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sinistra

Tempi storici della lunga accumulazione capitalistica

di Massimiliano Tomba

Da L. BASSO , S. BRACALETTI , M. FARNESI CAMELLONE , F. FROSINI , A. ILLUMINATI , N. MARCUCCI , V. MORFINO, L. PINZOLO , P.D. THOMAS , M. TOMBA: Tempora multa. Il governo del tempo, Mimesis, 2013

Jacques Louis DavidIl lavoro che il capitale cerca di appropriarsi direttamente e indirettamente può presentarsi nelle forme più diverse: dal lavoro di cura svolto in famiglia, necessario per riprodurre la forza-lavoro, alla scienza, che, nel Capitale, è presentata come un caso di lavoro altrui appropriato senza pagarlo: «la scienza non costa in genere ‘niente’ al capitalista, il che non gli impedisce affatto di sfruttarla. La scienza ‘altrui’ viene incorporata al capitale, come lavoro altrui»1. Nel modo di produzione capitalistico «tutti i modi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese del lavoratore individuale; tutti i mezzi per lo sviluppo si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore»2. L’enfasi prometeica sullo sviluppo macchinico, ancora presente nei Grundrisse3, non ha più come esito il passaggio immediato al comunismo. L’«individuo sociale», per quanto suggestivo laboratorio di ricerca su un mutamento antropologico, lascia il posto allo storpiamento del singolo operaio, mettendo così in evidenza l’esito capitalistico di quel possibile mutamento. I mezzi per lo sviluppo della produzione, scrive Marx, «mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso», e non solo, ma

gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza au- tonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale4.

Le «potenze intellettuali [geistige Potenzen]» si accrescono, ma vengono incorporate nella scienza e nella macchina, nel capitale morto che succhia il sangue ai vivi. I computer non hanno liberato tempo, ma hanno dilatato il tempo di lavoro occupando anche la sfera privata. I telefoni portatili hanno reso reperibili in ogni luogo i lavoratori mobili. Non si tratta di guardare romanticamente a un passato precapitalistico, ma non si deve nemmeno enfatizzare lo sviluppo dei mezzi di produzione come portatori di una intrinseca possibilità di liberazione. I mezzi di produzione hanno un valore d’uso intrinsecamente capitalistico in quanto sono finalizzati all’aumento della forza produttiva del lavoro e alla sua intensificazione. La tecnologia che essi incorporano è segnata da quello stesso valore d’uso. Macchine e scienza non sono neutrali. Non sono nemmeno attraversate da un’intrinseca ambivalenza che ne racchiude splendide possibilità di liberazione. Esse, in sé, non racchiudono un solo atomo di liberazione. Ambivalente può invece essere il loro uso, quando è diretto contro il capitale. Contro la sua valorizzazione.

 

1. Dal Capitale ai Grundrisse e ritorno

La scienza, sia nell’esposizione del Capitale sia nei Grundrisse, funziona come forza produttiva oggettivata nel capitale fisso. Ciò che cambia tra le due esposizioni, tra il ’57-’58 e il 1867, è il contesto categoriale. Prendendo in considerazione un aumento della forza produttiva, Marx incorre in alcune difficoltà che derivano dal fatto di intendere il valore di scambio come tempo di lavoro effettivamente oggettivato in una merce, e non come tempo di lavoro socialmente necessario. Marx confonde ancora tasso di plusvalore e tasso di profitto. Non distingue tra valore e valore di scambio. Questi problemi, assieme a delle intuizioni geniali, convergono nel celebre Frammento sulle macchine.

In quelle pagine dei Grundrisse Marx delinea lo sviluppo capitalistico come un processo che comprende l’accumulazione di sapere nel cervello sociale, cosicché, ad un certo grado dello sviluppo, non sarebbe più il tempo di lavoro immediato a costituire la misura della ricchezza, ma la comprensione e il dominio della natura attraverso la sua esistenza come corpo sociale5. In ciò consisterebbe anche lo sviluppo dell’individuo sociale in quanto contrapposto all’individualità limitata dalla natura. Queste forme, che costituirebbero la reale ricchezza dell’individuo, possono dispiegarsi solo dopo aver abbattuto ciò che le produce e al tempo stesso le limita: il capitale. Questa contraddizione viene ricondotta da Marx a contraddizio- ne immanente al modo di produzione capitalistico, a contraddizione della ricchezza reale che si manifesta nella sproporzione fra il tempo di lavoro e la potenza del processo di produzione. La grande industria, potenziando la produttività attraverso l’uso delle macchine, ha ridotto ad un minimo il tempo di lavoro. Con l’individuazione di «questa nuova base» lo schema e le tensioni geschichtsphilosophisch sono predisposti: «Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d’uso»6. Dopo aver individuato il modo in cui il «il capitale lavora così alla propria dissoluzione»7 erodendo la legge secondo la quale il lavoro è misura del valore, non resta che concludere dicendo che «con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla»8. Nei Grundrisse è presente una teoria della crisi strettamente intrecciata a quella del crollo del capitalismo. L’immagine del crollo, cioè il crollo come immagine, è il fuoco dell’analisi marxiana. Il punto in cui vengono fatte convergere, come in una lente, le diverse linee dell’analisi della crisi. Il possibile esito politico, non l’esito necessario e immanente della crisi. È piuttosto il punto in cui l’analisi teorica si fonde alla prassi nell’atto di autosospendersi.

Quando, negli anni sessanta, Marx ripenserà la nozione di lavoro socialmente necessario in relazione al valore, le linee di fuga più schiettamente geschichtsphilosophisch diverranno impraticabili. Gli esiti della crisi economica della fine degli anni ’50 e la mancata auspicata rivoluzione in Europa, queste repliche della storia, obbligheranno Marx a ripensare l’intero quadro categoriale della propria analisi. Già nel 1858, riaffrontando lo stesso problema, Marx legge la crisi non più come il motore del processo rivoluzionario, ma come ciò che può implementare accumulazione e sviluppo capitalistico.

Per il Marx del Capitale il problema posto nei Grudrisse e relativo al collasso della legge del valore diventa privo di senso: non solo «le macchine non creano valore»9, ma la loro diffusione in una branca della produzione azzera anche la possibilità di ottenere il plusvalore straordinario che la loro introduzione sporadica permetteva:

[c]on l’introduzione generale [Verallgemeinerung] delle macchine in uno stesso ramo della produzione il valore sociale del prodotto delle macchine scende al suo valore individuale, ed entra in azione la legge per la quale il plusvalore non deriva dalle forze-lavoro sostituite dal capitalista con le macchine, bensì, al contrario, dalle forze-lavoro che egli impiega per il loro funionamento10.

