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L'antropocene* come Feticismo
Postfazione di Thomas Meyer
Leggere a proposito della catastrofe climatica a venire, nell'indifferente provoca uno sbadiglio dettato dalla noia: si è già sentito tutto ed è già successo tutto, ma di regola non si vede proprio niente. A partire dalle notizie, di certo già sentite molte volte, a proposito del fatto che abbiamo di nuovo a che fare con il mese più torrido che ci sia mai stato da quando esiste un registro metereologico, la vita ignorante continua nella sua falsità, come sempre apparentemente "normale". Ma questa normalità immaginaria si basa appunto solo sull'ignoranza del soggetto narcisista della postmodernità, che arriva senza dubbio ad immaginare diverse fini del mondo, ma, dall'altro lato, non riesce a pensare niente di più plausibile del fatto che il mondo deve essere finanziabile, costi quel che costi! Il denaro, come si sa, non manca.
Naturalmente, anche aprire il giornale e leggere del capitalismo e delle catastrofi che ha scatenato, nemmeno questa è una novità. Vale tuttavia la pena affrontare la questione in maniera più dettagliata. Il testo di Daniel Cuhna cerca di sviluppare, nei termini della critica del valore, il problema del dominio capitalista della natura, insieme alle questioni a tale dominio associate - in maniera diversa rispetto a come hanno fatto Adorno e Horkheimer ne La Dialettica dell'Illuminismo, in cui anche essi tendono alla mitologia, riferendosi sempre alla valorizzazione del valore realmente capitalista.
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Liberalismo, Democrazia, Sovranità
Moreno Pasquinelli intervista Alessandro Somma
Alétheia si confronta con il noto professore di Diritto Comparato autore di “Sovranismi”
Alessandro Somma è stimato professore ordinario di Diritto comparato all’Università di Ferrara. Per DeriveApprodi ha appena pubblicato il saggio Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale. Si tratta di un testo ad alta densità teorica che, dopo aver ricostruito il dibattito filosofico e politico sul concetto di sovranità, giunge sino alla nascita degli Stati costituzionali di diritto, quindi all’oggi. Somma considera che la Costituzione della Repubblica italiana rappresenta uno dei momenti più alti del costituzionalismo moderno, poiché i suoi capisaldi sono la democrazia economica e l’eguaglianza sostanziale. Proprio per questo, essa è fatta oggetto di un’aggressiva decostruzione da parte delle forze neoliberiste. Va dunque difesa, non per un mero ritorno al già stato, ma poiché sulle sue basi è di nuovo possibile immaginare un’alternativa all’ordine sociale e politico esistente.
Alétheia ha intervistato Somma, intanto per rendere esplicito ciò che sembra implicito in Sovranismi, poi per comprendere quale sia il suo giudizio sul delicato momento politico che attraversa il nostro Paese.
* * * *
La Costituzione del ’48 è in assoluto la protagonista del tuo libro. Sembra di capire che tu ritenga che contiene il punto geometrico di equilibrio tra democrazia e capitalismo, altrimenti destinati a confliggere. Davvero possono coabitare capitalismo e democrazia?
Penso che la Costituzione individui un punto di equilibrio ottimale tra capitalismo e democrazia, ma penso anche che si tratti di un equilibrio assolutamente instabile: destinato a essere messo in crisi e a produrre il superamento del capitalismo o quello della democrazia. Sul finire dei ’30 gloriosi si sono intrapresi passi significativi nella prima direzione, tanto che poi si è subito imposta la seconda, significativamente descritta in termini di ritorno alla normalità capitalistica.
Restiamo alla Costituzione. Tu ritieni che la Carta sia un risultato avanzato di quello che definisci “Stato (costituzionale) di diritto” dal momento che respinge l’idea liberista del “mercato autoregolato” e contiene invece impliciti i concetti di “democrazia economica” e di “democrazia sostanziale”. Cosa intendi per “democrazia economica” e “democrazia sostanziale”?
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Torniamo a pensare un piano B per l'Europa
Propositi per il nuovo anno
di Pierluigi Fagan
In Europa è in atto una unione tra 27 stati, con una sezione rinforzata che adotta una moneta comune a 19 Paesi. Cosa s’intende per “Unione”? Nei fatti, l’Unione europea è una confederazione. Una confederazione altro non è che una alleanza intorno ad uno o più aspetti della politica interstatale. Tali alleanze sono giuridicamente regolate da un trattato o da una rete di trattati. Una confederazione, nonostante l’assonanza, non ha nulla a che fare con una federazione. Una federazione è un modo di organizzare internamente uno stato sovrano mentre nella confederazione gli stati associati rimangono sovrani individuali tranne che per le questioni che hanno deciso di mettere assieme nell’alleanza. Nessuno al momento ha dichiarato, né sembra avere intenzione ed obiettivo, di voler fare della confederazione europea una futura federazione[1].
Il perno del piano confederale europeo, non è la Germania, è la Francia. L’ Unione europea è in primis, è in essenza e ragion d’essere, il trattato di pace tra Francia e Germania, convivenza storicamente difficile che ha segnato la storia europea negli ultimi due secoli. Lo stato della relazione tra Francia e Germania è oggi in un impasse. La Francia ha superato la crisi politica di una paventata affermazione delle forze politiche più nazionaliste e critiche su i prezzi di sovranità pagati da Parigi per serrare Berlino in una rete di condivisioni che senza portare ad alcuna effettiva fusione che ripetiamo, in realtà nessuno vuole, garantisse l’impossibilità di ritrovarsi in una situazione di reciproco conflitto.
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Dovete morire prima. L’accelerazione di Maroni
di Redazione di Contropiano
Scorrendo i dati sul calo demografico della popolazione residente in Italia ci è capitato di ritrovare, nel nostro confuso archivio di appunti, un articolo apparso tre mesi fa su Il Fatto Quotidiano. L’autore, Vittorio Agnoletto, non è in cima ai nostri sogni come leader politico – ci è sembrata più che sufficiente la stagione di Genova 2001, in tandem con Bertinotti – ma è certamente un medico esperto. Quindi, quando analizza il sistema sanitario e i vari progetti di riforma, va preso molto sul serio.
