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eticaeconomia

Per disegno o per errore? Il neoliberismo e la politica economica

Riflessioni su un recente libro di Alessandro Vercelli

di Massimo Di Matteo

Massimo Di Matteo riflette sulle idee eterodosse di Alessandro Vercelli contenute in un suo recente volume. Dopo aver sottolineato l’importanza della distinzione tra libertà positiva e libertà negativa nella lettura di Vercelli, Di Matteo si sofferma sulla critica che egli muove alle riforme neoliberiste, sul nesso fra di esse e la crisi economica e sui limiti che le regole dell’Unione Europea pongono all’adozione delle misure più adeguate di politica economica per affrontare gli effetti deteriori della globalizzazione e della finanziarizzazione

carracci 314us7“Crisis and Sustainability. The Delusion of Free Markets”, pubblicato da Palgrave, è una summa del lavoro di Alessandro Vercelli, studioso originale ed eterodosso. Il libro – che ripropone,collocate in maniera appropriata, alcune delle sue idee elaborate precedentemente in contesti diversi – è ampio (329 pagine) e complesso ma la sua architettura è lineare e la ricchezza delle argomentazioni non fa perdere di vista il filo conduttore dell’analisi. E’ un libro impegnativo che spazia da argomenti filosofici e metodologici a quelli economici e ambientali e propone una visione sulla cui base è possibile costruire una teoria economica alternativa a quella dominante. Tale visione si incentra sulla piena valorizzazione del concetto di libertà positiva in tutti i suoi aspetti. Quest’ultima si può definire come la libertà di un soggetto di agire per conseguire i propri scopi, mentre la libertà negativa è semplicemente la libertà da specifici vincoli che gravano sulle azioni di un individuo. Vercelli solleva altresì in questo lavoro alcuni cruciali nodi interpretativi che aggiungono ricchezza al volume. Lo scopo principale del lavoro è quello di dar conto del grande cambiamento intervenuto nella politica economica a seguito dell’avvento del neoliberalismo e delle sue conseguenze.

Il volume è articolato in tre parti. Nella prima, composta sua volta da tre capitoli, si esaminano criticamente alcune tesi fondanti del paradigma dominante che Vercelli definisce neoliberalismo. Successivamente viene criticata la fiducia che la maggior parte degli economisti ripone negli effetti benefici del libero commercio. Infine analoga discussione critica è rivolta agli aspetti favorevoli che ci si attende dalla liberalizzazione dei mercati finanziari. Per quanto riguarda la definizione di neoliberalismo l’autore convincentemente sostiene che esso in molti punti si distacca in maniera significativa dalla concezione dei classici liberali nonostante le dichiarazioni contrarie dei suoi attuali esponenti. Il punto essenziale di divergenza è che i neoliberisti si concentrano esclusivamente sulla libertà negativa ritenendo irrilevante la libertà positiva. Questa restrittiva concezione della libertà implica, tra l’altro, il rigetto della politica economica e in particolare di quella volta ad assicurare la piena occupazione e una appropriata redistribuzione del reddito. Vercelli enumera tre punti nei quali il neoliberalismo si differenzia da quello classico. Il primo è il fatto che secondo quest’ultima concezione la privatizzazione di un bene che era pubblico è accettabile se migliora la gestione del bene e non danneggia nessuno. Inoltre è parte costitutiva della concezione classica un’equa distribuzione dei diritti non solo nel senso negativo del termine ma anche in quello positivo, di inclusione attiva di ogni cittadino nel processo economico e politico. Questi due punti erano già stati chiariti da Locke. In termini moderni si potrebbe dire che ciascun cittadino ha diritto ad un certo ammontare di beni quali l’istruzione, la salute, il sussidio di disoccupazione che permettono a ciascuno una libertà di azione altrimenti impossibile. Infine vi è divergenza sulla desiderabilità della democrazia che per i neoliberisti non è considerata un valore in sé: se minaccia la libertà negativa essa può essere indebolita. Di fatto risulta subordinata all’implementazione delle riforme neoliberiste che spostano il potere dallo Stato ai mercati e ai tecnocrati che devono dirigere le istituzioni più delicate (come la Banca centrale). Successivamente Vercelli elenca una lunga serie di critiche, sia esterne che interne, alla teoria del libero commercio, la principale delle quali è la “dimenticanza” da parte degli economisti tradizionali degli effetti redistributivi del passaggio dall’autarchia al libero commercio. Tale politica di ripresa della libertà degli scambi è stata codificata con la “recente” costituzione del WTO. Infine è interessante e altamente originale la tesi dell’autore circa la tendenza di lunghissimo periodo alla progressiva finanziarizzazione dei sistemi economici. Tale fenomeno affonda le radici nella necessità di incrementare la flessibilità di scelta degli individui. La creazione e adozione di nuovi strumenti finanziari a sua volta allarga il campo delle opzioni disponibili il che infine conduce ad un aumento dei rendimenti attesi. Tale tendenza incontra diversi ostacoli di tipo etico, religioso e politico e si afferma in maniera lenta ma inesorabile pur mostrando diversi caratteri nelle diverse fasi storiche. Qui l’autore recupera suoi precedenti contributi sulle onde lunghe, sul concetto di liquidità e sulla teoria di Minsky, notando come al presente tale processo stia comportando un sempre maggior controllo sulle risorse reali.

