- Details
- Hits: 2124
Nadia Urbinati, “Utopia Europa”
di Alessandro Visalli
Un altro libro di occasione, nel quale un’intellettuale di fama si presta alla difesa di ufficio della causa europea in vista delle elezioni. Non servirà a fermare la Lega, ma forse questo alzare gli stendardi compatta l’esercito un poco attempato e certamente molto demoralizzato della sinistra.
A questo fine il testo ripercorre nella prima parte, la più interessante, la storia della lunga costruzione europea, mettendo in evidenza la fonte inaspettata (per una sinistra che ormai ha dimenticato tutto) delle sue radici, ma nella seconda si mette la cotta di maglia e va alla guerra.
Come capita a chi fa il suo mestiere, professoressa di teoria politica alla Columbia University, tutta la ricostruzione si muove sulle nuvole del pensiero, non tocca il volgare terreno degli interessi, tanto meno geopolitici. Quindi può dire, entro le regole della sua disciplina, che l’Europa è il prodotto delle idee degli “illuministi” e dei “cattolici” e che queste si muovono attraverso il protagonismo dei paesi sconfitti (e dunque, necessariamente, con l’autorizzazione dei vincitori, che sarebbe altrimenti curioso il progetto più ambizioso della storia europea nasca da chi ha meno potere e meno sovranità). Sono due i piani che propone: la creazione di una polis pacifica e democratica, e il rispetto delle sfere di influenza. Ma l’ordine è palesemente invertito, il fatto rilevante del primo dopoguerra è evidentemente la divisione dell’Europa sconfitta e ridimensionata in due sfere di influenza nette, quella americana e quella sovietica. Il progetto di una “polis” pacifica (ovvero disarmata e subalterna) è l’ideologia di copertura e insieme la necessità pratica del progetto della parte americana[1], ovvero parte della tradizionale politica dell’indirect rule anglosassone e strumento della riduzione dello sforzo e del costo di protezione e di controllo. Lo dice, del resto, anche la nostra politologa: “il progetto nacque anche in funzione antisovietica” (solo che “anche” è di troppo).
Certo non è del tutto infondato che l’idea di un’unificazione europea fosse più antica, e radicata in utopie settecentesche, poi rialzata negli anni venti (anche se non solo da intellettuali antifascisti), e poi tanti altri, l’elenco è lungo. E, se ci si sposta agli anni trenta, coinvolge anche gli stessi nazisti (ma questo è politicamente scorretto e meglio non insistervi).
- Details
- Hits: 2124
"O inventamos o erramos"
Sulla situazione in Venezuela
di Geraldina Colotti
Dall'Italia alla Francia, dalla Spagna all'America latina si moltiplicano le analisi dei “critici-critici” sulla situazione in Venezuela. Si avverte, soprattutto in Italia, l'affannosa ricerca dell'aurea mediocritas da parte di una certa sinistra piccolo-borghese: l'assunzione di quell'aurea via di mezzo che consente, da una posizione intermedia, di cogliere la pagliuzza negli occhi degli altri per non vedere la trave nei propri. Contro il socialismo bolivariano, ognuno agita i propri fantasmi rimettendo in circolo, spesso senza nominarli, dubbi e nodi irrisolti delle grandi rivoluzioni. Ma intanto, anche se “Maduro non è Chavez”, come ripetono come un mantra i cantori dell'”aureo mezzo”, i nemici che deve affrontare sono gli stessi che ha dovuto combattere Chavez. Maduro, se è per questo, non è neanche Allende ma – come ha fatto notare l'analista argentino Carlos Aznarez – le forze che vogliono abbatterlo sono le stesse, mutatis mutandis, che hanno stroncato la “primavera allendista” nel Cile del 1973.
Anche al “socialismo del XXI secolo”, dunque, che si definisce umanista, cristiano, libertario e gramsciano, tocca misurarsi con gli scogli di quello novecentesco, disseminati su una rotta che appare per molti versi simile.
- Details
- Hits: 2124
Il conflitto sociale che viene, tra guerra e populismo
di Sandro Moiso
Emilio Quadrelli, SULLA GUERRA. Crisi Conflitti Insurrezione, Red Star Press 2017, pp. 276, € 18,00
“Oggi la guerra non è più una tendenza
bensì un dato di fatto” (E. Quadrelli)
Seguo con estremo interesse e, ormai, da più di dieci anni il lavoro di pubblicista di Emilio Quadrelli. A partire, almeno, da quegli straordinari reportage pubblicati dieci anni fa su “Alias”, supplemento settimanale del “Manifesto”,1 in cui l’autore dava voce alle donne protagoniste delle rivolte delle banlieues oppure delle violenze collegate alla presenza militare della Nato nei Balcani, soltanto per citarne due dei più interessanti.
Ne ho sempre apprezzato la ricerca militante unita ad una passione che è raro trovare persino nel pensiero antagonista e di sinistra. Non sempre ho completamente condiviso i presupposti teorici ed ideologici2 su cui basa le sue analisi, ma ho comunque sempre ritenuto le sue narrazioni e proposte un buon punto di partenza per discutere delle contraddizioni del presente e delle prospettive della società e delle lotte di classe in questa fase di senescenza dell’imperialismo occidentale.
Tale impressione mi è stata confermata dal testo edito di recente dalla Red Star Press che affronta, senza mezzi termini, il problema della guerra in cui siamo già immersi. Anche se, troppo spesso, molti sembrano non essersene ancora accorti.
- Details
- Hits: 2124
Dopo Jackson Hole. Il futuro della politica monetaria
di Gianluca Piovani
Pochi giorni fa, in occasione del simposio di Jackson Hole del 27 agosto, il presidente della FED Janet Yellen è intervenuta per fornire spiegazioni e un’interpretazione “d’autore” all’attuale politica monetaria USA. Il messaggio lanciato davanti un pubblico d’eccezione, comprendente i maggiori economisti e banchieri centrali a livello mondiale, è stato che seppure lo scenario economico sia migliorato da inizio anno, tuttavia rimane ancora incerto e richiede una politica monetaria dinamica ed attenta al flusso degli “hard data”.
Il discorso della Yellen fa riferimento in primo luogo al miglioramento delle prospettive da gennaio. Ad inizio anno infatti erano nati timori di crisi e recessione globale che avevano portato a crolli di mercato e panico generalizzato. Questi timori di catastrofe si sono per ora rivelati infondati e i dati sull’andamento dell’economia reale hanno confermato una situazione economica in positivo. D’altra parte il discorso del presidente Yellen prosegue ricordando come il contesto economico rimanga debole e sia ancora sostanzialmente in monitoraggio.
I timori di inizio anno riguardo le possibili evoluzioni del contesto economico rimangono in effetti inalterati. L’Europa continua a soffrire la situazione politica tesa, di cui è divenuto recentemente il simbolo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. La Brexit è solamente la punta di un iceberg più profondo che mina i rapporti tra i diversi stati alimentando sfiducia verso un modello accusato di essere eccessivamente germanofilo.
- Details
- Hits: 2124
Finanza: masters of Universe
Ovvero una banda di ladri
di Giulietto Chiesa
Il crollo della Borsa di Tokyo (-7,32%) è stato il più alto e drammatico dopo Fukushima di 2 anni fa. Conferma che i due trilioni di yen, creati dalla Banca Centrale del Giappone con la cura Abe, non sono serviti a nulla, se non a procurare un primo disastro. Visto che il nuovo premier giapponese annuncia il raddoppio della propria massa monetaria da qui alla fine del 2014, che Dio gliela mandi buona, a lui e a tutti noi.
Anche perché sta continuando la danza assurda della Federal Reserve, che continua a “stampare” (cioè a creare al computer) 85 miliardi di dollari al mese. Quosque tandem, Ben Bernanke, abutere patientia nostra?
Non lo sa neanche lui. Affermano, Bernanke e Abe, di voler stimolare l’economia (leggi la finanza) stampando banconote, in attesa di Godot, che però non arriverà più. Per due motivi: perché stimolare la finanza non fa più crescere l’economia, e perché i limiti alla crescita sono ormai apparsi sulla scena e non andranno più via.