In questo articolo coglie le infamie principali della “riforma sanitaria” in via di applicazione, ormai, nella Regione Lombardia e voluta da Roberto Maroni, la Lega e Forza Italia, ben supportati da tutta l’estrema destra che tanto dice di voler difendere “gli italiani”.
I punti principali sono più che evidenti:
a) Non sarà più un medico a decidere come dovrà essere curato un “malato cronico” rientrante delle 65 tipologie individuate dal legislatore regionale. Questo ruolo passa a un “gestore” – un ente o una società, che potrà gestirne fino a 200.000 – cui la stessa Regione affiderà un budget pro capite cui attingere per analisi,diagnosi, cure, ricoveri, ecc.
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L’euro 15 anni dopo: il fact checking dell’ISPI non regge il fact checking
di Andrea Wollisch
All’inizio di questa settimana l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) ha pubblicato un sedicente fact checking sull’euro che promette “un’informazione sintetica e il più possibile fondata su dati oggettivi”. In pratica, sette affermazioni sull’euro sono state definite “vere” o “false”, con brevi note esplicative. Quali che fossero le reali intenzioni degli estensori, il risultato ha poco a che vedere con un fact checking e molto più con una semplice esposizione di opinioni, poco o nulla avvalorata da dati. Ora, come ha affermato Alberto Bagnai in un articolo recentemente pubblicato su questo sito, “l’euro è uno dei più grandi successi della scienza economica: tutto quello che questa aveva previsto si è realizzato, ed esattamente nel modo in cui la scienza economica l’aveva previsto”. Commentando dunque alla luce dei dati e di quanto insegna la scienza economica i sette punti proposti dall’ISPI, Andrea Wollisch, laureato in Economia e Scienze sociali, giunge a conclusioni decisamente diverse rispetto a quelle propagandate dall’Istituto.
* * * *
1 – L’euro ha fatto aumentare i prezzi?
Che in un’Europa dove si combatte la deflazione si tiri nuovamente fuori questa vecchia questione, significa essere ignari del dibattito.
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Ma di cosa si stupiscono gli €uropeisti italiani? E si rendono conto di cosa stanno cosituzionalizzando? Weidman sì
di Quarantotto
1. Nel precedente post abbiamo posto in rilievo la contraddizione tra il volere la "flessibilità" di bilancio, o comunque una gestione nazionale più autonoma e discrezionale del livello del deficit, magari facendo leva sul "presunto" incoraggiamento di Obama, e l'atteggiamento invariabilmente intransigente delle istituzioni UE a trazione germanica, inserendo, simultaneamente in Costituzione "l'obbligo di attuare le politiche europee" come mission delle Camere e contenuto tipizzato della funzione legislativa.
Allo stesso modo, oggi, all'interno dei nuovi sviluppi del malcontento ostentato dal nostro presidente del Consiglio, sulla materia dell'immigrazione, verso l'atteggiamento €uropeo ("chiacchiere", porte chiuse e assenza di "civiltà").
In base a una realistica, e giuridicamente corretta, lettura del contenuto dei trattati €uropei e del contesto applicativo che i rapporti di forza, - che non possono più essere ignorati, oggi meno che mai-, quali potranno mai essere queste "politiche dell'Unione"?
La risposta ce la fornisce un documento di interpretazione autentica di provenienza germanica, cioè dallo Stato che ha (stra)vinto la "competizione" (commericiale, liberoscambista) che, come avevamo segnalato, e prima di me il prof.Guarino, si sarebbe instaurata tra gli ordinamenti dei paesi aderenti all'Unione disegnata da Maastricht, e che dunque, come in ogni organizzazione liberoscambista, avrebbe comportato un vincitore imperialista e dei "perdenti" in posizione del tutto analoga a quella dei paesi coloniali.
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Fenomenologia della crisi e il pensiero di Marx
di Luigi Pandolfi
Sono sempre più persuaso che nel modo in cui si presenta l’attuale fase di sviluppo del capitalismo su scala globale, con le cicliche e perduranti crisi che l’accompagnano, alcune delle categorie e delle intuizioni marxiane possono rivelarsi ancora utili nella comprensione di fenomeni sociali ed economici complessi. Proprio la riscoperta del filosofo di Treviri in questo delicato frangente, segnato dalla crisi di un’economia in cui la componente finanziaria ha decisamente preso il sopravvento, dimostra come la necessità di una critica dell’esistente si accompagni sempre più a quella di riferimenti interpretativi forti, che aiutino la comprensione della realtà. La crisi della politica non è quella che generalmente ci raccontano, parlando di stipendi della casta o di altre cose simili: essa è data dall’incapacità della stessa di corrispondere alle sfide di questa modernità, dal suo essere degenerata in politicantismo. Non sto proponendo un ritorno al passato, né credo che certi modelli di ieri siano riproponibili oggi. Non penso nemmeno che la foto di Karl Marx debba essere di nuovo appesa sui muri delle sezioni e venerata come si trattasse di una divinità. No. Propongo solamente una riflessione sui dilemmi del tempo presente, avvalendomi, per quanto è possibile, di qualche strumento che per tanti anni ha aiutato la comprensione della realtà, tonificando per questo anche l’azione.
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Il bluff della ripresa e il triste primato dei mercati
di Alfonso Gianni
Può anche darsi che si tratti di una coincidenza, ma sono in molti a dubitarne, a partire dagli stessi editorialisti del Sole 24 Ore. Sta di fatto che molti indicatori economici sembrano improvvisamente indicare, a un mese esatto dalle elezioni europee, prospettive più rosee. L’ipotesi più semplice, in fondo neppure troppo maliziosa, è che si voglia spargere ottimismo sulle possibilità che la crisi si stia esaurendo, proprio per contenere gli effetti di un diffuso euroscetticismo.
