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L’economia politica fra scienza e ideologia. Terza parte

di Ascanio Bernardeschi

1159f95dad2c700aebdcc3993541e6d0 XL1. La critica radicale di Sraffa al marginalismo

La funzione di produzione Q=f(L,K>) implica la conoscenza delle quantità di L, K e Q (lavoro, “capitale” e prodotto). Se si può supporre che tutti i lavori siano riducibili a lavoro generico e misurabili in tempo di lavoro e che sia possibile una misurazione in termini fisici del prodotto (ove si escluda la produzione congiunta) sorge il problema di misurare il capitale, che è composto da merci eterogenee. Ciò nonostante questa fun­zione fa ancora da padrona nell’accademia, ove si sorvola anche sulla cir­costanza che il problema di una misurazione rigorosa del capitale era già stato affrontato da Ricardo, sia pure in modo insoddisfacente, attraverso la finzione della produzione di grano a mezzo di grano. Lo stesso pro­blema, come abbiamo fuggevolmente riferito nel nostro precedente arti­colo1, era stato segnalato da Keynes, per quanto quest'ultimo non ne ab­bia tratto la conclusione di una rottura con il paradigma marginalista. L'argomento diventerà invece cruciale nel contributo di Piero Sraffa.

Italiano e antifascista, dopo avere svolto l'incarico di direttore dell'Uf­ficio del lavoro di Milano, vinse nel 1926 il concorso come professore ordinario presso l’Università di Cagliari. Tuttavia, l’anno seguente, dopo la carcerazione di Gramsci e dopo le minacce di cui fu oggetto egli stesso, dovette recarsi in Inghilterra, a Cambridge, chiamato proprio da Keynes, che lo aveva conosciuto in un precedente soggiorno dell'economista ita­liano in Inghilterra e che gli trovò l'occupazione come bibliotecario della Marshall library. Lì rimase fino al 1983, anno della sua morte. A Cam­bridge accettò, su invito di Keynes, di tenere dei corsi all’Università sulla teoria del valore e sui sistemi finanziari italiano e tedesco.

Come è noto fu anche un amico fraterno di Gramsci e fece da tramite fra lui e il PCd'I durante la carcerazione del grande dirigente e intellettuale comunista. Profondo conoscitore di Ricardo, curò l’edizione delle sue opere com­plete2, scrivendone una prefazione divenuta un classico della letteratura economica. Alla teoria di Ricardo - oltre, come vedremo, a quella di Marx - si ispirò la sua opera più famosa, Produzione di merci a mezzo di merci3, che gli farà conquistare la posizione di caposcuola di un filone in cui si cimenteranno successivamente anche molti economisti italiani, i più importanti dei quali sono Pierangelo Garegnani e Luigi Pasinetti.

 

2. La critica alla teoria marshalliana.

Ma prima di questa sua più nota opera Sraffa scrisse una serie di saggi, fra i quali assumono particolare rilievo un paio che espongono una critica penetrante alla teoria degli equilibri parziali di Alfred Marshall e in ge­nere alla scuola neoclassica4.

Secondo la teoria marginalista la curva di offerta di un’impresa, come abbiamo già visto5, viene costruita a partire dai costi marginali, cioè da relazioni funzionali fra costi e quantità prodotta. Marshall a questo pro­posito prende in considerazione sia la legge dei rendimenti decrescenti di breve periodo - quella che abbiamo esaminato trattando l’economia neo­classica - sia quella dei rendimenti crescenti sia, infine, quella dei rendi­menti costanti.

Sraffa dimostra che i rendimenti decrescenti possono consentire di costruire la curva di offerta aggregata di un settore solo in presenza di un’ipotesi restrittiva che escluda la possibilità che un’impresa si procuri una quantità maggiore del fattore scarso a scapito di altri acquirenti pro­duttori. Inoltre, di norma, in un regime di concorrenza, è ragionevole ri­tenere che il singolo imprenditore possa acquistare sul mercato il fattore scarso senza incrementarne il costo, dato che, per la stessa definizione standard di concorrenza perfetta, l’incremento della sua domanda ha un peso infinitesimale nel mercato complessivo. Invece, per la validità della teoria marshalliana, serve ipotizzare che ciascun operatore non possa au­mentare l’impiego del fattore scarso o lo possa fare sostenendo un costo maggiorato, essendo tale fattore disponibile in una quantità fissa per tutti.

Per Sraffa si tratta di una restrizione rilevante. Anche nel caso che si ipo­tizzi questa seconda situazione, cioè che l’aumento della quantità pro­dotta richieda un aumento del fattore scarso tale da provocarne l’au­mento del prezzo, tale aumento si ripercuoterà sui prezzi di tutte le altre merci per la cui produzione è esso utilizzato. Crescerà quindi anche il loro costo marginale in misura paragonabile, talvolta maggiore, talaltra minore, alla merce presa in considerazione. In tal modo però lo sposta­mento del consumo dal bene rincarato agli altri non può che essere in misura ridotta, se non, addirittura, avvenire in senso inverso per le merci la cui produzione utilizza più intensamente il fattore scarso. Viene così violata la condizione del ceteris paribus, alla base dell’analisi marshalliana degli equilibri parziali, condizione che consiste nell’analizzare una sin­gola variabile e gli effetti che essa produce nel sistema isolatamente dalle altre, considerate non affette da tale variabile. Tanto più che l’aumento del costo del fattore scarso orienta le imprese verso la modifica del mix di input, sostituendo il primo con uno o più fattori alternativi i quali, di conseguenza, potranno variare anch’essi di prezzo.

Per quanto riguarda i rendimenti crescenti, Sraffa denuncia che essi sono incompatibili con la libera concorrenza se dovuti a economie di scala e alla maggiore divisione del lavoro che l’accresciuta scala della pro­duzione consente. In tal caso infatti l’impresa trae vantaggio, finché sus­siste una domanda, ad ampliare indefinitamente la scala della produzione fino a diventare l’unica impresa del settore. Lo stesso Marshall se ne rese conto e nei suoi Principici abbandonò questa ipotesi confinando la spie­gazione dei rendimenti crescenti al solo caso di economie esterne. Que- st'ultima situazione però è poco realistica perché è improbabile che pic­cole modifiche della quantità prodotta dalle singole aziende, aventi di­mensioni trascurabili, determinino economie esterne apprezzabili. Sraffa dimostra inoltre che in tale situazione il costo marginale collettivo è infe­riore a quello individuale. Quindi le singole imprese tenderanno a pro­durre una quantità inferiore a quella che sarebbe ottimale per l’insieme del sistema economico. Dalla divergenza fra il costo marginale indivi­duale e quello sistemico Sraffa trae anche la conclusione che il massimo benessere per la collettività non può scaturire dalla concorrenza. Il mo­tivo è che ogni produttore espande la produzione fino al punto in cui 6 l’incremento del valore del prodotto eguaglia l’incremento delle spese. Però oltre questo punto ci sarebbe ancora la possibilità di produrre con un beneficio netto per la collettività.

Infine Sraffa evidenzia che i rendimenti possono essere considerati crescenti o decrescenti a seconda del contesto che vogliamo analizzare. Se consideriamo il ramo industriale che utilizza il fattore scarso, troviamo - con le limitazioni viste sopra - i rendimenti decrescenti, mentre se ci occupiamo del ramo che produce quella determinata merce abbiamo ren­dimenti crescenti in virtù dell’incremento del suo prezzo. Se analizziamo il breve periodo, in cui non può essere aumentato il fattore scarso ab­biamo rendimenti decrescenti. Nel lungo periodo avremo invece rendi­menti crescenti.

Venendo ai rendimenti costanti, essi possono scaturire sia dal bilan­ciamento tra le cause che tendono a renderli decrescenti (scarsità di un fattore) e quelle che tendono a renderli crescenti (economie esterne), sia dall’assenza di entrambe. Quindi i rendimenti sono costanti se tutti i fat­tori produttivi sono impiegati da molte imprese e se esse sono indipen­denti fra di loro. Vista l’improbabilità delle due altre situazioni, questa gli parrebbe quella più frequente nell'ambito della concorrenza perfetta.

Però la determinazione del prezzo come incontro della curva di offerta con la curva di domanda è possibile solo se le quantità offerte variano nella stessa direzione dei prezzi. Se cioè c’è una relazione fra costi unitari e quantità prodotta. Cosa che non avviene nel caso più frequente dei ren­dimenti costanti, quando per ogni quantità domandata i prezzi riman­gono gli stessi. Quindi tanto maggiore è la presenza di questi casi tanto meno il prezzo scaturisce dall’incrocio fra domanda ed offerta e gravita in maniera predominante intorno al costo di produzione, cosicché la do­manda influenza la quantità prodotta ma solo marginalmente il prezzo7. E necessario tornare quindi al paradigma dell’economia classica e di Ri­cardo in particolare. L’economista italiano, in una controreplica a D.H. Robertson nel corso di un simposio, ha potuto perciò concludere che

«tale teoria [di Marshall] non può essere interpretata in modo da darle una coerenza logica interna, ed in pari tempo da metterla d’accordo coi fatti che si pro­pone di spiegare [...] la mia opinione è che si debba scartare la teoria di Marshall»8.

