Print
Hits: 2704
Print Friendly, PDF & Email

materialismostorico

Althusser e la storia

Dalla teoria strutturale dell’intero sociale alla politica della congiuntura aleatoria e ritorno

André Tosel

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà, pp. 161-184Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/608

Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale. 

althusserIl futuro di Althusser dura a lungo

Non è per spirito di provocazione che modifichiamo il titolo della celebre autobiografia che Louis Althusser ha redatto dopo l' uccisione della moglie nel 1980 e dopo il suo ingresso nella notte dei morti viventi. L'epoca della crisi di egemonia del capitalismo mondializzato ha risvegliato lo spettro di Marx, come già il suo amico Jacques Derrida aveva avuto il coraggio di fare in quegli anni (1993). Per il suo percorso tormentato, per la sua attitudine a porre questioni divenute cruciali dopo la sconfitta della rivoluzione comunista, il pensiero di Althusser pretende ancora di fornire armi intellettuali in grado di sfidare i nostri tempi. Questo pensiero non si limita a tornare ma entra in una nuova orbita. In verità, tale orbita è una svolta che si realizza sotto il segno di un doppio lutto delle forme d'esperienza assunte dai movimenti antisistema: innanzitutto il lutto del movimento operaio, l'unico che in tutte le sue varianti, social-democratiche o comuniste, abbia avuto un'esistenza durevole nella modernità; e, legato a questo, il lutto del movimento anticolonialista e anti-imperialista che a sua volta nel comunismo aveva trovato sostegno.

Sono ormai maturi i tempi a che l'opera teorica cardine di Louis Althusser possa uscire da quel silenzio totale che l'ha tenuta rinchiusa nel corso degli anni ‘80-90 e possa essere interrogata per contribuire ad aprire una nuova prospettiva, fornendo così gli elementi indispensabili per quella critica dei tempi che ogni pensiero dell'emancipazione esige.

Essa può farlo, in particolare, a partire dalla questione della storia, attraverso la quale ha saputo provocare una rottura in un’epoca in cui voleva avere per destinatario – impossibile e impotente – il movimento comunista ora (auto)liquidatosi. Althusser, da filosofo autocritico della filosofia, ha voluto dare al materialismo storico la «forma della scientificità» con cui la teoria del modo di produzione capitalistico, che è oggetto del Capitale, apre la scienza del continente storia, ne esplicita la struttura concettuale, le dinamiche interne e le leggi di tendenza fino a immaginare la possibile trasformazione in altro modo di produzione.

Per Marx e Leggere il Capitale rappresentano, retrospettivamente, un contributo epocale. La storia, la disciplina/sapere delle res gestae, le realizzazioni passate dell'azione umana ormai compiuta, con le sue articolazioni pratiche, si inseriva grazie a questi testi/interventi in una elaborazione strutturale a partire dalla critica dello storicismo e dell'umanesimo. Ma allo stesso tempo – e contrariamente a quanto sosteneva una critica frettolosa fondata sul primato concesso alla prassi volontaria degli uomini – la storia non veniva eliminata man mano che costruiva se stessa. La teoria delle strutture, che eliminava il soggetto trascendentale o antropologico, si combinava così con il sapere operativo e singolare delle congiunture nella congiuntura, e cioè con quell'analisi concreta delle situazioni concrete, cara a Lenin, in cui ha luogo la lotta fra le classi, laddove queste ultime si formano e si trasformano in organi di dominio e di comando o di sottomissione e subalternità.

Occorre ricordare gli obiettivi politici di quest'impresa, che ha avuto risonanza mondiale presso l'intellighenzia marxista antirevisionista tra il 1965 e il 1975. Si trattava di formulare le condizioni teoriche e filosofiche di una rielaborazione rivoluzionaria del comunismo, ora che l’Urss era stata liberata dallo stalinismo, e di verificare gli esiti che questa avrebbe avuto nel movimento internazionale. La speranza di un nuovo inizio del comunismo si appoggiava in quegli anni alla Cina di Mao e alla rivoluzione culturale. La riformulazione della dialettica come teoria materialista delle contraddizioni, nei termini della categoria di surdeterminazione antieconomicista e antideterministica, era solo l'inizio di quello che ci si aspettava fosse una lunga marcia per il comunismo e il marxismo in Occidente.

 

L'illusione di un capovolgimento autodistruttivo?

Ma la lunga marcia si dimostrà presto assai corta. Il comunismo cinese non assunse la forma della costruzione di uno Stato-non-Stato sorretto dalla partecipazione attiva delle masse. Si dovette ammettere che la lotta interna al partito era di fatto prioritaria e che era motivata dal fallimento crudele di riforme economiche che avevano condotto a terribili carestie mentre la violenza rivoluzionaria antirevisionista si era rivelata controproducente. Fu necessario constatare l'impotenza del comunismo di stampo sovietico a riformarsi e l’incapacità dei partiti comunisti occidentali a inventare una linea di massa adeguata alle società democratiche cosiddette sviluppate. Fu necessario constatare inoltre il potere di resilienza del capitalismo mondiale, capace di catturare e snaturare i movimenti anticolonialisti dopo che la fine della guerra del Vietnam non aveva impresso nessuno sviluppo «socialista» vittorioso.

Bisognerebbe mostrare con precisione come Althusser dagli anni Settanta avviasse un'autocritica che implicava la rinuncia alla “Teoria di tutte le teorie” e stabilisse una ridefinizione della filosofia come pratica della lotta di classe nella teoria. Bisognerebbe mostrare soprattutto come la critica del marxismo volgare d'apparato, del marxismo economicista e deterministico, progressista ed evoluzionistico, si sia trasformata in una decostruzione radicale. Una decostruzione che tentava di abbinare a elementi di ricostruzione la teoria delle condizioni della riproduzione della produzione, raccogliendola accanto alla teoria dell'ideologia come interpellazione degli individui in soggetti e quella degli apparati ideologici di Stato.

Althusser si spingeva in realtà ancora più lontano. Pur mantenendo il carattere centrale del concetto di dittatura del proletariato nella conquista e nella trasformazione dell'apparato di Stato, sottolineava con lucidità crescente le debolezze e i limiti della teoria marxista. Questa non solamente inciampava disperatamente sulla politica e sulla costruzione di una egemonia delle masse, ma era incapace di dar conto delle forme costruite in suo nome sotto il comunismo storico. La teoria della totalità strutturale a dominante è stata utilizzata in un certo momento da Nikos Poulantzas per formulare un eurocomunismo di sinistra e da Charles Bettelheim per dar conto delle lotte di classe in Urss, ma non è mai stata messa a valore in un'analisi critica complessiva del periodo storico degli anni Settanta. Quando andavano imponendosi congiunture che, sebbene sempre strutturate dai rapporti di produzione e dai rapporti sociali, esigevano d'essere analizzate nella loro singolarità concreta, fatta da surdeterminazioni di surdeterminazione, da contraddizioni che non avevano un filo conduttore nel senso dialettico classico.