Ecco dunque affastellarsi una serie di dati che volgono al meglio. L’economia tedesca pare di nuovo riprendere energia, con conseguente vantaggio per i paesi che ormai fanno parte del suo specifico bacino economico e del suo sistema produttivo allargato, dalla Polonia, ai Paesi bassi, fino all’Austria. La Spagna ha sorpreso molti commentatori con una crescita nel primo trimestre del 2014 superiore a quella dei sei anni antecedenti. Persino la martoriata Grecia ha avuto successo nella collocazione di titoli di Stato. Anzi la domanda è stata sette volte superiore all’offerta. Anche il Portogallo è tornato con buoni risultati a finanziarsi sul mercato internazionale.
In Italia si suonano le trombe perché Fitch, dopo Moody’s, ha confermato il rating BBB+, ma con un outlook stabile. Si aspetta ora cosa dirà la terza sorella, Standard&Poor’s, ma il suo responso sul rating del nostro paese avverrà solo dopo la prova elettorale, il 6 giugno. Niente di che, ma c’è chi tira un respiro di sollievo, specialmente il nostro nuovo Presidente del Consiglio.
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Tripoli, bel suol d'amore
Piero Pagliani
Tripoli, bel suol d'amore,
ti giunga dolce
questa mia canzon,
sventoli il Tricolore
sulle tue torri
al rombo del cannon!
«Lo storico, il quale in avvenire vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale, dovrà giudicare che la cultura italiana nel primo decennio del secolo XX doveva essere caduta assai in basso, se fu possibile ai grandi giornali quotidiani e ai giornalisti, che pur andavano per la maggiore, far credere all’intero Paese tutte le grossolane sciocchezze con cui l’impresa libica è stata giustificata e provocata.
Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature straniere, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch’essi alle frottole dei giornali? E se non ci credettero, perché lasciarono che il Paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto indifferente per la loro olimpica serenità? La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione».
«Ma i nazionalisti e i gazzettieri tripolini sanno tutto. Per essi una notizia, vera o fallace che sia, purché risponda ai loro preconcetti, è sempre buona, e va subito messa in circolazione senza ritardo».
Gaetano Salvemini e altri, "Come siamo andati in Libia," La Voce, Firenze 1914.
La chiusa a queste citazioni potrebbe essere il refrain di una vecchia canzone pacifista di Pete Seeger, a suo tempo cavallo di battaglia di Joan Baez: “When will they ever learn?”, “Quando mai impareranno?”.
In realtà quel che è urgente chiedersi è quando mai imparerà la sinistra italiana. Specifico “italiana”, perché la sinistra mondiale in generale questa lezione l’ha capita di gran lunga meglio.
Non è un caso, il nostro Paese è una anomalia, in quanto è l’unico dell’Europa Occidentale dove ex comunisti si sono suggeriti e sono stati accettati come nuova classe dirigente del dopo caduta del Muro di Berlino.
Così in Italia di punto in bianco la maggior parte dei comunisti sono diventati ex-comunisti o addirittura “mai-stati-comunisti” mettendosi al servizio degli USA e delle loro propaggini economiche e militari in Europa.
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Per il 200° anniversario della nascita di Friedrich Engels
di Eros Barone
L’effettivo contenuto della rivendicazione proletaria dell’eguaglianza è la rivendicazione della soppressione delle classi. Ogni rivendicazione di eguaglianza che esce da questi limiti va necessariamente a finire nell’assurdo.
F. Engels, Antidühring. 1
1. Il punto sulla “questione di Engels”
Friedrich Engel nacque il 28 novembre 1820 a Barmen, oggi distretto del comune di Wuppertal, città tedesca della Renania Settentrionale-Vestfalia. Il 28 novembre 2020 cade pertanto il duecentesimo anniversario della sua nascita. È questa un’occasione per fare il punto sulla “questione di Engels”, unendo la necessaria difesa di un patrimonio gigantesco – la teoria marx-engelsiana -, oggetto di tentativi ricorrenti di deformazione, falsificazione e financo liquidazione condotti dai più disparati avversari (ma anche da taluni falsi amici), alla vigorosa riaffermazione della sua forza esplicativa e della sua potenza predittiva, concernenti il carattere ciclico dell’economia capitalistica e le leggi dello sviluppo, della crisi e della transizione che ne derivano. Si tratta allora, prendendo spunto dall’anniversario, sia di promuovere la conoscenza di una figura ricca di fascino intellettuale e morale, appartenente a quella generazione di titani che ha impresso un’orma indelebile nella storia del proletariato mondiale, sia di ribadire l’istanza per cui la natura scientifica della teoria marx-engelsiana, costantemente verificata e da verificare sul terreno dell’“analisi concreta della situazione concreta”, 2 non viene compromessa, bensì rafforzata dal legame inscindibile con la concezione materialistica del mondo, della natura, della storia e dell’uomo.
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Una tassa da filantropi
di Marco Bascetta
Nella cultura della sinistra il fisco gode da molto tempo di una solida deferenza e di una sostanziale protezione dall’esercizio della critica. Rovesciando così quella tendenza plurisecolare che vedeva le masse popolari insorgere, frequentemente e soprattutto, contro dazi, gabelle, imposte e lavoro coatto, al seguito dei tanti Masaniello prodotti dalla rapacità dei governanti. Le ragioni di questo rovesciamento sono, all’apparenza, piuttosto ovvie. Mentre ai tempi del feudalesimo prima e dello stato assolutista poi il taglieggiamento dei ceti produttivi, per quanto poveri o impoveriti, serviva a mantenere lo sfarzo delle corti, del clero e dell’aristocrazia e il debito sovrano, contratto per finanziarie guerre di espansione e di conquista che estendevano a loro volta il prelievo ai paesi sconfitti , con l’avvento della democrazia rappresentativa e dei sistemi di welfare state la fiscalità si attribuisce un nuovo principio di legittimazione: finanziare l’effettivo godimento dei diritti di cittadinanza e soddisfare i bisogni basilari della popolazione garantendo a chiunque condizioni dignitose di vita. L’obbligo di versare le imposte assume così i tratti di un imperativo morale derivante dalla «volontà generale». Tuttavia nemmeno lo stato democratico si è dimostrato capace di fugare le antiche ombre dell’arbitrio e dell’obbedienza dovuta, cresciute nell’ambiente del paternalismo assolutista.