Nel secondo dei due scritti di cui si è fatto inizialmente cenno, Le leggi della produttività in regime di concorrenza, alle suddette critiche si ag­giunge quella che riguarda l’assoluta eccezionalità della concorrenza per­fetta. Quest’ultima è caratterizzata da due aspetti: 1) la singola impresa non è in grado di incidere sul prezzo di mercato che quindi per essa è un dato; 2) ciascun produttore opera normalmente in regime di costi cre­scenti.

In realtà spesso le imprese operano a costi individuali decrescenti ed espandono la loro produzione finché possono collocare il loro prodotto nel mercato. Il limite alla loro produzione è dato più dalla domanda che dai costi di produzione. Visto che ciò è incompatibile con la concorrenza perfetta, occorre utilizzare gli strumenti di analisi del monopolio. Anche perché nella realtà la situazione di concorrenza perfetta è una rarissima eccezione. Il mercato di un certo settore è in genere suddiviso in diversi mercati individuali in cui le imprese possono disporre di una loro nicchia di monopolio dovuta a molteplici cause: la conoscenza personale, la fidu­cia sulla qualità del prodotto, le abitudini, la vicinanza, un marchio pre­stigioso. In tali casi i compratori sono disposti a sostenere un costo mag­giore delle merci senza rivolgersi a imprese concorrenti. La misura di que­sta maggiorazione che può essere sopportata dal compratore determina il grado di monopolio. In altri termini la domanda può essere più o meno elastica rispetto al prezzo9.

Vi sarà quindi una molteplicità di situazioni in cui si va da una elevata prossimità alla concorrenza perfetta a una elevata prossimità al monopolio. Ma in tutte queste sfumature di grigio, che caratterizzano la concorrenza imperfetta l’impresa può incidere in misura più o meno im­portante sul prezzo nel suo mercato particolare e l’analisi della concor­renza perfetta non è adeguata a dare ragione della realtà.

 

3. Produzione di merci a mezzo di merci

Secondo una ricostruzione di Gianfranco Pala10, Sraffa fu fra i pochis­simi economisti occidentali, se non l’unico, a conoscenza delle opere pio­nieristiche, ispirate agli schemi marxiani di riproduzione, dell’economista russo Vladimir Karpovic Dmitrev11, da cui prenderà le mosse anche la famosa Input-output analysis di Wassily Leontief12. Questi lavori e quelli dell’economista russo di origine polacca Ladislaus Bortkiewicz13 gli sa­ranno utili per perseguire il suo proposito di gettare le basi teoriche di una critica della scuola marginalista su un nuovo terreno analitico e di perfezionare la teoria ricardiana del valore. A tal fine costruisce un mo­dello di produzione costituito da un’equazione lineare per ogni processo produttivo i cui parametri sono la tecnologia (le quantità fisiche di cia­scuna merce e di lavoro - o input - necessari a ciascuna produzione e la quantità di ciascun prodotto - o output -, permettendo di determinare i prezzi relativi e una delle due variabili distributive, alternativamente il saggio del profitto o il salario, una volta nota l’altra variabile.

Definendo aij la quantità della merce j utilizzata per produrre la merce i, pi il prezzo della merce i, r il saggio del profitto Li il lavoro diretto im­piegato per produrre la merce i, w il salario per unità di lavoro, il modello assume la seguente forma14:

Schermata del 2023 02 02 15 19 35

Il sistema ha soluzioni perché i prezzi sono relativi, cioè in rapporto a uno di essi preso come numerario e perché i prezzi degli input sono iden­tici a quelli degli output, cioè uno per ogni merce, sia che figuri dal lato degli input, sia che figuri da quello degli output. Pertanto, conoscendo una delle due variabili distributive, il numero delle incognite (n-1 prezzi e l'altra variabile distributiva) è pari al numero delle equazioni.

La determinazione simultanea dei prezzi degli elementi del capitale coincidenti con quelli dei prodotti implica che il valore del capitale im­piegato possa essere conosciuto solo con la soluzione del sistema e non a priori. Invece le teorie che partono da valori noti dei fattori produttivi, come quella marginalista, non sono quindi compatibili con questo si­stema di analisi15.

E importante una caratteristica: se il saggio del profitto può essere determinato solo se è conosciuto il saggio del salario e viceversa, le variabili distributive non dipendono dalla produttività dei fattori ma (implicitamente) dai rapporti di forza fra le classi. Infatti la variazione dell'uno, per esempio il saggio del profitto, determina variazioni di segno opposto dell'altro, il salario, anche se il grado di utilizzo del lavoro non è cambiato e quindi neppure la sua produttività.

In più Sraffa dimostra che la teoria secondo cui al crescere del costo di un fattore, per esempio il lavoro, diventa sempre conveniente intro­durre tecniche che sostituiscono quel fattore, per esempio con il capitale, vale solo se quest’ultimo è composto di un’unica merce e quindi non si presenta il problema di misurarne il valore. Diversamente non vi è sem­pre una relazione inversa fra salari e domanda di lavoro, ma nel ventaglio delle tecniche disponibili, può accadere che si possa sostituire capitale con lavoro anche nel caso in cui i salari aumentino e viceversa - il cosid­detto ritorno delle tecniche16 - cosa esclusa dalla teoria marginalista in cui gli isocosti relativi a due tecniche alternative hanno un solo punto di intersezione che costituisce lo spartiacque per decidere quale delle due è più conveniente.

Più esplicitamente, se a seguito di un aumento dei salari una data tec­nica di produzione viene sostituita con un’altra tecnica a più alta intensità di capitale (che risparmia lavoro), può accadere che, a seguito di un ulte­riore aumento dei salari, la prima tecnica torni a essere conveniente e soppianti la seconda. Questo può avvenire perché anche i prezzi dei “beni-capitale” variano al variare della distribuzione del reddito e po­trebbero aumentare in maniera da non rendere nuovamente più conve­niente la tecnica a maggiore intensità di capitale. Ne consegue anche, al­tro elemento importante, che la disoccupazione può non dipendere dal troppo elevato livello dei salari.

bernard1.1

Fig. 1 Il ritorno delle tecniche

Un elemento importante di questo schema analitico è la costruzione della merce tipo e del sistema tipo17. Cercando di dare una risposta al problema ricardiano di individuare una misura invariabile del valore al variare della distribuzione, viene assemblato opportunamente un mix di tutte le merci prodotte, ciascuna presa in una adeguata proporzione tale che la composizione percentuale degli elementi degli input risulti identica alla composizione degli output. Ciò è possibile utilizzando una ben de­terminata frazione di ciascuna equazione. In tal modo è come se si pro­ducesse un’unica merce composta identica per “dosaggio” a quella im­piegata nella produzione e quindi non si pone più il problema di cono­scere i prezzi delle singole merci in quanto è sufficiente il confronto fra la quantità dell’input aggregato e quella del corrispondente output che sarà un determinato multiplo della prima. Il prezzo della merce tipo non risente quindi delle variazioni della distribuzione.

Se la struttura tecnica dell’economia reale si approssimasse a quella del sistema tipo, come nel caso di studio di una ideale situazione di ripro­duzione allargata a tecnologia immutata e completa accumulazione del sovrappiù18, potrebbe avere scarsa rilevanza il problema del ritorno delle tecniche19.

La soluzione del sistema tipo è identica a quella del sistema reale per­ché vengono prese a base, sia pure in determinate proporzioni, tutte le equazioni, escluse quelle delle industrie non base, cioè che producono beni di lusso, le quali non incidono nella determinazione degli altri prezzi e delle variabili distributive.

Poiché negli input non appaiono solo merci, ma anche lavoro, Sraffa ricorre, per costruire il sistema tipo, all’espediente di rappresentare il sa­lario come un ammontare di merce tipo acquistabile dai lavoratori con la loro retribuzione. Se Marx, e prima di lui Ricardo, misurano il valore delle merci in quantità di lavoro, Sraffa misura il lavoro in merci e pro­pone una sua soluzione all’annoso problema della trasformazione dei va­lori in prezzi di produzione. Infatti è possibile determinare il saggio di profitto come rapporto tra due quantità fisicamente omogenee: il sovrap­più, cioè la quantità di merce tipo prodotta che eccede gli input, e gli input stessi.

Da un certo punto di vista, con questa costruzione, Sraffa fa un passo indietro rispetto a Ricardo. Nella sua introduzione agli scritti del grande economista classico, si dà atto dell'evoluzione della teoria del valore ri- cardiana, daU’fùwy on thè Influence ofthe Low Price ofCorn on thè Pro- fits of Stock a Produzione di merci. Nella prima opera usa l'ipotesi strumentale di una pura economia di grano, in cui questo cereale funge da unico mezzo di produzione, unico bene di sussistenza dei lavoratori e unico prodotto e in cui pertanto non è necessario conoscere i prezzi per determinare il saggio del profitto, essendo sufficiente un confronto fra le quantità fisiche costituenti gli input e quelle costituenti l'output. Invece nei Principles il rapporto fra prodotto e input viene misurato in ore di lavoro, pur nella consapevolezza che i prezzi naturali, così denominati da Ricardo, divergono dalle quantità di lavoro qualora il saggio del profitto non sia nullo e i capitali siano impiegati nei diversi rami produttivi per durate temporali differenti. Ma se i prezzi non coincidono più con le quantità di lavoro e dipendono anche dal tempo in cui sono utilizzati gli input, rimane da risolvere il problema di individuare una misura invaria­bile del valore al variare della distribuzione. Cercando di dare una solu­zione questo problema, Sraffa è costretto a inseguire una soluzione che si avvicina alla prima formulazione di Ricardo, alla misurazione in base alle quantità, scartando la determinazione in ore di lavoro.