Althusser si confronta con questa situazione d'impotenza e lo sviluppo della teoria del “continente storia” prende sempre più la forma di una critica in espansione. Gli interventi degli anni 1975-1980, dopo la Discussione di Amiens (1975), si succedono in quel momento a un ritmo frenetico, per sottolineare i vuoti e le lacune della teoria di Marx e dei marxisti più creativi del XX secolo e per denunciare le forme residuali dell'idealismo della libertà in Marx, la sua sottomissione a una metafisica dominata dal principio di ragione sufficiente (con le sue nozioni di Senso, Origine, Soggetto, Progresso, Fine…). Ecco che mentre la teoria della struttura svanisce si afferma l'intenzione decostruttrice, come appare dai titoli degli interventi nei quali il riferimento a Machiavelli si fa sempre più insistente: La trasformazione della filosofia, conferenza di Grenade (1975), Finalmente la crisi del marxismo, intervento al congresso del giornale “Il Manifesto” a Venezia (1977), Solitudine di Machiavelli (1977), Il marxismo come teoria “finita” (1978), Il marxismo di oggi (1978) e infine quel momento culminante riepilogativo che è il lungo testo incompiuto Marx nei suoi limiti (1978).

Intorno al 1985 esce con clamore il testo postumo diventato per alcuni interpreti (Daniel Bensaïd, Toni Negri) il manifesto di una svolta (Kehre, dice Negri), La corrente sotterranea del materialismo dell'incontro, elemento di un dossier di materiali che dovevano dar luogo a un'opera non redatta sotto il titolo L'unica tradizione materialista. Questo breve testo è stato sovrainterpretato e isolato. E ha così accreditato la tesi di un “secondo Althusser”, che avrebbe distrutto il “primo Althusser”. Questa tesi – che anche noi da parte nostra abbiamo seguito – si è rivelata però troppo semplice. Infatti, se da una parte le idee di congiuntura, di congiunzione nel vuoto di elementi distinti, hanno il primato, una lettura più attenta potrà mostrare che i primi scritti di Althusser contenevano già questi temi in un'altra configurazione, dove il primato spettava alla causalità strutturale e alle nozioni di totalità articolata a dominante e di pratiche strutturate da contraddizioni e surdeterminazioni. Ciò significa che prima di procedere alla cancellazione di “Althusser 1” da parte di un “Althusser 2” sarebbe necessario avviare una genealogia teorica. Queste ricerche sono per fortuna già cominciate con i lavori di G.M. Goshgarian, Emilio de Ipola, Warren Montag.

Se si confronta il suo inizio con il suo compimento (che vuole essere un nuovo inizio), il pensiero di Althusser descrive tuttavia una parabola. Esso muove dal concetto strutturale di totalità sociale a dominante, la quale è oggetto di un pensiero che si appropria teoricamente dell'oggetto reale passando dall'ideologia alla scienza. A questo livello questo pensiero implica la congiuntura, che viene definita teoricamente dall'articolazione delle pratiche con il gioco della determinazione in ultima istanza da parte dell'economia, la quale regola la dominanza di una pratica e permette di produrre l'oggetto di pensiero appropriandosi dell'oggetto reale nella sua forma antagonistica attuale. La critica del soggetto ideologico non elimina l'azione storica. La comprensione della necessità delle strutture culmina nel pensiero dell'effetto di queste sulla società e implica la contingenza delle congiunture che definiscono le rivoluzioni. Per ciascuna di queste si profila così uno spazio strategico d'azione aperto alle forze che occupano posizioni interne alla congiuntura e che non vanno confuse con punti di vista esterni a questa.

Il termine ultimo della parabola di questo pensiero sta nella radicalizzazione della costruzione già intrapresa e riguarda quelle categorie e problematiche che non possono più essere sostenute. Questo termine si colloca nel salto costituito dal materialismo dell'incontro. La storia è posta qui nella sua realtà sotto il regime di necessità della contingenza. Il pensiero che intende concepirla deve produrre le proprie nuove categorie come oggetti del pensiero: il vuoto, i limiti e i margini nell'assenza del centro, la libertà come quantum di potenza nel conflitto, la congiunzione di avvenimenti che fanno necessità a posteriori, la soggettività senza soggetto. Il primato è dato alla congiuntura come evento aleatorio di cui la contingenza può prefigurare una nuova necessità condizionale relativa. La necessità della contingenza, che è quella delle congiunture, si articola in una contingenza della necessità della struttura, resa possibile solo dopo il suo compimento da una concentrazione storica singolare di congiunture.

Questa parabola, a prima vista sconcertante, ha convinto della sua pertinenza lettori seri, sensibili alla svolta postmoderna che sembra con essa imporsi (Alain Badiou, Toni Negri, Vittorio Morfino, Warren Montag). Altri lettori di Althusser altrettanto seri, come Olivier Bloch e Lucien Sève, giudicano invece questo materialismo aleatorio se non come una smentita, almeno come una triste ricaduta di Althusser al di sotto di se stesso, come se fosse stato vinto dall'ideologia postmoderna, così violentemente antidialettica.

 

L'analisi althusseriana della congiuntura propria dell'emergenza del materialismo dell'incontro

Come evitare il cortocircuito delle letture semplificatrici mentre attendiamo l’esito di letture genealogiche più precise? Proponiamo un preambolo: utilizzare i testi di Althusser contenuti nel dossier da cui è tratta La corrente sotterranea del materialismo e pubblicati sotto la rubrica «Materiaux» nella seconda edizione accresciuta di L'avenir dure longtemps (1994, pp. 463-526). Questi testi chiariscono come Althusser pervenga alla conclusione relativa della sua parabola trasformando il proprio pensiero, senza necessariamente rinnegare se stesso. Si tratta in particolare di due testi che si seguono e si completano l'un l'altro. Il primo è dedicato a Machiavelli e viene ripreso nell'autobiografia in forma abbreviata. Il secondo si apre con il titolo Situation politique: analyse concrète?, si inserisce inizialmente nel capitolo XIX di questa stessa autobiografia ed è stato sostituito nell'edizione definitiva dall’abbreviazione degli sviluppi su Spinoza e Machiavelli. Da parte nostra, riteniamo che occorra tenere in considerazione questi testi in ragione della loro data di probabile redazione (1985), che ne fa un contrappunto storico chiarendo la proposta teorica ultima di Althusser.