L’opacità dei nessi amministrativi, l’autoreferenzialità degli apparati distributivi infestati di piccoli e grandi poteri che condizionano il godimento dei diritti riconosciuti rendendoli una variabile dipendente da incontrollabili costellazioni di interessi, la torbida composizione del debito pubblico stesso hanno provveduto a sbriciolare non poco quel principio di legittimazione.
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Il risiko e il rischio
di Joseph Halevi
L'America che Obama ha ereditato da Bush può arrogarsi il diritto di decidere sui diritti umani nel mondo? No, l'attuale situazione in Iraq ed Afghanistan segnate a vita dalle storie di Abu Ghraib e Bagram e dalle innumerevoli vittime civili della guerra, la questione vergognosa e irrisolta di Guantanamo, alla fine l'approvazione del golpe in Honduras e la persistente accettazione della cancellazione da parte di Israele dei diritti civili, politici e nazionali dei palestinesi, testimoniano del fatto che nei confronti dei diritti umani nel mondo gli Usa non sono un paese kasher. Inoltre come metodo di pressione politica - come accade ora per il Tibet con la decisione di Obama di ricevere il Dalai Lama tre giorni dopo l'invio di 6,6 miliardi di dollari di armi a Taiwan - questa linea non può funzionare nei confronti della Cina. Come invece funzionava alla grande nei confronti dell'Urss la cui dipendenza alimentare dagli Usa era diventata endemica dopo le grandi crisi granarie del 1961-63. Il punto è che il capitalismo Usa necessita della Cina.
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Rilanciare la rifondazione comunista per costruire la sinistra di alternativa
Dino Greco e Cosimo Rossi intervistano Paolo Ferrero, Segretario nazionale del PRC
«Proprio perché la distruzione della democrazia marcia nella società, non basta mettere in minoranza Berlusconi in parlamento». Per Paolo Ferrero, infatti,il berlusconismo è un prodotto del bipolarismo, che provoca la passivizzazione e induce a derubricare le questioni sociali, favorendo così la crescita di consenso per la destra e il distacco dalla politica. Per questo il segretario di Rifondazione ritiene che il terreno di contrasto della destra populista berlusconiana sia innanzitutto quello sociale, proponendo nel contempo alle forze di opposizione «un accordo di garanzia costituzionale che produca una nuova legge proporzionale».
Quello che invece per Ferrero non può essere rimesso all'ordine del giorno è un accordo di governo col Pd. Non per pregiudizio, ma perché i rapporti di forza in questo momento non lo permettono, in quanto «il bipolarismo produce il cortocircuito in cui per difendere la democrazia devi fare alleanze e sommare i tuoi voti con chi fa politiche sociali che aumentano il consenso delle destre».
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La scienza triste e la farfalla di Lorenz
Marco Passarella*
Come mai economisti accademici, consiglieri economici ed analisti finanziari hanno sottovalutato e, in alcuni casi, completamente ignorato, i segnali della crisi esplosa nell’estate del 2007? È questa, da molti mesi, la domanda posta insistentemente da quotidiani, blog finanziari e talk show televisivi; al centro di dibattiti e convegni di mezzo mondo. Una risposta semplice, ma non banale, è che da tempo gli economisti hanno abbandonato lo studio dei classici del pensiero economico. È un fatto che nelle università occidentali l’economics, un tempo “economia politica”, sia stata ridotta, nel corso degli ultimi vent’anni, a mero tecnicismo. Un tecnicismo autoreferenziale, autistico[1] – fatto di improbabili microfondazioni e di sofisticati, ma asettici, modelli econometrici – e nient’affatto disinteressato. Da decenni, infatti, gli economisti accademici mainstream sono assurti al ruolo, in verità assai ambito, di moderni consiglieri del principe. Occupano scranni parlamentari, poltrone ministeriali e posti nei consigli di amministrazione di prestigiose banche d’affari e società multinazionali.
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Covid-19: Cosa Rischiano i Bambini e i Ragazzi a Scuola?
di Alessandra Basso (TINT, Università di Helsinki), Valentina Flamini (Biologa molecolare), Eleonora Franchini (docente di scuola secondaria di secondo grado), Sara Gandini (IEO, SEMM)
Vi passo qui di seguito un testo scritto da un gruppo di ricercatrici italiane che è veramente una boccata di ossigeno nello tsunami di fesserie e di bugie che ci sta sommergendo. Non un testo facile, non un testo annacquato. Un esame approfondito della letteratura scientifica. Non è un testo di opinioni, è un testo di dati e di fatti. E che arriva alla conclusione che il rischio di un ritorno a scuola per i nostri bambini è minimo o inesistente, e che -- soprattutto -- è trascurabile rispetto ai danni psicologici che i bambini ricevono standosene isolati a casa.
La cosa più bella è il successo che questo testo ha avuto. Pubblicato sul sito Facebook "Pillole di Ottimismo" è stato condiviso oltre 2500 volte in 24 ore. E' un risultato eccellente considerato il marasma che è Facebook al momento attuale. Dei circa 500 commenti, praticamente tutti sono favorevoli, molti ringraziano per la spiegazione. Soprattutto, sono genitori e mamme preoccupate per i loro bambini costretti in una situazione innaturale di isolamento e segregazione.
Come sappiamo, l'informazione pubblica in Italia è dominata da sorgenti di informazione completamente inaffidabili e di solito impegnate nel raccontarci bugie. Ma quest storia ci fa vedere come c'è ancora spazio per raccontare le cose come stanno. C'è ancora gente in grado di recepire un messaggio anche complesso quando capiscono che gli autori (le autrici, in questo caso) hanno lavorato seriamente per fare un servizio di informazione pubblica. (UB)
* * * *
“I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”. Così apre il report delle nazioni unite dedicato all’impatto del Covid-19 sui bambini (1).