Potendo ragionare in termini di quantità fisiche a prescindere dai prezzi, diviene visibile la relazione inversa tra salario e saggio del profitto. Se viene designato con R il rapporto incrementale tra Finterò neovalore, o prodotto netto, e l’input, rapporto che è possibile determinare in termini di quantità fisiche, si ha che con un salario pari a zero (tutto il neovalore va ai propfitti) R sarebbe anche il corrispondente saggio del profitto, cioè R è il limite massimo che può assumere tale saggio in questa estrema. Ponendo invece oj come la quota del prodotto netto che va ai salari, otteniamo che

r=R(l-ω) (2)

Nell'intento di generalizzare il suo sistema, Sraffa prende in esame an­che il caso della produzione congiunta (più merci prodotte da una mede­sima industria). In tal caso il numero dei prodotti può eccedere il numero delle industrie e quindi le incognite, i prezzi, sarebbero in quantità supe­riore a quelle delle equazioni, i processi produttivi. Il sistema non sarebbe risolvibile se egli non avesse ipotizzato per tale caso la possibilità che la produzione di alcune merci realizzate congiuntamente venga effettuata anche in altri processi con altri metodi di produzione, aggiungendo così nuove equazioni20.

La produzione congiunta viene utilizzata da Sraffa anche per trattare il capitale fisso21. Infatti basta a tal fine supporre che nell'output figuri, oltre al prodotto, l'insieme di macchine, immobili ecc. utilizzati, aventi però un anno in più di quelli che figurano nell'input, supposto per sem­plicità che il processo produttivo duri un anno.

Sempre la produzione congiunta costituisce una generalizzazione della produzione singola, essendo possibile costruire un sistema in cui gli output di ciascun processo siano pari al numero complessivo di prodotti. Basta ammettere che fra gli output possano esserci coefficienti uguali a zero.

Sraffa però osserva che in questo contesto emergono alcune compli­cazioni per la costruzione della merce tipo che richiedono una diversa sua definizione22.

Sussistono anche altre complicazioni e cambiano altre proprietà ri­spetto alla produzione singola, ma non ci sembra il caso di entrare in que­sti dettagli se non per un aspetto rilevante. Infatti nel sistema con produ­zione singola una diminuzione del salario in termini di merce tipo implica che nessun prodotto possa diminuire di prezzo in proporzione maggiore di quanto avvenga nel salario. Nel nuovo contesto, invece, il prezzo di una delle merci prodotte congiuntamente può diminuire di più perché quello di un'altra diminuisce di meno o addirittura aumenta. La conse­guenza di ciò è che a fronte di tale diminuzione salariale non necessaria­mente aumenta il profitto23. E stato agevole per lan Steedman individuare un altro corollario: si può pervenire a profitti positivi in presenza di plu­svalore negativo e con ciò svanisce anche l'origine del profitto dal plusva­lore24.

 

4. Il rapporto fra Marx e Sraffa

La merce tipo è considerata l’unità di misura che consente di determi­nare in modo esatto il saggio del profitto senza fare alcun riferimento al tempo di lavoro. Tuttavia siamo di fronte non a un diverso metodo per trasformare i valori - espressi in termini di tempo di lavoro - in prezzi, ma a un modo completamente nuovo di determinare i prezzi attraverso i parametri della tecnica, tutti ugualmente influenti a tale scopo, e non a partire dal solo tempo di lavoro diretto e indiretto. Più precisamente, i prezzi potrebbero essere indifferentemente determinati a partire dalle quantità di lavoro contenute nelle diverse merci e nel salario o più sem­plicemente dalle quantità fisiche delle merci stesse. Perciò, sempre se­condo Steedman, diviene superfluo, “ridondante”, il ricorso alle quantità di lavoro che presenta evidenti maggiori difficoltà. Infatti non si parla più di plusvalore, ma di sovrappiù, di una quantità di merci che eccede quella impiegata nella produzione.

E indubitabile che l'approccio di Sraffa, al pari di quelli di Ricardo e Marx, evidenzi la contrapposizione di interessi fra capitalisti e lavoratori, come si evince anche dalla formula (2). Inoltre gli inediti di Sraffa, venuti alla luce in epoca più recente, mostrano chiaramente che egli era un estimatore di Marx e che si proponeva, oltre allo scopo esplicitamente dichiarato di recuperare la teoria di Ricardo, di conferire rigore a quella marxiana e quindi metterla al riparo dai numerosi attacchi che essa stava subendo, con particolare riferimento al problema di derivare i prezzi di produzione dai valori. Se tale proposito non è stato esplicitato in Produzione, è probabilmente per motivi di protezione personale: era ebreo e comunista in epoca di maccartismo e ha subito perfino un periodo di confino.

Giorgio Gattei è fra coloro che hanno maggiormente apprezzato gli inediti. Egli, al pari di altri, ha messo il luce25, che se al prodotto lordo, X, togliamo il valore dei mezzi di produzione26, rimane il netto, Y, cioè il neovalore, che Sraffa pone uguale a 1, al pari del lavoro vivo, L. Y e L quindi si equivalgono, in accordo con la teoria marxiana del valore, se­condo cui solo il lavoro crea nuovo valore. Quest'ultimo, che ora pos­siamo indifferentemente contrassegnare con Y o con L, viene ripartito fra salari e profitti.

L=Lw+rK (3)

Inoltre, con w-0 e conseguentemente con m=0, è possibile rilevare dalla (3) e con elementari passaggi, che

r=R=L/K (4)

cioè il saggio del profitto massimo è l’inverso della marxiana compo­sizione organica del capitale e che quindi, anche se i lavoratori campas­sero d’aria, il saggio del profitto tenderebbe a diminuire con l’aumento della composizione organica del capitale.

La validità della marxiana legge della caduta tendenziale del saggio del profitto sarebbe confermata, però, solo nell'ipotesi che la composi­zione organica vada effettivamente crescendo, ma non sono chiari i mo­tivi per cui ciò debba avvenire, visto che essa dipende anche dai prezzi delle merci impiegate come capitale. Anzi è evidente che, avendo a che fare con quantità fisiche di merci, qualsiasi innovazione tecnologica van­taggiosa richiederà meno input a parità di prodotto o produrrà più merci a parità di risorse impiegate, e con ciò il saggio del profitto aumenterà, sia quello individuale dell'impresa che introduce l'innovazione, sia quello medio una volta che l'innovazione si generalizzerà. Ciò in quanto in que­sto contesto non può essere presa in considerazione la circostanza che tali innovazioni determinano una riduzione del lavoro necessario alla produ­zione e con ciò anche del plusvalore27. L'economista giapponese Nobuo Okishio, partendo da un contributo di Samuelson, sulla base di un appa­rato analitico di derivazione sraffiana28, ha potuto dimostrare un famoso teorema che ha preso il suo nome, in base al quale l'innovazione tecnolo­gica introdotta per incrementare il saggio del profitto individuale, non può che accrescere anche il saggio del profitto generale, contrariamente a quanto risulta dalla marxiana legge della caduta tendenziale del saggio del profitto29.

Altro elemento che testimonia a favore dell’intenzione di Sraffa di va- lidare, rettificandola, la legge del valore è la possibilità dimostrata di ri­condurre i prezzi a quantità di lavoro diretto e indiretto - cioè incluso quello incorporato nei mezzi di produzione - necessarie a produrlo, te­nendo conto della distribuzione nel tempo di tali quantità, e applicandovi il saggio di profitto per le annualità intercorse dal dispendio di lavoro ad oggi30. Anche in questa costruzione si percepisce l’influsso di Ricardo che considerava nello stesso modo i prezzi naturali.

Tuttavia, come ebbe a sostenere Claudio Napoleoni in un carteggio amichevole con Sraffa, nel caso in cui una parte del sovrappiù eccedente le sussistenze vada ai lavoratori, non siamo in grado di dedurre da questo impianto se è il capitalista che sfrutta il lavoratore sottaendogliene l’altra parte o se è il lavoratore che sfrutta il capitalista non lasciandoglielo per intero, come quando il lavoratore si accontenti di sopravvivere secondo gli standard storicamente determinati per la classe lavoratrice. Lo stesso Sraffa, secondo la testimonianza di Napoleoni, ebbe modo di ammettere, manifestandolo in forma scherzosa, questa debolezza del suo costrutto.

Altro elemento di differenziazione riguarda i beni di lusso, denominati non base, e che per l'algebra di Sraffa non concorrono alla determina­zione del saggio del profitto e degli altri prezzi31, mentre per Marx il plu­svalore prodotto in quei settori va a concorrere alla determinazione del saggio del profitto e con ciò dei rimanenti prezzi di produzione.