Quando un’innovazione tecnologica si è diffusa, l’accresciuta forza produttiva del lavoro ottenuta attraverso il suo impiego diventa socialmente dominante e viene meno la possibilità di prelevare quote di plusvalore sociale per mezzo della produzione di plusvalore relativo. Le macchine, quindi, non creano valore, ma trasferiscono al prodotto il proprio valore. Queste forze artificiali sono però capaci di prolungare la giornata lavorativa al di là di ogni limite naturale: non solo fino al logoramento fisico e psichico dei lavoratori, confondendo il giorno e la notte, ma anche, per mezzo di una accresciuta forza produttiva, fino ad ottenere giornate di trenta ore nei limiti naturali delle ventiquattro. Il tempo assoluto newtoniano cessa di essere la ‘misura naturale’, al suo posto subentra il tempo del lavoro socialmente necessario, misura universale del lavoro umano sussunto nel capitale.

Nei Grundrisse Marx cerca di dialettizzare il rapporto tra le nuove forme di produzione innescate dal dominio del capitale e la modificazione della natura umana in un nuovo soggetto, per il quale la dilatazione del tempo di ozio è da un lato espressione dell’innovazione tecnologica nella produzione, e dall’altro motore per una sempre crescente automazione della produzione. Il prometeismo nutre fiducia nella tendenza del capitale in quanto rivoluzione permanente: bisogna solo individuare la tendenza, accentuarla e darle poi un colpo finale. Sviluppo, tendenza, crisi. Queste coordinate tengono assieme le pagine marxiane sulle forme precapitalistiche e quelle ‘avveniristiche’ del Frammento sulle macchine. Bisogna tenere i Quaderni IV e V nella mano sinistra e il Quaderno VII nella destra, poiché le riflessioni sull’andres Subjekt e sull’individuo sociale stanno sia al termine dell’analisi sui modi di produzione precapitalistici sia nelle battute finali del Frammento sulle macchine11. Le forme precapitalistiche, prigioniere dei rapporti esistenti come loro limite naturale, non sono in grado di produrre il «libero e completo sviluppo» dell’individuo e della società12. Solo il modo di produzione capitalistico crea le basi per l’individuo sociale: un individuo che ha tagliato il cordone ombelicale che lo legava alla natura e fa della società la sua propria natura. Il concetto marxiano di individuo sociale evoca una sorta di acme dello sviluppo capitalistico, il punto in cui lo sviluppo delle forze produttive muta anche la natura umana. La questione viene ripresa nel Quaderno VII, all’altezza del Frammento sulle macchine. Qui lo «sviluppo [Entwicklung]» individuale viene letto in relazione allo sviluppo della produzione macchinica in una tensione geschichtsphilosophisch sempre crescente e infine scaricata sul crollo della produzione basata sul valore di scambio13. Nello stesso quaderno VII Marx cerca di costruire una polarità dialettica tra il «ricco sviluppo dell’individuo sociale» e lo sviluppo delle forze produttive. La tensione prodotta viene scaricata sulla soppressione «dell’autovalorizzazione del capitale» e infine sul «crollo violento del capitale [violent overthrow]» stesso14. Gli schemi storici delle forme precapitalistiche vengono impiegati con funzione proiettiva:

Queste indicazioni, unite all’esatta comprensione del presente [richtige Fas- sung des Gegenwärtigen], offrono poi anche la chiave per intendere il passato [Verständnis der Vergangenheit] – che è un lavoro a sé a cui speriamo di arrivare. Questa osservazione esatta porta d’altra parte a individuare anche dei punti nei quali c’è l’indizio di un superamento dell’attuale forma dei rapporti di produzione – e quindi un presagio del futuro [foreshadowing der Zukunft], un movimento che diviene15.

Il Verständnis der Vergangenheit unito a una richtige Fassung des Gegenwärtigen dovrebbe gettare una luce sul futuro – foreshadowing der Zukunft. Bisogna leggere i Grudrisse facendo attenzione alle ricorrenze di alcuni sintagmi, alla loro collocazione nei contesti di senso. Non ci si può aggirare fra quelle pagine come lo si farebbe in un self service. Non si può prendere una portata e lasciare il contorno. Viene servito l’intero menu. Filosofia della storia e crollismo inficiano l’intero impianto dei Grundrisse. Esso va preso cum grano salis. Leggendolo alla luce della riflessione posteriore.

Il crollismo del Frammento sulle macchine è la cifra di una piega politica che Marx voleva dare alla propria riflessione a ridosso di una crisi economica; ma esso porta anche i segni di un’opacità categoriale su punti assolutamente fondamentali per la comprensione del rapporto tra plusvalore assoluto e relativo16. Negli anni ’50 Marx non ha ancora definito la nozione di valore. L’incipit dei Grundrisse – «II. Il Denaro» – rimanda ad un primo capitolo, non ancora scritto, sul valore. È dunque falso sostenere che nel Frammento sarebbe celebrato il tracollo della legge del valore dal momento che tale legge doveva ancora essere maturata. Questo lavoro teorico avverrà negli anni sessanta. Ancora nella prima edizione del Capitale (1867) vi sono dei problemi teorici in parte rivisti nell’appendice scritta su suggerimento di Engels ed in parte ulteriormente rielaborati nella seconda edizione (1873)17. Ma rilevante, per la questione posta dal Frammento, è il fatto che qui Marx non aveva ancora definito la propria nozione di lavoro socialmente necessario come lavoro che, in una determinata quantità, si oggettiva in valore di scambio.

In una lettera dell’8 ottobre 1858, dopo aver scritto le centinaia di pagine dei Grundrisse e dopo aver visto dileguare la crisi senza alcun crollo del modo di produzione capitalistico, Marx abbozza ad Engels un primo bilancio della riorganizzazione del capitale dopo la crisi:

Non possiamo negare che la società borghese ha rivissuto per la seconda volta il suo sedicesimo secolo, dal quale spero che sarà sepolta così come fu chiamata in vita dal primo. Il vero compito della società borghese è la creazione del mercato mondiale [Weltmarkt], almeno nelle sue grandi linee, e di una produzione che poggi sulle sue basi. Siccome il mondo è rotondo, sembra che questo compito sia stato portato a termine con la colonizzazione della California e dell’Australia e con l’apertura della Cina e del Giappone. Ecco la questione difficile per noi: sul continente la rivoluzione è imminente e prenderà anche subito un carattere socialista. Non sarà necessariamente schiacciata [gecrusht] in questo piccolo angolo del mondo, dato che il movement della società borghese è ancora ascendant su un’area molto più vasta?18