In particolare, si può considerare Situation politique: analyse concrète? come un saggio di quell’analisi althusseriana della congiuntura che è tipica dell'emergere del materialismo dell'incontro. Althusser incontra infatti in questi anni la brutalità imprevista di un cambiamento radicale della congiuntura storica, simultaneo alla riduzione ad impotenza del marxismo. E colloca non a caso questo incontro sotto il riferimento a Machiavelli. Althusser incontra infatti il vuoto, cioè il non incontro dell'incontro che era stato sperato e giudicato probabile fino agli anni Sessanta; l'incontro con la fortuna e con la virtù, di quelle condizioni storiche della lotta di classe che la congiuntura degli anni 1960-1970 lasciava sperare e che il movimento comunista – promosso da Gramsci al rango del principe moderno – sembrava promettere. Niente di tutto questo si è realizzato. Il vuoto dell'incontro è impedito dalla nuova congiuntura del presente, che si conserva e si fa struttura perenne.

Bisogna cercare di ricostruire nel quadro del materialismo dell'incontro i momenti di questa analisi della situazione concreta, e cioè della congiuntura, senza nasconderci le sue erranze, le sue contraddizioni, le sue aporie, il suo stile storicistico e il suo empirismo esplorativo. Persino aleatoria in senso banale, questa analisi mostra in quale congiuntura storica Althusser cercasse di produrre una teoria paradossale della storia come congiuntura, di un diventare congiuntura della necessità nella congiuntura stessa, che è poi la congiuntura della persistenza trasformata della lotta di classe nella sua stessa assenza operativa. Ricostruiamo questa analisi in dieci punti.

 

1. Negli anni ‘60-70, l'immensa speranza di una rivoluzione sembrava spostarsi dai paesi d'Occidente, dove «le cose stagnavano», verso l'Oriente. «Un'immensa speranza nasceva allora da questo paradosso: se le cose stagnavano e tardavano da noi, poco importava poiché la rivoluzione stava per arrivarci per vie completamente impreviste dai paesi sottosviluppati, che concentravano in loro una massa di contraddizioni surdeterminate». Althusser si riferisce al suo intervento in Contradiction et surdétermination (1962), ripreso in Pour Marx, come all'innovazione teorica che rendeva pensabile questa congiuntura inscrivendola in una teoria della totalità strutturata a dominante. Era possibile allora «voler capire ciò che accadeva di radicalmente nuovo» e in tal modo si pensava di dimostrare ciò che era stato acquisito come la certezza dell'epoca. La teoria sembrava avere avuto la virtù di presentarsi all'incontro con la fortuna: «Poiché si avevano prove inaudite della fecondità intellettuale e politica della teoria marxista, riconducevamo tutto a questa e pensavamo di capire tutto dei prodigiosi cambiamenti in corso attraverso la luminosa teoria di Marx, di Lenin e di Mao. E non solo attraverso questa teoria luminosa ma anche attraverso le pratiche concrete che essa aveva ispirato e ispirava»1.

 

2. Invece «oggi sappiamo che questo era un errore». La teoria marxista non ha saputo analizzare nei tempi opportuni quelle mutazioni che erano occultate dalle vittorie sull'imperialismo americano (Vietnam, Cuba) o dalle esplosioni dell'insurrezione del 1968. La politica dei partiti comunisti si decomponeva. «C'è voluto l'effetto della decomposizione e della disfatta del movimento operaio sotto i colpi di una “crisi” totalmente imprevista e di una gigantesca disoccupazione» per prendere coscienza della potenza delle «mutazioni», tanto prodigiose quanto incomprensibili, che andavano formandosi negli anni ‘50-70 e che sarebbero esplose negli anni ‘70-80. C'è voluto anche l'emergere delle rivoluzioni su basi religiosa (Iran), i giganteschi cambiamenti tecnologici nell'informazione e nella comunicazione, la costituzione di ampie classi medie di consumatori, la scomparsa del ceto contadino, l'incapacità del campo socialista di trasformarsi, la comparsa di un capitalismo all’insegna di una speculazione demente, l'instaurarsi di estremismi religiosi che si legavano ai terrorismi, «affinché l'esaltazione marxista dell’intelligenza e dell'azione cedesse a poco a poco e poi brutalmente il passo. La prodigiosa fascinazione del marxismo, la fascinazione di un’intelligenza e di un'azione rivoluzionaria possibile svanisce, almeno da noi, dall'oggi al domani» (519).

Questa analisi non è una spiegazione teorica, ma una descrizione allarmante di ciò che bisogna comprendere e che Althusser nella sua lucidità stupefacente chiama «globalizzazione», indicando anche il luogo che ogni teoria della storia attuale deve occupare.

 

3. La globalizzazione del capitalismo è esattamente l'oggetto reale di cui il pensiero deve appropriarsi mediante la produzione di un oggetto di pensiero che tenga conto del fatto che essa è prodotta come congiuntura inedita di tappe successive. E che tenga conto che essa si fonda sulla congiunzione ancora in fieri di elementi che forniscono alla struttura la sua configurazione a posteriori [d’après coup], una configurazione di fronte alla quale non serve a nulla rifugiarsi in una teoria formale della totalità articolata a dominante. Si tratta di produrre d’ora in avanti il legame che unisce la congiunzione degli elementi della «globalizzazione» e che ne costituisce la configurazione sotto la forma specifica della struttura della totalità capitalistica nelle sue diverse modalità storiche. È proprio lì l'oggetto reale che il materialismo aleatorio deve pensare sub specie politicae.

I commentatori hanno troppo spesso ceduto al fascino mistico di un materialismo aleatorio negativo, una sorta di consolazione ad opera di una teologia negativa laica, per la quale non è sempre certo cosa sia il peggio e che scommette sul miracolo di un incontro tra la fortuna e la virtù nel vuoto della loro assenza. Althusser sarebbe cioè passato da Spinoza a Pascal. Invece Althusser prende la misura di quei rivolgimenti che costituiscono un’epoca e apre un cantiere di-sperato, non disperante ma urgente. Niente di simile si manifesta in quegli anni da parte dei fautori della dialettica, i quali sono incapaci di questa analisi della situazione storica. Questo cantiere ha come problematica un'analisi della globalizzazione: l’effetto di società [effets de société] della globalizzazione consisterebbe nel rendere impossibile l'assegnazione di un centro d'organizzazione delle pratiche a partire dal quale sia possibile pensarla e nell’ostacolare ogni riferimento alla serie di congiunture in cui essa si realizza. Il suo effetto di pensiero, parallelo al suo effetto di società, consiste nel rendere impensabile ogni strategia politica nella misura in cui questa esige un centro strategico. «La “globalizzazione” e l'inverosimile intreccio dei monopoli di ciascun ordine (industriale, commerciale, finanziario, di servizi, di ricerca, marketing, comunicazione, etc.) rende assolutamente impossibile decidere dove si situi il suo “centro”» (500).

