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Filosofia della praxis e “apprendimento storico”

Su "La questione comunista" di Domenico Losurdo

di Massimo Baldacci (Università di Urbino)

Schermata del 2022 10 09 15 22 070. Premessa

La questione comunista, il libro postumo di Losurdo (2021) curato da Grimaldi, mi pare avvicinabile ad altri volumi di questo studioso: Marx e il bilancio storico del Novecento (2009); Il marxismo occidentale (2017). In queste opere, infatti, la ricostruzione storica appare indirizzata a un ripensamento degli orizzonti odierni e di quelli futuri, secondo un taglio critico che non cade mai nel dottrinarismo.

In questo saggio, intendo avanzare una chiave di lettura particolare (concepita da un’angolatura pedagogica) di questo lavoro postumo di Losurdo; indicare la problematica che autorizza l’uso di tale chiave interpretativa; e, infine, mostrare un esempio paradigmatico reperibile nel testo in questione.

 

1. La filosofia della praxis come pedagogia sociale

In questo volume, Losurdo legge la storia dell’idea di comunismo secondo il metodo del materialismo storico, non come una astratta disputa ideologica, bensì muovendo dall’esperienza storica reale. Questo atteggiamento teorico è espressamente dichiarato nelle conclusioni del volume:

«Marx ed Engels: nell'analisi della Rivoluzione francese o inglese non prendono le mosse dalla coscienza soggettiva dei loro protagonisti o degli ideologi che le hanno invocate e ideologicamente preparate, bensì dalla indagine sulle contraddizioni oggettive che le hanno stimolate e sulle caratteristiche reali del continente politico sociale scoperto o messo in luce dagli sconvolgimenti verificatisi […] Perché dovremmo procedere diversamente nei confronti della Rivoluzione d’ottobre?»1.

A partire da questo assunto, che individua nei movimenti oggettivi della storia il principio di ricostruzione dell’idea di comunismo, intendo proporre una chiave di lettura di questo processo, esaminando il libro di Losurdo come un’analisi storico-materiale del cambiamento delle idee e delle mentalità che ha portato all’emergere e all’affermarsi di tale idea. Come è noto, la storia delle mentalità2 è uno degli aspetti maggiormente innovativi della Nuova Storia3 promossa dalla scuola delle Annales. Qui intendo però avvalermi di un altro riferimento, individuabile nella linea Labriola-Gramsci: la filosofia della praxis. A questo proposito, occorre muovere da due fondamentali posizioni di Labriola.

In primo luogo, nel terzo dei suoi Saggi sul materialismo storico (Di- scorrendo di socialismo e di filosofia, del 1898), Labriola asserisce che la filosofia della praxis rappresenta l’aspetto centrale del materialismo storico:

«[La] Filosofia della praxis […] è il midollo del materialismo storico. Questa è la filosofia immanente alle cose su cui filosofeggia. Dalla vita al pensiero, e non già dal pensiero alla vita; ecco il processo realistico»4.

Ricostruire l’idea di comunismo attraverso un’analisi storico-materiale significa perciò condurre tale ricostruzione secondo il principio della filosofia della praxis, come un’idea immanente al processo storico reale, a partire dal quale può essere concepita nel pensiero.

La seconda posizione che intendo evidenziare vede la filosofia della praxis, storicamente incarnata dalla socialdemocrazia tedesca, come una forma di pedagogia sociale:

«Quando io esamino dappresso la storia precedente e le presenti condizioni della Socialdemokratie tedesca mi sento ripieno di viva ammirazione per questo caso veramente nuovo ed imponente di pedagogica sociale: e, cioè, che in così stragrande numero di uomini, e segnatamente di operai e di piccoli borghesi, sì formi una coscienza nuova»5.

Pertanto, il cuore del materialismo storico è costituito dalla filosofia della praxis, e quest’ultima è anche una sorta di pedagogia sociale, ossia di attiva formazione della coscienza sociale degli uomini.

Queste posizioni, probabilmente, esercitarono una certa influenza su Gramsci e sulla sua concezione della filosofia della praxis. Per esempio, nella nota A Q8,198 (febbraio 1932), intitolata Filosofia della Praxis, Gramsci scrive: «lo stesso Croce nel volume Materialismo storico ecc., in una nota, riconosce esplicitamente come giustificata l’esigenza di costruire sul marxismo una “filosofia della praxis” posta da Antonio Labriola».