Tutte chiacchiere, naturalmente. Il crollo di Tokio e di tutte le Borse europee (per quanto valga poco come segnale) viene dai dati cinesi: la crescita cinese rallenta. E questo produce il rallentamento di tutti i mercati.
- Details
- Hits: 2123
Meglio il default? Dipende*
di Alfonso Gianni
La parola default, nel suo significato di insolvenza finanziaria ovvero di fallimento, è diventata ormai uno dei termini più usati non solo nel linguaggio degli specialisti economici, ma anche in quello dei commentatori televisivi o della carta stampata e persino in quello comune. Per molti – e sono ancora la maggior parte – quel vocabolo evoca tremendi scenari di distruzione dell’ordine economico e di disperazione dei singoli. Altri sembrano essersene invaghiti – ma sono, per ora, solo una netta minoranza – e per loro quel termine suscita addirittura speranza. Ovviamente stiamo qui parlando del fallimento di uno stato intero, non semplicemente di una banca o di un istituto finanziario per quanto grosso esso sia. D’altro canto il precetto too big to fail è già stato ampiamente contraddetto dagli eventi di questa lunga crisi, a partire dal fallimento di Lehman Brothers. Naturalmente gli americani ne hanno fatto un film, proprio con quel titolo che la distribuzione italiana ha scioccamente storpiato facendone perdere il senso.
Il “salvataggio” della Grecia
Le ultime misure assunte a fine Ottobre dalla Ue nei confronti della Grecia – sulle quali Papandreu con notevole coraggio ha annunciato un referendum popolare – altro non sono che una sorta di default pilotato, ovvero una robusta ristrutturazione del debito. Il valore nominale del debito greco è stato ridotto di 100 miliardi. L’adesione al salvataggio greco da parte degli istituti di credito dovrebbe essere volontario, ma in realtà verrà incentivato dai governi dell’Eurozona (fino a 30 miliardi). Le banche più esposte, ovvero quelle che hanno in pancia il più grande numero di titoli di Stato ellenici, oltre a quelle greche sono le francesi (più di 51 miliardi), le tedesche (oltre 33 miliardi), le inglesi (oltre 12 miliardi), mentre relativamente limitata è l’esposizione delle banche di casa nostra (quasi 4 miliardi).
- Details
- Hits: 2122
Sotto il cielo dell’”Interregno”
Beppe Caccia e Sandro Mezzadra
Note preliminari sul metodo politico della trasformazione oggi
È ormai alle nostre spalle il luglio greco, con l’entusiasmante vittoria dell’OXI al referendum del 5 luglio e con il famigerato “accordo” di una settimana dopo. La Grecia resta comunque al centro dell’attenzione, non solo per quel che riguarda il dibattito all’interno della “sinistra” internazionale ma anche per gli scenari aperti dalle dimissioni di Tsipras, dalla scissione di Syriza e dall’annuncio di nuove elezioni a fine settembre. Sono scenari complessi, in cui in gioco sono tra l’altro la natura di Syriza e la democrazia interna al partito dopo la nascita di “Unità popolare”, le prospettive politiche ed elettorali di quest’ultima formazione, il rapporto che i movimenti intratterranno con le istituzioni nella nuova congiuntura. Nessuna scorciatoia auto-consolatoria, nessuna ricetta ideologica derivata dalle categorie e dagli schemi del passato può funzionare di fronte alle contraddizioni del reale, che qui si manifestano con inedita violenza. In questo intervento, non ci proponiamo tuttavia di affrontare direttamente questi temi e queste contraddizioni. Quel che vorremmo tentare, piuttosto, è di formulare alcuni criteri di metodo che possano orientare in questa fase, dal punto di vista di una politica che punta alla trasformazione radicale dell’esistente, il giudizio su una situazione come quella greca, e inevitabilmente su quella europea che in essa si rispecchia.
In questa fase, abbiamo detto: in una fase che continua a essere segnata dalla crisi e da una transizione dall’esito incerto, tanto in Europa quanto su scala globale. La categoria gramsciana di “interregno” è parsa a molti, negli ultimi tempi, particolarmente calzante per descrivere alcuni tratti del nostro presente.
- Details
- Hits: 2122
Se il capitale è l’avanguardia di se stesso
di Marco Dotti
Talvolta sottovalutato, talaltra sopravvalutato, al contributo di Walter Lippmann si deve, tra le tante cose, la nozione di pseudo-ambiente. Lo pseudo-environment è un concetto chiave, non solo per comprendere il “chi” e il “che cosa” di quell’opinione pubblica a cui l’autore americano dedicò nel 1922 un libro capitale per la formazione del pensiero e la strutturazione delle pratiche neoliberali.
Mitocrazia ambientale
La nozione di pseudo-ambiente appare, infatti, fondamentale soprattutto per comprendere il “come”, ossia con quali forze e attraverso quali coordinate, tra complessità vitali e semplificazioni cognitive, un’opinione si costituisca in forma pubblicamente rilevante e determinante, ma proprio in tal modo venga depotenziata e recuperata nel sistema.
È però vero che Lippmann faceva ancora in parte dipendere lo pseudo-ambiente informazionale da una selezione e, in definitiva, da una barriera. Oggi, al contrario, anziché a una barriera bisognerebbe pensare a un filtro o a una membrana porosa: un punto, come scriveva Yves Citton nel suo <>Mythocratie (2010), dove pratiche della narrazione e dispositivi di potere si incontrano, dando luogo a quella pratica di “scenarizzazione” che ha radicalmente esteso lo pseudo-ambiente informazionale.
- Details
- Hits: 2121
(Neo)fascismo e antifascismo, oggi*
di Valerio Romitelli
La frase con cui Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte riprende e rettifica Hegel per misurare le differenze tra Napoleone e il suo nipote Napoleone III è arcinota: “i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte (…) la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.
1. Ci si azzarderà allora a sostenere che la Meloni è la farsa di Mussolini? Il suo governo la caricatura di quello formato dall’allora futuro Duce nell’ottobre di cent’anni fa? Non esageriamo. Nell’ottobre scorso, 2022, il senatore Scarpinato[1] in un memorabile discorso[2] al parlamento ha messo i puntini sulle i. La tradizione che il governo Meloni incarna non è esattamente il fascismo, ma il neofascismo. Questa precisazione è decisiva. A partire da essa si spiegano molte cose.
Si spiega lo sbaglio colossale di tutti coloro più o meno “rosso-bruni” che hanno intravisto in questo governo una qualche possibile protezione nazionalista di fronte alle perversioni della globalizzazione neo-liberale. Si spiega perché questo governo non lasci la ben minima speranza a qualsiasi pur vaga nostalgia per l’autarchia degli anni Trenta. Si spiega come mai la leader di Fratelli d’Italia non abbia dimostrato alcuna riserva critica rispetto alla fedeltà atlantista che il governo precedente, l’indecorosa ammucchiata attorno all’ineffabile Draghi, aveva eretto a suo vessillo principale. Si spiega perché nel prossimo avvenire nulla possa moderare l’adesione italiana alle politiche europee di sostegno sistematico, fatto di armi e soldi, al governo Zelensky. Si spiega fino a che punto la sottomissione italiana ed europea alle strategie di guerra americane sia confermata e proiettata ad oltranza, costi quel che costi[3].
- Details
- Hits: 2121
Le critiche, la nostra risposta
di Redazione
L'articolo di Piemme sul "decretone" del governo ha suscitato diversi commenti critici, proviamo a rispondere come redazione
Le critiche che ci vengono rivolte sono fondamentalmente due. La prima riguarda il giudizio sulle due misure prese, "quota 100" e Reddito di cittadinanza (Rdc). La seconda, più politica, è una critica al "sostegno critico" al governo gialloverde ad 8 mesi dalla sua nascita.
Sul primo punto — "quota 100" e Reddito di cittadinanza (Rdc) — bisognerebbe innanzitutto distinguere tra la critica alle misure del governo e quella al nostro giudizio politico su di esse. I commentatori tendono a non operare questa distinzione, ma in ogni caso la sostanza delle critiche è chiara: "il Rdc così come uscito nel decreto è solo un intervento caritatevole ed assistenziale di cui pochi usufruiranno". Esso andrebbe perciò respinto sia per la sua inadeguatezza, sia per la sua natura liberista.