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Italia paese centrale e imperialista
di Domenico Moro
L’importanza della collocazione nel sistema imperialista
Una delle questioni più importanti, per chi voglia operare politicamente in un qualsiasi Paese, è capirne la natura. Uno degli aspetti più importanti a questo scopo è stabilire quale sia la collocazione del Paese nell’economia-mondo, per usare un termine caro a Wallerstein. In termini marxisti, bisogna scendere dall’astrattezza del modo di produzione capitalistico alla sua concretizzazione, cioè alla formazione economico-sociale storicamente determinata. Secondo Wallerstein l’economia-mondo è spazialmente gerarchizzata, essendo divisa in tre zone: una alta, il centro, una media, la semiperiferia, e una bassa, la periferia1. Lenin definiva il capitalismo, giunto alla fase più alta di sviluppo, come imperialismo. Anche per Lenin l’imperialismo si divide in una metropoli imperialista, costituita da Stati centrali dominanti e da una periferia, costituita da Stati subalterni e dipendenti dai primi. Naturalmente operare politicamente in un Paese centrale o periferico o semiperiferico è molto diverso, richiedendo un approccio diverso. La struttura economica e di classe è diversa. Ad esempio, nei Paesi centrali il capitale è meglio organizzato e i suoi rapporti di produzione sono più radicati e più forti. In più di un secolo di storia le rivoluzioni sono avvenute in Paesi periferici e semiperiferici (se intendiamo la Russia del 1917 come Paese semiperiferico). Si tratta di un problematica già presente in Gramsci, quando distingue la “Rivoluzione in Occidente” da quella appena svoltasi in Russia. Fra l’altro Gramsci fu ispirato direttamente da Lenin che si rendeva conto delle specificità della rivoluzione nei Paesi avanzati.
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Lo sguardo del drone su Milano
di Sergio Bologna
Demolire il mito del “modello Milano”. Sembrerebbe una buona cosa, se fatta con ragionamenti di spessore in grado di recuperare quella stagione irripetibile di pensiero critico al quale alcuni docenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano hanno dato il loro contributo negli anni Settanta con la rivista Quaderni del territorio. Aggredire il “modello Milano” con superficialità fa soltanto il gioco di quelli che hanno governato la città nei suoi periodi più bui. Si viene indotti a queste riflessioni da un lato da certe prese di posizione (v. l’articolo di Lucia Tozzi su Lo stato delle città, n. 3, ottobre 2019), dall’altro da letture come Against Urbanism di Franco La Cecla che, pur mettendo in risalto alcuni percorsi perversi delle politiche urbane e la mitologia degli “archistar”, è ancora largamente insufficiente ad affrontare determinate problematiche tipiche degli spazi metropolitani.
Probabilmente lo sguardo dell’urbanista ha acquistato la valenza di “sguardo generale” alla fine dell’Ottocento, quando i piani regolatori urbani hanno iniziato a fare scuola e quindi i suoi criteri di giudizio si sono poco alla volta imposti come scienza della città e della società che la vive. È indubbio che molte trasformazioni sociali nella città possono essere ricondotte a scelte urbanistiche, è indubbio che la disposizione dell’abitare determina in maniera notevole le stratificazioni sociali ma è altrettanto vero che l’epoca che stiamo attraversando, in particolare l’epoca che ha visto la nascita dell’informatica e di Internet, ha prodotto degli agenti di trasformazione sociale che sembrano assai più potenti del fattore urbanistico nel cambiare le persone e il loro modo di pensare e di agire.
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“Scava, scava, vecchia talpa...”
di Eros Barone
Un tempo, era di norma nelle riunioni dei partiti operai (dai congressi dell’Internazionale Comunista alle cellule di fabbrica, passando attraverso le sezioni nazionali e territoriali), svolgere la relazione introduttiva partendo dall’analisi della situazione internazionale per poi passare all’analisi della situazione interna e concludere l’esposizione con le opportune indicazioni politiche e organizzative. È quello che mi propongo di fare anch’io, limitatamente alla prima parte e in modo schematico, spero con qualche utilità, in questo articolo.
Mi sembra giusto allora prendere le mosse, per il rilievo che essa assume nell’àmbito della difesa dei princìpi di autodeterminazione, indipendenza e sovranità nazionale, dalla sconfitta delle macchinazioni degli Stati Uniti, della NATO e dei mercenari al loro servizio in Siria: un risultato certamente reso possibile dall’intervento politico e militare della Russia, ma anche dall’ampiezza e dalla compattezza del consenso popolare al regime baathista. Una vittoria, quindi, che assume una portata non solo geopolitica ma anche ideale, poiché, altrettanto certamente, ha contribuito a determinare la crisi delle correnti più reazionarie dell’islamismo, spingendo le masse popolari del Medio Oriente a superare le divisioni settarie di tipo religioso e tribale, su cui hanno giocato fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso l’imperialismo israeliano ed occidentale. In tal modo, milioni di persone hanno rialzato la testa e hanno cominciato a lottare per obiettivi economici e sociali, aprendo un fronte di classe contro lo sfruttamento capitalistico, per conquistare migliori condizioni di vita e di lavoro.
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Aspettando Di Battista (o Godot?) Di Maio colpito e affondato? Sardine?
Un antipasto
di Fulvio Grimaldi
Sardine: hors-d'oeuvre indigesto
Diceva Joseph Goebbels, il più grande propagandista della Storia dopo Paolo di Tarso, uno a cui gli indebitamente celebrati piazzisti italiani, Salvini e Renzi, stanno come Gianni Riotta a Pulitzer, “Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola”. Frase infelice e si sa dove ha portato. A me viene quel prurito alle mani quando sento i media italiani, a tastiere e microfoni unificati, celebrare, come tutti copiassero lo stesso testo dal primo della classe, tipo il New York Times, o la CNN, tutti gli eventi che vedono rumoreggiare in piazza più di venti bambini e adolescenti. In tempi recenti, il fenomeno è andato accelerandosi e non c’è più fine al tripudio. Dai bravi giovani di Greta si è passati ai bravissimi di Fridays For Future e poi di Exctinction Rebellion, per tripudiare ora sulle ultrabravissime “sardine”. Chissà perchè a noi non succedeva, qualche decennio fa, ma erano invece mazzate, rodei di camionette e blindati. Vai a sape’. Ce la prendiamo con queste sardine colorate nel prossimo articolo, fra qualche giorno. Nel frattempo godetevi questa sublime espressione di arroganza, odio, intimidazione, violenza, totalitarismo, in linguaggio da bulli di seconda media, che è il “manifesto” ufficiale delle “sardine”. https://www.agi.it/politica/sardine-6596346/news/2019-11-21/
Buttare il bambino, tenere l’acqua
Qualche pensierino sul maxicasino dei Cinquestelle. Quanto è accaduto con le ripulsa dei cliccanti del MoVimento alla desistenza di Di Maio in Emilia Romagna e Calabria, rafforza l’impressione che ho avuto alla kermesse nazionale di Napoli.
