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Accelerazione e alienazione nell’epoca del distanziamento

di Simone Lanza

13 1082x1536La velocità è una caratteristica della modernità che David Harvey ha descritto con la categoria di compressione spazio-temporale: “Gli orizzonti temporali del processo decisionale privato e pubblico si sono avvicinati, mentre le comunicazioni via satellite e i minori costi dei trasporti hanno reso possibile e sempre più agevole la diffusione immediata delle decisioni in uno spazio sempre più grande e variegato”. A causa della compressione spazio-temporale viviamo in un mondo sempre più piccolo proprio perché sempre più veloce: oggi è possibile viaggiare da Londra a New York in otto ore anziché in tre settimane. Il mondo del cavallo è stato sostituito prima da quello delle navi a vapore e poi da quello degli aerei.

Questa idea delineata nel saggio La crisi della modernità (1989) non ha trovato molti sviluppi se non recentemente, nei contributi del sociologo tedesco di ispirazione francofortese Hartmut Rosa, in particolare in Accelerazione e alienazione (2010). La tesi di Rosa è semplice ma saggiamente e sinteticamente argomentata: la vita moderna è in costante accelerazione; “la società moderna non è regolata e coordinata da regole e normative esplicite, ma dalla silenziosa forza normativa delle leggi temporali, che si manifestano nella forma di scadenze di consegna, scansioni e confini temporali (…) le forze dell’accelerazione sebbene inarticolate e completamente depoliticizzate, tanto da sembrare date dalla natura stessa, esercitano una pressione uniforme sui soggetti moderni che sfocia in qualcosa di simile a un totalitarismo dell’accelerazione”.

Si può parlare di accelerazione in tre sensi: accelerazione tecnologica, accelerazione sociale e accelerazione della vita. L’accelerazione tecnologica è la compressione spazio-temporale dovuta alla velocizzazione di trasporti, internet e nuove tecnologie, etc.

L’accelerazione sociale è una seconda dimensione descrivibile con la contrazione del presente, cioè con il fatto che le esperienze decadono con ritmi crescenti e si misurano soprattutto in due modi: con i cambiamenti nell’ambito riproduttivo (famiglia) e produttivo (lavoro). Queste tre dimensioni formano il ciclo dell’accelerazione, dal momento che si rinforzano a vicenda, pur essendo distinte. Esse sono la logica conseguenza di un sistema capitalistico competitivo il cui motore culturale è la promessa dell’eternità nel qui e ora. Nella società moderna secolarizzata “l’accelerazione funge da equivalente funzionale della promessa della vita eterna”; l’accelerazione del ritmo di vita è “la risposta della modernità al problema della finitezza della morte”.

Nella modernità si susseguono un periodo iniziale, uno “classico” e uno tardo, che possono essere distinti attraverso una mutazione decifrabile con la lunghezza temporale dell’esperienza familiare e lavorativa.

Da questa schematizzazione si passa ad analizzare l’accelerazione del ritmo di vita: gli attori sociali hanno sempre più l’impressione che il tempo stia loro sfuggendo, che sia breve; si fanno sempre più cose e sempre più velocemente, come mangiare più in fretta, dormire di meno, etc.

Esistono anche dimensioni della decelerazione sociale: limiti naturali di velocità (per es. notte e giorno), oasi di decelerazione (per es. parti del mondo rimaste lente), elementi disfunzionali (per es. ingorghi, depressione psicologica, recessione economica, etc.), decelerazione intenzionale (per es. yoga, movimenti religiosi, culturali, politici, etc.). Queste controtendenze, però, non controbilanciano le tendenze più forti dell’accelerazione, al punto che Rosa parla di dittatura dell’accelerazione.

Secondo Rosa, la pressione acceleratrice della modernità da forza di liberazione si è trasformata in forza di schiavitù. Il sociologo arriva a chiedersi se è possibile che in un mondo così veloce persino “le parole siano diventate troppo lente per la velocità del mondo tardo moderno”. Questo spunto non è purtroppo articolato come meriterebbe. Le parole usate mediamente nelle scuole, infatti, si stanno dimezzando (a parità di classe scolastica tra l’inizio del XX secolo e quello del XXI), il numero di parole per un articolo su una rivista scientifica o divulgativa è progressivamente crollato. La velocizzazione abbrevia l’espressione e la comunicazione umana?