Come è noto, la postura filologica idonea a cogliere il senso dei concetti gramsciani è quella di una loro indagine diacronica, perché nel laboratorio di pensiero costituito dai Quaderni del carcere i concetti vengono ripetutamente rielaborati, cosicché non si addice loro di essere colti come cristallizzazioni semantiche, bensì come nozioni fluide entro un work in progress (cfr. FRANCIONI 1984; COSPITO 2011). Tuttavia, questo lavoro non è possibile nell’economia del presente saggio, quindi mi limiterò a ricordare alcuni momenti significativi dell’elaborazione di questo concetto, per poi correre il rischio di presentarne una schematizzazione sincronica.

Iniziamo con la nota B Q5,127 (novembre-dicembre 1930), dedicata al pensiero di Machiavelli:

«Il Machiavelli ha scritto dei libri di “azione politica immediata” […] Nella sua trattazione, nella sua critica del presente […] ha espresso una concezione del mondo originale, che si potrebbe anch’essa chiamare “filosofia della praxis” o “neo-umanesimo” in quanto non conosce elementi trascendentali o immanentistici (in senso metafisico) ma si basa tutta sull’azione concreta dell’uomo che per le sue necessità storiche opera e trasforma la realtà».

La filosofia della praxis viene quindi presentata come l’«azione concreta dell’uomo» che «trasforma la realtà» per le «necessità storiche» dell’uomo.

Nella nota B Q7,35 si arriva invece:

«all’eguaglianza o equazione tra “filosofia e politica”, tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della praxis. Tutto è politica, anche la filosofia o le filosofie […] e la sola “filosofia” è la storia in atto, cioè è la vita stessa».

Qui, la filosofia della praxis rappresenta invece l’unità tra «pensiero e azione», ossia l’unità teoria/prassi.

Infine, nella nota A Q8,220 (marzo 1932), si pone un terzo aspetto della filosofia della praxis:

«Una filosofia della prassi non può presentarsi inizialmente che in atteggiamento polemico, come superamento del modo di pensare preesistente. Quindi come critica del “senso comune” (dopo essersi basata sul senso comune per mostrare che “tutti” sono filosofi e che non si tratta di introdurre ex-novo una scienza nella vita individuale di “tutti”, ma di innovare e rendere “critica” un’attività già esistente) e della filosofia degli intellettuali, che è quella che dà luogo alla storia della filosofia» (c.vi miei).

Pertanto, in una prima fase, la filosofia della praxis si esprime come «superamento del modo di pensare preesistente», ossia come una trasformazione del senso comune, della mentalità vigente.

Sulla base di questi richiami, possiamo arrischiare una schematizzazione sincronica del concetto: la filosofia della praxis è l’unità tra filosofia e politica, tra pensiero e azione; come tale opera una critica e un superamento del senso comune, per farsi azione concreta che trasforma la realtà per le necessità storiche dell’uomo. Ai fini del presente saggio, il punto decisivo riguarda la critica del senso comune e il superamento della mentalità preesistente, perché si tratta di un aspetto di carattere intrinsecamente formativo. Qui la filosofia della praxis mostra il suo carattere di pedagogia sociale che le aveva attribuito anche Labriola, ossia un significato educativo interno al suo spirito. Cambiare il modo di pensare e di vedere le cose, promuovere una nuova coscienza sociale negli uomini, è un compito formativo intimamente connesso alla stessa possibilità di trasformazione del mondo. La chiave di lettura che intendo usare rispetto all’opera di Losurdo – che al pensiero di Gramsci ha dedicato un importante lavoro (LOSURDO 1997), è rappresentata da questa idea della filosofia della praxis come pedagogia sociale.

 

2. Una categoria fondamentale: l’apprendimento storico

La categoria che intendo collocare entro la cornice della filosofia della praxis come pedagogia sociale è quella dell’apprendimento storico. Si tratta di una categoria che Losurdo aveva già usato in altre opere (per esempio, LOSURDO 2016), e che rimette a fuoco in questo volume. Detto in sintesi, l’idea del comunismo non piove dal cielo, bensì è il frutto di una prolungata esperienza storica e di un faticoso apprendimento. A questo proposito, vediamo alcuni passaggi significativi:

«Il socialismo scientifico ha alle spalle due rivoluzioni […]: la rivoluzione industriale (con il connesso poderoso sviluppo delle forze produttive) e la rivoluzione politica, che in Francia aveva comportato una trasformazione senza precedenti dei rapporti politico-sociali. a partire di qui, era possibile pensare il definitivo superamento della miseria e della penuria di massa»6.