Si tratta di una critica fondata, che ha dalla sua diversi argomenti, fatta da persone (anche se talvolta anonime) che sappiamo non essere animate da visioni pregiudiziali, che arriva tuttavia a conclusioni politiche che consideriamo errate.
Entriamo dunque nel merito, notando però una curiosità, forse rivelatrice assai. Tutte le critiche sono rivolte al Rdc, nessuna a "quota 100". Ora, siccome non pensiamo che i commentatori siano dei leghisti, il problema sta probabilmente altrove. Dove, ci arriveremo con il ragionamento.
Ha scritto Piemme nell'articolo contestato:
«Non ci sfuggono di certo gli enormi limiti delle due misure simbolo dei "populisti". Dovessimo fare l'elenco delle loro evidenti criticità supereremmo forse l'armata dei detrattori. Tuttavia, al netto di questi enormi limiti, queste due misure vanno nel senso di invertire le politiche austeritarie che vengono avanti da quasi trent'anni in nome del dogma liberista del pareggio di bilancio».
Sembrerà strano, ma se diciamo "profondi limiti" intendiamo profondi limiti.
- Details
- Hits: 2121
La precarietà delle nostre connessioni
In questi due anni di ∫connessioni precarie poche cose si sono imposte con il segno violento della novità. Altre cose si sono modificate al punto da richiedere una ridefinizione. Altre ancora sono semplicemente scomparse. Molti, se non tutti i nostri problemi sono rimasti aperti e aspettano ancora di essere affrontati.
La crisi è diventata «il padrone» con il quale milioni di proletari devono fare quotidianamente i conti. Essa ha accelerato processi di precarizzazione investendo tutti i segmenti della forza lavoro. La precarietà è stata così liberata dal suo tratto generazionale, esistenziale, professionale, migrante, diventando una condizione generale. Mentre questo processo si è affermato inesorabilmente, è venuto progressivamente meno il progetto di esprimere un punto di vista precario su una scala quanto meno nazionale. Anche la parola d’ordine dello sciopero precario non è mai riuscita ad andare oltre l’intuizione che pure esprimeva. Con l’eccezione politica dei migranti, lo sciopero precario non c’è stato. Il nesso indiscutibile tra lavoro precario e povertà non ha prodotto in Italia le continue mobilitazioni di massa che da anni ormai vediamo in Spagna, Portogallo e Grecia. Di fronte a questa situazione aumentano comprensibilmente le descrizioni degli stati di necessità più disparati e delle mille oppressioni quotidiane, nella speranza che alla fine la necessità e la repressione diventino davvero uno scandalo. Altrettanto comprensibilmente alle situazioni di lotta aperta viene immediatamente attribuita la caratteristica di modello da espandere o da ripetere. Non è però mai successo che il modello trovasse davvero delle repliche all’altezza.
- Details
- Hits: 2121
Un'intesa con l'autore dello sfascio?
Daniela Preziosi intervista Stefano Rodotà
«In questi giorni ho cercato di fare con discrezione, ma con decisione, quello che si doveva fare. A quelli che dicevano 'Rodotà non si pronuncia?', dico che le cose non si fanno in trenta secondi. E a giudicare dalle reazioni, mi pare di esserci riuscito». Il professor Stefano Rodotà, l'«altro» candidato alla presidenza della Repubblica, quello delle forze contrarie alle larghe intese, ha ascoltato Napolitano in tv.
Cosa pensa delle parole di Napolitano?
La prima osservazione è una conferma: l'irresponsabilità o l'interesse dei partiti hanno trascinato il presidente nella crisi che loro stessi hanno creato. Hanno messo il presidente con le spalle al muro: siamo incapaci, pensaci tu. Un passaggio di enorme gravità politica. La seconda: Napolitano è stato indotto a un discorso da presidente del consiglio. E poi c'è una terza. Sono scandalizzato: mentre Napolitano diceva dell'irresponsabilità dei partiti, quellli applaudivano invece di stare zitti e vergognarsi. Hanno perso la testa.
Piazza e parlamento non si possono contrapporre, ha detto.
Vanno riaperti i canali di comunicazione fra istituzioni e società, soprattutto dopo il governo Monti, con il parlamento ridotto a passacarte.
- Details
- Hits: 2120
Come dominare il nostro futuro digitale
di Alessandro Visalli
Andrew McAfee, Erik Brynjolfsson: “La macchina e la folla. Come dominare il nostro futuro digitale”, Feltrinelli, 2020
Il libro di McAfee e Brynjolfsson[1] è stato pubblicato nel 2017 e segue di tre anni il best seller di cui abbiamo già parlato[2], “La nuova rivoluzione delle macchine”[3]. Ne è in qualche modo un aggiornamento. Se il testo del 2014 impostava il suo discorso sulla base di una sorta di determinismo tecnologico (le tendenze economiche e sociali, per esse l’ineguaglianza di cui in quegli anni si parla molto[4], sarebbero determinate dall’evoluzione tecnologica, anziché, ad esempio, dalla stagnazione secolare derivante da deficit di domanda e dinamiche demografiche[5], o da dinamiche del sovraindebitamento[6]), in questo segue implicitamente la stessa strada e ne esplora le conseguenze più recenti. In modo ancora più pronunciato, in questo testo gli autori prendono posizione per l’esaltazione, sopra ogni rischio tecnologico di disintermediazione del lavoro e della mente umana, della “genialità del libero mercato” e per la sua capacità di “inventare” soluzioni ai problemi che esso stesso crea.
Siamo da tempo in una sorta di compromesso sociale, fondato su un consenso che si ripresenta spesso anche in forme apparentemente imprevedibili[7], che fa leva sul consumo anziché sull’integrazione sociale ed il lavoro. A causa di questa condizione l’insieme di determinanti e di nessi nei quali siamo immersi erode costantemente le condizioni della riproduzione della vita e rende instabili le nostre società. La lettura di libri come quello di Brynjolfsson e McAfee aiuta a focalizzare una delle più potenti di queste determinanti: la tecnologia (informatica, Ia, meccanizzazione/automazione) e le nuove modalità di comunicazione, creazione, distribuzione ed accumulo di informazione. E, precisamente, consente di misurare il grado di spiazzamento (in rapidità e magnitudine) del lavoro in tutte le sue dimensioni.
- Details
- Hits: 2120
Il QE di Draghi: tanto rumore per nulla?
di Thomas Fazi
Su un punto esperti e commentatori si sono trovati d'accordo. La questione non è tanto se fare o no il Quantitative Easing o meno ma come lo si fa. Tutti i dettagli del programma
Infuria il dibattitto sul programma di quantitative easing (esteso ai titoli di stato) annunciato da Draghi il 22 gennaio. Su un punto esperti e commentatori si sono trovati pressoché tutti d’accordo: la questione non è tanto se fare il QE o meno – meglio farlo che non farlo –, ma come lo si fa. E infatti il dibattito riguarda più i dettagli del programma che l’acquisto di titoli di stato di sé. Vediamo allora quali sono gli aspetti salienti – e più discussi – del piano Draghi:
La durata:
Draghi ha dichiarato che il piano di acquisto titoli partirà a marzo e proseguirà fino a settembre 2016 e comunque fino a quando l’inflazione non tornerà a livelli ritenuti coerenti con gli obiettivi della Bce. Il fatto che il presidente della Bce abbia esplicitamente legato il piano all’obiettivo inflazionistico della banca centrale è stato accolto positivamente da quasi tutti i commentatori, in quanto questo offre a Draghi un ampio margine di manovra per portare avanti il programma per tutta la durata che ritiene necessario. Allo stesso tempo, , è importare notare che Draghi è stato attento a non fissare l’obiettivo in termini di tasso inflazionistico ma di “andamento dell’inflazione”, il che vuol dire che il numero uno della Bce potrebbe porre fine al programma anche se l’obbiettivo inflazionistico della Bce di “poco meno del 2%” non risultasse raggiunto a settembre 2016.