In questa lettera ci sono le coordinate del lavoro teorico e politico di Marx degli anni Sessanta. A leggerla con attenzione, alla luce della riflessione successiva, si può intravedere lo scarto rispetto all’elaborazione dei Grundrisse. Marx pone tre questioni cruciali. Il «secondo sedicesimo secolo» del capitalismo obbliga a pensare l’accumulazione di lunga durata: l’accumulazione capitalistica non va confinata nella protostoria del modo di produzione capitalistico. In secondo luogo non solo l’analisi teorica, ma anche quella politica, devono essere pensate all’altezza del Weltmarkt. Il mondo è rotondo è il mercato mondiale mette in relazione le diverse aree geografiche e le diverse forme di sfruttamento. Il capitalismo non può più essere analizzato guardando solo ai Paesi dove esso è maggiormente sviluppato. E tanto meno si può pensare che questi costituiscano il locomotore che traina gli altri vagoni. Infine, e proprio da queste considerazioni, Marx si chiede e interroga l’amico sulle possibilità di successo che può avere una rivoluzione non in un solo Paese, ma anche in Europa, a fronte della mondializzazione del mercato. Senza una prospettiva internazionale la rivoluzione sarà necessariamente schiacciata. Questi tre punti, che costituiranno la tavolozza di lavoro di Marx per gli anni successivi, saranno invece ignorati da molto marxismo novecentesco. E con gravi conseguenze. Mentre Marx dopo la crisi della fine degli anni ’50 ha cercato un riposizionamento categoriale e politico all’altezza del mercato mondiale, indagando i rapporti tra le diverse forme di sfruttamento, molto marxismo ha optato per le vie complementari del socialismo in un paese solo e del comunismo nei punti alti dello sviluppo capitalistico.

Con quei problemi in mano, Marx inizia a ripensare l’intero impianto categoriale della propria analisi. Da queste analisi, e dal confronto con forme diverse di produzione e forme diverse di insorgenza, Marx apre, senza volerle sempre percorrere fino in fondo, nuove prospettive. Diventa possibile pensare il modo di produzione capitalistico non secondo uno schema scandito da genesi, sviluppo e crisi, ma piuttosto come una combinazione sempre presente di quei tre momenti e delle loro temporalità. L’accumulazione originaria (ursprüngliche Akkumulation) andava pensata non come una forma iniziale, ma piuttosto come una modalità sempre presente di estorsione di plusvalore19. Alcune riflessioni marxiane all’altezza del Capitale andavano in questa direzione. Non sempre Marx sviluppò quelle intuizione fino alle estreme conseguenze. Ma qui era racchiusa la possibilità di una lettura non storicistica dei diversi modi di produzione20.

 

2. La lunga accumulazione capitalistica

Quando, nel Capitale, Marx analizza l’accumulazione originaria, ha un obiettivo diverso da quello che informa l’analisi delle forme produttive precapitalistiche nei Grundrisse. Qui Marx era alla ricerca di una teoria del crollo di una forma di produzione e del passaggio ad una forma superiore. Nel Capitale la sua attenzione si dirige altrove. Tanto che, tra la prima e la seconda edizione del primo Libro interviene per smussare alcune enfasi sulla Entwicklungsgeschichte: la «successione dei processi storici [Reihe historischer Prozesse]» lascia il posto all’analisi del caso inglese21, dove la transizione al modo di produzione capitalistico viene indagata facendo attenzione alle «leve violente [gewaltsame Hebeln]» che l’hanno permessa. Si tratta della violenza statale (Staatsgewalt) che operò potentemente la dissoluzione del sistema feudale. Le scansioni storiche esposte da Marx corrispondono alla cronaca di quella nascita:

  • lo «scioglimento dei seguiti feudali» del XV e XVI secoli gettò sul mercato del lavoro una massa di proletari eslege (vogelfreie Proletarier)22;
  • la Riforma e il furto dei beni ecclesiastici diede nuovo impulso al processo d’espropriazione forzosa della massa della popolazione, pauperizzandola23;
  • con la restaurazione degli Stuart venne abolita la costituzione feudale del suolo24. Se una massa di proletari era stata prodotta attraverso la dissoluzione del sistema feudale, bisognava ora disciplinarla, farla muovere non più al tempo della Chiesa, ma a quello cronometrico del mercato;
  • alla fine del XV secolo prende forma in tutta Europa una «legislazione san- guinaria contro il vagabondaggio»25;
  • nel 1530 Enrico VIII prevede «per i vagabondi sani e robusti» frusta e prigione. «Debbono esser legati dietro a un carro e frustati finché il sangue scorra dal loro corpo; poi giurare solennemente di tornare al loro luogo di nascita oppure là dove hanno abitato gli ultimi tre anni e ‘mettersi al lavoro [to put himself to labour]’. […] Quando un vagabondo viene colto sul fatto una seconda volta, la pena della frustata deve essere ripetuta e sarà reciso mezzo orecchio; alla terza ricaduta invece il vagabondo dev’essere considerato criminale indurito e nemico della comunità e giustiziato come tale»26;
  • nel 1547 Edoardo VI «ordina che se qualcuno rifiuta di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona che l’ha denunciato come fannullone»27;
  • nel 1572 Elisabetta ordina che i mendicanti di più di 14 anni debbano essere frustati duramente e bollati a fuoco al lobo dell’orecchio sinistro, se nessuno li vuol prendere a servizio per due anni, e alla terza recidiva devono essere giustiziati come traditori dello Stato28;
  • Giacomo I (1603-1625) ordinò poi di bollare a fuoco con una ‘R’ sulla spalla sinistra e mettere ai lavori forzati i vagabondi incorreggibili e pericolosi.