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Il bilancio 2018: un quiz senza risposte
Roberto Romano
La “programmazione di corto respiro” della Legge di Bilancio presentata dal governo finisce per inficiare la trasparenza dei conti pubblici e anche gli obiettivi di riduzione del debito. Una analisi della manovra
La cornice della Legge di Bilancio per il 2018
Il Bilancio dello Stato per il 2018, presentato al Senato il 29 ottobre, ricalca le indicazioni generali della nota di aggiornamento del DEF1. I provvedimenti indicati nel DEF – aggiornato – hanno trovato una coerente applicazione nella Legge di Bilancio, ancorché non manchino delle sorprese relativamente ad alcune misure che non erano state preventivate. Per esempio lo stanziamento di 250 mln – a valere sul 2019 -per la formazione Industria 4.02, le misure per la famiglia (100 mln per il 2018-19-20), oppure gli interventi relativi al SUD (200 mln per il 2018) che, in realtà, appare più che altro una partita di giro.3
La cornice macroeconomica nazionale rimane inalterata. In particolare è confermata la crescita del PIL per il 2018 all’1,5% rispetto al quadro tendenziale indicato all’1,2%. La maggiore crescita di 0,3 punti percentuali è, sostanzialmente, imputabile alla parziale sterilizzazione delle clausole di salvaguardia – mancato aumento di IVA e accise – per quasi 15 mld per il 2018 e poco più di 6 mld di euro per il 2019.
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Le ombre della Clinton Foundation
di Girolamo Tripoli
Sono una delle più grandi dinastie degli Stati Uniti. I Clinton sono sulla scena politica statunitense dagli anni 70, prima con Bill e poi anche con Hillary. E forse è proprio questo che gli ha permesso di costruire una rete globale di donatori senza pari.
Ma facciamo un passo indietro. Bill e Hillary hanno fondato – nel 1997 – la Clinton Foundation, una fondazione diversa da qualsiasi altra nella storia. È un impero filantropico globale gestito da un ex presidente degli Stati Uniti, con l’obiettivo di risolvere molti dei problemi più difficili al mondo.
Avviata in modo modesto – e inizialmente focalizzata sulla biblioteca personale di Bill – è via via cresciuta in modo molto ambizioso. Attualmente conta oltre 2000 dipendenti. Più specificatamente, i fondi raccolti dalla fondazione vengono spesi direttamente sui programmi aperti dalla società e non vengono donati ad altre organizzazioni di beneficenza.
Lo stesso ex presidente in passato ha dichiarato al Washington Post: “La fondazione è una macchina geniale che può trasformare qualcosa di intangibile in qualcosa di tangibile: il denaro“.
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Intervista a John Smith, autore di Imperialism in the twenty-first century
di Daphna Whitmore
Il volume di John Smith sull’imperialismo è un lavoro innovativo che getta una luce inedita sul super-sfruttamento del sud globale. Daphna Whitmore di Redline lo ha intervistato a proposito del suo libro
DW: Innnanzitutto, vorrei ringraziarti per aver scritto Imperialism in the twenty-first century. Si tratta di un argomento imponente e il tuo libro prende in considerazione un materiale amplissimo e di grande interesse – quanto tempo ha richiesto un simile lavoro?
JS: Alla fine degli anni Novanta, la globalizzazione della produzione e il suo spostamento, a livello globale, verso i paesi a basso reddito stavano prendendo piede su scala così vasta che era impossibile non notarlo; il che valeva anche per ciò che stava guidando tali processi, vale a dire gli elevati livelli di sfruttamento disponibili in paesi come il Messico, il Bangladesh e la Cina. Era indispensabile una teoria in grado di spiegare tutto questo, ma per rendersi conto di ciò che stava accadendo erano sufficienti un paio di buoni occhi. Era naturale studiare il comportamento delle multinazionali industriali, le TNC [Transnational corporation, n.d.t.] non finanziarie, considerato che si trattava dei principali agenti e beneficiari della globalizzazione – ed è appunto ciò che si stava facendo! Del resto, anche una formazione di base comprendente la teoria marxista del valore ci spingeva a prestare attenzione ai cambiamenti nella sfera della produzione… Per tutte queste ragioni, è stato uno shock scoprire che il marxismo, o meglio i marxisti, avevano ben poco da dire riguardo a questi fatti inediti.
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Il saggio "consiglio dei saggi" e la via italiana al ...rilancio dell'occupazione
di Quarantotto
"Ciao Quarantotto, un saluto a tutto il forum. Io credo che siamo all'interno di una follia collettiva paragonabile solo a quella delle due grandi guerre. Leggevo oggi su Voci Dall'Estero che anche nella ricca Germania due lavoratori su tre guadagna meno del 2000.
Ora ditemi con questi dati, come è possibile che all'interno della CGIL, in particolar modo i loro quadri, si difenda questa Unione in modo fideistico, religioso ed ultraterreno.
Non c'è verso di fargli capire che l'UEM è stata fatta per permettere ai paesi forti di colonizzare i paesi deboli, e all'interno dei singoli paesi per favorire il grande Capitale a tutto discapito del Lavoro e dei diritti acquisiti.
Qui secondo me non è più un problema Economico/Giuridico/Storico, ma un problema che investe la Psichiatria. Perchè tanti nostri concittadini ai quali viene sottratto redditi/diritti/futuro si sono innamorati del loro carnefice e nulla scalfisce questo amore, nemmeno la condizione dei propri figli disoccupati e privi di futuro?"