Le possibilità del pensiero inerente al superamento della povertà sociale generale non sono cioè legate a condizioni trascendentali, bensì a condizioni storiche, ad esperienze concrete pregresse. E il testo continua descrivendo tali condizioni di possibilità:

«Il concreto processo storico aveva dimostrato che, per il conseguimento di tale obiettivo, erano disponibili sia il potenziale produttivo (messo in luce dalla rivoluzione industriale) sia il potenziale politico (evidenziato dall'azione politica e dall'intervento delle masse nel corso del ciclo rivoluzionario francese» (ibidem, c.vo mio).

Non l’astratta argomentazione filosofica, ma il “concreto processo storico” ha dimostrato che le condizioni di possibilità del superamento della povertà sociale si danno realmente. Per concludere:

«Dopo le due rivoluzioni (industriale e politica), la radicale emancipazione del genere umano risultava essere un obiettivo perfettamente realistico: occorreva solo indagare i tempi e i modi del processo di emancipazione. […] si trattava di un'indagine che non era agevole e che anzi comportava un lungo, faticoso è contraddittorio processo di apprendimento e un continuo, rinnovato bilancio storico delle lotte via via condotte e delle esperienze via via compiute»7.

In questo modo, l’emancipazione non è collocata entro un orizzonte utopico, ma è affidata alla determinazione dei «tempi e dei modi del processo» che conduce ad essa. E tale determinazione non è il frutto di un’intuizione estemporanea, bensì di un «lungo, faticoso e contraddittorio processo di apprendimento». Un apprendimento sociale che si svolge nel corso dell’esperienza storica.

Si può prendere questo “apprendimento storico” in due maniere diverse: o come semplice modo di dire, come un comodo façon de parler; oppure come una vera e propria indicazione teorica. Mi pare però che Losurdo inclini verso quest’ultima direzione:

«Prendere sul serio e sviluppare il processo di apprendimento significa anche congedarsi dalla tesi, che possiamo leggere in una celebre poesia di Brecht, secondo cui, il comunismo e la “semplicità difficile a farsi” […] In realtà, l'esperienza storica dimostra che il comunismo è difficile a essere pensato e progettato prima ancora che a essere realizzato»8.

In altre parole, il processo d’apprendimento inerente all’idea di comunismo va preso seriamente, perché esso rappresenta la condizione della possibilità stessa di concepire e di pensare tale idea. Pertanto, circa il comunismo, il quadro non è quello di un’idea chiara fin dai suoi albori a cui è seguita una serie di tentativi di realizzazione che si sono scontrati con gli ostacoli della storia. Un’idea facile da pensare ma difficile da concretizzare. Al contrario, l’idea di comunismo non è compiuta ab origine, ma si sviluppa diacronicamente e non per una dialettica necessaria immanente al concetto, bensì attraverso una lunga e contraddittoria esperienza storica e quindi nel corso di un faticoso processo d’apprendimento sociale. Un processo che è ancora in cammino.

Mi pare interessante rivedere anche il modo in cui Losurdo presentava la questione dell’apprendimento storico nel volume dedicato all’idea di pace (LOSURDO 2016). In questo lavoro, a proposito di tale idea, egli scrive che:

«Il processo di apprendimento interrotto o inceppato dalla Prima guerra mondiale riprende faticosamente negli anni e decenni successivi, e a esso occorre riallacciarsi al fine di depurare l'ideale della pace perpetua di ogni astrattezza e ingenuità. Non basta imparare dalla tradizione di pensiero che ha coltivato tale ideale»9.

Pertanto, per imparare a pensare l’idea (in questo caso quella di pace perpetua) non è sufficiente assimilare la tradizione di pensiero ad essa inerente. Occorre riferirsi anche all’esperienza storica che la riguarda, e al processo d’apprendimento intrinseco a tale esperienza. Così:

«il ripensamento dell'ideale della pace perpetua passa attraverso il confronto con la tradizione liberale. Ma ciò non basta. È ancora più importante riflettere sul tormentato processo di maturazione attraverso cui necessariamente passa un'idea grande che tende verso la sua realizzazione; è necessario analizzare le dolorose esperienze storiche […] attraverso cui è passato, e per certi versi non poteva non passare, l'ideale della pace perpetua»10.