- Details
- Hits: 2119
Come finirà la guerra in Ucraina?
di Visconte Grisi
Quando si cerca di riflettere sull’evoluzione che potrà avere la guerra in Ucraina una domanda sorge spontanea: la guerra e le distruzioni in Ucraina possono costituire i prodromi di una terza guerra mondiale? Certamente, anche se da diversi anni ormai si sente parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”, di “guerra per procura” ecc., questa volta il ricorso a una terza guerra mondiale per risolvere la crisi è reso molto problematico dall’entità delle distruzioni che un tale evento comporterebbe.
Inoltre attualmente nessuna delle potenze in gioco sembra in grado di produrre questo immane sforzo: non gli Stati Uniti che rimangono comunque i più forti sul piano militare ma deboli sul piano industriale dopo decenni di delocalizzazioni, la cui egemonia mondiale si fonda ormai solo sul capitale finanziario; non l’Unione Europea, debole sul piano militare e in preda alle solite divisioni, con una industria tecnologicamente avanzata che ha bisogno dei mercati mondiali di gamma medio/alta; non la Russia che accoppia alla potenza militare ereditata dall’URSS una economia basata quasi esclusivamente sull’esportazione delle materie prime; non la Cina ancora indietro sul piano militare e tesa ad espandersi sul piano commerciale lungo le varie “vie della seta” e con problemi di sviluppo interno ancora non risolti.
L’andamento della guerra, dopo il primo azzardo di Putin in Ucraina, sembra confermare questa ipotesi con gli Stati Uniti aggressivi a parole ma cauti nei fatti, la Cina che attende sorniona l’evolversi degli avvenimenti e l’Unione Europea con smanie interventiste che servono per giustificare una politica di riarmo.
- Details
- Hits: 2119
L’Europa a destra
Steve Bannon e The Movement: la Lega delle Leghe
di Matteo Luca Andriola
Ai “numerosissimi termini politici, [...] nomi di correnti politiche o ideologiche, modi di concepire la vita politica e termini tipici del linguaggio parlamentare” (1), trasferiti dal lessico d’oltralpe a quello italiano dalla Rivoluzione francese a oggi, si è aggiunto con prepotenza quello di sovranismo, che nel 2017 la Treccani ha definito la “posizione politica che propugna la difesa o la conquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione” (2). Una definizione demonizzata dall’establishment e dalla stampa mainstream e considerata sinonimo di neofascismo o di “stupido” nazionalismo (3), ma che, se presa così com’è, non denota necessariamente un’identità di destra, specie davanti a concetti come quello di sovranità popolare, presente anche nella Carta costituzionale italiana, all’art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Principi che, teoricamente, dovrebbero essere nel dna della sinistra tutta.
Il processo d’integrazione europea però, che gradualmente la sinistra progressista ha fatto proprio, interiorizzando sia la narrazione propagandistica – la pace, il progresso ecc. – sia l’impostazione economica neoliberista, ha favorito lo sviluppo di movimenti nazional-populisti di destra, lasciando la stessa sinistra spiazzata perché sprovvista di una visione alternativa a quella liberista.
- Details
- Hits: 2119
Ecco svelato l'imbroglio del DEF
di Leonardo Mazzei
Al liceo "Dante" i compagni lo chiamavano «il bomba». Soprannome azzeccato come pochi. Certo, presentando il Documento di economia e finanza (DEF), il bomba ha dovuto darsi una calmata: niente slide, né sforature dei vincoli europei, ma tuttavia tante balle da far impallidire perfino il ricordo delle performance del suo amico barzellettiere.
Ha torto perciò Massimo Giannini (La Repubblica del 9 aprile) nel ritenere che l'imbonitore fiorentino stia tornando nel «mondo reale». Non ci sta tornando affatto, che le capacità illusionistiche sono il suo unico piatto forte. Se per una volta è apparso meno irreale del solito è solo perché l'imbroglio sta già tutto nel DEF e nelle sue cifre.
Ce ne occuperemo perciò nel dettaglio. Ma prima è necessaria una premessa: a Renzi oggi interessa solo e soltanto una cosa, il risultato che riuscirà a conseguire alle elezioni europee. Questo obiettivo viene prima di tutto, a questo obiettivo tutto è finalizzato. La sarabanda propagandistica è dunque destinata a continuare, con le mistificazioni populistiche su tagli, rottamazioni, costi della politica, semplificazioni, eccetera. Ma al Renzi populista dedicheremo un apposito articolo, qui ci interessa invece andare a vedere come le trovate propagandistiche del bomba vadano ad intrecciarsi con i vincoli europei. E da questo punto di vista il DEF è un buon banco di prova.
- Details
- Hits: 2119
C'era una volta la governance
Marco Bascetta
Il declino dei dispositivi che dovevano garantire la partecipazione della società civile all'interno del rispetto dei vincoli imposti dal capitalismo. E nel vuoto creato dalla sua scomparsa, crescono il populismo e il nazionalismo
Tra le numerose vittime della crisi che stiamo vivendo ve ne è una il cui cadavere, pur sotto gli occhi di tutti, ci si sforza in ogni modo di occultare. Si tratta della «governance», quella parola magica che nell'ultimo ventennio interveniva in ogni occasione a delegittimare e soffocare il conflitto sociale, proponendosi come versione tecnicamente efficiente e socialmente aperta della «partecipazione democratica». Priva cioè di quegli elementi caotici e imprevedibili che accompagnano ogni esercizio di democrazia non riassorbito nella rappresentanza. In poche parole, il volto gentile ma non per questo meno disciplinante della politica «postnovecentesca». Qualcosa di cui, forse tra breve, non sentiremo più parlare.
Il termine di «governance», onnipresente, sfumato nei suoi contorni, soggetto alle più diverse interpretazioni e mutevole nei suoi significati, secondo gli ambiti cui veniva applicato (economico, politico, sociale, manageriale), comprende tuttavia un certo numero di caratteristiche che la gestione della crisi ha manifestamente spazzato via, altre che si sono invece rivelate ben diverse dalle virtù relazionali che prometteva. La prima tra queste caratteristiche è l'articolazione dei poteri e delle sedi negoziali, nonché la moltiplicazione degli interlocutori coinvolti nei processi decisionali, in contrapposizione alla natura verticale e centralistica del governo dello stato.
- Details
- Hits: 2118
Trump e l’antimperialismo
di redazione “l’AntiDiplomatico”
Con questo editoriale inizia la collaborazione della redazione de “l’AntiDiplomatico” con “Cumpanis”
Ribadire che l’attuale inquilino della Casa Bianca, al pari dei suoi predecessori, rappresenti semplicemente gli interessi del tracotante imperialismo nordamericano può apparire un esercizio inutile, superfluo, non necessario.
Eppure, non sono pochi i sostenitori di una certa vulgata che vuole Donald Trump come un presidente arrivato in quel di Washington sulla scorta di un grande supporto popolare, contro la volontà delle élite e del cosiddetto deep state. Per questo l’onda tellurica delle forti proteste provocata dal brutale omicidio del cittadino afroamericano George Floyd, avvenuto per mano della polizia a Minneapolis, sarebbe una sorta di rivoluzione colorata nella patria delle rivoluzioni colorate organizzate all’estero, per disarcionare il tycoon newyorchese.
Ad onor del vero una certa discontinuità c’è stata. Ma questa è ravvisabile esclusivamente nel campo semantico. Di fatti concreti nemmeno l’ombra. Donald Trump si è limitato a vuoti proclami. L’ultimo esempio lo abbiamo avuto in occasione del discorso di fine anno, tenuto dal presidente, presso l’accademia militare di West Point. Davanti agli allievi Trump ha dichiarato: «Il compito del soldato statunitense non è ricostruire le nazioni straniere, ma difendere e difendere con forza la nostra nazione dai nemici stranieri. Stiamo concludendo l'era delle guerre senza fine», e poi: «Non siamo il poliziotto del mondo».
A questo punto una domanda sorge quasi spontanea: gli Stati Uniti possono davvero smettere di fare il poliziotto del mondo? La risposta è no. Glielo impedisce la natura egemonica degli stessi Stati Uniti. Per mantenere l’egemonia, gli Stati Uniti devono espandere la propria influenza all'estero.