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La guerra senza sacrifici
di Marco Bascetta
In uno studio di qualche anno fa Grégoire Chamayou aveva ricostruito una storia e una fenomenologia del potere a partire dalla sua natura «cinegetica», ossia prendendo le mosse dal ruolo decisivo che la caccia riveste nella conquista e nella conservazione del dominio sugli uomini. Una caccia, però, del tutto particolare: la caccia all’uomo (Le cacce all’uomo, manifestolibri). Non sorprende dunque che questa sua linea di ricerca lo abbia condotto a prendere in esame il congegno che, sostituendosi progressivamente ai più tradizionali strumenti tecnologici e organizzativi, rappresenta la frontiera più avanzata della caccia all’uomo: il drone, nel gergo militare Unmanned combat air vehicle (Ucav), ossia aeroveicolo da combattimento senza equipaggio (Teoria del drone, Deriveapprodi, pp 215, euro 17.00). Un occhio che indaga e uccide, senza limiti di spazio e di tempo. Insonne, attento, dotato di una memoria prodigiosa, raccoglie paziente gli indizi che fanno di un essere umano un nemico e dunque una preda. La insegue dal cielo in ogni luogo e in ogni suo gesto, ne traccia il profilo biografico e, infine, la abbatte. Ma a differenza del cacciatore, esposto al confronto con la preda, e sempre a rischio di vedere invertirsi le parti, di passare dall’inseguimento alla fuga, il pilota del drone siede al riparo da ogni minaccia in una cabina di comando, a migliaia di miglia dal suo bersaglio e dall’ambiente ostile che lo circonda, in un Olimpo dal quale partono i fulmini scagliati in un’unica direzione. Sorveglia e distrugge il mondo di ombre che popola il suo schermo e, all’altro capo della terra, una vita reale che piuttosto approssimativamente vi si riflette. Alla vittima non è dato combattere, nessun nemico è alla sua portata, né odio, né compassione, né paura filtrano attraverso il corpo metallico della macchina che esploderà il colpo fatale.
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Il caso Battisti: tutti i dubbi sui processi e le condanne, esposti punto per punto
Perchè il Brasile ha accolto il "mostro"
di Carmilla
[L'indecorosa cagnara "bipartisan" sul caso Battisti orchestrata dalla nostra classe politica e dall'"informazione" che la fiancheggia riporta d'attualità questo articolo uscito l'anno scorso su Carmilla. Ndr]
Questa nuova versione delle nostre FAQ sul caso Battisti, già lette da centinaia di migliaia di utenti e tradotte in molte lingue, cadono in un momento di isteria collettiva mai visto in Italia dai tempi di Piazza Fontana e della colpevolizzazione di Pietro Valpreda. Battisti si trova da quasi due anni, mentre scriviamo, in un carcere brasiliano. Ha ottenuto asilo politico in Brasile, concesso dal ministro della giustizia Tarso Genro e ripetutamente avvallato dal presidente Lula. La stampa italiana, a fronte di un’opinione pubblica sostanzialmente indifferente, si è scatenata con toni da linciaggio. Battisti è tornato a essere il mostro, l’assassino per vocazione, il serial killer. Il Brasile è stato dipinto (per esempio da Francesco Merlo, su La Repubblica del 15 gennaio) come una democrazia da operetta, abitato da una popolazione quasi scimmiesca. Persino il presidente Napolitano, che non brilla per attivismo, si è mobilitato a sostegno della richiesta di estradizione del criminale del secolo. Seguito ovviamente dal PD di Walter Veltroni, in perfetta armonia con le componenti più reazionarie del governo e delle presunte “opposizioni”.
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La guerra vista senza paraocchi
di Michele Franco
Intervista a Francesco Dall’Aglio, Ricercatore presso l’Istituto di Studi Storici dell’Accademia delle Scienze di Sofia (Bulgaria)
Sul tuo profilo Facebook stai conducendo una disamina seria e documentata delle notizie che provengono dagli eventi che, quotidianamente, si consumano nel corso della guerra in Ucraina. Leggendo i tuoi post e i commenti che esprimi si ricava l’impressione di osservare un altra realtà rispetto a quella che ci viene propinata dai dispositivi della comunicazione deviante che appestano la “pubblica opinione”. Puoi illustrarci le motivazioni e le ragioni per cui ti stai cimentando in questa attività?
Le motivazioni non hanno nulla a che fare con l’apprezzamento per la ‟operazione speciale”, come ogni tanto qualcuno mi rinfaccia. Il motivo è molto semplice: io mi occupo di storia e presto molta attenzione all’interpretazione delle fonti.
Per motivi professionali, inoltre, conoscendo sia il russo che l’ucraino (molto meno bene purtroppo) avevo la possibilità di seguire i media locali, da ben prima che scoppiasse la guerra.
Fin dall’inizio del conflitto ho notato uno scollamento pressoché assoluto tra le informazioni che al pubblico italiano, e occidentale in generale, era consentito ricevere dai mass media, e ciò che si vedeva sul campo. Tutto ciò che contrastava con i punti fermi del discorso che, per brevità e in maniera un po’ superficiale definirò ‛atlantista’, veniva omesso; le voci dissidenti etichettate come prezzolate dal Cremlino, e i media russi censurati per evitare che ‛infettassero’ l’opinione pubblica.
Ho anche notato da subito una distanza abissale tra la doppia narrazione che ci veniva fornita: una Ucraina valorosa e che bisogna dotare di armi ed equipaggiamenti perché in tempi più o meno brevi la sua resistenza consentirà di infliggere perdite talmente tanto alte alla Russia da obbligarla a ritirarsi e a chiedere la pace.
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Next degeneration EU
di Sergio Cesaratto
Il cosiddetto Recovery Fund è il Convitato di pietra della crisi di governo, come scusa di litigio o oggetto di appetito politico. La sua importanza è solo relativa, date le sue ridotte dimensioni finanziarie, la sua tempistica inadeguata, l’impronta europea sui contenuti ben lontana da una organica politica industriale per il continente, i contenuti sociali sospesi fra ipocrisia, demagogia e velleità. Il Recovery Fund appare così inadeguato sia come sostegno alla domanda aggregata che alla capacità industriale italiana (ed europea). Avanzeremo qui alcune osservazioni sul documento del governo italiano (Piano di Ripresa e Resilienza dell’Italia, PNRR – 12 gennaio 2021) [1] ricordando che Il Piano dovrà essere presentato in via ufficiale entro il 30 aprile 2021.