Pertanto:

«Abbiamo così due fonti per il processo di apprendimento relativo al doveroso ripensamento di tale ideale» (ibidem).

In altre parole, una fonte è costituita dalla tradizione di pensiero inerente all’idea da pensare e ripensare; l’altra è rappresentata dal processo storico-sociale a cui tale idea è immanente, e dai suoi faticosi e contradditori tentativi di realizzazione. L’idea non piove già definita dal cielo del pensiero, ma si sviluppa sul terreno della storia concreta. Nella ricostruzione dell’idea di pace (e di quella di comunismo) da parte di Losurdo mi pare ravvisabile una differenza rispetto al paradigma della storia delle idee. Anche entro tale paradigma si ritiene che occorra «considerare le idee incarnate in forme storiche concrete anziché come astrazioni»11. Tuttavia, in questo caso è l’indagine storica compiuta dal ricercatore che provvede a estrarre l’idea implicita nei processi sociali e culturali di una certa epoca. In Losurdo, invece, l’idea si sviluppa nella storia attraverso un processo d’apprendimento di carattere sociale, che non riguarda l’elaborazione di un singolo pensatore, ma una trasformazione collettiva delle forme della coscienza. I soggetti di questo apprendimento storico, coloro che imparano, sono cioè i gruppi sociali. E ritengo che la verifica della realizzazione di questo apprendimento sia costituita dal fatto che un’idea «s’impadronisce delle masse» (dando cioè forma alla loro mentalità, al loro modo di vedere le cose) e diviene così una «forza materiale» storicamente attiva, come indicava Marx in Per la critica della filosofia del di- ritto di Hegel. Introduzione12. Per evitare malintesi, è bene chiarire anche che non siamo di fronte a una riproposizione in altra forma della vecchia concezione ciceroniana della historia magistra vitae, solitamente adoperata per legittimare la funzione istruttiva dello studio della storia, in quanto fonte di ammaestramento pratico. Ovviamente, Losurdo non esclude lo studio della storia, ma quando parla di un processo di apprendimento (storico) faticoso, prolungato e perfino contraddittorio egli si riferisce alla concreta esperienza storica sperimentata dai gruppi sociali. Alla base di questo apprendimento, cioè, non sta solo e tanto l’historia rerum gestarum – il racconto degli eventi –, quanto le res gestae, il concreto corso della storia, con le sue inevitabili contraddizioni. Tuttavia, si può escludere che uno studioso caratterizzato da una robusta matrice hegeliana, come Losurdo, possa ritenere che l’apprendimento sociale connesso all’idea di comunismo (o di pace) sia il frutto immediato dell’esperienza storica concreta, un’intuizione che rampolla direttamente da tale esperienza. A questo proposito, mi pare che le indicazioni di Losurdo siano chiare: egli parla della necessità di «analizzare le dolorose esperienze storiche», e di quella di «un continuo, rinnovato bilancio sto- rico delle lotte via via condotte e delle esperienze via via compiute» (vedi sopra). L’apprendimento storico richiede, dunque, la mediazione dell’analisi delle esperienze e del loro bilancio, da rinnovarsi continuamente. E qui torniamo alle conclusioni del volume13: l’organon per tale analisi è costituito dal materialismo storico, il cui “midollo” – secondo Labriola (e Gramsci) – è rappresentato dalla filosofia della praxis. Ma quest’ultima, sempre secondo Labriola, rappresenta anche una pedago- gia sociale. Pertanto, la filosofia della praxis si pone come la pedagogia sociale capace di trasformare l’esperienza storica in effettivo processo di apprendimento. Essa, cioè, esercita una mediazione necessaria di tale esperienza per farne il motore dello sviluppo dell’idea di comunismo. Tale necessità appare evidente non appena si consideri il carattere contraddittorio che (come sottolineato da Losurdo) caratterizza l’esperienza storica, rendendola faticosa e dolorosa, ma anche – aggiungiamo – priva di trasparenza immediata, e quindi soggetta a incomprensioni e fraintendimenti. Secondo Gramsci (Q11, 62), infatti, la filosofia della praxis si pone come «coscienza delle contraddizioni» della storia. Non solo, cioè, non le maschera e non ne ricerca un’astratta pacificazione, ma non le lascia nemmeno sussistere nel loro stato bruto, oscuro e apparentemente indecifrabile, che costituirebbe un fattore d’arresto dell’apprendimento storico. Al contrario, la filosofia della praxis porta alla piena consapevolezza delle contraddizioni dell’esperienza storica, le rende comprensibili, e l’assimilazione del loro significato diviene così un aspetto del processo d’apprendimento storico, anziché un suo ostacolo gnoseologico. Si può pertanto asserire che il concetto di ‘apprendimento storico’ messo a fuoco da Losurdo permette di intendere pienamente il senso della filosofia della praxis come pedagogia sociale proposto da Labriola, e viceversa. Il processo di apprendimento storico e la pedagogia sociale inerente alla filosofia della praxis si presuppongono vicendevolmente, appaiono come facce della stessa medaglia. L’esperienza storica, senza la mediazione della filosofia della praxis, resterebbe imprigionata nelle oscurità delle sue contraddizioni, e rischierebbe di non trasformarsi in concreto processo d’apprendimento storico. E una pedagogia sociale astratta dal concreto corso dell’esperienza storica tenderebbe a girare a vuoto, a degenerare in un formalismo teorico. Occorre una pedagogia sociale espressa dalla filosofia della praxis, dall’unità di pensiero ed esperienza storica, per promuovere un effettivo processo d’apprendimento storico. Pertanto, solo analizzando l’esperienza storica del comunismo, della sua idea, si può promuovere un processo d’apprendimento del significato di tale idea.