 

4. Come pensare questo nuovo mondo senza centro, «questa stupefacente congiuntura»? Non è che la teoria marxista sia svanita: è che essa è impotente e inerte. Althusser evoca senza concessioni lo stato di nullità, il vuoto che caratterizza il pensiero contemporaneo. Gli studi di sottili specialisti, l'emergere di un marxismo autocrititco vengono citati (Alain Lipietz, Jacques Bidet e Jean Robelin), come sono presenti implicitamente i lavori degli amici più vicini (come Balibar, Duroux, Macherey), anche l'opera di filosofi dal genio eccezionale (Heidegger, Wittgenstein e soprattutto Derrida) è riconosciuta e sono presenti i contributi di storici e analisti engagés (Braudel, Foucault, Régis Debray). Ma tutto questo non potrebbe dare vita a una «teoria d'insieme». Chi tenta, in effetti, in Francia di «concepire il movimento d'insieme dei grandi mutamenti contemporanei nella loro totalità complessa e contraddittoria e nelle loro tendenze ed effetti? Quasi nessuno, come se vi fosse oggi un compito al di sopra dell'umana intelligenza» (515).

Questa diagnosi è senza appello e riguarda tutta la cultura, la quale soffre di questo «prodigioso degrado», di questo «vuoto incredibile di pensiero che sia un minimo coerente e rigoroso». Questo vuoto fa tutt'uno con l'incapacità di reagire del movimento popolare e con il fallimento della politica istituzionale. «È il deserto» che nemmeno l'arrivo sulla scena di un avvenimento inedito può popolare. Il deserto di una «generazione miserabile e senza autentica immaginazione, senza alcun ricorso alla teoria, alla riflessione e anche all'esperienza, addirittura alla semplice esperienza» (516).

Althusser sembra toccare qui il fondo dell’abisso di un negativo irriducibile, sotto la pressione del nichilismo attivo della congiuntura. Ma c’è ancora di peggio. Non solo manca una teoria d'insieme per capire ciò che in quegli anni giungeva come un lampo, ma soprattutto sembra che in questo stesso tempo sia sparito il desiderio di capire, il nostro, sia da parte degli intellettuali che dei politici che dei giovani, delle masse intellettuali, operaie, piccolo-borghesi e studentesche. Tutti hanno «finalmente rinunciato passivamente a non comprendere niente. Non si vuole più comprendere ciò che accade e questo non per qualche avversione ideologica contro il marxismo ma perché il mondo è diventato troppo complicato, perché non si può più capire ciò che accade sulla base di nessuna teoria, compresa la teoria marxista. La lotta delle classi stessa, anche se dappertutto visibile, diventa una luna vecchia» (520).

 

5. Potremmo certamente considerare unilaterali queste analisi che, non bisogna dimenticare, non sono state pubblicate dal loro autore. Ma lo stesso testo si dialettizza in qualche modo a partire dal fondo del proprio abisso. In modo suggestivo, la globalizzazione viene caratterizzata in effetti come l’evento di un mondo senza centro. Ciò che sembra condurre all'impotenza e alla scomparsa del desiderio di comprendere e di agire può diventare così il terreno sul quale il naufrago mette piede per risalire alla superficie del mare, non per chissà quale evento sotto il sole di una riva ritrovata ma semplicemente per continuare ad esistere a cavallo delle onde.

 

6. Torniamo su questa qualificazione della globalizzazione come produzione di un mondo senza centro. Althusser traccia due movimenti di pensiero. Il primo spinge fino al limite la difficoltà e l'esaspera. Il secondo indica una via d'uscita. Con la perdita del centro si impone innanzitutto la discesa nell'abisso. Questo de-centramento [acentration] non è voluto intenzionalmente dalla struttura della totalità sociale. Ma una volta che i suoi elementi si sono congiunti all’insegna dei rapporti di un capitalismo speculativo che si globalizza, l'assenza di centro si pone come un effetto di società [effet de société] e si costituisce in una paradossale quasi-struttura che è inintellegibile.

Il centro non è né nelle Borse, né nelle direzioni d'impresa, né negli Stati Uniti, né negli antichi centri politici nazionali, né nelle nuove configurazioni spaziali sovranazionali dalla vocazione politica equivoca (l'Unione europea). Non sta da nessuna parte e questo è un enigma per la politica e per le teorie che hanno fin qui avuto per riferimento dei centri, come la teoria marxista. Nonostante il suo senso del mercato mondiale, la sua concezione dell'imperialismo, questa teoria si è rappresentata sul piano politico attraverso movimenti operai centrati su basi nazionali e strutturati in organizzazioni che sono esse stesse centrate attorno a un partito-centro, destinato a sua volta a occupare il centro nazionale, il centro del centro. Il centro dipende dalla dominante della totalità strutturale articolata. «Per “centro” bisogna intendere non un centro geografico e nemmeno più il paese più importante per la sua autonomia di risorse materiali e per il gigantismo della sua produzione, né il più imperialista, ma il centro unico di studi ricerche, di decisione e direzione, cioè il centro di una strategia unificata della produzione distribuzione» (501).

 

7. In un mondo simile come è possibile una politica che fin qui si proponeva come centrata sull'anello più sensibile? Questa domanda sembra invalidare il riferimento a Machiavelli, il quale, come Gramsci aveva sottolineato, legava la politica a un centro strategico, il Principe o il Partito, questo principe moderno. «Dove si potrebbe cercare di collocare in politica l'equivalente di un centro assegnabile che possa essere reperito e identificato come centro?» (501). Si può rispondere che la politica è dappertutto, ma allora da quale parte pensarla e farla muovere? Come pensare una strategia senza centro?

«La politica è dappertutto, nella fabbrica come nella famiglia, nella professione come nello Stato». Se la politica non è da nessuna parte, ne deriva una depoliticizzazione delle masse. La politica migra dal lato dell'attività economica, che bisogna intendere come composta dalle imprese, classiche e nuove, dalle banche e dalle comunicazioni come dall'ideologia. È l’accresciuta libertà di intraprendere che diventa allora centro senza centro. «L'ideologia prende il posto della politica, praticamente» (503) ed essa ha bisogno de «l'illusione della politica» politicista come centro strategico al fine di meglio realizzarsi in questi apparati ideologici che costituiscono le forme d'organizzazione allargate della produzione. Questa ideologia, surrogato della politica, questa politica-ideologia, è «il liberalismo» rinnovato. Il quale «non ha che un senso, la libertà d'intraprendere; per chi? Per i trusts e i subappaltatori, cioè le forme più vergognose di sfruttamento contemporaneo, ma assolutamente non per i lavoratori, che attraverso la flessibilità del lavoro stiamo spogliando ufficialmente delle loro garanzie sociali conquistate con lotte secolari assai lunghe e dure» (505).

La perdita di centro non esaurisce cioè lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Anche svanendo, la lotta di classe rimane una realtà strutturale in questa congiuntura di congiunture che si chiama globalizzazione del capitalismo e che forma una struttura che si rivela paradossale quando la si analizza.