I problemi di compatibilità del sistema marxiano con quello sraffiano, e quindi la necessità di rinunciare alla teoria del valore sono asseriti anche da Garegnani il quale, in un contributo del 198132, e in altri scritti ha sostenuto che lo sfruttamento è “un fatto” che resta evidente anche ri­nunciando a tale teoria.

Abbiamo visto che Sraffa propone l'uguaglianza fra Y e L. È evidente la ricezione da Ricardo e soprattutto da Marx di questo assunto. Ma men­tre quest’ultimo cerca di spiegare i motivi di tale ipotesi, Sraffa la assume semplicemente. Pare legittimo ipotizzare che la differenza sta nei diversi scopi delle rispettive teorie, l’una per disvelare lo sfruttamento, le con­traddizioni e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico, l’altro per conferire maggiore rigore al sistema di analisi del primo.

Altro elemento di differenza con Marx è il pagamento posticipato dei salari. Parrebbe una questione puramente tecnica ma in realtà con questa soluzione diviene meno manifesta l’annessione della forza-lavoro al capi­tale. Peraltro in Sraffa, applicando al lavoro il proprio prezzo, il salario, neppure esiste la distinzione fra lavoro e forza-lavoro, che Marx aveva dichiarato essere la sua principale scoperta.

Sraffa, al pari di altri marxisti, pare sottovalutare la rottura di Marx con i classici e lo considera l’ultimo e forse il più conseguente classico. Se gli inediti mostrano le reali intenzioni di Sraffa è altrettanto oggettivo che la scuola che si è costituita sulle sue orme ha accentuato il distacco con il Moro e concordiamo con Ernest Mandel quando afferma che

«mentre qualsiasi riabilitazione della teoria del valore-lavoro, anche in una versione premarxista, non può che essere accolta favorevolmente, noi stessi ri­maniamo convinti che nessuna vera sintesi è possibile tra neoricardianismo e marxismo. I marxisti contemporanei hanno il dovere di difendere tutti quei pro­gressi decisivi compiuti da Marx su Ricardo, che i teorici neoricardiani stanno ora cercando di annullare» (MANDEL 1999).

Andando oltre le intenzioni, se lo scopo esplicito di Sraffa era porre le basi per una critica della teoria economica marginalista, come recita anche il sottotitolo della sua opera, e quello sottaciuto di dare una veste più rigorosa al contributo marxiano, il suo costrutto teorico è stato uti­lizzato, suo malgrado, per alimentare la critica, già in campo dopo un tentativo di “correzione” di tale procedimento da parte di Bortkiewicz33’ al procedimento di Marx di trasformazione dei valori in prezzi di produ­zione. Quest’ultimo vi aveva evidenziato una discrepanza, cercando di eliminarla con la determinazione dei prezzi in un sistema autoriproduttivo in equilibrio a partire dai valori. Determinazione che però implicava l'abbandono di alcune conclusioni di Marx.

Anche il grande teorico del comunismo parte infatti da valori noti dei mezzi di produzione mentre, sostengono i critici “neoricardiani”, tali va­lori dovrebbero essere determinati simultaneamente ai prezzi degli out­put. Se così si facesse si otterrebbero prezzi degli input diversi da quelli presi in considerazione da Marx. Questi economisti hanno anche dimo­strato34 che, così facendo, gli aggregati utilizzati da Marx per determinare il saggio medio del profitto (capitale costante, capitale variabile e plusva­lore) in termini di tempo di lavoro sarebbero diversi da quelli espressi in termini di prezzi di produzione e così anche il saggio del profitto sarebbe diverso. Con il che la procedura di trasformazione dei valori in prezzi di produzione sarebbe errata.

Queste critiche a nostro modo di vedere partono da un fraintendi­mento della teoria di Marx il quale nella sua procedura non utilizza i va­lori dei mezzi di produzione espressi in termini di tempo di lavoro social­mente necessario alla loro produzione, ma, come espressamente li deno­mina il Moro, i prezzi di costo, cioè il costo effettivamente sostenuto per il loro acquisto e per l'acquisto della forza-lavoro; il valore degli input, secondo diverse recenti interpretazioni35, corrisponderebbe perciò al tempo di lavoro rappresentato dal denaro speso per procurarsi tali ele­menti. Infatti, visto che la metamorfosi del capitale assume la forma D- M-D\ all’inizio c’è un’anticipazione di denaro per acquistare mezzi di produzione e forza-lavoro - il capitale costante e il capitale variabile, che quindi valgono il loro prezzo di acquisto - e alla fine una quantità mag­giore di denaro. Il profitto e il saggio del profitto si determinano a partire da queste grandezze monetarie. E il valore rappresentato da quel denaro anticipato - o, che è lo stesso, di C e V ai costi effettivamente sostenuti - che deve essere preso a base per determinare il suo incremento. Si tratta quindi di un valore già trasformato perché i vari elementi occorrenti al ciclo produttivo sono acquistati ai prezzi di mercato, che oscillano at­torno ai prezzi di produzione. Marx è anche consapevole che se invece si considerassero i prezzi di costo equivalenti ai valori come formulati al livello di astrazione del libro I del Capitale, e cioè in termini di tempo di lavoro, si cadrebbe in errore.

«Si era dapprima partiti dalla supposizione che il prezzo di costo di una merce sia uguale al valore delle merci consumate [...] Per il compratore il prezzo di produzione di una merce si identifica con il prezzo di costo di essa e può entrare come tale nella formazione del prezzo di una nuova merce [...] Il prezzo di costo di una merce può essere superiore o inferiore [... al] valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce. E necessario tenere presente questo nuovo significato del prezzo di costo e ricordare quindi che un errore è sempre possibile quando, in una determinate sfera di produzione, il prezzo di costo di una merce viene identificato con il valore dei mezzi di produzione in essa con­sumati. [...] Il prezzo di costo delle merci è un prezzo dato, è un presupposto indipendente dalla produzione del capitalista, mentre il risultato della sua pro­duzione è una merce che contiene plusvalore e quindi eccedenza di valore nei confronti del prezzo di costo di essa»36.

Debbono essere considerati inoltre due aergomenti: 1) l'economia di Marx è un'economia monetaria e la misura esterna del valore è il de­naro37; 2) oltre al capitolo 9 del terzo libro del Capitale, esiste anche, poco ricordato, il successivo capitolo 10 in cui si mostra come il processo di formazione dei prezzi di produzione passa attraverso il meccanismo dei valori di mercato38, dei problemi di realizzazione e dell’influsso della do­manda e dell'offerta e non si riduce solamente alla tecnica computistica per incrementare il prezzo di costo col profitto medio. Quest’ultimo, pe­raltro costituisce una necessaria astrazione rispetto allo sventagliamento nel mondo reale di saggi del profitto settoriali (e anche individuali) che potranno più o meno discostarsi dal saggio medio, considerando che lo spostamento dei capitali da un ramo all'altro dell'economia avviene a po­steriori e incontra alcuni attriti.

La procedura di Marx, pur solo abbozzata nei manoscritti poi pubbli­cati come libro III del Capitale, non ci pare quindi necessiti importanti correzioni e l’incoerenza con la costruzione di Sraffa è perché quest’ul­timo parte da presupposti e obiettivi completamente diversi.

Il modello di Sraffa, se mette a nudo alcune lacune del marginalismo, si mantiene sul suo terreno a-storico: i prezzi sono relativi, la loro deter­minazione è simultanea, come in Walras, e non sono presi in considera­zione il tempo di produzione e di circolazione. Inoltre si dice ben poco delle problematiche del capitalismo (sovrapproduzione, tendenze stori­che, progresso tecnologico...) che non rientrano fra gli oggetti dell’inda­gine. Né si tratta della durata della giornata lavorativa, dei metodi di estrazione del plusvalore, e così via. Non si parla più di “leggi di movi­mento” della società capitalistica. Le classi sono solo nominate, ma non analizzate nella loro materiale esistenza, e il capitale, da rapporto sociale è retrocesso a un insieme di beni eterogenei, arretrando così all'originaria impostazione dell'economia politica borghese. Il denaro non esiste o se esiste è solo nella sua funzione di numerario e, tutt’al più di intermediario degli scambi. Quindi anche il capitale finanziario non è oggetto di inda­gine. Non esiste una teoria del salario come categoria sociale, ma solo come variabile distributiva né una distinzione fra lavoro e forza-lavoro. Non c’è una teoria della domanda e dell’offerta, ma tutto si regge sui pa­rametri esogeni della tecnologia, e sulla conoscenza, senza indagarne la formazione, di una variabile distributiva.

In sostanza, con l'obiettivo di conferire rigore all’impianto ricardiano e a quello marxiano, ci si mantiene all’interno di una visione a cui sfug­gono i caratteri storicamente e socialmente determinati del capitalismo. E in più si impiegano alcune espedienti del modello walrasiano, che pure costituisce un pezzo fondamentale della teoria che si vuole criticare: si­multaneità, equilibrio generale e determinazione dei soli prezzi relativi.