Come insegna il caso delle colonie americane, la fuga dei dipendenti costituisce il problema fondamentale dell’accumulazione di capitale dal 1500 al 180029. L’obiettivo della legislazione inglese dei secoli XVI e XVII è l’immobilizzazione e il disciplinamento della forza-lavoro, anche attraverso la schiavitù che, «anziché rappresentare un’escrescenza anormale nelle colonie, […] costituisce una risposta autoritaria, piuttosto omogenea, di controllo della mobilità sul mercato del lavoro europeo e nordamericano di cui l’indenture è una particolare declinazione»30. La schiavitù capitalistica non riguarda l’uomo non libero, ma sorge piuttosto dal controllo del lavoro salariato libero. È una sua variante disciplinata. Non è la tratta che produce lo schiavo, ma è il lavoro salariato vincolato che produce le forme moderne della schiavitù31. L’accumulazione non è confinabile in un momento storico situato agli albori del modo di produzione capitalistico32 ma viene invece costantemente riprodotto dallo stesso modo di produzione capitalistico. Il problema che Marx riesce a porre alla fine degli anni ’60, a differenza di quanto scriveva nella sezione sulle «Forme che precedono la produzione capitalistica» nei Grundrisse, riguarda la compresenza di diverse forme di sfruttamento, il loro intreccio a partire dal rapporto tra plusvalore assoluto e plusvalore relativo33. A partire dal bisogno capitalistico di ottenere quantità sempre maggiori di plusvalore assoluto in grado di supportare il lavoro potenziato attraverso innovazioni tecnologiche. Da qui l’importanza di mezzi extraeconomici per riuscire a spremere quanto più plusvalore possibile da grandi masse di lavoratori: il potere statale di disciplinamento dei lavoratori cinesi; le nuove forme di lavoro coatto in Brasile; razzismo e produzione di insicurezza dei lavoratori migranti nelle metropoli occidentali34. Il processo di accumulazione è caratterizzato, come già Rosa Luxemburg aveva colto nel 1913, dall’intervento di elementi extraeconomici. Una differenza importante rispetto alla tesi della Luxemburg riguarda il fatto che l’accumulazione non necessita di spazi non-capitalistici, ma si dà in un mercato mondiale dove tutto ciò che entra in commercio entra anche in concorrenza mettendo a profitto differenze tra salari, intensità e forze produttive del lavoro. Questi elementi sono determinati anche da fattori extraeconomici, quali l’imposizione di nuove divisioni etniche del lavoro o l’assoluta ricattabilità dei lavoratori migranti sprovvisti di permesso di soggiorno35. Così accanto al terrorismo della separazione tra mezzi di produzione e lavoratori36, si dà anche il continuo ricorso a violenti strumenti extraeconomici per aumentare lo sfruttamento assoluto della forza lavoro sia in intensità sia in estensione.

Il teatro della genesi del modo di produzione capitalistico è l’orbe terracqueo. Sterminio, riduzione in schiavitù e caccia alle pelli neri sono gli atti di questa fondazione:

La scoperta delle terre aurifere e argentifere in America, lo sterminio e la riduzione in schiavitù della popolazione aborigena, seppellita nelle miniere, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali, la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia commerciale delle pelli nere, sono i segni che contraddistinguono l’aurora dell’era della produzione capitalistica. Questi procedimenti idilliaci sono momenti fondamentali dell’accumulazione origina- ria. Alle loro calcagna viene la guerra commerciale delle nazioni europee, con l’orbe terracqueo come teatro37.

Secondo Marx i vari momenti dell’accumulazione originaria, che dapprima paiono distribuirsi in «successione cronologica (zeitliche Reihenfol- ge)» e geografica, dal colonialismo spagnolo fino alle guerre commerciali europee, vengono infine, già a partire dal secolo XVII, «combinati sistematicamente (systematisch zusammengefaßt)» in Inghilterra «in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionismo moderni»38. Tutti questi sistemi si servono della Gewalt statale. Da qui l’attenzione di Marx alle «leve violente» dello Stato. Il Capitale è scritto a strati in tensione fra loro. Non va letto in progressione, perché alcuni capitoli finali funzionano da detonatore per i precedenti. Una di queste micce è piazzata nel capitolo sull’accumulazione. Bisogna scompaginare il paragrafo sulla legislazione di fabbrica e disporne i fogli accanto a quelli relativi alla cosiddetta accumulazione originaria. Si vedrà l’attenzione con la quale Marx segue gli interventi statali in relazione alla lotta di classe e alla dissoluzione di determinate forme sociali.

Se la generalizzazione della legislazione sulle fabbriche quale mezzo di difesa fisico e intellettuale della classe operaia è diventata inevitabile, essa, d’altra parte, generalizza e accelera, come già è stato accennato, la trasformazione di processi lavorativi dispersi, compiuti su scala minima, in processi combinati su scala larga, sociale, e con ciò la concentrazione del capitale e il dominio esclusivo del regime di fabbrica. Essa distrugge tute le forme antiquate e transitorie, dietro le quali si nasconde ancora in parte il dominio del capitale, e le sostituisce con in suo dominio diretto, senza maschera. Essa rende così generale anche la lotta diretta contro questo dominio39.

Se gli interventi della Gewalt pubblica dal XVI secolo in avanti avevano favorito la formazione di un esercito di lavoratori salariati e contribuito alla distruzione delle autorità cetuali, Marx cerca di cogliere l’ambivalenza degli interventi statali relativamente alla legislazione sulle fabbriche. Questi interventi richiesti dai lavoratori per migliorare le condizioni di lavoro producono anche una concentrazione di capitale. In questo processo vengono poi dissolte forme produttive e autoritative, cosicché l’antagonismo di classe assume una forma più schiettamente capitalistica. Si tratta di tendenze fra loro contraddittorie in quanto risultanti dall’urto con le controtendenze della lotta di classe. Lo storiografo materialista mostra la possibilità di una nuova formazione sociale dentro gli elementi di rivoluzionamento della vecchia società40. La violenza statale viene colta come momento di una ambivalenza: là dove essa distrugge delle forme, si aprono anche nuove possibilità se solo si riesce a cogliere come quell’azione statale è il prodotto relativamente autonomo della lotta alla lotta di classe. È in questo senso che Marx definisce la violenza (Gewalt) «la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova»41. Questa affermazione di Marx, tanto scandalosa da dover essere esorcizzata come filosofia violenta della storia o come apologia della violenza tout court, si riferisce proprio al potere dello Stato. Questa violenza concentrata e organizzata ha agito come «potenza economica [ökonomische Potenz]» là dove ha contribuito alla trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico. Si tratta della violenza coloniale, del trattamento delle popolazioni delle colonie da parte dell’Europa cristiana, dell’amministrazione coloniale olandese, del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava42. Il sistema coloniale favorì lo sviluppo del sistema industriale capitalistico, ma non si tratta di una storia progressiva. Il materiale storico montato da Marx in queste pagine serve per raccontare la controstoria di uno sviluppo che ebbe luogo attraverso il «grande ratto erodiano degli innocenti»43. Il capitale si afferma nella scena mondiale con il sangue e dispiegando fin da subito il suo lato mortifero: «Dove gli Olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento»44. Questa violenza diventa estrema «nelle piantagioni destinate soltanto al commercio di esportazione, come nelle Indie Occidentali, e nei paesi ricchi a densa popolazione, abbandonati alla rapina e all’assassinio, come il Messico e le Indie Orientali»45. Diventa estrema là dove deve strappare forza-lavoro da impiegare in piantagioni nelle quali il ritmo e l’intensità di lavoro è regolato sugli orologi delle borse mondiali. La schiavitù, sussunta nel modo di produzione capitalistico in quanto diviene lavoro destinato al commercio, assume una nuova forma. Così, con lo sviluppo del «carattere internazionale del regime capitalistico», «tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale»46. Le forme di lavoro schiavistiche in quanto entrano nel mercato mondiale in tanto non sono più residui di altri tempi. La rete del mercato mondiale (das Netz des Weltmarkts) tiene assieme non solo diverse forme di sfruttamento combinandole sincronicamente, ma mette anche in contatto le diverse popolazioni lavoratrici.