 

8. La difficoltà si approfondisce e il secondo movimento sembra definitivamente differito. Si mette in opera, in effetti, una nuova e ultima dislocazione della questione del centro, verso l'ideologia e il potere. Innanzitutto, l'ideologia. «Questa ideologia, almeno, ha un centro e una strategia che possano rimpiazzare il centro e la strategia politiche? Si e no. Si: perché il suo vero centro è fuori di essa, nell'economia; ma l'anarchia dell'economia è tale, la sua assenza di centro assegnabile è tale, che tutti i fatti smentiscono le pretese di questa ideologia. E su questa realtà che le è totalmente estranea, essa rappresenta solo l'illusione di un discorso falsamente politico, buono solo per arrivare al potere» (505).

Ma, nuova difficoltà, quale potere? Il potere con la maiuscola è sparito e non può costituire un centro. Bisogna allora ricorrere ai micropoteri di Foucault per definire questo movimento verso la politica? No. Foucault ha studiato solo società caratterizzate dalla struttura dominatrice di un potere centrale, che si ramificava in micro-poteri ma che non spariva. Rimane dunque da affrontare l'enigma di un effetto di società che liquida i centri producendo un potere economico-ideologico diffuso e onnipervasivo che riproduce uno sfruttamento crescente delle masse. Siamo sempre nell'aporia. E il secondo momento annunciato sembra indefinibile [inassignable] nella congiuntura delle forme concrete della globalizzazione. Non esiste un «“centro strategico” capace di disegnare delle prospettive d'azione, un “progetto di società” di cui tutti parlano senza mai poterlo definire, una strategia in grado di definirsi in tattica e azione politica. Dove stiamo andando? Nessuno lo sa».

 

9. È in questo «mondo totalmente sconosciuto» che bisogna rassegnarsi a rimanere e lottare. È in esso che bisogna «comprendere le sue strutture sconosciute». La lezione di Machiavelli non serve praticamente a nulla, né quella di Gramsci, il più sottile dei marxisti del XX secolo. Il secondo momento è il paradosso dei paradossi; è quello dell'attesa senza garanzia, che scommette sulle lotte. Il materialismo aleatorio non può produrre gli incontri a cui pensa quella necessità che è propria della contingenza. Esso insegna ad aspettarli e coglierli, sapendo che le strutture del mondo attualizzano a cose fatte la contingenza della loro necessità. La pratica materialistica della filosofia materialista non dispone di un sapere coerente, neanche di un sapere clinico, ancora meno di un sistema. Essa ci consegna tuttavia un insegnamento. È una preparazione che forgia il quadro delle categorie teoriche che occorrerà produrre durante l'esposizione attiva alla contingenza delle congiunture singolari; essa si lega a un'arte di produrre incontri di incontri.

Althusser chiude provvisoriamente questa analisi incompiuta – di cui conosce il carattere descrittivo, empirico, storicistico e che non presenta mai come una teoria della congiuntura –, non abbandonandosi allo scetticismo ma con uno stupefacente atto di fede ragionata: «Ecco perché in fondo non sono pessimista». Althusser richiama al «grande principio dei movimenti popolari sulle forme d'organizzazione», alla trasformazione degli apparati d'organizzazione delle lotte e a uno sforzo teorico collettivo in grado di proseguire la decostruzione di Marx, uno sforzo che implica però l'uso di quegli elementi indispensabili che Marx fornisce. Questa teoria deriva dalle proprie posizioni aleatorie perché implica la congiunzione produttiva degli elementi marxiani o marxisti, tenuti ancora in conto dopo la critica, con tutti gli elementi teorici disponibili venuti dal di fuori del marxismo (522). Il materialismo aleatorio è esso stesso un'operazione di incontro tra i diversi elementi teorici che lo costituiscono.

 

10. Si può comprendere perché il riferimento a Machiavelli, che nella formulazione del materialismo dell'incontro è stato il filo conduttore più costante fin dagli anni ‘70, sia l'oggetto anche di dichiarazioni apparentemente contraddittorie. Da una parte l'impossibilità di assegnare un centro alla globalizzazione, e di definire di conseguenza un centro strategico politico, obbliga a denunziare l'illusione del primato della politica, che Machiavelli definisce e che riprende Lenin e ancora di più Gramsci. È un «vecchio sogno utopista quasi infantile» che è sparito dalla realtà (499 e 501). D'altra parte, a pensarci bene, l'utopista non è Machiavelli – il cui il progetto strategico, la costituzione di uno Stato nazionale italiano, si è realizzato –, ma Gramsci, il quale si è illuso della capacità del partito, il Moderno Principe, di realizzare un’egemonia rivoluzionaria all'interno della rivoluzione passiva che ha sottomesso le masse subalterne. Machiavelli rimane però vivo e attuale, nel senso che insegna a capire le condizioni di possibilità dell'iniziativa strategica in un mondo vuoto di centro: il riconoscimento del vuoto nel deserto del mondo senza centro è il preambolo che permette di lanciare la ricerca sulle figure emergenti degli atomi di fortuna, rappresentati dai movimenti di massa che resistono, e che lascia aperto il luogo da dove, nella sua assenza attuale, può emergere una figura di quella virtù che promuove un nuovo inizio. Così tutto ad un tratto Machiavelli «non ci serve più assolutamente a niente nonostante la sua autentica ispirazione materialista, senza la quale niente potrà mai essere pensato della realtà stessa “senza raccontarsi storie”, “senza aggiunte esterne”, cioè “raschiando” (Foucault) l'enorme strato d'ideologia obsoleta che la ricopre» (506). Ma Machiavelli rimane «insuperabile e sempre attuale e moderno al fine di pensare questa terribile condizione e il peso dell'ideologia che subiamo più che mai senza averne coscienza» (Ibid.).

Althusser conclude la sua analisi riprendendo l'ingiunzione letterale che formulava all'inizio della propria parabola. Questa ingiunzione è un programma di lavoro: attraversare il deserto tentando di pensare da sé e di fare del vuoto una chance. «Il marxismo ha l'immenso vantaggio che tenta di tener conto di tutto del processo mondiale e della sua tendenza evolutiva e attraverso le sue contraddizioni con le sue tendenze e controtendenze». È aperto alla propria trasformazione e cioè all'incontro con altri elementi. Lo scopo del materialismo dell'incontro è di rendere possibile l'incontro nel mondo di quegli elementi che rendono possibile «l'intelligenza approfondita di ciò che sta muovendo il nostro mondo, rinunciando radicalmente a ogni a priori di qualunque sorta sia. Bisogna mettersi a studiare i fatti, come diceva Marx, a conoscere positivamente i fatti, pur sapendo che nessuna conoscenza è possibile senza la luce di una concezione teorica scientifica e filosofica d'insieme» (522-23). In questo senso, Althusser mette in guardia se stesso da ogni interpretazione radicalmente discontinuista della propria parabola, rivendicando la continuità della propria opera: egli «non deve per nulla rinnegare questi primi scritti» ma semmai proseguirli «in compagnia» di tutti coloro che condividono la sua posizione (1994, 526). Il testo si conclude con il tono ottimistico, quasi arrogante nella sua sicurezza inattesa, che era il tono degli anni ‘60. Tale ottimismo è questa volta conquistato nella prova, tutta da superare, della traversata di «un lungo deserto» e fa riferimento sia a Marx che a Gramsci. «Se osiamo e sappiamo “pensare da noi stessi” e proprio l'aleatorio e l'imprevedibile della storia – mentre nessuno pensa più niente, abbiamo davanti a noi una chance» (526). Il confronto con l'ideologia che era l'initium del pensiero althusseriano è anche il suo oggetto ultimo.