1. Assenza di analisi a monte e a valle
I mali dell’economia italiana vengono da lontano.[2] Il miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta non risolse le problematiche storiche del Paese: in senso spaziale essendo stato concentrato nel nord-ovest, con successive estensioni nel nord est e, temporaneamente, nella fascia nord adriatica; in senso occupazionale in quanto la limitata industrializzazione non ha assalito le sacche di disoccupazione meridionale, femminile, giovanile, e la sottoccupazione nel terziario parassitario; in senso tecnologico mancando negli anni settanta-ottanta il salto dalle produzioni meccaniche a quelle più elettroniche; sul piano sociale facendo mancare un moderno riformismo verso le classi lavoratrici, a favore dell’inclusione clientelare. Dalla fine degli anni sessanta, il mancato riformismo e lo iato fra le aspettative di consumo e l’insufficienza della torta da spartire ha esacerbato il conflitto sociale fra capitale, lavoro e i topi nel formaggio, con una ricaduta su un uso inefficiente della spesa pubblica e la tolleranza dell’evasione fiscale.
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Confusione o complessità?
Un convegno su sviluppo capitalistico e ostilità
di Carmelo Buscema
Dal 6 all’8 giugno 2017, l’Università della Calabria ospita un convegno internazionale in memoria di Giovanni Arrighi a 30 anni dalla pubblicazione del testo, scritto con Fortunata Piselli, “Capitalist Development in Hostile Environments” (1987) che Donzelli ha recentemente pubblicato in italiano con il titolo: “Il capitalismo in un contesto ostile” (2017)
Grande è la confusione sotto e sopra il cielo. Ma, con buona pace di Mao Tse-Tung, questo rende la situazione oggi pessima, altro che eccellente!
Attraversiamo tempi in cui le bussole del pensiero critico sembrano impazzire, mentre quelle che orientano la politica e la prassi comune segnano avventurosi territori di frontiera,dove difficile è orientarsi e pericoloso è vivere. In essi siamo tutti ributtati a forza, presi nella morsa di tenaglie di odiosi e sistematici ricatti: della propaganda mediatica e dello sfogo frustrato di indignazione moralizzatrice; dello Stato di polizia securitario, sempre più oppressivo, e dell’insicurezza generalizzata provocata dal terrorismo; delle guerre tra settarismi religiosi e delle crescenti contese geopolitiche per l’accaparramento e la gestione delle risorse naturali e strategiche. Intanto, il lavoro si fa sempre più degradante sfruttamento nelle case, nei campi, in fabbrica, in strada, negli uffici e nelle aule dell’accademia. Mentre le minacce della disoccupazione e della precarietà assoluta sono sempre più ampia cappa che opprime potenzialità di benessere condiviso mai state così ricche. Anche per questa via, ci incuneiamo nel paradosso del più poderoso sviluppo della cooperazione sociale che, però – costretto entro i binari che ingiungono universalmente la valorizzazione gratuita del capitale e delle sue forme di potere sociale –, finisce con il preparare e affinare dispositivi di controllo del pensiero e della condotta di tutti come mai la storia ne ha conosciuti.
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L'elefante nella stanza
di Il Pedante
Dal lato della spesa, un impulso all'attività economica potrà derivare da un aumento del coinvolgimento dei capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. (M. Monti, novembre 2011)
Gli aumenti dei costi dei servizi di base - sanità, infrastrutture, trasporti, energia ecc. - sono certamente tra i fattori di impoverimento collettivo più percepibili e onerosi, tanto più in quanto non compensati da un corrispondente calo del carico fiscale. Trattandosi di servizi tradizionalmente erogati dal settore pubblico attingendo alla fiscalità generale, l'aspettativa dei cittadini di una diminuzione della spesa pubblica - e quindi delle tasse - apparirebbe razionale. Gli aumenti all'utenza dovrebbero spostare parte dei costi dei servizi dalla collettività ai singoli fruitori. Ma così non accade.
Anzi, a parità o crescita della pressione fiscale aumentano canoni, tariffe e tickets. Oppure - il che è lo stesso - si restringe il perimetro dei servizi offerti. Perché? Le narrazioni mediatiche offrono chiavi di lettura standard ben sedimentate:
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sprechi e voracità del settore pubblico annullerebbero il risparmio fiscale convogliandolo in opere inutili, consulenze strapagate, assunzioni clientelari ecc. invece di scontarlo ai cittadini. Il che presupporrebbe però che gli sprechi siano in aumento e non, come si usa leggere, "ancora troppi nonostante gli encomiabili sforzi del governo, dei commissari ecc.";
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Riappropriarsi del tempo e ridurre l’orario di lavoro
Mario Agostinelli
Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero (Aristotele).
1. Tempo e velocità hanno un limite
Il mondo non ha più tempo da perdere. Siamo nel mezzo della crisi energetica più rilevante nella storia dell’umanità. Se per gioco volessimo rappresentare con personalità conosciute le generazioni che succedendosi hanno “plasmato la memoria” su cui risiede la nostra civiltà occidentale – a scelta da Pitagora a Pericle a Cesare a Carlo Magno a Marco Polo a Napoleone a Marx, ad Einstein a Feynman, fino ad Obama – sarebbe sufficiente spalmare su un grande palco una novantina di illustri individualità – (90 personalità x 25 anni a generazione =2250 anni di storia). Ma se volessimo prevedere quanti nuovi personaggi potranno salire d’ora in avanti su quel palco, dovremmo riflettere che, almeno a detta del mondo scientifico più responsabile e accreditato, non potremmo andare oltre alle quattro o cinque unità, se i nuovi “leader” si limitassero a replicare il “business as usual”, con i conseguenti effetti irreversibili e devastanti sul clima e la temperatura del pianeta.
In pratica, la velocità di trasformazione e di sfruttamento delle risorse naturali e lavorative è giunta al punto tale da pregiudicare, con gli effetti di manomissione dei cicli naturali, il mantenimento della biosfera e la sopravvivenza della specie.
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