Qui Marx indica non solo il piano dell’analisi all’altezza del presente, e cioè la combinazione delle forme di sfruttamento nel Weltmarkt, ma anche il livello che deve assumere l’organizzazione operaia. Contemporaneamente, mostrando come la violenza statale abbia funzionato da potenza econo- mica, mostra anche il possibile controuso operaio dello Stato. Tenendo in tensione il capitolo sulla cosiddetta accumulazione originaria con quello sulla grande industria, è possibile leggere la storia del ruolo della Gewalt statale dentro le forme sociali e politiche. Si possono rileggere le pagine sulla legislazione di fabbrica e sull’obbligo scolastico come interventi tesi a modificare i rapporti sociali. Come episodi della lotta di classe nei quali la classe operaia riesce a spingere lo Stato dalla propria parte.

Nelle dinamiche conflittuali che hanno portato alla legislazione sulle fabbriche lo Stato presenta una sua relativa autonomia. Lo Stato è al servizio della classe dominante in quanto è parte nella lotta alla lotta di classe, in quanto la sua funzione è quella di neutralizzare il conflitto, ma proprio svolgendo la sua funzione svolge un ruolo relativamente autonomo. La dinamica del conflitto e delle forze in campo può portare lo Stato ad emanare una legislazione che limita l’autocrazia del capitale in fabbrica e la sua natura distruttiva dentro e fuori la fabbrica.

L’intervento dello Stato, in quanto non neutrale ma, come parte nella lotta di classe, nemmeno sempre riducibile agli interessi della classe dominante, va colto nelle ambivalenze della sua relativa autonomia. Interessa a Marx il suo uso operaio, ad esempio nelle legislazione sulla giornata lavorativa o sulla famiglia. Attraverso una legge universale sulla giornata lavorativa infatti, una vittoria della classe lavoratrice in un segmento della produzione o in una serie di battaglie, diviene valida per l’universalità della classe. Diventa così una vittoria politica della classe operaia. Marx dedica un intero paragrafo della IV sezione alla legislazione sulle fabbriche. Cogliendo la dinamica di questa legislazione strappata al capitale, Marx continua a ragionare sulla relativa autonomia dello Stato. Questo non è immediatamente coincidente con gli interessi della classe dei capitalisti. Può anche entrare in conflitto con il capitale: l’Atto sulle fabbriche del 1864 che, con l’autorità dello Stato, impose misure sanitarie e igieniche per i luoghi di lavoro, produsse come contraccolpo la trasformazione delle piccole officine in fabbriche47.

Analizzando l’accumulazione originaria di capitale Marx mostra la «serie di metodi violenti [Reihe gewaltsamer Methoden]» che ne scandiscono la storia. Il capitolo sull’accumulazione di capitale non sta all’inizio, ma alla fine del primo libro del Capitale. Nelle ultime pagine Marx delinea la Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica. Per Marx le tendenze hanno concretezza solo in tensione e contrapposizione con le controtendenze. Così se c’è una tendenza alla centralizzazione dei capitali e alla crescita dello sfruttamento, c’è anche una crescita della «ribellione della classe operaia»48. Nel senso che la tendenza capitalistica non è una linea retta, ma una linea spezzata dai controtempi della lotta operaia. C’è in Marx un rapporto affatto originale tra scienza e politica. La scienza non è ancora tale finché non si è fissata in immagine capace di evocare e farsi carico di vecchie e nuove insorgenze operaie. Scrivere la storia del modo di produzione capitalistico è possibile solo attraverso quelle immagini. La forma capitalistica è come oggi la vediamo non perché essa ha seguito lo sviluppo immanente del concetto di valore, ma perché qui è stata portata dalle insorgenze proletarie in rapporto antagonistico con il processo di valorizzazione. Dalle controstorie che fanno la storia e dalle controtendenze che fanno la tendenza49.

Quando Marx scrive che «la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di un processo naturale [Notwendigkeit eines Naturpro- zesses], la propria negazione», questi termini vanno presi sul serio. Marx non sta naturalizzando una fatalità storica. Nel contesto del capitolo 24 sta ragionando sulle tendenze storiche del modo di produzione capitalistico. E quindi sulle sue controtendenze. Lo dice in ‘hegelese’. Il Naturprozess è produzione dell’identico e del non-identico. Del valore come telos del processo di valorizzazione, e del lavoro vivo come sangue vitale vampirizzato dal capitale da un lato, riottosità verso lo sfruttamento, dall’altro50. E quindi ad esso contrapposto. Il vampiro vive del sangue dei mortali, ma questi, appena possono, gli impiantano un paletto di legno nel cuore. Il Capitale racconta questo multiversum storico. Il lavoro vivo è condizione di possibilità del capitale, ma anche sua negazione. La «negazione della negazione» di cui parla Marx non è, come hanno voluto vedervi marxisti ortodossi e loro critici liberali, una legge dialettica applicata alla storia. Essa esprime piuttosto la possibilità che si apre in una asimmetria. Il capitale non può esistere senza lavoro vivo, mentre il lavoro vivo può esistere ed anzi realizzarsi senza capitale. In questa tensione si dà la possibilità del novum. La Negation der Negation è dunque l’istante di una lotta, l’azione delle controtendenze sulla tendenza. La sospensione della legge del valore. Nelle pagine finali della IV sezione dedicata a macchine e grande industria, dopo aver illustrato il regime di caserma della grande industria, Marx ci fornisce un ulteriore affresco delle conseguenze del nuovo regime industriale sulla vita dei lavoratori:

La natura della grande industria porta con sé variazioni del lavoro, fluidità delle funzioni, mobilità dell’operaio in tutti i sensi. Dall’altra parte essa riproduce la antica divisione del lavoro con le sue particolarità ossificate, ma nella sua forma capitalistica. Si è visto come questa contraddizione assoluta elimini ogni tranquillità, solidità e sicurezza delle condizioni di vita del lavoratore, e minacci sempre di fargli saltare di mano col mezzo di lavoro il mezzo di sussistenza e di render superfluo il lavoratore stesso rendendo superflua la sua funzione parziale; e come questa contraddizione si sfoghi nell’olocausto ininterrotto della classe operaia, nelle sperpero più sfrenato delle energie lavorative e nelle devastazioni derivanti dall’anarchia sociale. Questo è l’aspetto negativo. Però (Wenn aber)… 51

Se tutto questo è l’aspetto negativo, quel «aber» prelude a qualcosa di positivo. Non è un rovesciamento dialettico. È invece la compresenza di forze antitetiche dentro la situazione reale. Poiché la forma del modo di produzione capitalistico è caratterizzata dal rapporto antagonistico con la classe operaia, le tracce di questo antagonismo devono potersi ritrovare anche nelle forme istituzionali. Quel «però» non indica il punto del rovesciamento, ma l’incipit della seconda voce della fuga.