 

Il duplice avvilupparsi della congiuntura nella teoria della totalità strutturata a dominante e della struttura della totalità nelle congiunture singolari che producono la struttura

Al termine della sua parabola Althusser ha sì rettificato le posizioni di partenza ma non rinnega se stesso. Egli cambia terreno trasformando i termini iniziali della struttura della totalità sociale e delle congiunture. Lo sforzo di pensare una teoria d'insieme della storia che si fa nella congiuntura non sparisce, perché è presente fin dall'inizio. Una volta che la congiuntura degli incontri di incontri è avvenuta senza essere stata inscritta in un piano teleologico radicato in un senso-origine che pone se stesso come fine, diventa possibile produrre la teoria strutturale del risultato provvisorio (ancora in movimento) degli incontri. Come secondo Althusser fa il Capitale di Marx nel prendere atto dell'incontro imprevedibile del possessore di denaro e del lavoro liberato dalle catene della propria appartenenza sociale.

È questo schema che le ultime pagine del testo Le courant souterrain du materialisme (EPP, I, 569-76) disegnano. In questo spazio imprevedibile e a posteriori la teoria della totalità sociale a dominante trova la sua funzione e il suo esercizio ma perde quel carattere deterministico che le avrebbe dato la pretesa di prevedere il corso delle cose secondo delle leggi, mentre le tendenze sono prese nel gioco delle controtendenze e mentre tutto dipende dall'azione imprevedibile degli attori e dei loro incontri di incontri. Gramsci è di fatto rivalutato nel suo storicismo, che non ha niente a che fare con il taglio che l'essenza hegeliana pratica in una totalità espressiva. Non si può predire nulla, si può solo prevedere l'azione da fare all'interno dell'azione che si va facendo e delle sue smentite.

Sarebbe utile comparare ciò che le tesi di Leggere il Capitale diventano alla luce di questa riformulazione dell'apparire aleatorio del modo di produzione capitalistico. La teleologia nascosta nella teoria della dissoluzione del modo di produzione feudale. Viene eliminata la tematica classica della transizione da un modo di produzione a un altro. Quali sono gli elementi della prima problematica attribuita a un Marx rettificato che sono ancora validi per pensare ciò che emerge in questa apparenza fattuale di un insieme di termini congiunti, termini che non possono più proiettare alle proprie spalle il destino del loro diventare sistema? Althusser si interessa all’inizio della nuova totalità ma con questa non presuppone la decostruzione di tutte le determinazioni precedenti.

Bisognerà chiedersi qui se e come la teoria precedente del modo di produzione conservi una pertinenza una volta che questo modo si sia realizzato come risultato di fatto. L’apporto iniziale si organizza intorno a due tematiche: da una parte, posizioni epistemologiche o filosofiche, e, d’altra parte una tesi d’oggettività. Se questa certezza deve essere sottomessa al primato del cominciamento aleatorio, bisognerà esaminare le tesi precedenti per precisare quali sono scartate, quali sono mantenute, in quali limiti, con quali modifiche.

— Le posizioni epistemologiche che l’ultimo Althusser manterrebbe sotto riserva di conferma sarebbero le seguenti. Prendiamo in prestito le loro formulazioni da uno studio del rimpianto Pierre Raymond, la cui opera è dimenticata più del dovuto. Questo studio è contenuto in «Dissipare il terrore e le tenebre» (1992, 45-47)

— La scienza del modo di produzione rimarrebbe sospesa a una critica dell’ideologia teorica che viene da Feuerbach, da Hegel e dall’economia politica. Essa implica inizialmente l’uso critico della categoria di ideologia in quanto riguarda l’immaginario ed è opposta al sapere adeguato. Il rifiuto di ragionare in termini d’essenza dell’uomo generico è mantenuto. Questa essenza non è il centro, soggetto responsabile o spossessato della vita sociale. La credenza in un’essenza dell’uomo è l’illusione ideologica princeps che bisogna considerare come un misconoscimento delle cause dell’attività umana.

— Questa scienza procede a una doppia iscrizione della categoria d’ideologia, poiché questa è anche un concetto storico che pensa una pratica della totalità sociale – idee e comportamenti fondati sul rapporto immaginario degli uomini con i loro rapporti sociali di classe, compresi i membri delle classi rivoluzionarie. Se il soggetto è un effetto di misconoscimento, bisogna comprenderlo come effetto di una struttura assente e bisogna produrre la conoscenza di questa struttura, che è quella della totalità sociale e dei suoi rapporti. L’ideologia come concetto storico designa sempre le rappresentazioni e i comportamenti immaginari sotto i quali gli uomini vivono i loro rapporti con l’esistenza sociale.

— La storia non è quella di un Soggetto che ricopre la funzione di Provvidenza, fosse anche laica. Essa è e sarà sempre un processo senza soggetto ma questo divenire non è senza agenti. Essa è una successione di tappe e di totalità strutturate che bisogna pensare secondo gli effetti della composizione degli elementi. Non esiste un senso fondamentale [pas de sens maître] che perderebbe se stesso per ritrovarsi alla fine. Nessuna identità, spirituale o materiale, prosegue attraverso di essa, salvo casi specifici da analizzare.

— Questa successione ha come motore una pluralità di contraddizioni e queste vanno determinate e colte nelle loro differenti fasi. Queste contraddizioni non obbediscono a nessuna logica a priori che indichi che esse siano necessariamente cause di decomposizione. In questa successione e nei suoi processi diversi si gioca non il divenire di qualcosa di garantito (il comunismo, per esempio), ma la costituzione di qualcosa nel divenire (le tendenze o le controtendenze al comunismo).

— La realtà delle contraddizioni non è quella di una coerenza o incoerenza logica secondo dei principi ma quella degli effetti di società, secondo una causalità effettiva in movimento. I superamenti delle contraddizioni non sono garantiti come riconciliazione ma come fasi che aprono su un’alterità da elaborare in funzione dei movimenti massa che sostituiscono la lotta di classe.