Tornando a Rosa, gli strumenti che ci permettono di risparmiare tempo hanno ormai raggiunto un enorme livello di sviluppo grazie alle tecnologie di produzione e comunicazione, eppure l’impressione soggettiva è di non avere abbastanza tempo. Le persone soffrono della mancanza di tempo e si sentono in dovere di correre per non perdere posizioni. C’è una silenziosa forza normativa delle leggi temporali che plasma l’idea di tempo vissuto, agito e immaginato. Per una strana ma non nuova eterogenesi dei fini, più le tecnologie ci permetterebbero di risparmiare tempo, più questo diventa scarso. Le forze del totalitarismo dell’accelerazione si presentano come naturali, ma nel profondo alterano la percezione di sé, le modalità di conoscenza, l’organizzazione delle nozioni, la lunghezza dei discorsi, le stesse capacità e le relazioni sociali, producendo persino disturbi e malattie legate alla percezione del tempo. Possiamo per questo parlare di alienazione?

Il tentativo di Rosa è quello di tracciare lineamenti di una teoria critica dell’accelerazione sociale. La prima parte del libro (accelerazione) mi sembra finalmente un testo della Scuola di Francoforte scritto oggi. La seconda parte (alienazione) ha deluso le mie aspettative e mi sono trovato d’accordo con l’autore soprattutto quando, con grande onestà intellettuale, scrive: “l’idea centrale dell’alienazione è ancora concettualmente confusa e filosoficamente sottosviluppata”. Resta allora da chiedersi perché abbia voluto conservare la parola alienazione persino nel titolo. La risposta va forse cercata nelle sue annotazioni, che restano interessanti soprattutto quando sostiene che il concetto di alienazione andrebbe sviluppato a partire dalle sofferenze e dalle malattie legate alla perdita di percezione temporale.

Tutti noi infatti esperiamo un’alienazione nel modo in cui siamo costretti a vivere il tempo. Con Rosa siamo consapevoli che i momenti felici delle nostre vite sono legati a una diversa percezione del tempo, come per esempio il primo giorno di vacanza, quando il tempo si dilata. I riferimenti di Rosa a Benjamin con la distinzione tra erlebnissen (vissuti senza tracce di ricordi) e erfahrungen (esperienze significative) evidenziano la tendenza moderna a passare verso tempi di esperienze corte e tempi di ricordi corti.

Alienazione è un termine demodé dal momento che viviamo in un mondo dove non possiamo pensare più che esista una natura umana; l’alienazione sembra quindi un termine filosoficamente aporetico. Mi sia pertanto concessa una digressione da Rosa sul termine alienazione alla luce di quanto da noi vissuto recentemente. Negli scritti di Marx (mai pubblicati dall’autore) il concetto di alienazione (entfremdung, entäußerung, veräußerung) descriveva il prodotto del lavoro che sta di fronte a chi lavora come qualcosa di alienato, così come il lavorare diventa dominio del prodotto su chi lavora; siccome per Marx l’essere umano si definisce essenzialmente nel lavorare, ne andava della sua natura o essenza. Oggi ha senso riprendere questo termine, insieme ad almeno altre due categorie di Marx: la soppressione dello spazio attraverso il tempo dovuto al modo di produzione. Nella metamorfosi tardo moderna del lavoro, poiché quest’ultimo pervade tutta la vita, l’alienazione si estende, per l’appunto, alla vita. In ogni caso, Marx stesso abbandonò il termine quando pubblicò Il Capitale e ciò non è casuale: come si fa infatti a sostenere contemporaneamente che l’essere umano sia un animal laborans e che il fine della rivoluzione sia di liberarlo dal lavoro nel quale sarebbe alienato?

Per Arendt questa sarebbe una “contraddizione fondamentale e flagrante evidentissima” propria dei grandi pensatori. Prendere seriamente in considerazione la critica di Arendt a Marx (da lei confuso con il marxismo) sul concetto di alienazione potrebbe essere una seconda via ancora più interessante. In Vita activa, Arendt afferma che nella modernità l’alienazione è iniziata con l’alienazione dell’essere umano dal suo ambiente immediato, la terra, cioè con l’espropriazione delle terre comuni per poi continuare con il distacco simbolico dalla terra (aereo e astronave) e con la contrazione del globo; infine, dal momento che la conservazione degli oggetti del mondo è un impedimento al processo di accumulazione di capitale, la modernità è costante accelerazione e alienazione delle persone dal mondo, ritiro delle persone in se stesse.