Però, se ora la variazione del lavoro si impone soltanto come prepotente legge naturale e con l’effetto ciecamente distruttivo di una legge naturale [blind zerstörenden Wirkung eines Naturgesetzes] che incontra ostacoli dappertutto [überall auf Hindernisse stößt], la grande industria, con le sue stesse catastrofi, fa sì che il riconoscimento della variazione dei lavori e quindi della maggiore versatilità possibile del lavoratore come legge sociale generale della produzione e l’adattamento delle circostanze alla attuazione normale di tale legge, diventino una questione di vita o di morte. Per essa diventa questione di vita o di morte […] sostituire all’individuo parziale [Teilindividuum], mero veicolo di una funzione sociale di dettaglio, l’individuo totalmente sviluppato [das total entwickelte Individuum], per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si danno il cambio l’uno con l’altro. Un elemento di questo processo di sovvertimento [Umwälzungsprozess] […] sono le scuole politecniche e agronomiche, un altro elemento sono le écoles d’enseignement professionel nelle quali i figli dei lavoratore ricevono qualche istruzione in tecnologia e nel maneggio pratico dei differenti strumenti di produzione. Se la legislazione sulle fabbriche [Fabrikgesetzgebung], che è la prima concessione strappata a gran fatica al capitale, combina col lavoro di fabbrica soltanto l’istruzione elementare, non c’è dubbio che l’inevitabile conquista del potere politico da parte della classe operaia conquisterà anche all’istruzione tecnologica teorica e pratica il suo posto nelle scuole degli operai52.

La legislazione sulle fabbriche non cade dal cielo, non è la concessione di uno Stato paternalista, ma è una delle conquiste della classe operaia sul terreno concreto della lotta di classe. Per questo il crescendo finale della pagina marxiana sulla conquista del potere da parte della classe operaia e l’istruzione tecnologica teorica e pratica per gli operai. L’istruzione è una conquista. Allo stesso modo l’individuo parziale (Teilindividuum) lascia il posto all’individuo totalmente sviluppato (das total entwickelte Individuum) non dentro un processo lineare di sviluppo capitalistico, ma come dinamica intrecciata al controcanto della classe operaia e a ciò che essa strappa nella lotta al capitale. Questo, d’altra parte, lasciato libero di procedere secondo la propria natura, mortifica e porta allo sfinimento fisico e spirituale la classe operaia. Ma l’effetto ciecamente distruttivo (blind zer- störenden Wirkung) della sua legge incontra ovunque ostacoli (überall auf Hindernisse stößt), che lo riorientano e lo obbligano a scendere a compromessi. Qui il discorso marxiano sull’istruzione obbligatoria, che cerca di strappare i bambini all’ottundimento e alla catastrofe fisica derivanti da un lavoro di fabbrica che li occupa per l’intera giornata. Servendosi di quei semilavorati che sono i Reports degli ispettori di fabbrica, Marx descrive i giovani sostituti della forza lavoro delle tipografie londinesi come «creature del tutto inselvatichite e anormali», che quando diventano inabili al lavoro, «diventano reclute del delitto» e che «per la loro ignoranza, la loro rozzezza e per la loro degradazione fisica e morale» sono impossibilitati a trovare nuove occupazioni53. L’utilizzo marxiano dei Reports non è finalizzato a suscitare scandalo morale. Quelle condizioni di lavoro venivano raccontate dagli ispettori di fabbrica, e Marx non vi aggiunge pressoché nulla. Ciò che Marx compie è il montaggio di questi materiali, facendoli diventare parte integrante della teoria critica. La tecnica marxiana del montaggio deve ancora essere studiata. Le pagine nelle quali Marx ricopia i rapporti degli ispettori di fabbrica vanno lette e comprese all’altezza della sua esposizione categoriale. Se le si omette non si coglie l’oggetto specifico del Capitale. Lo si trasforma in un’opera di economia politica, e non di Critica dell’economia politica, quale invece è. Marx non espone il capitale e i rapporti capitalistici con la calma con la quale l’entomologo indaga il suo oggetto di ricerca, ma assume invece il punto di vista dell’oggetto, o, meglio, del lato soggettivo dell’oggetto. Rispetto ai Grundrisse, il Capitale non contiene un ‘di meno’ di lotta di classe, ma anzi riarticola la lotta di classe fin dentro il piano categoriale dell’esposizione. Smontando e rimontando quei Reports fino a farli diventare materiale teorico, Marx sviluppa un’idea di critica che non è indignazione di fronte all’abbrutimento, ma strategia storiografica tesa a mostrare da un lato ciò che nel reale è agente come possibilità54, e dall’altro pronta a innescare nel presente la miccia per far saltare le cariche di esplosivo del passato. Marx mostra il basso continuo della violenza extraeconomica senza la quale il modo di produzione capitalistico non riuscirebbe a sostenersi e non sarebbe mai riuscito a nascere. Ma in questa immane storia di violenza Marx mostra anche come la classe operaia non sia stata una massa di vittime inerti, ma al contrario abbia interagito con la violenza statale esercitandone una propria. La violenza esercitata dalla classe operaia ha tracciato i vettori di controtendenza: i controtempi dello sviluppo capitalistico. E se oggi esiste ancora un mondo lo dobbiamo alla forza di quelle controtendenze.

 

3. Strati di tempo

Marx lavora costantemente alla costruzione di un arco voltaico tra la violenza esercitata nel passato dalla classe lavoratrice e le lotte del pre- sente. La scintilla può scoccare solo dentro quella tradizione, prendendo parte per la controstoria delle lotte del movimento operaio. La storiografia inaugurata da Marx aveva capito in anticipo quanto sarebbe stata nefasta una storiografia delle vittime. Com’è quella novecentesca dei cantori funebri dei totalitarismi.

Il modo di produzione capitalistico in quanto è caratterizzato dalla valorizzazione come proprio fine può certamente essere descritto in termini di tendenza, ma questa è di per sé astratta come lo è il dominio del valore. Una tendenza del modo di produzione capitalistico in quanto tale non si dà mai. La tendenza deve essere sempre colta nella contingenza, nel complesso delle controtendenze. La storia del capitale è sempre sottomessa ai tempi discontinui dei rapporti di scambio, di sfruttamento e di dominio, mostrandosi «come un processo di determinazione ritmica, che inverte continuamente nuove armonie in disarmonie»55. Il modo di produzione capitalistico, lasciato libero di svilupparsi, di realizzare la propria tendenza, si presenterebbe come un immane processo di distruzione che non solo abbasserebbe i salari fino alla soglia minima di sopravvivenza dei lavoratori, ma desertificherebbe anche l’intero pianeta. Vi sono però controtendenze che riorientano continuamente quella tendenza, cosicché quando Marx parla di tendenza lo fa come un pittore che dà le prime pennellate per lo sfondo, sul quale dovranno poi prendere corpo le figure reali. Le controtendenze, che, in ultima istanza, sono le sole a fare veramente la tendenza.