— La storia non presuppone nessun tempo omogeneo che costituirebbe l'ambiente fluido degli eventi ma semmai una pluralità articolata di temporalità che rinvia al gioco reciproco delle contraddizioni plurali, un gioco nel quale la lotta di classe e la lotta di masse rappresenta l'imprevisto. Essa è l'effetto delle articolazioni/disarticolazioni della pluralità delle pratiche sociali. La categoria di dialettica non può essere conservata se non in quanto viene rettificata in questo senso. Essa è pericolosa e inutile se la si rapporta a una logica, che questa sia totalizzante oppure espressiva di uno spirito immanente.

— Solo questo intreccio di termini ineguali, di contraddizioni e di contraddizioni di importanza ineguale è decisivo nella causalità sociale. Esso dà luogo a condensazioni di contraddizioni, a spostamenti della loro funzione decisiva, a una surdeterminazione che prende una forma particolare in congiunture singolari (le rivoluzioni o le loro sconfitte). Per ciascuna fase (che va determinata) esso forma delle totalità articolate a dominante nelle quali una pratica ha il ruolo determinante in ultima istanza. La struttura si realizza nelle congiunture. La questione è di sapere cosa ne è della categoria di totalità a dominate in un mondo senza centro.

— Queste tesi filosofiche sono le fondamenta [soutiennent] della scienza della storia. Che cosa resta di ciò che era estato acquisito inizialmente? Althusser non era uno scientista perché mostrava che la scienza del continente-storia era sia simile alle altre scienze sia distinta da esse, senza che questa problematica riguardasse l'opposizione tra generi di scienze irriducibilmente separate. Da una parte essa era una scienza simile alle altre in quanto intendeva ricorrere alla spiegazione rigorosa attraverso concetti e teorie e intendeva usare una forma di sperimentazione comparata. Allo stesso modo essa voleva permanere nello spazio teorico delle conoscenze vere non storiche, pensando di sfuggire al relativismo storicistico. D'altra parte, era una scienza distinta dalle altre nella misura in cui assumeva la propria storicità, il proprio posto e la propria funzione in una pratica teorica legata alle altre pratiche, in particolare quelle politiche e ideologiche, e nella misura in cui si impegnava all’interno delle pratiche rivoluzionarie delle masse sfruttate, senza ridursi a una ideologia di partito. Essa mirava a un'oggettività che si traduceva nella sua capacità di render conto di ciò che più è importante nella storia: non le cose ma le loro trasformazioni. L'oggettività non significava imparzialità di chi guarda dal punto di vista di Sirio. Essa implicava un legame interno con la politica e le sue lotte. Animata dall'interesse costitutivo per il vero che oltrepassa il soggettivismo, questa scienza rifletteva la propria iscrizione in quella storia nella quale essa occupava un posto che è anche una posizione strategica. Come Gramsci, Althusser poteva scrivere le stesse equazioni di cui si prende gioco: Filosofia = Storia = Politica.

Il materialismo aleatorio presuppone la radicalità decostruttrice di quella inedita congiuntura costituita dagli effetti della globalizzazione, una congiuntura che il materialismo storico non ha saputo prevedere e che non sa ancora comprendere. Si tratta di pensare questa congiuntura di destrutturazione identificando come pertinente proprio la categoria di congiuntura: essa è imposta da una congiuntura singolare e bisogna pensarne i concetti e la problematica generale per meglio affrontarla. Si tratta di pensare il carattere decisivo proprio del concetto filosofico formale di congiuntura nel mezzo di una congiuntura che espone il pensiero alla sua sfida.

Ciò non significa che tutti gli elementi precedenti siano falsificati, né tanto meno che occorra abbandonare ogni teoria della totalità strutturale. Significa invece che occorre operare una selezione critica dei suoi elementi, identificare le manchevolezze della teoria, precisare i limiti che essa riceve e definire la forma che deve assumere. La smentita della congiuntura che una congiuntura inedita ha inflitto alla teoria strutturale d'insieme significa come minimo che ciascuna teoria della struttura deve essere pensata ormai sotto il primato della congiuntura, non che essa sia stata semplicemente eliminata. Un compito ancora aperto…

Come minimo il nuovo movimento teorico deve essere quello di un nuovo inizio che va dalla congiuntura alla struttura, non all'assenza totale di quella, ed è il movimento di uno strutturalismo aleatorio o congiunturale. Questa congiuntura permane, in effetti, come prova il fatto che essa è una matrice che produce un insieme aperto di effetti multipli, i quali si concentrano per un istante in un effetto inedito di società senza centro. Questo effetto si definisce per una costanza e una costanza relativa che fa struttura e che è una sfida, perché se ogni centro strategico è sparito, tuttavia non sono sparite le dimensioni dello sfruttamento e dell'assoggettamento. Anzi, al contrario, queste dimensioni si sono diversificate e appesantite. Ciò che è sparito è la possibilità di un centro politico strategico per le masse disorientate. Come trasformare l'aspetto paralizzante dell'assenza di centro in uno spazio d'analisi, accontentandosi di questa assenza e studiando ciò che in essa accade?

Ciò che nell'insieme teorico precedente viene decostruito prioritariamente riguarda la filosofia. È innanzitutto il primato dato al principio di ragione sufficiente, che è il presupposto della totalità strutturale a dominate che invece si concentra nella congiuntura (surdeterminazione).

L'ultimo Althusser mette Marx in contraddizione con se stesso, tornando sulle famose pagine del Capitale consacrate all'accumulazione originaria, che descrivono la genesi del modo di produzione capitalistico. Marx mostra come «il possessore di denaro» si sottomette «l'uomo libero», il quale dopo essere stato separato dalle proprie appartenenze sociali cade in una dipendenza anonima che lo costringe senza pietà a vendere l'uso della propria forza lavoro «libera». Althusser, in La corrente sotterranea del materialismo (EPP, 569-76), dimostra come questa genesi degli elementi del modo di produzione capitalistico sia contaminata da una sorta di idealismo dialettico, il quale si manifesta in una teleologia immanente alla condizione di una mitica decomposizione del mondo feudale. Ora, è avvenuta la congiunzione di fatto, contingente, di un incontro fattuale di questi due elementi, ciascuno proveniente da una serie specifica. La totalità si struttura a partire da quella contingenza e sotto di essa. L'aleatorio puro non esiste, esiste l'aleatorio che si struttura di nuovo.

Sotto il principio di ragione sufficiente, che dovrebbe identificarsi con la decomposizione del feudalesimo, Marx nasconde perciò una congiunzione aleatoria che altrove e altrimenti avrebbe potuto non aver luogo. Non ci sono leggi storiche che regolino la congiunzione di questi due elementi, i quali si trovano ad esser declinati (clinamen) l'uno verso l'altro senza predestinazione logica e che «ingranano» [prennent ensemble] in una congiuntura. Non si arriva alla congiuntura attraverso un movimento interno della struttura che si condensa da sé in surdeterminazione. Ci si insedia nel fatto di una congiuntura che possa farrsi costanza e consistenza in struttura.