A questo proposito, fatte salve le evidenti e ingenti differenze, si potrebbe arrischiare un paragone tra l’impostazione data da Losurdo al processo d’apprendimento storico dell’idea di comunismo con alcuni aspetti dell’Educazione del genere umano (1780) di Lessing. La sommaria analogia che intendo sottolineare è quella del carattere formativo del processo storico rispetto alla collettività sociale. In altre parole, in Lessing mi pare individuabile con chiarezza l’idea di un processo di apprendimento storico, sebbene nel suo caso tale processo sia relativo alla rivelazione e alla successione delle religioni positive. Senza svolgere in modo analitico questa analogia, e senza insistere sulle significative differenze tra i due discorsi, mi limito a osservare che i primi due aforismi del capolavoro di Lessing14, se opportunamente parafrasati, conducono a una posizione simile a quella che abbiamo derivata da Losurdo. A questo scopo, occorre sostituire “filosofia della praxis” a “rivelazione”, e “gruppi sociali” a “genere umano”. Il risultato è il seguente. (Tesi 1) La filosofia della praxis è per i gruppi sociali (subalterni) ciò che, per il singolo, è rappresentato dall’educazione. (Tesi 2) L’educazione è una filosofia della praxis rivolta al singolo individuo; e la filosofia della praxis un’educazione destinata ai gruppi sociali (subalterni). L’idea di un processo d’apprendimento storico innerva queste tesi, che trovano significative analogie anche nelle posizioni di Gramsci. A questo proposito, ho già evidenziato che in Gramsci (Q8, 220), nel farsi critica del senso comune e superamento della mentalità preesistente, la filosofia della praxis mostra di porsi come una di pe- dagogia sociale (in analogia con la Tesi 1 e la seconda parte della Tesi 2). Si può aggiungere, che in Gramsci si trova anche una posizione simile alla prima parte della Tesi 2, quando asserisce che a scuola «l’insegnamento è una lotta contro il folklore» (nota A Q4, 55, del novembre 1930), ossia contro il senso comune irrigidito assorbito dall’ambiente sociale, per la conquista di una cultura avanzata. Infatti, qui la critica e la trasformazione del senso comune – che nella nota Q8, 220 si articolava a livello di massa – è indirizzato sul singolo scolaro. Quindi filosofia della praxis e educazione (insegnamento) svolgono il medesimo compito su scala diversa: di massa e individuale. Così, come nella parafrasi degli aforismi di Lessing, la filosofia della praxis è una forma di educazione delle masse, e l’educazione è una filosofia della praxis a livello del singolo. Soggiacente alla Tesi 1 e alla seconda parte della Tesi 2 sta l’idea del processo di apprendimento storico messa a fuoco da Losurdo. Torniamo allora a rivolgersi al suo testo.