La cosa di per sé è legittima. L’oggetto di Sraffa non è quello di Marx. Probabilmente, dovendo mostrare le incoerenze interne della teoria mar- ginalista, Sraffa ha scelto combatterla sul suo terreno. Pierangelo Gare- gnani, suo esecutore letterario, ebbe a dire che, «se Sraffa non si è occu­pato della determinazione sociale delle condizioni tecniche di produ­zione e quindi del ‘processo lavorativo’», trattate adeguatamente altrove, il motivo è che «non era l'obiettivo di Produzione di merci per mezzo di merci affrontare tali argomenti». Tuttavia «non sembra esserci, all’interno dell’analisi “neoricardiana”, alcuna difficoltà a trattare il ‘processo lavo­rativo’ in termini strettamente simili a quelli di Marx, e quindi rendere trasparente e confermare l'interesse che muove i capitalisti, individual­mente e come classe, ad esercitare la loro 'autorità e controllo' allo scopo di aumentare l'intensità del lavoro o per allungare la giornata lavora­tiva...»39. Per Garegnani, quindi, se la trattazione formale, tecnica, “fredda”, di Produzione non affronta gli aspetti “caldi” adeguatamente sviluppati da Marx, non di meno essa non è in contraddizione con essi. E, di più, oggi le carte inedite mostrano che tali aspetti “caldi”, quali l'in­tensità del lavoro e la durata della giornata lavorativa sono considerate rilevanti da Sraffa anche se lasciate in ombra nella sua opera principale.

Ma tutto ciò non autorizza a sostenere l'esistenza di vizi logici nel Ca­pitale di Marx sulla base di una modello a esso estraneo.

 

Conclusioni

Alla luce degli inediti di Sraffa non può essere messo in discussione il suo approccio favorevole alla teoria marxiana. Tuttavia, abbiamo visto che il suo modello parte da assunti e conduce a risultati non sempre con­ciliabili con tale teoria. Se ciò dipende dai diversi oggetti delle rispettive ricerche, la scuola di pensiero che si riferisce all'economista italiano ha talvolta posto questioni fuorviami criticando Marx per l'idea che se ne è fatta e per il suo rapporto con la teoria del sovrappiù, non per quello che effettivamente ha sostenuto. Tanti sraffiani, un po' come lo spettatore re­sta confuso dal prestigiatore che occulta il suo inganno grazie allo strata­gemma di distrarre l'attenzione dall’esecuzione del trucco, sono rimasti abbagliati dalla ricerca di soluzioni formali corrette e coerenti con il for­malismo del caposcuola, ricerca che ha deviato la loro attenzione dal reale contesto del sistema marxiano. La supposta incoerenza della sua teoria non è interna ad essa ma solo rispetto al modello di Produzione di merci, che abbiamo visto avere altri presupposti e altri scopi.

Si assiste invece a neomarxisti postkeynesiani che evitano di occuparsi della teoria del valore, limitandosi a ragionare sulle leggi del movimento del capitalismo, con i limiti dell'impostazione keynaesiana che abbiamo già rilevato nel precedente articolo40, e a neomarxisti postsraffìani che si concentrano sulla determinazione dei prezzi in base al modello di Produ­zione di merci e non sulle dinamiche dell'economia.

 

Appendice: il dibattito sulla teoria marxiana del valore

Non è possibile qui fornire una ricostruzione dettagliata di tale dibat­tito che richiederebbe almeno centinaia di pagine. Mi limito ad accennare ad alcuni passaggi che mi paiono più significativi.

Come già accennato le prime critiche sulla base di un'impostazione simil-sraffiana ante litteram, vengono formulate a partire dal noto saggio di Bortkiewicz già citato41. Una buona rassegna di questa discussione si trova nel volume a cura di Claudio Napoleoni La Teoria dello sviluppo Capitalistico42. Si tratta della pubblicazione, nella prima parte, di un noto saggio del 1942 di Paul Sweezy e di una serie di contributi, nella seconda, di vari studiosi, tra cui Bòhm-Bawerk, Pareto, Meek, Dobb, Lange e Sa­muelson. Evitiamo di soffermarci sui contributi di Bòhm-Bawerk e Pa­reto che denotano una scarsa comprensione del metodo e della stessa cronologia degli scritti di Marx e che comunque hanno per oggetto una questione che esula dai fini della nostra discussione. Altri contributi evi­denziano il senso di spaesamento del campo marxista prodotto dal dibattito aperto con la pubblicazione del lavoro bortkiewicziano. I tenta­tivi impossibili di risolvere la presunta contraddizione insita nella via marxiana alla trasformazione del valori in prezzi di produzione e di mo­strare la possibilità di renderla compatibile con Produzione di Merci, ri­manendo però sostanzialmente sul terreno dell'algebra di Sraffa, si ac­compagnano a interventi miranti ad affermare un'insostenibile negazio- nismo circa l'evidente incompatibilità fra i due sistemi, mentre all'oppo­sto vi sono denunce di una insopprimibile incongruenza insita nella stessa teoria marxiana del valore tra cui si segnala quella di Paul Samuelson43.

Vent'anni dopo la pubblicazione di Produzione di merci, nel 1981, è uscita una nuova raccolta di saggi, molti dei quali di studiosi italiani44. Qui, pur sviluppando alcune argomentazioni originali, mi pare che si si rimanga sostanzialmente all'interno del recinto sraffiano. Mi paiono tut­tavia di un certo interesse i contributi di Marcello Cini e di Roberto Pa- nizza che propongono un metodo iterativo - già utilizzato in aggiunta alla soluzione simultanea, a partire dallo stesso Bortkievicz e prima ancora, nel 1933 da Kei Shibata45 - per passare, attraverso successive approssi­mazioni, consentite dal metodo scientifico, dai valori ai prezzi giungendo a un risultato identico a quello della soluzione simultanea.

Cini, che inizia con l'ipotesi strumentale di composizioni uniformi del capitale, ne trae la conclusione che l'analisi in termini di valore dell'eco­nomia astratta a composizione di capitale costante (meglio sarebbe dire al livello di astrazione del primo libro del Capitale) «rivela le caratteristi­che fondamentali del meccanismo di accumulazione del capitale», carat­teristiche che rimangono valide anche nell'economia a composizione dif­ferenziata ma che «non sarebbero facilmente portate alla luce nel sistema dei prezzi senza la preventiva analisi marxiana», dato che le variabili uti­lizzate negli schemi di impostazione simultanea non sono «adatte a met­tere a nudo i rapporti di produzione capitalistici»46.

Panizza ricostruisce la storia di simili approcci e si pone la domanda se, potendo giungere alla soluzione immediata con un sistema simultaneo senza l'intervento dei valori, questi ultimi siano effettivamente necessari per determinare i prezzi. Tanto più che, anche col metodo iterativo, si può raggiungere il medesimo risultato anche non partendo dai valori ma da altri indicatori, quali le quantità fisiche della matrice della tecnica. Per­tanto, egli ricava che la conoscenza dei valori non sia indispensabile per determinare i prezzi, e attribuisce a Marx il «tentativo di offrire un'im­magine dinamica del capitalismo e nello stesso tempo [... di] ricorrere a strumenti analitici [...] che possono dare soltanto un'immagine statica dei meccanismi economici»47. Ciò nonostante, conclude che «il capitali­smo può solo considerare il momento finale del processo di valorizza­zione, cioè i prezzi» aventi una «natura fenomenica» che può «prescin­dere dalla categoria del valore», con tutto quello che ne consegue in ter­mini di lettura delle contraddizioni e delle leggi di movimento del sistema economico.

Bisogna giungere al 1984, quando uscì il Langston Memorici Volume, a cura di Ernest Mandel e Alan Freeman48, per scrutare i primi tentativi di uscire dal recinto del sovrappiù. Se in quella pubblicazione alcuni mar­xisti persistono nell'arroccamento in posizioni insostenibili, altri, in modo più fecondo, anticipano alcuni avanzamenti che verranno svilup­pati negli anni successivi.

Anwar Shaikh49, per esempio, evidenzia che il prezzo è «l'espressione monetaria del valore all'interno della sfera della circolazione». Inoltre, sottolinea l'importanza della forma di valore, critica l'approccio di equi­librio e dimostra che il saggio del profitto in termini di valore e quello in termini di prezzi di produzione si muovono insieme: entrambi aumen­tano all'aumentare del saggio del plusvalore e viceversa.

Paolo Giussani50, dopo aver dichiarato l'incompatibilità fra il metodo di Marx e quello di Produzione di merci a mezzo di merci, sostiene che il saggio medio del profitto è cosa diversa dal saggio di equilibrio di Sraffa e che nell'economia reale si afferma il primo e non il secondo. I valori scaturiscono solo dal processo di produzione mentre i prezzi risentono sia di tale processo che di quello di circolazione. Il suo più rilevante con­tributo a nostro modo di vedere è l'introduzione del fattore tempo che permette di distinguere valori e prezzi alla fine di processi di produ- zione/circolazione susseguenti.

Mandel51 evidenzia che l'oro, in un sistema monetario aureo, quale «equivalente generale, entra nel processo di circolazione con un valore e non con un prezzo» e che il valore degli input è dato:

«Il capitalista compra macchine, materie prime, e forza-lavoro a un dato prezzo. Questo prezzo non può cambiare in base a cosa accade a seguito del nuovo ciclo di riproduzione, che inizia quando egli ha già comprato questi in­put».