L’ultimo Marx diverrà particolarmente attento alle possibilità di combinazione politica dei tempi storici. Fin dalla risposta alla redazione dell’O- tecestvennye Zapiski, il problema marxiano è costituito dall’individuazione di una via alternativa rispetto a quella della civilizzazione capitalistica imboccata dall’Europa occidentale. È questa domanda che porta Marx a leggere e annotare Ancient Society (1877) di L.H. Morgan. Continui sono, nelle annotazioni, i riferimenti di Marx agli Slavi in relazione all’organizzazione comunistica delle famiglie originarie56. La «storia della decadenza delle comunità primitive (si commetterebbe un errore a volerle mettere sulla stessa linea [sur la même ligne]; come nelle formazioni geologiche [formations géologiques], ci sono, nelle formazioni storiche, tutta una serie di tipi primari, secondari, terziari ecc.) è ancora da scrivere»57. Investigando l’origine della «comune rurale» germanica come «il tipo più recente di formazione arcaica di società [formation archaïque des sociétés58, Marx rilegge lo sviluppo storico dell’Europa occidentale come periodo di passaggio dalla proprietà comune alla proprietà privata, da una formazione primaria a una secondaria, secondo la metafora geologica utilizzata59. Nella bozza storiografica di Marx si ritrovano due acquisizioni irrinunciabili: da un lato questo passaggio, limitato alla storia dell’Europa occidentale, non determina in alcun modo una legge storica della dissoluzione della proprietà comune60; dall’altro, la metafora geologica esprime una sovrapposizione di strati, non una successione di stadi. Il secondario si sovrappone al primario senza cancellarlo. Lo storico materialista, trattando le epoche storiche come epoche geologiche, rende visibili simultaneamente i diversi strati. Le forme storiche, disponendosi non secondo la linearità di passato e presente, ma come «formazioni geologiche» nelle quali il già- stato coesiste accanto all’ora, permettono di pensare la compresenza di temporalità su una superficie e non secondo l’immagine del vettore lineare. Questa visione «geologica», a strati, dei tempi storici nasce non da una riflessione sulla filosofia della storia, ma da un lato dall’esigenza di costruire un paradigma storiografico all’altezza dell’acquisizione categoriale dei primi anni ’60, quando Marx inizia a riflettere sulla concorrenza tra capitali e sulla combinazione tra le diverse forme di sfruttamento; e dall’altro dall’esigenza di considerare l’intero orbe terracqueo: l’angolo di mondo europeo assieme al colonialismo e ai tre quarti di pianeta sui quali si regge la ricchezza del primo.


 