L’essere umano moderno non si aliena nel lavoro, ma si aliena dal mondo separandosi dai propri simili. Concepire l’alienazione in termini di isolamento dal mondo (che Arendt distingue dalla solitudine, dimensione occasionale e non patologica) ci aiuterebbe a capire da un lato il totalitarismo come alienazione dal mondo e dall’altro come le misure di confinamento intraprese per arginare la diffusione del Covid abbiano accelerato l’isolamento sociale. Queste misure hanno di fatto permesso una riduzione dei costi di produzione, estendendo la mediazione tecnologica nelle vite quotidiane. Il tempo libero è ancora più veloce e schedulato come un lavoro, le persone partecipano agli incontri via schermo per seguirne sempre di più, eliminando i tempi morti dello spostamento e finendo con il rendere più produttivo il proprio tempo libero. Si finisce per vedersi meno di persona, ma si rompono più facilmente legami duraturi di amicizia “discutendo” sui social. Su poche cose sono d’accordo oggi tutte/i, al di là dell’opinione sul senso-non-senso dei vaccini: la comunicazione via schermo elimina i tempi morti. La buona vita non è tuttavia quella produttiva e la comunicazione mediante tempo-schermo sopprime corporeità, emotività e intenzionalità aumentando l’isolamento.

L’accelerazione aliena così sempre più dal mondo gli individui, isolandoli (precludendo il contagio politico, dice Agamben) attraverso un tempo liquido senza relazioni (lo schermo in cui scorrono lezioni, incontri di lavoro, chat, videogiochi, porno, musica, in un continuum di indistinto isolamento emotivo) che è un non-tempo (effimero e deprimente perché vissuto in solitudine nella massa, proprio come il non-luogo). L’uso intensivo dello schermo si è esteso dal modo di produzione alla vita intera, fino a penetrare nell’intimità familiare e nelle scuole, rendendo veloce l’educazione. Sulla velocizzazione dell’educazione, con i suoi ritmi crescenti e sempre più fuori misura rispetto alla temporalità infantile, occorrerebbe un lavoro collettivo capace di evidenziare come molte psicopatologie e disfunzioni siano causate (o almeno amplificate) dalla mediazione del tempo-schermo e dalla accelerazione implicata. La velocizzazione in educazione causa un’esecuzione confusa, una rappresentazione episodica della realtà, un disordine sequenziale della memoria e una concentrazione intermittente? Lo sviluppo della nozione di tempo nell’infante è un importante prerequisito per lo sviluppo di diverse capacità, ma, se compromessa, si produce uno smarrimento cognitivo sequenziale.

Rosa intuisce che l’alienazione vada intesa in relazione alle malattie e la interpreta come perdita della capacità di appropriazione del mondo. Leggere Rosa dopo le misure di isolamento significa riflettere con profondità sulla silenziosa forza normativa delle leggi temporali che plasmano l’idea di tempo vissuto e di felicità, sulle malattie legate al tempo e sull’alienazione come insoddisfazione di un Sé privato del mondo. Il saggio di Rosa rimane, ad anni di distanza, una sintesi egregia sulla complessa questione della riduzione dello spazio attraverso il tempo, dimensione in cui siamo immersi e che ci costringe quotidianamente con tempi e modi che sono, appunto, per noi, nati per contaminarci e cooperare, sempre più disumani.

Per approfondire:

D. Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano 1993 (ed. or. The Condition of Postmodernity, An Enquiry into the Origins of Cultural Change, Wiley, Medford (MA) 1990). H. Rosa, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, Torino 2015 (ed. or. Alienation and Acceleration. Towards a Critical Theory of Late-Modern Temporality, Aarhus UP, Aarhus 2010). H. Rosa e W.E. Scheuerman (a cura di), High-Speed Society: Social Acceleration, Power, and Modernity, Pennsylvania State University Press, University Park 2009 (si tratta di un’antologia con numerosi scritti dall’inizio del XX secolo fino a oggi). Le riflessioni di Arendt su accelerazione e alienazione sono nel cap. VI di Vita activa, Bompiani, Milano 1964 (ed. or. The Human Condition, University of Chicago Press, Chicago 1958).

Pochi sono gli studi che hanno studiato la metamorfosi della percezione culturale del tempo: M. Engammare, L’ordine del tempo. L’invenzione della puntualità nel XVI secolo, Claudiana, Torino 2004 ricostruisce l’invenzione della puntualità; in I. Illich, M. Rieger, S. Trapp, Velocità? Che velocità?, ripubblicato in “Asini”, 78-79, agosto-settembre 2020, pp. 139-150 si ricostruisce l’invenzione della velocità; tra i classici merita di essere ricordato: N. Elias, Saggio sul tempo, Il Mulino, Bologna 1986 [1939]. Il saggio di Z. Bauman, Vite di corsa. Come salvarsi dalla tirannia dell’effimero, Il Mulino, Bologna 2008 è la trascrizione di una breve lezione sul senso del tempo.

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