Pertanto, se ci sono problemi non risolti nella trattazione marxiana della trasformazione, essi

«non sono quelli sollevati dai suoi critici neo-ricardiani. Ad essi ha alluso Marx stesso nel Capitale e in altri suoi scritti economici e possono essere risolti nel contesto di una rigorosa applicazione della sua teoria del valore».

Anche Salama, trattando delle “correzioni” di Bortkiewicz, sostiene che esse «occupano un differente ambito concettuale rispetto alle inten­zioni di Marx» in quanto l'approccio di quest'ultimo non è di equilibrio e non utilizza la riproduzione semplice ma quella allargata, a differenza dell'economista russo-polacco.

Sungur Savran ed Emmanuel Farjoun a loro volta intervengono sulla possibilità, nel caso della produzione congiunta, di valori e plusvalore ne­gativi sulla base dell'impeccabile dimostrazione matematica di Steedman. Per Savran, però, quello che Steedman tratta non è la produzione con­giunta vera e propria, cioè la produzione di due merci da un medesimo processo, ma la produzione di tali merci da due distinti processi, come fa anche Sraffa. In questo caso possono esserci valori, e quindi plusvalore, negativi solo se uno dei due processi è nettamente meno produttivo dell'altro. Marx in simili casi sosteneva che siamo di fronte a differenti valori individuali, mentre il valore sociale di quelle merci si afferma sul mercato attraverso un processo di perequazione. Steedman invece non prende in considerazione l'esistenza di valori individuali differenti e, at­traverso il sistema di determinazione simultanea dei prezzi, inizia con va­lori già uguagliati. I valori negativi scaturiscono solo da questa semplifi­cazione che è una «versione caricaturale» della teoria di Marx, la quale è invece ben diversa e, per lo meno nel caso della produzione congiunta, non si presta a essere rappresentata da equazioni simultanee. Farjoun so­stiene che in presenza di tecniche di produzione meno efficienti queste non saranno alternative, perché il lavoro sarà trasferito verso tecnica più efficiente e quella meno efficiente non verrà utilizzata.

Altra obiezione può essere fatta per la trattazione del capitale fisso come prodotto congiunto. Sulla base delle equazioni simultanee tale ca­pitale, dal momento che si considera il prezzo finale e non quello effetti­vamente sostenuto, può cedere al prodotto più del suo valore iniziale e quindi diventare negativo. Ma per Marx il capitale costante, non può ce­dere più del suo valore. Il modello di Steedman (e di Sraffa) non si presta quindi a rappresentare la trattazione marxiana del capitale fisso.

Anche Alan Freeman sostiene che la presunta inconsistenza della teo­ria marxiana deriva dal confrontarla con uno schema matematico - le equazioni simultanee - che è l'unico modo per risolvere il problema all'interno di un'impostazione neoricardiana e che tuttavia non rispecchia la teoria che si vorrebbe criticare, la quale tratta non un sistema che si autoreplica immutabilmente, ma i movimenti incessanti che avvengono nel corso del tempo in regime di concorrenza fra i capitali e che determi­nano disequilibri, almeno temporanei, con conseguenti diminuzioni dei profitti, trasformazioni tecnologiche a cui le imprese non sono a priori preparate ecc. In generale «un'economia squilibrata con un'offerta o una domanda in eccesso in particolari settori distrugge la derivazione formale dei prezzi» di impostazione sraffiana52. Le presunte incongruenze della teoria del valore derivano quindi «dai presupposti nascosti di questa [di Sraffa] formalizzazione, non dalla teoria in quanto tale», dal fatto che i prezzi esistenti prima del processo di produzione/circolazione del capi­tale debbano essere identici a quelli che si realizzano dopo tale processo e che niente debba mutare. Sraffa stesso ne era consapevole ma, avendo lo scopo di criticare la teoria marginalista, doveva utilizzare un simile ap­proccio in quanto tale teoria «esige che l'attenzione sia concentrata sul cambiamento poiché senza cambiamento [...] non vi può essere né pro­dotto marginale né costo marginale» che sarebbero «impossibili da tro­vare»53.

Dopo una sequenza di formulazioni, più generali di quelle del modello sraffiano, e di esempi numerici, che non possiamo qui riportare, Freeman conclude appellandosi all'evidenza dei fatti, e cioè che nessuna ricerca empirica dimostra la superiorità dell'approccio neoricardiano rispetto a quello marxiano. E, citando Einstein, conclude: «può essere vero che que­sto sistema di equazioni è ragionevole da un punto di vista logico. Ma que­sto non prova che corrisponda alla natura»54-

In quegli stessi anni si affermano nuovi filoni interpretativi della teoria di Marx che tendono a superare alcune critiche della scuola sraffiana55. Iniziamo con la New Solution o New Interpretation, proposta indipen­dentemente da Gérard Duménil, Donimique Lévy e Duncan Foley56. Il merito di questo approccio è di avere superato la scissione fra i due si­stemi, quello dei prezzi e quello dei valori, attraverso la considerazione adeguata del carattere monetario dell'economia. Infatti, viene assunto come valore del capitale variabile il valore dell'esborso monetario per ac­quistare i salari, cioè la quantità di lavoro astratto rappresentato dal de­naro anticipato a tale scopo, e non il lavoro incorporato nei mezzi di sus­sistenza dei lavoratori. Per definire il lavoro rappresentato dalla moneta, MELT (Monetary Expression of Labour Time), viene scelto il numerario che assicura l'uguaglianza tra neovalore aggregato e valore monetario del prodotto netto aggregato, riprendendo l'uguaglianza Y=L di Sraffa. In tal modo si presuppone nuovamente che solo il lavoro è la fonte del valore. Il capitale variabile e il valore della forza-lavoro saranno di conseguenza pari al salario monetario moltiplicato per il valore, in termini di lavoro, della moneta come sopra definito. Pertanto, anche il plusvalore, essendo la differenza tra prodotto netto e capitale variabile, sarà uguale ai profitti aggregati, e il saggio del plusvalore potrà essere calcolato senza errore in termini di quantità di lavoro, a prescindere dai problemi posti dalla tra­sformazione.

Non viene invece soddisfatta l'altra uguaglianza prospettata da Marx, quella tra prodotto lordo aggregato espresso in termini di prezzi di pro­duzione e valore complessivo della produzione lorda in termini di lavoro. Ciò in quanto il capitale costante è ancora considerato in termini di la­voro incorporato nei mezzi di produzione e non in termini monetari. Quindi anche il saggio generale del profitto, calcolato come rapporto tra quantità di lavoro, non coincide con il saggio monetario. Rimane tuttavia salvaguardato un rapporto di dipendenza del saggio del profitto dal sag­gio del plusvalore.

La derivazione da Sraffa è evidente sia per l'approccio simultaneo, sia per l'avere posto X=L. La novità sta dell'introduzione della moneta che fa da ponte fra il sistema dei valori e quello dei prezzi, non più duali come denunciato da Paul Samuelson in un suo noto articolo57.

Fred Moseley, Antonio G. Callari, Richard D. Wolff, e altri hanno proposto una generalizzazione della New Solution, accolta successiva­mente anche dagli originari ideatori. Infatti, non c'è ragione di non trat­tare anche il valore del capitale costante allo stesso modo del capitale va­riabile, e cioè come valore rappresentato dall'anticipazione monetaria oc­corrente per acquisire i beni strumentali e le materie prime58.

In questo modo vengono recuperate tutte le identità aggregate alla base del procedimento di trasformazione marxiano, e quindi anche il sag­gio del profitto medio calcolato in termini di valori coincide con quello calcolato in termini di prezzi. Il superamento della dualità dei sistemi è così completo: il valore del capitale risente del sistema dei prezzi, il quale è il risultato del processo di trasformazione.

Tuttavia, non essendo revocata l'impostazione simultanea di Sraffa, il saggio del profitto può essere conosciuto solo contemporaneamente ai prezzi di produzione, mentre per Marx veniva determinato precedente­mente ai prezzi. Rimangono inoltre tutti gli altri inconvenienti del me­todo simultaneo, soprattutto con riferimento alla legge della caduta ten­denziale del saggio del profitto.

Riccardo Bellofiore si ripromette di ridefinire la teoria monetaria del valore, allo scopo di ricostruire la teoria marxiana come «teoria macro­sociale e monetaria della produzione capitalistica». Egli propone il supe­ramento delle due distinte definizioni di socializzazione del lavoro, quella immediata nel processo produttivo e quella a posteriori nella circolazione delle merci, trasformando «la teoria monetaria del valore in una macro­teoria monetaria della produzione capitalistica». A tale scopo, in accordo con la teoria del circuito monetario59, muove dal «finanziamento iniziale della produzione capitalistica» da parte del sistema bancario che può es­sere visto come «un atto di socializzazione monetaria anticipata» della forza-lavoro quale «potenziale lavoro in azione; proprio come il lavoro vivo è lavoro astratto in divenire, da convalidare sul mercato contro de­naro reale». Il valore del capitale anticipato è pertanto l'espressione mo­netaria del lavoro necessario mentre la differenza fra questa anticipazione e il prezzo non ancora realizzato, ma atteso, del prodotto determina l'e­spressione monetaria dello sfruttamento del lavoro vivo che quindi è noto già prima della vendita nel mercato e che il mercato potrà o meno validare a posteriori60.