- Details
- Hits: 2118
L’ascesa della destra e le responsabilità degli economisti progressisti
di Guido Ortona
Premessa
Mi pare che la situazione politica del nostro paese possa essere riassunta come segue. Il popolo è molto arrabbiato con la classe politica e in particolare con il governo: e con ragione, perché il governo non è capace di risolvere i problemi che assillano la vita quotidiana di tante persone normali. Uno dei più importanti, anche perché da esso ne derivano molti altri, è la mancata creazione di posti di lavoro. Se fossimo più vicini alla piena occupazione, infatti, ci sarebbero meno paura della possibilità di perdere il lavoro e una maggiore fiducia nella possibilità di avere a suo tempo una pensione adeguata; e i giovani smetterebbero di essere disoccupati e di emigrare in massa. E’ evidente che i motivi addotti dal governo per non implementare politiche adeguate (“fra qualche anno le cose andranno meglio”; “ce lo impone l’Europa”; “facciamo del nostro meglio, ma i soldi non ci sono”) non possono soddisfare l’opinione pubblica. Non lo potrebbero nemmeno se fossero veri, e giustamente, perché la democrazia si basa sul diritto/dovere del popolo di ritenere il governo responsabile di ciò che accade nel paese. Ma quei motivi veri non sono. Secondo un rapporto Unioncamere (l’ente che riunisce le Camere di Commercio) la disoccupazione al 2023 (quando si voterà, sempre che non si abbiano elezioni anticipate) sarà ancora superiore al 9% (oggi è intorno al 10), quindi le cose non andranno meglio (a conferma, la legge di bilancio recentemente approvata punta ad un tasso del 9.1% nel 2022, a fronte di un livello pre-crisi del 5.7%).
- Details
- Hits: 2118
Appello per la costruzione di una campagna politica per il centenario dell’Ottobre
Preambolo
Quest’anno, come noto, cadrà l’anniversario del centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Pensiamo che le celebrazioni fini a se stesse, come tutti i rituali privi di una forza vitale capace di renderli attuali, restino lettera morta e non abbiano alcun significato per chi si ponga come obiettivo la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente. Tuttavia siamo convinti che il centenario offra un’occasione importante a chi, come noi, riconosce nel marxismo lo strumento politico fondamentale e nell’esperienza bolscevica, concretizzatasi nella rivoluzione del 1917, una tappa centrale della storia del movimento comunista. Senza aprire una corposa parentesi sul ruolo della memoria nella costruzione delle identità politiche e sulle battaglie ideologiche che inevitabilmente la costruzione della memoria scatena, è facile immaginarsi come il centenario dell’Ottobre susciterà interventi e iniziative da parte di tutte le forze e le correnti politiche. Certamente l’obiettivo ideologico centrale per i nostri nemici – borghesia imperialista insieme a tutti i suoi portaborse opportunisti – sarà quello di dichiarare l’anacronismo scientificamente sancito, la morte, senza resurrezione possibile, dell’idea di rivoluzione politica comunista. Ma non è difficile prevedere come anche nel campo della sinistra il 2017 sarà l’anno degli eventi, dei convegni, delle mostre, delle pubblicazioni legati alla Rivoluzione d’Ottobre. Un appuntamento a cui bene o male tutti sentiranno il bisogno di partecipare e in cui tutti sentiranno il bisogno d’intervenire. Il rischio che percepiamo è che in questo modo l’Ottobre rischierà di essere trasformato in un mito in fondo tranquillizzante e riducibile alle logiche evenemenziali dell’odierna società social, perdendo così qualsiasi mordente politico, qualsiasi attualità. In tal caso, insieme alla materialità della storia, si espellerà il nocciolo dell’esperienza dell’Ottobre: l’assalto al cielo. La rivoluzione d’Ottobre è stata tale in quanto è culminata con la presa del Palazzo d’Inverno: ossia con la presa del potere politico. Per questo, dunque, una “nostra” campagna politica sull’Ottobre è quanto mai urgente e necessaria, tanto quanto occorre riportare al centro del dibattito l’attualità della rivoluzione e del comunismo.
- Details
- Hits: 2118
Elezioni europee
(segue...)
Il boom di Renzi riorganizza il blocco conservatore
di Pino Cabras
Il PD renziano rafforza la propria funzione: riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore mentre crolla l'analoga funzione berlusconiana
L'Anna Karenina di Lev Tolstoj inizia con il ricordare che «tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». L'Europa uscita da queste elezioni continentali è più che mai una realtà estremamente variegata, e probabilmente infelice. Il regime dell'austerity ha colpito in modi diversi i popoli europei, provocando reazioni molto differenziate. Queste reazioni sono state influenzate dalla maggiore o minore velocità della crisi, dalla diversa tenuta dei partiti tradizionali, dalla capacità di rassicurare gli elettori da parte dei partiti nuovi e di rottura, dalla traiettoria dell'azione dei rispettivi governi. In certi importanti paesi (come nel Regno Unito e in Francia) si sono affermati in modo clamoroso come primi partiti delle forze di netta rottura.
Tristi elezioni
Militant
Tutto, più o meno, come previsto. La centralità della nuova DC appariva probabile, sebbene non in questi termini, che non possono che peggiorare le nostre aspettativa per il futuro. Un sistema che si stabilizza, che si cementa attorno all’uomo forte e al partito asse del sistema politico-istituzionale. Niente di buono per le speranze antagoniste in Italia, che ora avranno di fronte un nemico molto più coeso dal risultato, che andrà avanti a spron battuto tacitando, con la forza se necessario, chiunque osi opporsi al suo liberismo europeista. Un M5S che, come ampiamente previsto, riduce i suoi voti, anche se meno di quanto potessimo aspettarci.
Un risultato molto chiaro. Ma non definitivo
di Aldo Giannuli
Risultato netto e di non ardua interpretazione: Renzi ha vinto, il M5s ha perso, il centro non esiste più, la destra è in via di dissoluzione, piccole ma significative affermazioni di Lega e Lista Tsipras. Inutile cercare attenuanti o giustificazioni: i numeri parlano chiaro. Ora cerchiamo di vedere cosa c’è “dentro” questi numeri, cercando di tener presenti percentuali e voti assoluti anche se non completissimi (mancano solo 60 sezioni, per cui possiamo ritenere i dati definitivi, salvo piccolissimi discostamenti finali). In primo luogo, va detto che la forte astensione prevista c’è stata, ma si è distribuita in modo molto più disomogeneo del passato: è stata molto alta nel sud e nelle isole, mentre, al contrario i risultati più favorevoli alla partecipazione si sono avuti nei due collegi settentrionali ed, in parte, al centro.
Grillo, e ora che si fa?
Francesco Santoianni
In fondo, questo calo elettorale del Movimento Cinque Stelle (pur facendo la tara con la relativa crescita del PD, che ha trasformato questo calo in una débâcle) era facilmente prevedibile. Per carità, nessun link a miei precedenti articoli. Sarebbe bastato riflettere sul suo progressivo calo nelle varie elezioni amministrative; alle sempre più asfittiche sue iniziative, al progressivo disimpegno dei suoi “militanti” (nonostante l’aumento degli “Attivisti certificati” che nessuno ha visto mai ma buoni per votare in Rete qualche candidatura o espulsione).
Il tutto comincia a ridosso delle elezioni febbraio 2013 quando, il riversarsi di una fiumana di persone cariche di speranze e aspettative, verso il Movimento Cinque Stelle fu visto da Grillo non come occasione per strutturare un Movimento democratico e articolato con il quale interagire con la società bensì come una minaccia alla sua Chiesa che avrebbe dovuto portarlo oltre la soglia del 51%”.
