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manifesto

Proposte economiche, vuoto della politica

di Riccardo Realfonzo

economistiTra le «note antipatiche» di Rossana Rossanda apparse venerdì scorso su il manifesto c'è un interrogativo alquanto sorprendente. Rossanda chiede: «Che cosa suggeriscono gli economisti e i sociologi sulla possibilità di mettere un limite secco - al precariato - senza far ricadere questa forza di lavoro nel nero?». Ebbene, la risposta è presto detta: gli economisti e i sociologi in grado di tener conto dei dati e della realtà replicherebbero che non esiste alcun criterio scientificamente plausibile per stabilire un nesso tra la riduzione della precarietà e l'aumento del sommerso. Insomma, sullo specifico punto di Rossanda non c'è proprio nulla da suggerire.

Dopotutto, in tempi così oscuri e penosi i convegni come «Rive gauche» servono in primo luogo a questo: a liberare le menti del nostro popolo, e anche dei nostri migliori intellettuali, dai luoghi comuni della vulgata dominante. Se lo si guarda in quest'ottica, difficilmente ci si sarebbe potuto attendere di più dal convegno di martedì 9 ottobre, che abbiamo organizzato assieme ai compagni de il manifesto. Uno ad uno, molti dogmi che imperversano anche a sinistra sono inesorabilmente franati. Abbiamo mostrato che la precarietà non favorisce ma può addirittura ostacolare l'occupazione. Abbiamo rilevato che la precarietà abbatte i salari e viene quindi usata, come le svalutazioni competitive del passato, per riequilibrare i conti esteri. Abbiamo precisato che è dai conti esteri che può scaturire una crisi dei conti pubblici e che di conseguenza la questione del «risanamento» in sé del bilancio statale è tanto diffusa dalle nostre parti quanto totalmente priva di significato economico.

Abbiamo verificato, dati alla mano, che le privatizzazioni sono state il più delle volte un fallimento, non solo sul piano sociale ma anche su quello della stretta performance economica. Ancora una volta studiosi di prim'ordine, alcuni di essi peraltro giovani e lucidissimi, ci hanno permesso di prendere nuovamente contatto con le cose tangibili del mondo.

 

Qualcuno di questi studiosi ha avuto pure la capacità di uscire dalla torre d'avorio e di mettere assieme la tecnica con la politica, in un concerto veramente assai raro e prezioso. Eppure, stranamente, queste fatiche, queste evidenze, sembrano talvolta non sfiorare nemmeno alcuni opinionisti e rappresentanti politici della sinistra. Sarà perché arrivano in ritardo ai convegni, trafelati e distratti? O magari il problema è che talvolta conviene anche ad essi celare le proprie fragilità politiche dietro i miti delle compatibilità di mercato? Sembrano domande banali, eppure in tempi come questi si rischia di trovare del vero persino in interrogativi così elementari.

Qualche commentatore si è poi interrogato sulla effettiva funzionalità del convegno del 9 ottobre per la pratica della lotta politica corrente. È un dilemma che francamente trovo curioso. In generale, perché se si giunge a chiedere agli intellettuali di affogare anche loro nella tattica di brevissimo periodo, di inseguire le esigenze della battaglia politica di tutti i giorni, con le sue sempre più schizofreniche giravolte, allora è davvero finita. Né certo si può pretendere da un gruppo di studiosi indipendenti di mettersi a scrivere leggi, leggine e mozioni senza la minima presa di responsabilità da parte di chi poi dovrebbe sostenere le proposte e organizzare il consenso. Ma soprattutto, occorrerebbe ricordare che la stragrande maggioranza degli economisti della «Rive gauche» firmò un appello, l'anno scorso, che tuttora costituisce l'unica credibile alternativa di politica economica e sociale alla posizione dominante che punta alla contrazione dell'intervento pubblico. Si trattava di un appello che non chiedeva la luna, ma che offriva una piattaforma pratica, un punto di riferimento autorevole e credibile per chi, a sinistra, volesse tentare di impostare una trattativa sulla politica economica che fosse concettualmente più solida di quelle fondate sul solo slogan del «risarcimento sociale» (sacrosanto, ma fragilissimo se lasciato a sé stesso).

Nonostante fosse esclusivamente il prodotto di un gruppo di economisti, senza sponde né supporti, il successo comunicativo dell'appello è stato riconosciuto da tutti, amici e nemici. Ancora pochi giorni fa, sul Corriere della sera, avveduti esponenti della sinistra - peraltro con responsabilità di governo - richiamavano quel documento per contrastare le inquietanti sortite di Walter Veltroni a sostegno di ulteriori strette di bilancio. Certo, nonostante tutti questi risultati la linea rigorista del governo non è stata nemmeno scalfita. Ma domandiamoci: si tratta di un problema di praticabilità dell'indirizzo alternativo che avevamo definito? Non direi proprio: sappiamo bene che a livello politico non siamo nemmeno arrivati a discutere della effettiva praticabilità di un cambiamento di rotta. E questo, ancora una volta, non certo per mancanza di dati e di analisi accurate e prudentissime da parte degli studiosi (nel convegno di martedì 9 ottobre sono emersi importanti elementi di riflessione pure in questo senso).

La verità è che qui ci sarebbe da aprire un discorso a tutto campo sull'adeguatezza delle nostre «strutture», partitiche, sindacali, della comunicazione, di fronte alle sfide che ci si parano davanti.

Chi ha partecipato alla tavola rotonda del convegno «Rive gauche» sa bene che abbiamo proposto ai leader della sinistra di lavorare intorno a tre capisaldi: la stabilizzazione del debito pubblico; una nuova disciplina del lavoro subordinato; un rilancio della politica industriale, massiccio e selettivo, nei settori decisivi dell'energia, dell'ambiente e dell'industria. Evidentemente non si tratta di leggine ma di proposte che puntano all'egemonia, non perché siamo fuori dal mondo ma perché riteniamo che solo nella sfida dell'egemonia la sinistra possa ancora avere qualche chance di successo. Al cospetto di ciò abbiamo trovato risposte talvolta degne e sofferte, talaltra evasive, e in alcuni casi del tutto fuori luogo.

Siamo evidentemente in una crisi della sinistra politica da cui non riusciamo a venire fuori. Per quanto ci riguarda noi cercheremo di giocare fino in fondo il nostro ruolo. E in tempi in cui tanti si intrattengono su questioni alquanto effimere, come i cambi di nome e di logo, gli economisti della «Rive Gauche» proveranno a farsi vivi molto presto, con una nuova iniziativa a tutto campo, finalizzata a smontare i dogmi potenti e pervasivi del pensiero liberista e ad avanzare proposte alternative nel continuo del dibattito sulle questioni di politica economica del paese e dell'Europa.

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