Egli concorda che che in Produzione di merci ci si limiti ad analizzare il risultato alla fine del periodo produttivo, e che l'«oggetto di analisi [sia] alquanto diverso e più limitato rispetto a quello di Marx», in quanto non indaga il processo produttivo. Pur rilevando aspetti problematici della teoria marxiana, sottolinea alcuni degli elementi “caldi” che la contaddi- stingue, evidenziati anche da Claudio Napoleoni. Per esempio, ma le ci­tazioni potrebbero essere tante,

«l’estrazione di lavoro vivo è [...] può essere contestata nei luoghi di lavoro. Il capitale deve, ogni volta di nuovo, essere in grado di governare e superare questa “incertezza”, da cui non può mai completamente emanciparsi: perché è anche, se non soprattutto, nel processo capitalistico di lavoro che costruisce la sua egemonia»61

Infine, Bellofiore sostiene che quando i salari non si attestano sul li­vello di sussistenza, essi debbano essere interpretati in termini di “lavoro comandato”, alla maniera di Smith e non di lavoro incorporato (BELLOFIORE 2020: 44-50).

I pluridecennali tentativi di “correzione”, talvolta estremamente di­struttivi, della teoria marxiana da parte della corrente sraffiana o addirit­tura i tentativi di riformulare una teoria del capitale abbandonando la teoria del valore di Marx, appaiono pertanto, anche a Bellofiore, «inade­guati». Peraltro, è singolare che il caposcuola di questa corrente non sia mai intervenuto in merito e dobbiamo rivolgerci agli inediti per rico­struire il suo punto di vista.

Una più netta cesura con l'approccio di Sraffa si ha con la Temperai Single System Interpretation (TSSI)62 di Alan Freeman, Andrew Kliman, Paolo Giussani, Guglielmo Carchedi, Ted McGlone e altri. Al carattere non duale del sistema dei valori/prezzi si aggiunge la critica dell'approc­cio simultaneo alla determinazione dei prezzi. Secondo questa interpre­tazione, Marx concepiva sia i valori che i prezzi come grandezze determi­nate nel tempo in un sistema non in equilibrio a causa delle continue per­turbazioni introdotte dall'innovazione tecnologica e dalle strategie delle imprese. Come nell'approccio di Moseley e altri il valore dei mezzi di produzione e della forza-lavoro discende dal prezzo sostenuto per la loro acquisizione e non dal lavoro contenuto ma si nega che tali prezzi coinci­dano con quelli dei beni prodotti, perché gli uni risultato di periodi pro­duttivi precedenti, gli altri dell'attuale. Fra un periodo e l'altro avvengono cambiamenti importanti e le merci prodotte non sono le stesse immesse nel processo produttivo. Addirittura, in generale, non sono neppure qua­litativamente lo stesso tipo di merce.

Viene pertanto proposto un sistema dinamico sequenziale, con l'in­troduzione del fattore tempo: nel processo produttivo al tempo t, gli in­put sono acquistati al prezzo pt-1 scaturente dal processo del periodo t-1, cioè prima che cominci l'attuale ciclo produttivo, mentre il prodotto sarà venduto al prezzo pt. Quindi i prezzi dei mezzi di produzione e della forza-lavoro non sono un'incognita ma sono già noti e diversi da quelli degli output prodotti nel periodo di produzione t. Pertanto, non è cor­retto determinarli simultaneamente al prezzo dei beni prodotti.

Kliman e McGlone63 mostrano che un simile approccio è assai consi­stente con la teoria marxiana. Infatti, si verifica l'uguaglianza delle gran­dezze aggregate in termini sia di valori che di prezzi, il saggio del profitto non muta al variare della sua distribuzione fra i capitalisti, i valori non possono essere negativi, la produttività nelle industrie di lusso incide, a differenza di quanto avviene in Produzione di merci, sul saggio generale di profitto e le innovazioni che risparmiano lavoro possono causare la caduta del saggio del profitto.

Sul piano dell’evidenza statistica, moltissimi studi econometrici atte­stano che l’andamento reale dei prezzi di mercato è strettamente corre­lato sia al tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci, sia ai prezzi di produzione marxiani. Quelli di Eduardo Ochoa affermano:

1) I prezzi di mercato sono strettamente correlati ai valori marxani e ai prezzi di produzione. In particolare, nell'economia Usa dal 1958 al 1972 la deviazione fra i prezzi di produzione marxiani e i prezzi di mer­cato è stato mediamente inferiore al 13%, analogamente alla deviazione fra valori e prezzi di mercato (poco sopra a 11,2).

2) La trasformazione dei valori in prezzi di produzione e anche in prezzi alla Sraffa fa guadagnare pochissimo in precisione.

3) Gli isocosti, hanno un andamento quasi lineare e nell’arco di 25 anni non hanno mai avuto un andamento tale da far supporre la possibi­lità del ritorno delle tecniche64.

Anwar Shaik mostra che la deviazione media fra i prezzi di mercato e i valori è paragonabile a quella fra i prezzi di mercato e i prezzi di produ­zione calcolati attraverso il sistema tipo sraffiano e che ancora inferiore è la deviazione fra valori e prezzi di produzione tipo. Egli constata che in media i valori si discostano dai prezzi di mercato solo del 9,2% e che i prezzi di produzione si discostano dai prezzi di mercato dell’8,2%. La differenza è quindi minima ed è funzione lineare del saggio del profitto (è ovviamente nulla per r=0)65. Queste ridotte differenze potrebbero es­sere un indizio che le economie reali si approssimano al sistema tipo sraffiano. Infatti se il plusvalore venisse prevalentemente investito per allar­gare la produzione e la tecnica non venisse modificata significativamente nel breve periodo, si avrebbe che la composizione degli input non si di­scosterebbe in maniera rilevante da quella degli output. Ma se il sistema reale si avvicinasse al sistema tipo, allora il presunto errore di valutazione del capitale impiegato non sussisterebbe. Sappiano che la realtà non è così, che il sistema è dinamico. Ma delle due l'una: o siamo in presenza di un sistema statico, molto prossimo a quello tipo e allora non è possibile concludere che i prezzi di produzione di Marx possono differire in ma­niera significativa da quelli di Sraffa, oppure siamo in presenza di un si­stema molto più dinamico e in tal caso dovremmo utilizzare una strumen­tazione differente da quello di Produzione di merci a mezzo di merci.

Un'altra spiegazione della molto scarsa rilevanza della deviazione dei prezzi dai valori sta nel fatto che il problema della trasformazione non sussisterebbe se il saggio del profitto fosse uguale a zero, non essendoci in tal caso alcun plusvalore da ripartire fra i vari capitalisti e che lo sco­stamento fra valori e prezzi di produzione è tanto minore quanto minore è il saggio del profitto. Ma, rispetto alla situazione dell'ottocento, oggi il saggio del profitto è estremamente più contenuto. Pur nelle oggettive dif­ficoltà di misurare questo indicatore, prendendo come proxy il saggio di aumento del Pii, a sua volta conseguenza del saggio di accumulazione, tutte le statistiche indicano che oggi la crescita è circa pari a 1/3 di quella registrata negli anni 40 del Novecento e presumibilmente ancora più ri­dotta rispetto a quella dell'ottocento. Considerato questo trend storico, il problema posto dalla corrente del sovrappiù è divenuto sempre più ir­rilevante.

Partendo dal prezzo di costo, che per il capitalista è «un prezzo dato, è un presupposto», si assume evidentemente una determinazione dei prezzi diversa da quella simultanea di prezzi degli input, degli output e del saggio del profitto66. Alcuni studiosi, difensori del procedimento di Sraffa ribattono che i prezzi dovrebbero essere considerati come prezzi di riproduzione. Cioè per il capitalista non conta tanto quanto ha effetti­vamente speso, ma quanto dovrà spendere per ricostituire gli elementi del suo capitale consumati nella produzione. In tal modo si giustifiche­rebbe il metodo della determinazione simultanea.

A mio modo di vedere questa seconda impostazione, compatibile con la condizione di equilibrio dell’impresa e con quello generale, presup­pone che il capitalista possa comunque realizzare sul mercato i prezzi di riproduzione, adeguando i prezzi di vendita alle esigenze del suo “equili­brio”, il che mi pare assai lontano dalla realtà. Non si tiene di conto inol­tre che il saggio del profitto così realizzato differisce da quello effettiva­mente conseguito, che si misura in riferimento ai costi effettivamente so­stenuti. Non si considera infine che raramente, con i veloci mutamenti della tecnologia i mezzi di produzione acquistabili oggi sono gli stessi di quelli acquistati anni prima a tuttora e utilizzati.