Nella seconda parte viene svolta una ricostruzione storica a grandi linee dei fenomeni della globalizzazione a partire dalla fine dell’ottocento. Dopo un capitolo che culmina con una spiegazione della crisi del 2007 degenerata poi nella Great Recession, Vercelli esamina con grande attenzione il processo attuale di finanziarizzazione con una particolare attenzione al fenomeno dello shadow banking. Questa seconda parte si conclude con una disamina critica delle misure di politica economica che il paradigma neoliberista ha attuato per la riduzione della CO2: in tale analisi si dà conto dei recenti studi sull’inefficienza ed inefficacia del sistema di ETS (Emission Trading System) e quindi della insostenibilità di un paradigma basato esclusivamente sui meccanismi di mercato. Approfondendo l’analisi osserviamo che, secondo l’autore, il primo decennio del nuovo millennio è stato caratterizzato da due differenti crisi, quella dovuta allo scoppiare della bolla della nuova economia (dot.com) e quella dovuta allo scoppio della bolla immobiliare (subprime). In entrambi casi come si vede la radice viene identificata prevalentemente nell’instabilità finanziaria a sua volta in parte dovuta alla politica ultra espansiva della FED. Il fenomeno pervasivo della perfetta mobilità dei capitali che si accompagna alla finanziarizzazione e che è stato fortemente ricercato dalla legislazione dei vari Stati, porta Vercelli a formulare un’ipotesi di insostenibilità globale del paradigma politico neo liberista per le sue conseguenze economiche, sociali ed ambientali: tale insostenibilità si è manifestata con la Great Recession. Particolarmente interessante è il capitolo nel quale l’autore ripercorre, in maniera piana e comprensibile, facendo tesoro di una vasta letteratura, spesso di fruizione non immediata, la genesi e lo sviluppo dello shadow banking. Seguono dettagliate proposte di regolamentazione dell’intero sistema finanziario, le uniche, che Vercelli considera in grado di ridurre i fenomeni del contagio e della propagazione delle bolle. Questo capitolo è ottimamente integrato da un’appendice a cura di M.C. Siniscalchi che tratta dell’evoluzione recente della legislazione finanziaria in Europa, Regno Unito e Stati Uniti.