Note
1 K. Marx, Das Kapital, Bd. I, in Marx Engels Werke (da ora MEW), Bd. 23, Berlin, Dietz Verlag, 1962, p. 407, tr. it. Il Capitale, a cura di D. Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1980, Libro I, p. 429.
2 MEW, Bd. 23, p. 674, tr. it. cit., p. 706.
3 R. Bellofiore e M. Tomba, «Lesearten des Maschinenfragments. Perspektiven und Grenzen des operaistischen Ansatzes und der operaistischen Auseinandersetzung mit Marx», in M. van der Linden und K.H. Roth (hrsg. von), Über Marx hinaus, Berlin, Assoziation A, 2009, pp. 407-431.
4 MEW, Bd. 23, p. 674, tr. it. cit., p. 706 (s.d.A.).
5 K. Marx, Ökonomische Manuskripte 1857/58, in MEW, Bd. 42, 1983, p. 601, tr. it. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (1857-1858), Firenze, La Nuova Italia, 1970, vol. 2, p. 401.
6 Ivi, p. 601, tr. it. cit., vol. II, p. 401.
7 Ivi, p. 596, tr. it. cit., vol. II, p. 395.
8 Ivi, p. 601, tr. it. cit., vol. II, p. 401.
9 MEW, Bd. 23, p. 408, tr. it. cit., p. 430.
10 Ivi, p. 429, tr. it. cit., pp. 450-451.
11 MEW, Bd. 42, p. 607, tr. it. cit., vol. II, p. 410.
12 Ivi, p. 395, tr. it. cit., vol. II, p. 111.
13 Ivi, p. 601, tr. it. cit., vol. II, p. 401.
14 Ivi, p. 641-643, tr. it. cit., vol. II, pp. 461-462.
15 Ivi, p. 373, tr. it. cit., vol. II, p. 82.
16 Cfr. M. Tomba, Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Milano, Jaca Book, 2012.
17 R. Hecker, «Zur Entwicklung der Werttheorie von der 1. zur 3. Auflage des ersten Bandes des Kapitals von Karl Marx (1867-1883)», Marx-Engels-Jahrbuch, 10 (1987), pp. 147-96, si veda in particolare pp. 166-168.
18 MEW, Bd. 29, 1963, p. 360.
19 Questi temi si intrecciano con quelli studiati da E. Dussel e A. Yanez, «Marx’s Economic Manuscript of 1861-63 and the ‘Concept’ of Dependency», Latin Ame- rican Perspectives, 17, (1990), pp. 62-101; R.M. Marini, Dialéctica de la depen- dencia, México, Ediciones Era, 1991, pp. 8-10.
20 Questi problemi vengono oggi ripresi nell’ambito degli studi postcoloniali. Secondo Chakrabarty «parlare di residuo significa ragionare in termini storicistici». In polemica con le teorie dello sviluppo ineguale, egli ritiene infatti storicistico considerare la distinzione tra sussunzione formale e sussunzione reale del lavoro «come una semplice transizione storica» (D. Chakrabarty, Provincializing Europe. Postcolonial Thought and Historical Difference, Princeton and Oxford, Princeton University Press, 2000, tr. it. Provincializzare l’Europa, a cura di di M. Bortolini, Roma, Meltemi, 2004, pp. 28-30. Sullo stesso problema cfr. anche ivi, p. 73).
21 Si confronti la prima edizione del Capitale (1867), in K. Marx-F. Engels, Ge- samtausgabe, hrsg. von Institut für Marxismus-Leninismus, Berlin, Dietz Verlag [ora Akademie Verlag], 1975 e sgg. (=MEGA2), Bd. II/5, p. 581, con il testo della quarta edizione in MEW, Bd. 23, p. 751, tr. it. cit., p. 786.
22 Ivi, p. 746, tr. it. cit, p. 781.
23 Ivi, pp. 748-749, tr. it. cit., p. 784.
24 Ivi, p. 751, tr. it. cit., p. 786.
25 Ivi, p. 762, tr. it. cit., p. 797.
26 Ivi, pp. 762-763, tr. it. cit., p. 798.
27 Ivi, p. 763, tr. it. cit., p. 798.
28 Ivi, p. 764, tr. it. cit., p. 799.
29 Y.M. Boutang, Dalla schiavitù al lavoro salariato, Roma, manifestolibri, 2002, p. 26.
30 Ivi, p. 158.
31 Ivi, p. 232.
32 In questa direzione si muovono anche le analisi di M. de Angelis, The Begin- ning of History. Value Struggles and Global Capital, London, Pluto Press, 2007; Id., Marx’s theory of primitive accumulation: a suggested reinterpretation, 1999 (http://homepages.uel.ac.uk/M.DeAngelis/PRIMACCA.htm); Id., «Marx and primitive accumulation: the continuous character of capital’s enclosures’», The Commoner, 2 (2001). (http://www.commoner.org.uk/02deangelis.pdf).
33 Cfr. M. Tomba, Differentials of Surplus-Value, cit.
34 Walker calcola che in California l’80% dei lavoratori impegnati nell’agricoltura è senza documenti: R.A. Walker, The conquest of bread: 150 years of agribusi- ness in California, New York and London, The new Press, 2004, pp. 73-74. Per un quadro generale si veda J. Glassman, «Primitive accumulation, accumulation by dispossession, accumulation by ‘extra-economic means», Progress in Human Geography, 30 (2006), pp. 608-25.
35 Si veda D. Sacchetto, Il Nordest e il suo Oriente. Migranti, capitali e azioni uma- nitarie, Verona, Ombrecorte, 2004.
36 W. Bonefeld, «The permanence of primitive accumulation: commodity fetishism and social constitution», The Commoner, 2 (2001) (http://www.commoner.org. uk/02bonefeld.pdf). Si vedano anche i contribute raccolti in D. Sacchetto e M. Tomba (a cura di), La lunga accumulazione originaria. Politica e lavoro nel mer- cato mondiale, Verona, Ombrecorte, 2008.
37 MEW, Bd. 23, p. 779, tr. it. cit., p. 813.
38 Ivi, p. 779, tr. it. cit., p. 814.
39 Ivi, pp. 525-526, tr. it. cit., p. 549.
40 Ivi, pp. 525-526, tr. it. cit., p. 549.
41 Ivi, p. 779, tr. it. cit., p. 814.
42 Marx cita anche qui materiali storici, come W. Howitt, Colonization and Christianity. A Popular History of the Treatment of the Natives by the Europeans in all their Colonies, London, 1838; Th. Stamford Raffles, History of Java and its dependencies, London, 1817.
43 Ivi, p. 785, tr. it. cit., p. 820.
44 Ivi, p. 780, tr. it. cit., p. 814.
45 Ivi, p. 781, tr. it. cit., p. 815.
46 Ivi, p. 790, tr. it. cit., p. 825.
47 Ivi, p. 506, tr. it. cit., pp. 528-529.
48 Ivi, p. 790, tr. it. cit., p. 825.
49 Si vedano al riguardo i lavori di D. Bensaïd, Marx l’intempestivo. Grandezze e miserie di un’avventura critica, Roma, Alegre, 2007; La discordance des tem- ps. Essai sur les crises, les classes, l’histoire, Paris, Les Éditions de la Passion, 1995.
50 Tra i pochi, specialmente in Italia, a prendere sul serio le metafore marxiane all’altezza della critica dell’economia politica c’è R. Bellofiore, «La farfalla e il vampiro. Sulla teoria marxiana del valore e della crisi», Alternative per il socialismo, 1 (2007), pp. 32-43.
51 Ivi, p. 511, tr. it. cit., p. 534.
52 Ivi, pp. 511-512, tr. it. cit., pp. 534-535.
53 Ivi, p. 509, tr. it. cit., p. 532.
54 «Il lavoro nella fabbrica potrebbe essere puro ed eccellente quanto il lavoro domestico, forse anche più (Reports of Insp. of Fact. 31st Oct. 1865, p. 129» (MEW, Bd. 23, p. 514, tr. it. cit., p. 537, nota 312.
55 Cfr. D. Bensaïd, Marx l’intempestivo, cit., pp. 306-312.
56 Tra il 1880 e il 1881 Marx legge e annota Ancient Society di Lewis Morgan. Gli appunti sono pubblicati in Ethnological Notebooks of Karl Marx, a cura di L. Krader, Assen, Van Gorcum, 1972, tr. it. in K. Marx, Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine, Milano, Unicopli, 2009. Un’edizione di tutti gli appunti storici e antropologici di questo periodo è attesa con la pubblicazione del volume IV/27 della MEGA. Sulla lettura marxiana di Morgan si veda W. H. Shaw, «Marx and Morgan», History and Theory, 23 (1984), 2, pp. 215-228.
57 Cfr. K. Marx a V. Zasulič, Prima bozza, in MEW, Bd. 19, 1962, pp. 386, tr. it. parziale in Marx e Engels, India, Cina, Russia, Milano, il Saggiatore, 1976, pp. 303-314.
58 K. Marx a V. Zasulič, Prima bozza, MEW, Bd. 19, p. 388.
59 Sulla connotazione spaziale della storia, Koselleck osserva che la «metafora spazializzante, che permette di pluralizzare il concetto di tempo, ha un vantaggio. ‘Strati temporali’ (Zeitschichten) rimandano, come nel modello geologico, a più livelli di tempo (Zeitebenen) di diversa durata e differente provenienza, ma che ciononostante sono contemporaneamente presenti e attivi» (R. Koselleck, Zeitschichten, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2001, p. 9). Anderson scrive che il nocciolo teorico dei Quaderni etnologici di Marx è costituito da un «modello multilineare di sviluppo storico» contrapposto a uno unilineare: K.B. Anderson, «Marx’s Late Writings on Non-Western and Precapitalist Societies and Gender», Rethinking Marx, 4 (2002), p. 90. Si veda anche L. Krader, Introduction, in K. Marx, Ethnological Notebooks, cit., pp. 1-85.
60 «Ma questo significa che in ogni circostanza [e in ogni contesto storico] lo sviluppo della comunità agricola deve percorre questa strada? Assolutamente no» (K. Marx a V. Zasulič, Prima bozza, in MEW, Bd. 19, p. 388). 
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