Vale la pena di fare un esempio. Se questo mio articolo fosse una merce e dovessi stabilirne il prezzo, dovrei calcolare che per scriverlo ho impiegato un computer acquistato 5 anni fa a un prezzo, di 500 euro. Lo stesso tipo di computer oggi - posto che ancora possa trovarsi sul mer­cato, e non ne sono certo - costerebbe probabilmente la metà. In banali termini ragionieristici, se io caricassi sui prezzi di vendita dei miei articoli il valore attuale del computer, non riuscirei ad ammortizzare la metà il costo effettivamente sostenuto e realizzerei un un minusvalore di 250 euro che determinerebbe la riduzione del mio saggio del profitto o addi­rittura perdite. L’inverso awerrebbbe se il valore dei mezzi di produzione aumentasse. Ma, nel primo caso, considerando il costo storico andrei fuori mercato, visto che ora il computer costa la metà, sempre ammesso che sia reperibile sul mercato? Non mi pare perché non tutti i produt­tori/autori concorrenti utilizzeranno un computer appena comprato. Ci saranno alcuni che usano un computer di 5 anni, altri di 4, altri di 3 e così via, cosicché nel mercato è probabile che si affermi un prezzo che risen­tirà di costi storici attestati intorno a una via di mezzo fra il computer di 5 anni e il computer nuovo di zecca. In sostanza, per analizzare una si­tuazione dinamica, non si può prescindere dalle condizioni di partenza, dai costi storicamente sostenuti e che il sistema di Sraffa non è in grado di prendere in considerazione.

Occorre considerare che per molti tipi di produzione, quali l’agricol­tura e l’edilizia, il tempo di rotazione del capitale è assai lungo e comun­que per quasi tutti i tipi di produzione industriale, il capitale fisso si am­mortizza in un notevole numero di anni, nel corso dei quali possono in­tervenire «grandi catastrofi».

«Il confronto fra i valori delle merci in due epoche successive, confronto che il signor Bailey considera come una fantasia scolastica, costituisce piuttosto il principio fondamentale del processo di circolazione del capitale»67.

Escludendo la determinazione simultanea dei prezzi degli input e di quelli degli output il procedimento di Marx illustrato nel capitolo 9 del libro III del Capitale sarebbe internamente consistente, ancorché incom­patibile col formalismo sraffiano.


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Note
1 BERNARDESCHI 2022.
2 RlCARDO 1951-1955.
3 Sraffa 1969.
4 P. Sraffa, Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta (1925) e Le leggi della pro­duttività in regime di concorrenza (1926) entrambe in SRAFFA 1986.
5 BERNARDESCHI 2021.
6 Marshall 1987
7 Ci permettiamo di notare che tale incrocio è possibile nel caso del monopolio, che per Sraffa è il caso prevalente, con una curva di offerta orizzontale o cre­scente e una curva di domanda decrescente.
8 P. Sraffa, intervento al Simposio su Rendimenti crescenti di scala e impresa rap­presentativa, “Economie Journal”, marzo 1930, pubblicato in SRAFFA 1986, p. 101.
9 Aggiungiamo che anche dal lato dell'offerta possono esserci disparità dovute al background in cui l'impresaè immersa e che la favorisce rispetto alle concorrenti: la possibilità di ottenere credito a condizioni migliori o l'opportunità di accesso privilegiato a qualche fattore produttivo, dovute a particolari situazioni contrat­tuali, a rapporti di forza fra operatori ecc.
10 PALA 1988, pp.17-18.
11 DlMITREV 1972.
12 Leontief 1951.
13 Bortkiewicz 1999.
14 Mi sono permesso di utilizzare una notazione dei parametri diversa da quella originale di Sraffa e a mio modo di vedere più elegante, il che non cambia in niente le caratteristiche del modello.
15 E neppure, come vedremo, con quello marxiano,
16 Sraffa 1969, p. 103 sgg.
17 Ivi, pp. 23 e sgg.
18 Michio Morishima, pur rigettando la teoria del valore di Marx, mostra che i saggi di interesse in termini di prezzi e in termini di valore sono uguali lungo il "percorso di crescita dell'equilibrio equilibrato" (cioè quando tutto il plusvalore viene destinato all'aumento della scala della riproduzione e in assenza di cam­biamenti tecnici). Cfr MORISHIMA 1973
19 Si osserva tuttavia che a ogni modifica della tecnica è necessario rideterminare la merce tipo e quindi la misura invariabile del valore è tale rispetto alla distri­buzione ma non rispetto alla dinamica del sistema economico.
20 Sraffa 1969, pp. 55-57.
21 Ivi, p. 80 e sgg.
22 Ivi, p. 59.
23 Ivi, pp. 77-79.
24 Steedman 1980, pp. 157-168,
25 GATTEI, 2021, ma vedi anche gli altri articoli della serie su Maggiofilosofico, del medesimo autore, riportati in bibliografia.
26 La differenza fra X e Y svolge quindi lo stesso ruolo del capitale costante di Marx, non produce neovalore.
27 Mi permetto di segnalare che una spiegazione diversa è esposta nell’appendice al mio BERNARDESCHI2016.
28 Samuelson 1957.
29 Okishio 1961.
30 Sraffa 1969, pp. 44 sgg.
31 Ivi, p. 9.
32 P. Garegnani, Valore e distribuzione in Marx e negli economisti classici, in PANIZZA — VlC ARELLI1981.
33 Bortkiewicz 1949.
34 Si veda per tutti STEEDMAN 1999.
35 Si veda la successiva appendice.
36 MARX 1989, pp. 205-6.
37 «Il denaro, come misura del valore, è necessaria forma fenomenica della misu­razione di valore immanente delle merci, del tempo di lavoro» (Marx, 2011, p. 108). E noto che per Marx il denaro è il rappresentante universale del tempo di lavoro e la misura esterna del valore.
38 Debbo questa notazione a Roberto Fineschi. Cfr. FlNESCHI, 2001, pp. 282-3 e 357.
39 Garegnani, 2011, p. 87
40 BERNARDESCHI, 2022
41 In realtà una prima accusa di contraddizione interna al procedimento di tra­sformazione marxiano risale al 1905, autore Mikhail Ivanovich Tugan-Baranov- sky. Egli parte a ritroso, cioè da una determinazione dei prezzi in denaro con saggio del profitto uniforme. Da questi ricava le quantità di lavoro contenuto e calcola il saggio del profitto che ne scaturirebbe, che risulta diverso da quello in denaro. Poiché nell'economia reale è il secondo che si afferma, ne trae la conclu­sione che è errato determinare i prezzi a partire dai valori (Cfr. TUGAN-BARA- NOVSKY 1905). Un anno prima, nel 1904, Vladimir Karpovich Dimitrev, che però non si poneva l'obiettivo di discutere il procedimento marxiano, ma di ra­gionare sulle teorie di Smith e Ricardo, aveva rilevato l'impossibilità di determi­nare prezzi di produzione senza conoscere prima i prezzi di produzione degli input (la traduzione italiana del saggio è in DIMITREV 1972).
42 Napoleoni 1970.
43 Paul A. Samuelson, Una moderna analisi critica dei modelli economici marxiani, in Napoleoni 1970.
44 Panizza — Vicarelli 1981.
45 Shibata 1933.
46 M. Cini, Valore e prezzo: Marx aveva torto?, in PANIZZA — VICARELLI, cit.
47 La mia opinione è che sia lontana da Marx l'idea di utilizzare nel procedimento di determinazione dei prezzi gli strumenti analitici borghesi di tipo statico, visto che per lui il sistema è in moto incessante (come l’utilizzo della dialettica hege­liana attesta).
48 MANDEL - FREEMAN 1984.
49 Ivi, pp. 43-84.
50 Ivi, pp. 115-140
51 SRAFFA 1969, Prefazione, pp. V-VI.
52 MANDEL — FREEMAN 1984, p. 264.
53 Per una rassegna assai rappresentativa dei vari filoni di ricerca si vedano gli atti del seminario internazionale sul III volume del Capitale, tenutosi dal 15 al 17 dicembre 1994 all'università di Bergamo (BELLOFIORE 1998).
54 I tre autori hanno successivamente redatto una formalizzazione di questa so­luzione (cfr, DUMÉNIL — FOLEY — LÉVY 2009).
55 Samuelson 1970.
56 Si vedano, per esempio, WOLFF — CALLARI — ROBERTS 1984 nonché MOSE­LEY 2000.
57 Si veda fra tutti GRAZI ANI 2003.
58 Bellofiore 2018
59 BELLOFIORE, 2007, p. 228. Nello stesso saggio si sottolinea anche il carattere non monetario del modello di Sraffa.
60 Per una buona rassegna di questa scuola si veda FREEMAN — CARCHEDI 1996. In lingua italiana è disponibile un'altra rassegna a cura di Luciano Vasapollo (cfr. VASAPOLLO2002).
61 Kliman — McGlone 1999.
62 OCHOA 1989.
63 SHAIK 1998.
64 Di questa opinione sono i teorici della Temporal Single System Intepretation (TSSI) e a noi pare che questa interpretazione sia la più convincente fra quelle che hanno reinterpretato o rielaborato la teoria marxiana del valore a partire dalla discussione suscitata dal lascito sraffiano e dalla nuova edizione critica delle opere di Marx (MEGA2). Fra la numerosa bibliografia esistente in merito segnaliamo FREEMAN —CARCHEDI 1996.
65 MARX 1955, p. 547.

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