Nella terza parte l’autore esamina la genesi e lo sviluppo della crisi dell’eurozona proponendo una sua interpretazione e conclude, dopo una ampia riflessione sulle attuali misure di (auto)regolamentazione della finanza, avanzando alcune linee guida di una politica economica e finanziaria alternativa che, sulla base della visione che ha esposto nelle pagine precedenti, potrebbero essere adottate. La gravità della crisi europea è dovuta a un cambiamento significativo di politica economica che ha permesso una propagazione ed una persistenza della crisi assolutamente eccezionali. Nell’eurozona si è assistito allo stesso errore commesso dagli USA nel 1932 e nel 1937 quando sia Hoover che Roosevelt non seppero resistere alle sirene che predicavano l’ortodossia di bilancio provocando un ritorno alla recessione. Ma mentre Obama ha tenuto in conto tale lezione, gli europei sono entrati nella trappola della deflazione da debiti così limpidamente descritta da Irving Fisher. Inoltre il processo con il quale si è proceduto alla nascita e alla implementazione della moneta unica prima che i paesi partecipanti fossero sufficientemente simili, alimenta il sospetto, che l’autore sembra condividere, che l’obiettivo di tale processo non fosse quello, coerente col modello funzionalista, di forzare i responsabili politici a mettere in atto le necessarie modifiche istituzionali (come ad esempio una politica fiscale comune), ma quello di indurre un drastico ridimensionamento dello stato del benessere europeo.

Per concludere due punti. Il primo e più importante è la distinzione tra libertà negative e libertà positiva. Indubbiamente questo è un elemento fondante di una visione alternativa a quella dominante, sia sul piano filosofico che su quello economico. Sul piano filosofico essa ricalca la distinzione tra uno stato liberale e uno democratico. Benché la libertà negativa sia necessaria per una società accettabile, essa non appare sufficiente. Infatti la possibilità di vivere una vita davvero libera dipende anche dall’ effettivo accesso da parte di ognuno, indipendentemente dalla sua condizione sociale, a beni e diritti essenziali per lo sviluppo della persona. E’ forse a questo livello che vanno ricercate le radici di un diverso modo di intendere la società, lo Stato e quindi le misure di politica economica che ne conseguono. E’ un grande merito del libro di Vercelli avere messo in luce il fondamento profondo della diversità delle due visioni.

Il secondo punto è che l’analisi ricostruttiva che l’autore propone parte dalle decisioni di politica economica che formano l’ambiente nel quale gli operatori agiscono motivati dal loro interesse. Questo mi conduce direttamente alla spiegazione proposta della crisi europea. In estrema sintesi la questione è se tale crisi, in particolare quella susseguente al 2010, sia o no largamente attribuibile a “errori” di politica economica, cioè, nelle parole dell’autore, a “faulty design of the common currency and its short sighted management rules”. Che in astratto si sarebbe potuto seguire una politica fiscale meno restrittiva è ragionevole, visto l’esempio degli Stati Uniti. Il problema vero, a mio parere, è questo: quali sono le forze economiche che decidono de facto la politica economica in Europa. Se, come ricordato, la politica economica è in un certo senso un prius dell’analisi è anche vero che vi è un feedback importante tra gruppi economici e decisioni di politica. Potremmo dire che la critica dell’ideologia è una parte importante della costruzione di una visione alternativa ma essa deve essere integrata da una analisi realistica delle forze in campo. Per un esempio si può ricordare l’interpretazione della politica neo mercantilista della Germania proposta da Pier Carlo Padoan nel suo Instabilità e cooperazione (1989): egli identifica con grande chiarezza un blocco sociale (alcuni gruppi di imprenditori, di sindacati e di istituzioni finanziarie) che beneficia della politica tesa a creare e mantenere nel tempo un significativo surplus della bilancia commerciale. E allora la domanda diventa: chi sono i gruppi/nazioni che, essendo in qualche modo egemoni, hanno fortemente condizionato quella politica economica? A mio parere non è solo o principalmente l’ideologia neoliberale che spiega i cambiamenti della politica economica ma anche i rapporti di forza tra gruppi e nazioni. In effetti Vercelli, come ricordato, accenna alla possibilità che le elite dominanti abbiamo creato la moneta unica per un obiettivo politico, ma in altre parti del suo lavoro ritiene che la gravità e persistenza della crisi sia stata principalmente l’effetto di errori. Pertanto il dilemma resta: by design or by mistake? Sono sicuro che contributi successivi di altri ricercatori e dello stesso Vercelli potranno aiutarci a rispondere a tale domanda.

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