Lo strutturalismo effettivo della teoria della surdeterminazione resta prigioniero di un idealismo epistemologico che si fonda su un’armonia degli elementi che è quasi prestabilita «prima» che questi si combinino in una totalità governata dalla causalità strutturale della causa assente. Si parte invece ormai dalla congiuntura che presuppone il vuoto di un inizio del quale mancano le condizioni. Bisogna liberare la conoscenza della storia dalla nozione di legge. «C'è» e «non c'è niente», questo niente. Ma lo stato del mondo avvenuto-avveniente possiede nonostante tutto una sua stabilità per una durata imprevedibile. E anche se questo stato è sempre esposto alla sottrazione o alla congiunzione di elementi che costituiscono un nuovo stato, è possibile e urgente individuare le costanti e le tendenze di questo stato del mondo senza centro a partire dai fenomeni che si ripetono con una certa regolarità, dalle variazioni di costanti più o meno generali che sono sempre relative a uno stato del mondo.

Le congiunzioni diventano congiunture e le congiunture si fanno strutture, rimanendo sempre incessantemente sottomesse a nuovi rischi. Non potrebbero esistere leggi di transizione da uno stato del mondo a un altro, leggi che regolano le congiunzioni che accadono come accidenti. La struttura è strutturante nei suoi accidenti e attraverso di essi, a partire da questi accidenti, che siano subiti o provocati. L’unica cosa che è «eterna» è l'evento-congiunzione nella sua formalità vuota, nella sua «presa» che è «sor-presa» in congiunture che si stabilizzano a loro volta in strutture provvisorie ma effettive.

Il compito conoscitivo evocato dall'analisi della situazione concreta pubblicata nella rubrica «Matériaux» è un atto di virtù teorica che può sorreggere quella virtù politica che è necessaria per affrontare la fortuna e produrre le condizioni di un inizio nell'assenza delle sue condizioni. È questo doppio intreccio aporetico della congiuntura attraverso la struttura e della struttura attraverso la congiuntura e le sue congiunzioni che si realizza sotto il primato della congiuntura, è questa la molla del materialismo dell'incontro. Althusser non rinnega se stesso. Egli esorta a pensare la storia nell'aporia di questo doppio intreccio. Oggi come ieri, fare dell'aporia della congiuntura una congiuntura. Per rendere l'aporia stessa produttiva di un effetto di pensiero e di un effetto di società.

 
*Trad. it. dal francese di Carla Maria Fabiani.

Note
1 Althusser 1994a, 518-519 [d’ora in avanti i riferimenti a questi materiali saranno indicati tra parentesi direttamente nel testo, alla fine delle citazioni MS].

Riferimenti bibliografici
AA.VV., 1996
La cognizione della crisi. Saggi sul marxsimo di Louis Althusser, con contributi di M.
Giacometti, A. Illuminati, M. Porcaro, C. Preve, M. Turchetto, Centro Studi di
Materialsmo Storico / Franco Angeli, Milano.
AA.VV., 1999
Contre Althusser (1974), con contributi di D. Bensaïd, J.-M. Bröhm, A. Brossat, C.
Colliot-Thélène, E. Mandel, J.-M. Vincent, Editions de la Passion, Paris.
ALTHUSSER, LOUIS, 1992
L’avenir dure longtemps suivi de Les faits, Stock/IMEC, Paris.
ID., 1994a
Ecrits philosophiques et politiques, tomes I et II, édités par François Matheron,
Stock /IMEC, Paris.
ID., 1994b
Sur la philosophie, Gallimard, Paris.
ID., 1996a
Pour Marx. Avant-Propos d’Etienne Balibar, La Découverte, Paris.
ID., 1996b
Lire le Capital, Paris, P.U.F., Paris.
ID., 1998
Solitude de Machiavel, édité par Yves Sintomer, P.U.F., Paris.
BALIBAR, ETIENNE, 1991
Ecrits pour Althusser, La Découverte, Paris.
BOURDIN, JEAN-CLAUDE, 2008 (a cura di)
Althusser: une lecture de Marx, P.U.F., Paris, 2008.
DIENFENBACH, KATYA CON FARRIS, SARAH B., KIM, GAL E THOMAS, PETER D., 2013 (a
cura di)
Encountering Althusser. Politics and Materialism in Contemporary radical Thought,
Bloosmbury, New York-London.
DINUCCI, FEDERICO, 1998
Materialismo aleatorio. Saggio sulla filosofia dell’ultimo Althusser, CRT Editrice, Pisa.
DE IPOLA, EMILIO, 2012
Althusser. L’adieu infini, Préface d’Etienne Balibar, P.U.F., Paris.
“FUTUR ANTÉRIEUR”, 1993 Sur Althusser, passages, numero speciale di “Futur Antérieur”, L’Harmattan, Paris (contiene il saggio di Antonio Negri Pour Althusser: notes sur l’évolution de la pensée du dernier Althusser). ID.,
1997 Lire Althusser Aujourd’hui, numero special di “”, L’Harmattan, Paris.
IBRAHIM, ANNIE, 2012 (a cura di)
Autour d’Althusser. Penser un matérialisme aléatoire: problèmes et perspectives, Le
Temps des Cerises, Paris.
LAZARUS, SYLVAIN, 1993 (a cura di)
Politique et philosophie dans l’œuvre de Louis Althusser, P.U.F., Paris.
MACHEREY, PIERRE, 1998
Histoire de dinosaure. Faire de la philosophie (1965-1997), P.U.F., Paris.
MONTAG, WARREN, 2003
Louis Althusser, Palgrave, New York.
MORFINO, VITTORIO, 2005
Il tempo della multitudine. Materialismo e politica prima e dopo Spinoza,
Manifestolibri, Roma.
KOUVELAKIS, STATHIS ET CHARBONNIER, VINCENT, 2005 (a cura di)
Sartre, Lukàcs, Althusser. Des marxistes en philosophie, P.U.F., Paris.
RANCIÈRE, JACQUES, 1974
La leçon d’Althusser, Gallimard, Paris.
RAYMOND, PIERRE, 1992
Dissiper la terreur et les ténèbres, Paris, Méridiens-Klincksieck,
ID., 1997 (a cura di)
Althusser philosophe, P.U.F., Paris.
Tosel, André, 2005
Les aléas du matérialisme aléatoire dans la dernière philosophie de Louis Althusser,
“Cahiers philosophiques”, n° 84, CNDP, Paris 2000; ripreso in KOUVELAKIS E
CHARBONNIER, 2005.
TURCHETTO, MARIA, 2006 (a cura di)
Giornate di studio sul pensiero di Louis Althusser, Mimesis, Milano.
Web Analytics