Europa, i conti non tornano
di ilsimplicissimus
Ciò che sta accadendo è confuso, caotico, ma al tempo stesso chiarissimo: l’Europa del trattato di Roma, delle speranze germogliate nel dopoguerra, è definitivamente defunta. In due grandi Paesi storici ,Francia e Gran Bretagna ha vinto la voglia di andarsene da un consesso sempre più a guida bancario tedesca. In altri, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Danimarca, Polonia vincono o aumentano fortemente le forze critiche sia di sinistra radicale che di destra o di protesta. Dappertutto, salvo che in Svezia e in Portogallo dove ci sarebbe anche la possibilità di un governo tutto a sinistra, perdono le socialdemocrazie colpevoli di essersi appiattite sulla politica dell’austerità e dei massacri e in qualche caso di esserne divenute persino protagoniste.
Ha vinto Renzi. Il berlusconismo è risorto, più forte e più bello che pria. Grazie. Prego
Lanfranco Caminiti
L’astensionismo non ha sfondato. Più di metà degli elettori che non votano non è certo un “dato fisiologico” (sarebbe come dire che la disoccupazione giovanile al 45 per cento è fisiologica), ma non è un valore sufficiente per parlare di delegittimazione del parlamento europeo.
L’affluenza europea è nella media delle votazioni precedenti, sempre in calo, cioè, ma benché in alcune nazioni importanti (Olanda, Gran Bretagna) ci siano state punte notevoli di non-voto, in altrettante nazioni importanti (Germania, Francia) c’è stato addirittura un aumento dei votanti. La sovrapposizione fra voto europeo e voto “nazionale” non è stata solo una prerogativa italiana: vale per la Francia, la Germania, la Spagna, la Gran Bretagna, la Grecia (a proposito, auguri a Tsipras). E non poteva essere altrimenti, è uno dei “sensi” del voto di cui l’elettore si riappropria ed esercita: protestare, approvare, investire, ritirare.
L'avanzata del populismo di regime
redazione Contropiano
Uno sconfitto clamoroso, nelle elezioni italiane per il parlamento europeo, sicuramente c'è: gli exit poll. Mai come questa volta la rilevazione a campione fuori dai seggi elettorali ha fornito dati fantasiosi, in contrasto aperto cone la realtà del voto. Chi fosse andato a letto intorno alla mezzanotte si è addormentato “sapendo” che Renzi veniva dato poco sopra il 30%, mentre Grillo viaggiava poco sotto. Riaprendo gli occhi ha appreso che Renzi aveva “trionfato sfiorando il 41%, mentre il comico genovese retrocedeva intorno al 21%, parecchio sotto i risultati di appena un anno fa. In via di dissoluzione il blocco berlusconiano, trasmigrato nel bacino elettorale “democratico” (il Nordest...) in misura molto più consistente che in quello alfaniano, salvatosi per il rotto della cuffia (appena sopra la soglia del 4%, come anche la lista Tsipras).
I dati definitivi sono comunque questi:
Plebiscito Renzi: e se fosse un voto in maschera?
di Pierfranco Pellizzetti
L’imprevisto plebiscito nazionale pro Renzi, balzato fuori dall’urna elettorale europea, ha indotto all’immediata autocritica molti commentatori della mia parte (ammesso che io una parte ce l’abbia; se non quella di voler stare dalla parte della gente seria, dunque capace di autocriticarsi). Sicché – pur trovando insopportabili certe autoflagellazioni di ex cerchiobottisti pentastellari – condivido l’opinione severa di Gomez e Padellaro sui toni sovreccitati della campagna grillesca. Cui aggiungerei una deleteria (autolesionistica) esposizione dell’impresentabile Casaleggio, nell’inquietante ruolo de “la cosa venuta dallo spazio”.
Certo, il Beppe Grillo urlante e il Gianroberto Casaleggio sibilante hanno terrorizzato non poco. Ma il trionfo renziano non può essere spiegato solo con un eccesso di decibel e un difetto di icone nella comunicazione avversaria.
Motivi per cui ha stravinto Renzi
di Christian Raimo
Nessuno si aspettava un risultato così clamoroso per il PD. Figuriamoci io, che scrivevo due giorni fa un articolo in cui dicevo che era spompato. Nessuno tranne Matteo Renzi stesso che nel 2012, nella corsa alle primarie contro Bersani, dichiarava: “Il mio Pd può arrivare al 40%, il loro al massimo al 25”. Ha avuto ragione, e altri – molti, mi ci metto nel mucchio – hanno avuto torto. Ma i motivi (i meriti e le fortune, del resto occorre essere golpe et lione) per cui Renzi ha stravinto sono molteplici, proviamo a elencarne solo i primi che saltano all’occhio.
1. Gli 80 euro. Mossa elettorale? Elemosina? Primo timido tentativo di una redistribuzione economica dalle rendite al reddito? Fatto sta che a me venerdì, ossia due giorni prima del voto, nella scuola dove lavoro mi hanno fatto firmare un foglio su cui dovevo autocertificare se ero nelle condizioni di beneficiare del bonus.
Hanno vinto loro. Per adesso
Segreteria nazionale del MPL
26 maggio. Ci vorrà tempo per svolgere un’analisi non grossolana delle elezioni del 25 maggio. Lo faremo, come siamo abituati a fare, quando disporremo di tutti i dati. Solo allora si potranno decodificare i segni che stanno dietro allo sfondamento del Pd di Matteo Renzi e al flop di M5S di Beppe Grillo.
Come c’era da aspettarsi, un simile responso delle urne, sta facendo esultare le classi dominanti e, in particolare, l’aristocrazia finanziaria.
Il Sole 24 ore per descrivere il clima euforico che regna a Piazza Affari, fa parlare i pescecani. Lo squalo n.1 esordisce:
«È il risultato migliore che si potesse ottenere per i mercati finanziari, l'Italia è stato l'unico Paese a esprimere un voto europeista fra i fondatori e, contemporaneamente, ha ottenuto dopo anni un risultato di stabilità politica».
Moriremo (neo) democristiani?
Riccardo Achilli
Il risultato del PD è oltre ogni possibile dubbio analitico. Rispetto alle politiche di febbraio (anche se non è del tutto corretto metodologicamente confrontare le due scadenze) il PD ha preso 2,6 milioni di voti in più. E’ presto detto: ha recuperato un pezzo dell’elettorato PD che a Febbraio era fuggito verso il M5S, composto, essenzialmente, da piccoli imprenditori, artigiani, in breve quella piccola borghesia che, come bene ci illustra Marx, oscilla sempre, in funzione dei suoi interessi, fra ribellismo e conformismo. E che in un PD a guida Bersani, e dominato ancora dagli ex Ds, vedeva un ostacolo, sia pur in effetti molto blando, ai suoi interessi, perché la sua segreteria era ancora targata di un qualche residuo di socialdemocrazia che la rendeva ostica a smantellare lo Stato e la funzione pubblica, ed a trasformare il Paese in quella prateria dove il piccolo borghese italiano sogna, da sempre, di correre come il Generale Custer (salvo poi tornare da Mamma Stato per chiedere protezione, se le cose vanno male).
Questi elettori in fuga sono tornati non appena hanno visto che il PD era in grado di abolire le province, smantellare i sindacati, distruggere ciò che resta del sistema pubblico, e promettere soldi e regalie.
- Details
- Hits: 2118
Il fiscal compact cancella la sinistra
di Alfonso Gianni
Desta enorme stupore la clamorosa rimozione del tema del fiscal compact, e delle conseguenze che ne derivano in termini di politica economica, dal dibattito sulle future scelte elettorali della sinistra italiana. Naturalmente se ne parla in convegni economici, da ultimo quello di Sbilanciamoci. Ma quando entrano in scena gli attori politici scende il silenzio.
Non credo si tratti solo del tradizionale provincialismo che affligge la politica nel nostro paese, per cui tutti si dichiarano europeisti e poi se ne scordano quando le elezioni si avvicinano. Né che siamo soltanto di fronte alla deleteria separazione della cultura economica dalla politica che è all’origine della tecnicizzazione della prima e dello svuotamento della seconda. Qui c’è qualcosa in più e di più grave.
