua feroce fase imperialista e di costruzione di istituzioni di potere qualitativamente nuove che, impegnando direttamente le masse nella gestione permanente del potere, doveva tendere a preparare l’autogoverno dei produttori, dopo aver distrutto la natura parassitaria dello Stato borghese sul corpo di classe. Istituzioni che avrebbero temprato i proletari in un processo di educazione permanente, per fare del lavoro il “fermento vitale” per conquistare il respiro universale, gli orizzonti liberi, i grandi spazi aperti della storia del comunismo.

Per Lenin la teoria marxista va sempre rielaborata per metterla in sintonia con i fenomeni salienti del mondo contemporaneo, occorre fornire al movimento operaio un’analisi approfondita della situazione economico-sociale (“lo stato delle cose presente”), compito che affronta con l’Imperialismo, in cui analizza il contesto economico del ventennio precedente la prima guerra mondiale (1896-1914), fase di intensa e rapida espansione dell’attività economica mondiale in tutti i settori, collegata a uno straordinario progresso tecnologico (energia elettrica, motore a scoppio…) e a massicci investimenti, con tendenza alla concentrazione e centralizzazione dei capitali in dimensioni kolossal negli Stati Uniti e in Germania, quel mondo capitalistico che, uscito dalla Prima guerra mondiale, ha subìto la crisi del 1929, la grande depressione degli anni ‘30 e il nazismo. Per Lenin l’imperialismo si qualifica come fase di un processo di trasformazione del capitalismo che evidenzia il suo carattere transitorio, la sua critica mira al cuore del sistema capitalistico: il capitale e la sua accumulazione sono il punto di partenza e di arrivo, motivo e scopo della produzione, che è solo produzione per il capitale (il far denaro), non per lo sviluppo del processo vitale per la società dei produttori. Quella di Lenin è una critica pratica, che appartiene all’analisi comunista della costruzione del soggetto rivoluzionario e del suo potere, dello sviluppo delle forze produttive sociali in conflitto con il fine ristretto della valorizzazione del capitale esistente, la contraddizione, irresolubile all’interno del sistema, tra sviluppo e socializzazione delle forze produttive da un lato ed espropriazione dall’altro.

Lenin ha insegnato che non tutte le situazioni rivoluzionarie sfociano nella rivoluzione, determinante è l’intervento della volontà rivoluzionaria delle masse, della coscienza, che “non solo rispecchia un mondo oggettivo, ma altresì lo crea”. La concezione leninista, che è stata ritenuta una forzatura soggettiva dell’evoluzione storica, mette ben a fuoco il ruolo della coscienza dei soggetti sociali in movimento (al di là delle identità atomistiche, individuali), coscienza che, in un contesto di lotta di egemonie, con una comprensione globale e attivante delle dinamiche storiche, ha fatto proprio l’intelletto scientifico in quanto intelletto sociale generale. Il territorio della razionalità è un campo di rapporti di forza. Secondo una locuzione di Weber il vero partito della borghesia è la scienza. Torna attuale, ma in chiave antipositivistica, la categoria di progresso inteso come “possibilità di dominare razionalmente la natura e il caso” (Gramsci). Il progetto espansivo di transizione al socialismo e l’egemonia operaia delegittimano la scienza nelle sue funzioni di comando, di armatura flessibile del dominio capitalistico, i portatori del progresso, come sviluppo umano, sono i lavoratori associati impegnati nel governo delle forze produttive sociali. Nella transizione le condizioni del processo vitale sono rimodellate in conformità del general intellect liberato, del lavoro vivo scientifico.

 

Conclusioni

La lezione di Lenin sta nell’aver affermato che l’azione rivoluzionaria non ha una copertura “ontologica”, non è regolato da inesorabili leggi oggettive, sta nell’aver dato alla rivoluzione la dimensione della soggettività, con la decisione di avanzare razionalmente in territori nuovi, inesplorati utilizzando una mappa cognitiva oggettiva, ma parziale, aperta agli approfondimenti.

Dunque, essere leninisti vuol dire partire oggi dallo “stato delle cose presente”, dalla situazione oggettiva, la formazione economico-sociale post-fordista, post-industriale, post-moderna, di sussunzione reale della società al capitale, caratterizzata da

  • forme flessibili di accumulazione, che hanno reso ogni attività umana lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale,
  • la globalizzazione del capitale finanziario e dei suoi apparati ideologici e di potere,
  • l’incorporazione della scienza, il mezzo più potente per ridurre il tempo di lavoro e aumentare il tempo di vita creativa e solidale dei lavoratori, in forza produttiva del capitale,
  • la precarizzazione di vita e lavoro nel dominio del mercato assoluto, dove ognuno per vivere deve trasformarsi in merce o funzionario degli apparati del capitale,
  • la crisi del Welfare State, descritta come crisi di un compromesso fra mondi vitali (ove predomina l’esperienza viva del soggetto) e istituzioni liberaldemocratiche, fra soggettività e governo politico dello sviluppo.

Situazione oggettiva in cui si è verificato il passaggio a ciò che è stato definito “società-fabbrica”, in cui i processi lavorativi produttivi di valore hanno investito l’intera società, tutta permeata dalle regole dei rapporti di produzione capitalistici, in cui è cresciuto d’importanza il lavoro immateriale, cognitivo, informativo, con dilagante intermittenza fra lavoro e disoccupazione, dentro il nichilismo mercatistico dove tutto è negoziabile, ecc.


* Docente di Diritto e scrittore; collaboratore di “Cumpanis”.

Riferimenti bibliografici
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Fistetti, Lenin e il machismo, Feltrinelli, 1977 V.I.
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Zizek, Lenin 0ggi, Ponte Alle Grazie, 2017

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