 

3. La formazione dell’uomo nuovo

Per dare maggiore concretezza al discorso sviluppato, diamo un cenno a una forma esemplare d’apprendimento storico individuabile nel testo di Losurdo: la questione dell’uomo nuovo. Una tematica cruciale nel campo della pedagogia marxista15.

A questo proposito, Losurdo16 osserva come sia diffusa la critica caustica della pretesa tipica del movimento marxista di formare un uomo nuovo. La propaganda conservatrice sostiene l’inanità di questo tentativo, di fronte al fatto che la natura umana è sempre la medesima ovunque e in tutte le epoche. Tuttavia, argomenta Losurdo, lo stesso pensiero liberale in alcuni momenti ha avallato la realtà della trasformazione storica dell’uomo. Per esempio, col riconoscimento da parte di Tocqueville che in America si stava formando una nuova razza d’uomini, liberi dalle gerarchie sociali irrigidite della vecchia Europa, e perciò dai pregiudizi connaturati ad esse. In realtà, «In virtù della sua dimensione storica (oltre che naturale), l’uomo conosce profonde trasformazioni anche sul piano morale»17. Pertanto, la formazione di uomini di nuovo tipo è un fenomeno ricorrente della storia sociale. Losurdo compie però una precisazione fondamentale, e cioè che tuttavia «i tempi del mutamento morale sono più lunghi di quelli della trasformazione politica»18, per cui non si deve dimenticare «la complessità e i tempi lunghi di certi processi storici»19. A mio parere, si tratta di un’altra indicazione teorica preziosa per mettere a fuoco la specificità del processo d’apprendimento storico di cui disserta Losurdo. Ho già evidenziato una differenza di scala di grandezza: l’apprendimento storico ha per soggetto le masse, i gruppi sociali, non gli individui in quanto singolarità. Adesso si può aggiungere una differenza di scala temporale: a differenza di quello ordinariamente inteso, l’apprendimento storico – inerente alla trasformazione delle mentalità collettive – richiede una temporalità estesa. Come egli aveva già evidenziato, questo processo d’apprendimento è lungo e faticoso, e si può aggiungere che lo è necessariamente, poiché una mentalità rappresenta una “seconda natura” dell’uomo, e quindi modificarla è sempre un processo lungo, difficile e disagevole20. Ma che di fatto si compie in modo ricorrente nella storia, anche se finora è avvenuto raramente più di una volta per una singola generazione. E la sua dinamica va legata a quella che Gramsci definiva in termini di «guerra di posizione», ossia di un conflitto culturale di lunga lena, che operando una serie di trasformazioni molecolari della mentalità, porta infine a nuova configurazione mentale, a un nuovo senso comune. In sintesi: a un uomo nuovo. Ma l’arma culturale per questa guerra di posizione è la filosofia della praxis. Così, il processo d’apprendimento storico coinvolge interi gruppi sociali e si svolge nel corso di un’esperienza storica di lunga estensione. La filosofia della praxis rappresenta la pedagogia sociale che consente di passare dall’esperienza storica al processo d’apprendimento di nuove forme mentali, a nuovi abiti del pensiero e della sensibilità. Il contributo dato da Losurdo nel mettere a fuoco tale questione mi sembra di grande rilievo.


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Note
1 LOSURDO 2021, p. 187.
2 ARIÈS 1980.
3 LE GOFF 1980.
4 LABRIOLA 1976, p. 216.
5 Ivi, p. 206; c.vo mio.
6 LOSURDO 2022, p. 157, c.vo mio.
7 Ibidem, c.vo mio.
8 Ivi, p. 159-60, c.vo mio.
9 LOSURDO 2016, p. 343, c.vo mio.
10 Ibidem , c.vo mio.
11 LE GOFF 2020, p. 51.
12 MARX 1998, p. 60.
13 LOSURDO 2021, p. 187.
14 LESSING 1974.
15 Si veda MANACORDA 1966, pp. 64-71; SUCHODOLSKI 1967, pp. 271-2.
16 LOSURDO 2021, pp. 59-62
17 Ivi, p. 59.
18 Ivi, p. 61.
19 Ibidem.
20 Cfr. BATESON 1976.

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