Vi è l’introiezione più o meno confusamente consapevole, ma fortemente condizionante, che in fondo non c’è null’altro da fare; che i vincoli posti dalle elites economico finanziarie europee sono ineludibili, almeno nei tempi programmabili; che la reazione dei mercati al solo annuncio di deviare da questi sarebbe mortale; che dunque, nel migliore dei casi, si tratterebbe di ritagliarsi un piccolo spazio di manovra al loro interno. Il tutto connesso con la speranza o di aggiustare qualcosa, all’italiana, mettendosi d’accordo con la Commissione europea, fingendo di dimenticare la sua composizione, i suoi precedenti e soprattutto il fatto che il mancato rispetto delle norme di rientro dal deficit e dal debito prevedono nel nuovo trattato immediate sanzioni automatiche.
- Details
- Hits: 2118
La discesa del PD verso la compatibilità padronale
Alberto Burgio
Il ducetto della Fiat non aveva ancora finito di enunciare tutte le clausole del ricatto (o gli operai accettano turni di 11 ore rinunciando alle pause intermedie e allo sciopero, o la Fiat sbaracca e lascia l’Italia) che Piero Fassino già diceva – non richiesto – la sua: «Se fossi un operaio di Mirafiori, voterei sì». Nessuna sorpresa. Meno scontata è apparsa a qualcuno la presa di posizione di Massimo D’Alema, dichiaratosi anch’egli favorevole al cosiddetto accordo su Pomigliano, e in frontale dissenso dalla lotta della Fiom. Ma è così? C’è davvero di che meravigliarsi? O si tratta invece di una logica conseguenza della linea del Partito democratico, a sua volta coerente con la paradossale funzione politica svolta in questi quindici anni dal gruppo dirigente post-comunista del Pd?
Qualche anno fa Nanni Moretti se ne uscì con una battuta al vetriolo. Con questi dirigenti, disse, non vinceremo mai. E proprio a D’Alema rivolse l’esortazione a «dire qualcosa di sinistra».
- Details
- Hits: 2117
Una storia della critica del valore attraverso gli scritti di Robert Kurz
di Anselm Jappe
Robert Kurz, il principale teorico della «critica del valore» in Europa, è morto il 18 luglio 2012 a Norimberga, in Germania, a causa di un errore medico; aveva 68 anni. Questa morte prematura ha interrotto un lavoro immenso che durava da 15 anni, e che in Francia si comincia appena ora a conoscere. Nato nel 1943 a Norimberga, dove ha trascorso tutta la sua vita, Kurz partecipa in Germania, nel 1968, alla «rivolta degli studenti» e alle intense discussioni in seno alla «nuova sinistra». Dopo una brevissima adesione al marxismo-leninismo, e senza aderire ai «Verdi» nel momento in cui effettuavano in Germania la loro svolta «realista», nel 1987 fonda la rivista "Marxistische Kritik", ribattezzata "Krisis" qualche anno più tardi. La rilettura di Marx, proposta allora da Kurz e dai suoi primi compagni di lotta (tra cui Roswitha Scholz, Peter Klein, Ernst Lohoff e Norbert Trenkle), non li ha certo portati a farsi degli amici nella sinistra radicale. Tutti quelli che hanno visto i propri dogmi - come la «lotta di classe» e il «lavoro» - rovesciati e abbattuti uno dopo l'altro, in nome di una messa in discussione delle basi stesse della società capitalista: valore mercantile e lavoro astratto, denaro e merce, Stato e nazione. Kurz, autore prolifico e scrittore vigoroso, sovente polemico, collaboratore regolare di alcuni importanti giornali, soprattutto in Brasile, conferenziere notevole, sceglie tuttavia di rimanere al di fuori dell'università e delle altre istituzioni accademiche, e decide di vivere grazie a un lavoro proletario: vale a dire, impacchettando la notte le copie di un giornale locale.
- Details
- Hits: 2117
2 + 2 = 5. L’emulazione socialista in URSS. Parte II
di Paolo Selmi
Qui la Parte I
Cari compagni,
questo lavoro è nato come paragrafo alla parte introduttiva del manuale sulla pianificazione che sto traducendo. Poi, le questioni sollevate man mano che la ricerca proseguiva erano tante e tali... che in questi mesi è diventata una piccola monografia: 150 pagine delle mie, un libro vero e proprio usando un'impaginazione editoriale. Per motivi di dimensione, difficile da gestire anche per software potenti come l'editor di sinistrainrete.info, è stata decisa una suddivisione (del tutto strumentale) in quattro puntate. Lo scopo primario di questo lavoro è stato riproporre e sviluppare alcune questioni su cui e, peggio ancora, di cui oggi nessuno parla quando si parla di socialismo e di storia sovietica. Lo scopo ultimo e, infine, l'auspicio con cui chiudo queste poche righe è che ciascuno di voi, sia singolarmente che come gruppo di lavoro e collettivo di ricerca, tragga da questi materiali, la cui traduzione è inedita nella stragrande maggioranza dei casi, spunto per ulteriori analisi, riflessioni, collegamenti, approfondimenti. Di carne al fuoco ce n'è davvero molta, per cui grazie per l'attenzione, per le osservazioni, per gli spunti che vorrete condividere, ma soprattutto...
Buona lettura!
* * * *
Il primo piano quinquennale
Qualche anno più tardi, per la precisione nel 1926, accadde un altro fatto nuovo, a proposito di “enorme laboratorio a cielo aperto”, destinato non solo a essere determinante negli anni prossimi futuri, ma a modificare, per il mezzo secolo successivo e fino alla fine dell’URSS, l’idea stessa di emulazione socialista: nascevano le brigate d’assalto (ударные бригады) e, conseguentemente, coloro che ne facevano parte, ovvero gli assaltatori (udarniki ударники).
Il fenomeno è da inserirsi nel contesto di una rinnovata iniziativa da parte delle leve operaie più giovani, spesso komsomol’cy. Cominciarono i giovani assunti presso la stazione di manutenzione della linea ferroviaria Mosca-Kazan, dal giugno all’agosto del 1926, e la produttività della loro brigata fu maggiore del 25% rispetto alla media1. Seguì Leningrado, dove una brigata d’assalto fu costituita nella fabbrica di materie plastiche Krasnyj Treugol’nik, a opera di otto operaie, la cui squadra riuscì a passare da 17 a 28 calosce per operaia al giorno2. E così, gradualmente, nel giro di due anni anni questo fenomeno si diffuse un po’ a macchia di leopardo lungo l’area di tutta l’Unione.
- Details
- Hits: 2117
La Legge di stabilità e l’ingannevole evergetismo renziano
Andrea Riaca
Al Tg Rai delle 13.00 del 18 ottobre a proposito della legge di stabilità hanno parlato di “manovra espansiva ottenuta attraverso un taglio delle tasse coperto con la riduzione della spesa pubblica”.
Gli fa eco Linda Lanzillota Vice Presidente del Senato intervistata a Skytg24 Pomeriggio: “Legge di stabilità: Manovra espansiva come non si vedeva da vent’anni”.
E ancora da un ANSA del 16 ottobre: “Una manovra da 36 miliardi di euro, espansiva e studiata con l’obiettivo preciso di abbassare le tasse, arrivate ad un livello che, secondo la definizione di Matteo Renzi, è ormai pazzesco”.
Debora Serracchiani, vicepresidente nazionale del Partito democratico, a T-Mag: “Una manovra finalmente espansiva”.
Insomma il mainstream sta cercando di far passare il messaggio che la Legge di Stabilità 2015 sia una manovra espansiva.
Ma è veramente così?
Da un qualunque testo di politica economica apprendiamo che la politica di bilancio può essere espansiva, restrittiva oppure in pareggio.
- Details
- Hits: 2117
La resistibile ascesa di Matteo Renzi
di Leonardo Mazzei
Adesso c'è già chi parla di "nuova Dc" e di un "altro ventennio".
Secondo molti gli italiani, come se lo avessero scritto nel loro Dna, avrebbero trovato il moderno "uomo del destino". Si tratta, a mio modesto parere, di solenni sciocchezze. Sciocchezze che non è difficile confutare, senza per questo sottovalutare le gravi conseguenze immediate dell'indiscutibile vittoria del berluschino fiorentino.
Nel breve periodo Renzi potrà affondare con facilità i suoi colpi, accelerando ancor di più sulla legge elettorale, le controriforme costituzionali, le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro. Un bottino non da poco, che spiega l'entusiastico sostegno di tutti i principali centri del potere economico e finanziario.
Era questa la vera posta in gioco delle elezioni del 25 maggio in Italia, ed era principalmente per questa consapevolezza che ci siamo pronunciati per il voto al M5S. Non va dunque sottaciuta la portata della sconfitta subita: sconfitta politica con gravi conseguenze per la democrazia, che verrà pagata sul piano sociale dalle classi popolari.
- Details
- Hits: 2117
L’Anti-Edipo: la privatizzazione delle donne e la democrazia
Ogni volta che in questo paese il livello della conflittualità sociale cresce, fino a limiti che le istituzioni ritengono ingovernabili, non più incanalabili secondo un’ortopedia social-democratica del dissenso, la “questione femminile” viene strumentalmente agitata come una bandiera. Si tirano fuori da un cassetto chiuso a chiave “le donne”, si dà una sommaria spolverata alla categoria e improvvisamente ci si ricorda di loro, tentando di piegarle a svariati usi.
Come testa di turco per far cadere i governi ad esempio: la recente esperienza di Se Non Ora Quando è un caso eclatante e deprimente della strumentalizzazione di questioni che il femminismo radicale ha sempre preso sul serio ( la mercificazione dei corpi e della loro immagine, per esempio), volgarizzate e distorte, infine trasformate in un bolo inoffensivo e più digeribile per un’opinione pubblica ormai consumata dal suo quotidiano consumare i media. Istanze ormai rese irriconoscibili e prive di alcun riferimento pratico e teorico al femminismo radicale. Non a caso spuntava, nei cortei orchestrati da donne embedded della buona borghesia illuminata (giornaliste, intellettuali, scrittrici, registe, attrici e cantanti), l’odiosa distinzione, da sempre bersaglio delle femministe, tra donne per bene e donne per male, puttane – le presunte odalische del Gran Sultano di Arcore – e sante del XXI secolo (le lavoriste indefesse che si sono “fatte da sole”). Può esserci un tradimento più grande e imperdonabile delle istanze femministe? No.
O meglio, ce n’è uno che del primo è l’altra faccia, il risvolto, l’ombra complementare. Entrambi si fondano sul medesimo presupposto: strumentalizzare, incanalare il dissenso e la conflittualità secondo forme neutrali e di fatto inoffensive. Anche a costo di compiere, sempre e di nuovo, un altro tradimento, storico, culturale, sociale. E qui arriviamo all’articolo di Sapegno sulle “donne della ValSusa” tradite…già, ma tradite da chi?
- Details
- Hits: 2117
Eric Hobsbawn, How to Change the World*
di Laura Cantelmo
Una storia delle sue applicazioni e di come nel socialismo reale si elaborò quella teoria dello stato che Marx e il suo sodale Engels non portarono mai a compimento. L'enorme influsso sulla cultura e sulla teoria politica desecolo ne rendono imprescindibili la conoscenza, l'approfondimento e il suo riconoscimento come formidabile metodo di analisi della società capitalistica e delle sue crisi.
Il “racconto” dell'evoluzione della teoria marxiana e l'individuazione dell'umanesimo insito in essa. La sua attualità è dimostrata dall'attenzione ad essa rivolta dagli economisti di scuola liberista. Una storia delle sue applicazioni e di come nel socialismo reale si elaborò quella teoria dello stato che Marx e il suo sodale Engels non portarono mai a compimento. L'enorme influsso sulla cultura e sulla teoria politica del XX secolo ne rendono imprescindibili la conoscenza, l'approfondimento e il suo riconoscimento come formidabile metodo di analisi della società capitalistica e delle sue crisi.
Marx: un fantasma che si aggira per il mondo e di cui il mondo non riesce a liberarsi. In tempi di anti-comunismo, di demonizzazione indiscriminata di quanto il comunismo reale ha prodotto, potrà forse sorprendere che le opere marxiane non siano mai veramente finite “in soffitta”, come polemicamente affermava Bordiga.
Il lavoro di Hobsbawn vuole essere un racconto più che una trattazione accademica o un manuale operativo per militanti.
Un racconto inevitabilmente serio, ma dal tono discorsivo, che ripercorre lo sviluppo della teoria marxiana e poi del marxismo documentando a partire dagli scritti giovanili la pervasività del pensatore Marx in tutta la cultura, la letteratura, le scienze umane.
Page 259 of 454
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli: Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
Emmanuel Todd: «Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»
Carlo Formenti: Antonio Negri, un uomo che voleva assaltare il cielo alzandosi sulle punte dei piedi
Roberto Luigi Pagani: Sessismo nelle fiabe? Nemmeno per sogno!
Giorgio Agamben: Due notizie (non fra le altre)
Davide Carrozza: Lo strano caso del caso Moro by Report
Agata Iacono: "Il Testimone". Il film russo che in Italia non deve essere visto
Carlo Rovelli: Guerra e pace. Intervista a Carlo Rovelli
Roberto Iannuzzi: Mar Rosso, la sfida a USA e Israele che viene dallo Yemen
Andrea Zhok: Maccartismo. Su un angosciante documento del Parlamento europeo
Leonardo Mazzei: Terza guerra mondiale
Paolo Cortesi: Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione
Emiliano Brancaccio: La «ragione» del capitalismo genera i mostri della guerra
John Mearsheimer: Genocidio a Gaza
Francesco Schettino: Le radici valutarie del conflitto in Ucraina
Leonardo Sinigaglia: Le ragioni più profonde dell'autocolonialismo italiano e come affrontarlo
Raffaele Sciortino: Stati Uniti e Cina allo scontro globale
John Mearsheimer: “La lobby israeliana è potente come sempre”
Piero Pagliani: Raddoppiare gli errori fatali
Ilan Pappe: È il buio prima dell'alba, ma il colonialismo di insediamento israeliano è alla fine
Jonathan Cook: Siamo noi i cattivi?
Paolo Cacciari: Nelle mani sbagliate
Pino Arlacchi: Lo sterminio di Gaza e la vocazione violenta e nichilista dell’Occidente
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Maurizio Ricciardi: Si può ancora dire classe? Appunti per una discussione
Andrea Zhok: Storia di un’involuzione: dalla politica strutturale al moralismo isterico
Silvia Guerini: Chi finanzia il movimento LGBTQ
Nico Maccentelli: Bande musicali quelle dei nazisti, banditen i partigiani
Silvia D'Autilia: Un antidoto contro l’attuale propaganda: il nuovo spettacolo di Marco Travaglio
Marco Travaglio: Abbiamo abolito i neuroni
Emmanuel Goût: L’Italia può diventare protagonista sullo scacchiere mondiale?
Marco Pondrelli: Il ritorno degli imperi. Maurizio Molinari
Claudio Conti - Guido Salerno Aletta: La “magia” del debito statunitense è agli sgoccioli
Fabrizio Poggi: I piani yankee-polacchi per l’Ucraina servono a indebolire la Germania
Leonardo Mazzei: Mortalità in aumento: menzogne di regime
Daniele Luttazzi: I (veri) motivi per cui Cia, Nsa e il Pentagono hanno creato Google
Fabrizio Poggi: Improvvise esercitazioni della Flotta russa del Pacifico
Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli: Lenin con gli occhi a mandorla: l’asiacentrismo
Fabio Mini: La “controffensiva” è un fumetto di sangue
Piccole Note: I droni sul Cremlino. Prove di terza guerra mondiale
Joseph Halevi: L’inflazione è da profitti
Daniele Pagini: Petrolio: fine dell’egemonia nordamericana?
Thierry Meyssan: Guerra, divisione del mondo o fine di un impero?
comidad: L’inefficienza è l'alibi dell'avarizia
Il Chimico Scettico: Gain of function, i biolaboratory e tutto il resto
Andrea Zhok: I quattro indizi che in occidente qualcuno lavora per il "casus belli" nucleare
Wu Ming: Non è «maltempo», è malterritorio. Le colpe del disastro in Emilia-Romagna
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Qui la quarta di copertina
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Qui una presentazione del libro
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto