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goofynomics

Il libbberista e il pensionato

 Alberto Bagnai

15136 167 pensioni anziani(un appassionato dialogo fra lettori che ritengo di dover portare alla vostra attenzione...)


anto ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Sub tuum presidium...":

[Nota: sicuramente off topic ma non sapevo proprio dove postarlo…]

Il pensionato è quella cosa oggi tanto vituperata e osteggiata al punto che qualsiasi liberista, oggi, può sentirsi in diritto e in dovere di attaccare e criticare. E nonostante innumerevoli riforme che hanno toccato profondamente la previdenza, al punto da renderla ormai pienamente sostenibile (vedi qui, per esempio) , il liberista continua a martellare sul disavanzo pensionistico (per es. secondo Giannino viaggia ormai a 40 miliardi annui) e quindi sulla necessità/urgenza di sottrarre senza indugio ulteriori fondi agli esosi pensionati.

Ora, premesso che il liberista nostrano quasi sempre tratta ed utilizza i dati come fossero cicoria, vediamo da dove nasce il “disavanzo previdenziale” del nostro.

Presto fatto. E’ sufficiente andare nel Bilancio sociale Inps: uscite per pensioni 242 miliardi di euro, entrate da contributi circa 200 miliardi di euro = all’incirca deficit di 40 miliardi di euro (anzi “40 bn”, come dice lui).

Questo, come meglio si vedrà in seguito, è un classico esempio di pessima informazione.

 

PRIMO ERRORE

Tanto per cominciare non tutte le pensioni pagate dall’Inps lo sono a titolo previdenziale. Ci sono quelle per la GIAS (Gestione per interventi assistenziali) e quelle GPT (Gestioni prestazioni temporanee) a sostegno del reddito che, ovviamente, non c’entrano nulla con le pensioni (sono assistenza).
Dal lato dei contributi bisogna togliere i contributi versati dallo stato per i propri dipendenti pubblici (il che è evidente) pari a circa 10,5 miliardi.
Quindi il quadro è:

Spese pensionistiche: 211 miliardi ( al netto di 31,7 di GIAS e GPT)
Contributi: 190 miliardi (al netto dei contributi dello stato)

E il disavanzo del nostro si è quindi già ridotto, di colpo, a 21 miliardi (anzi 21 bn, come direbbe lui)
Ma andiamo avanti.

 

SECONDO ERRORE

Nella foga liberista, il nostro omette di considerare che il dato sopra veduto riferito alle pensioni (211 miliardi) comprende anche le imposte che lo Stato trattiene sulle pensioni.

Questo dato nel 2012 era pari a quasi 46 miliardi di euro.

Mettiamoci allora nei panni dello stato nel 2012 (stato, inps, inail ec., non fa differenza) e vediamo quanto io - Stato – ci guadagno o ci rimetto.

Vediamo: pago 211 di pensioni e incasso 190 di contributi. Quindi sono sotto di 21 miliardi. Ma nel mentre pago le pensioni faccio pure 46 miliardi di ritenute fiscali ! quindi, IN REALTA’, pago solo 165 miliardi di pensioni (211-46). E se pago solo 165 miliardi di pensioni ( al netto delle ritenute fiscali) io Stato ci ho guadagnato, nel 2012 – udite udite – ben 25 miliardi di euro (190-165).

E’ strano come una salita possa diventare una discesa e un deficit di 40 miliardi un avanzo di 25


Del resto basta andarsi a vedere il Rapporto n. 1 del Bilancio del Sistema previdenziale italiano del 2014 (sicuramente il più autorevole in materia e diretto discendente dei vecchi Bilanci NVSP), disponibile in www.itinerariprevidenziali.it per leggere (nelle conclusioni, pagina 58):
“ III. Spesa e fiscalità: nella valutazione dei risultati [quelli riferiti alla incidenza sella spesa per pensioni sul Pil, NdA] occorre fare attenzione poiché la spesa per pensioni E’ AL LORDO DEL CARICO FISCALE che per l 2012 è ammontato a 45,9 miliardi…. I 45,9 miliardi sono per lo Stato UNA PARTITA DI GIRO PER CUI LA SPESA DI 211,103 MILIARDI in realtà si riduce a 165 MILIARDI di €”
CHIARO ?

Ma naturalmente il liberista non si dà per vinto. Qui non parlo più di Giannino ma di un liberista più evoluto ( diciamo il libberista). Che cosa ti dice il libberista (ossia il liberista più evoluto)?

“Bravo pollo!” dice lui “ ma non tieni conto che i contributi di lavoro sono esenti da imposizione!”

“E bravo pollastro” dico io “e tu non tieni conto che il nostro, come quasi tutti i sistemi previdenziali europei, è un SISTEMA A RIPARTIZIONE, ossia PAYGO, il che significa che lo stato paga le pensioni nell’anno N con i contributi che incassa nell’anno N. Punto.

Se tu, caro il mio libberista, volessi fare un confronto reale tra CONTRIBUTI E PENSIONI (ed evitare di sommare banane con pomodori per ottenere melanzane) NON DOVRESTI CONFRONTARE I CONTRIBUTI INCASSATI NELL’ANNO N CON LE PENSIONI PAGATE NELL’ANNO N, ma dovresti sommare tutti i contributi versati da ciascun pensionato precedenti all’anno N (per un numero variabile di anni, 15, 20, 30 ec. ), rivalutarli all’anno N, capitalizzare gli interessi maturati fino all’anno N e tirarci fuori una RENDITA dell’anno N. Cioè dovresti parlare in termini di rendita del montante contributivo rivalutato ( NON con il sistemino truffaldino tipicamente italiano che rivaluta il montante sulla base del PIL nominale degli ultimi 5 anni: al punto che negli ultimi anni i montanti ci hanno rimesso, rispetto all’inflazione, 4/5 punti). Quei contributi versati, allora, diventerebbero realmente RISPARMIO FORZATO di una parte del reddito di lavoro e via via accumulato in un conto fittizio del lavoratore: ma questo, caro mio, si chiama SISTEMA A CAPITALIZZAZIONE e sfortunamente quasi nessuno lo adotta per il finanziamento delle pensioni.

Perciò l’UNICA POSSIBILITA’ di fare un CONFRONTO tra pensioni e contributi ( se proprio vuoi farlo) è mettersi ( nell’anno N) nei panni dello stato e vedere se pagando le pensioni e incassando i contributi, ci rimetti (disavanzo) o ci guadagni (avanzo). E, come abbiamo visto, lo stato ci guadagna (anche parecchio).

E poi, caro il mio libbberista ti sfugge una considerazione di natura sostanziale: il contributo previdenziale non è una parte del reddito di lavoro che va a risparmio esente da imposizione. Il contributo DI FATTO E’ UNA VERA E PROPRIA IMPOSTA (vedi ad es. Persiani).
Ora gli italiani, che sono dei veri e propri maestri nel settore furbizia, si sono inventati un meccanismo impositivo come questo (numeri a caso) :
reddito di lavoro lordo (comprensivo dei contributi di datore e lavoratore) = 1400
meno contributi datore - 300
meno contributi lavoratore - 100
-----------------------------
= Reddito fiscalmente imponibile su cui si applica imposta 1000

I tedeschi, che sono molto più razionali ma anche molto meno furbi degli italiani, hanno solo due grandezze su cui calcolano contributi e imposta, che sono Steuer e RV/AV Brutto. Queste due grandezze sono uguali ossia la imposta si calcola sul reddito di lavoro lordo come la contribuzione (con aliquote differenti, naturalmente).
E qui, en passant, esce fuori l’altro liberista evoluto, quello con tre b, ossia il libbberista, che strilla indignato: “Hai visto come sono falsi quelli della Confesercenti? Ci dicono che in Germania le pensioni non sono tassate mentre in Italia lo sono ( e più del lavoro dipendente) ma non ci dicono che in Germania i contributi sono tassati!”. Ecco un altro esempio di confronto tra capre e cavoli per tirarne fuori cetrioli (è un difetto congenito del liberista, con qualunque numero di b).

A parte che questa è già di per sé una stupidaggine considerato che il contributo è già una imposta, semmai dovremmo parlare di diverse base imponibili: in Italia la base imponibile per l’imposta (non per il contributo) è il reddito lordo al netto dei contributi (azienda e lavoratore), in Germania si prende il lordo.
Ma secondo te, caro il mio libbberista,i sistemi di tassazione in Germania e Italia sono confrontabili?
Sai quanto paga l’IVS (aliquota pensionistica) in Italia? Il 33%. E sai quanto paga in Germania? Il 19,9% fino a 66.000 annui, peraltro. E potrei citarti altre 100 differenze.
E allora? Cos’è questa stupidaggine di confrontare di basi imponibili al netto e al lordo di per sé inconfrontabili ? QUELLO CHE CONTA, ALLA FINE DELLA FIERA, PER RENDERE I DATI CONFRONTABILI, E’ PARLARE DI IMPOSIZIONE COMPLESSIVA (IMPOSTA E CONTRIBUTO) , cioè in soldoni di quanto toglie lo Stato al lavoratore. Cioè quello che ci interessa è parlare di CUNEO FISCALE. E il dato OCSE 2012 riferito al cuneo fiscale della Germania era 49,7%, in Italia era 47,6% (il cuneo fiscale specificamente destinato alla tutela previdenziale è peraltro molto superiore in Italia). Quindi ha ragione o no la Confesercenti a dire che, a fronte di un cuneo fiscale sostanzialmente uguale sui redditi di lavoro, è una VERA e propria SCHIFEZZA il fatto che in Italia le pensioni siano tassate ( la ritenuta nel 2012 è stata pari al 21,8%) ed in Germania praticamente NO?? 


(replica)

Emilio L. ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Sub tuum presidium...":

Nel periodo 1989-2010, la copertura dei disavanzi previdenzali di natura non dichiaratamente assistenziale ha assorbito entrate fiscali nell’ordine dei 660 miliardi.

Un gigantesco “inganno collettivo” che ha alimentato i consumi al tempo presente drenando le risorse che sarebbero dovute essere utilizzate per abbattare il debito pubblico e modernizzare il Paese (istruzione, ricerca, investimenti infrastrutturali, …) in modo da “attrezzarlo” a reggere l’urto della globalizzazione … e che oggi opprime lavoratori e imprese con un carico di tasse e contributi sociali che ha pochi eguali al mondo …
Risorse che non sono nemmeno andate ai più bisognosi:
Sulla base delle dichiarazioni dei redditi, il reddito mediano da lavoro dipendente nel 2011 è risultato inferiore ai 20.000 euro (al lordo di imposte e contributi). Nello stesso anno, i pensionati che hanno dichiarato redditi superiori sono stati oltre 4,8 milioni (il 32% del totale).
Nel 2010 il reddito mediano delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente è risultato pari a 30.089 euro (al netto di imposte e contributi). Le famiglie di pensionati con un reddito superiore a 32.000 euro sono risultate il 27,4%. Percentuale che risulterebbe ben superiore se si normalizzasse il reddito familiare rispetto al numero di componenti tra i quali quel reddito deve essere suddiviso (2,96 per le famiglie di dipendenti e 1,88 per quelle di pensionati).
Quanto al patrimonio, la stessa indagine della Banca d’Italia evidenzia che il valore mediano della ricchezza netta delle famiglie di lavoratori dipendenti era pari a 138.630 euro (immobili più attività finanziarie, al netto dei debiti contratti). Le famiglie di pensionati con una ricchezza superiore a 164.000 Euro risultavano il 52,8% del totale. In particolare il 77,1% delle famiglie di pensionati vive in una casa di proprietà, contro il 62,5% dei lavoratori dipendenti.
Questa è la verità, per chi abbia voglia di vederla: milioni di pensionati hanno goduto e godono di redditi e patrimoni superiori a quelli dei lavoratori che, faticosamente, stanno pagando la loro pensione. In aggiunta, la vita dei lavoratori è molto più complicata di quella dei pensionati: ci sono la precarietà del lavoro e la disoccupazione, i figli da far crescere, per molti l’affitto o le rate del mutuo da pagare per continuare ad avere un tetto sulla testa …

… senza parlare del fatto un sistema di protezione sociale così costoso non riesce comunque a garantire pensioni sociali dignitose e forme di sostegno al reddito dei disoccupati.

La differenza tra le pensioni erogate ed i contributi effettivamente versati viene pagata dallo Stato, attingendo alle entrate fiscali.
Da un punto di vista contabile, questi trasferimenti statali sono classificati in due voci:

1.La prima voce è la copertura del deficit delle gestioni previdenziali tenute presso l’INPS e gli altri Enti previdenziali.
Il deficit si è andato riducendo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, per effetto sia della crescita delle aliquote contributive, sia delle riforme che hanno rallentato la dinamica della spesa (posticipo dell’accesso, revisione delle modalità di calcolo e di rivalutazione). Si è quasi azzerato nel 2008, per poi tornare a crescere a causa della crisi e della conseguente riduzione delle entrate contributive. Nel 2010 il deficit è stato di 13 miliardi.

2.La seconda voce è costituita dai trasferimenti GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), che vengono computati dagli Enti previdenziali come “contributi”, al pari di quelli versati da lavoratori e imprese (la scarsa trasparenza nella contabilizzazione dei fondi GIAS è stata ripetutamente evidenziata dalla Corte dei Conti).
All’interno di questo aggregato, la quota utilizzata per gli interventi di natura dichiaratamente assistenziale (le integrazioni delle pensioni al trattamento minimo, le maggiorazioni sociali, i prepensionamenti, …) è in realtà minoritaria.
Il grosso dei trasferimenti GIAS non è altro che un “puntello” istituzionalizzato posto a sostegno di una spesa previdenziale strutturalmente in deficit. Vi rientrano ad esempio:
- il finanziamento di quota parte di tutte le gestioni pensionistiche, pari nel 2010 a 22,5 miliardi (vedi Legge finanziaria 2010) e che viene incrementato anno dopo anno in base al tasso di inflazione al consumo maggiorato di un punto percentuale;
- i trasferimenti al fondo speciale dei ferrovieri, pari nel 2010 a 4 miliardi.
Solo questi due capitoli rappresentano il 78% dei trasferimenti GIAS del 2010 (33,7 miliardi).

Da quanto illustrato, nel 2010 la spesa pensionistica non coperta dai contributi e posta a carico della fiscalità generale è stata di almeno 40 miliardi (13 di deficit “conclamato” e oltre 26,5 miliardi di trasferimenti statali GIAS di natura non assistenziale).”

Inserire le trattenute fiscali sulle pensioni come fonte di finanziamento all’interno del bilancio previdenziale (pensioni erogate – contributi previdenziali versati) è un ragionamento totalmente fallace.

Innanzitutto non si capisce perchè i pensionati non debbano essere chiamati a contribuire, con le loro trattenute fiscali, al costo dei servizi pubblici di cui essi stessi fruiscono (si pensi alla sanità), al pari di tutti gli altri cittadini percettori di reddito.
Ma poi, il fatto di conteggiare tale gettito fiscale come fonte di finanziamento della previdenza, anzichè di tutti gli altri servizi pubblici erogati dallo Stato, non fa che spostare il problema della sostenibilità finanziaria da un comparto all’altro della spesa: è come tirare una coperta … ahimè troppo corta.

Per approfondimenti
http://marionetteallariscossa.blogspot.it/2013/04/lavoratori-schiacciati-dalle-pensioni.html

Un cordiale saluto
Emilio L.


Sintesi
Emilio impagina meglio di anto ed è meno diversamente ortografico, a parte il perchè che sarebbe un perché. Entrambi hanno un vizio che non hanno imparato da me: non mettono nemmeno un link alle loro fonti, il che dà alla loro discussione una piacevole vernice ideologica che preferirei venisse scrostata con l'acido dei dati e delle tabelle (questo ve lo dico per il futuro).

Prima che voi scateniate l'inferno, entrando negli infiniti dettagli, vi segnalo un paio di dati di fondo.

Il primo è che se non c'è crescita non sono sostenibili né i sistemi a ripartizione né quelli a capitalizzazione, come ricorda pacatamente e efficacemente Gennaro Zezza. I sistemi a ripartizione si basano sul fatto che in futuro i lavoratori creeranno più valore, quindi saranno in grado di provvedere a se stessi e ai pensionati (in un modo che non sia l'eutanasia o la deportazione come in Germania). Quelli a capitalizzazione si basano sul fatto che se dai oggi i tuoi soldi a una azienda, quella creerà valore in futuro e quindi il tuo investimento di permetterà di campare dignitosamente. I due sistemi hanno in comune il fatto che l'economia deve creare valore, fra oggi e domani, che non significa, come pensano gli idioti della decrescita, inondare il mondo di emissioni inquinanti e di oggetti di plastica: può anche significare ridurre le emissioni inquinanti, fornire migliori servizi pubblici o privati, ecc. ecc. L'unica cosa che distingue i due sistemi è chi agisce da intermediario. Nel sistema a ripartizione è lo Stato, in quello a capitalizzazione il Mercato.

Noi siamo nei guai perché il Mercato ha fallito, e ce lo dice la Bce. Tirate voi le conclusioni.

Il secondo dettaglio, ancora più banale, è che il discorso sulle pensioni, come ho spiegato qui, è parte di un attacco al "perimetro dello Stato" che è puramente ideologico, e sostanzialmente indirizzato a comprimere il ruolo dello Stato nel circuito del risparmio. In questo senso è del tutto analogo al discorso sul debito pubblico, del quale si continua a parlare nonostante la Bce abbia detto apertis verbis che con la crisi non c'entra (come vi ho appena ricordato), e nonostante la Commissione Europea abbia certificato che in Italia esso è il più sostenibile fra i paesi europei anche tenuto conto delle passività implicite nel sistema pensionistico (scoperta dell'acqua calda, perché la Germania ha un enorme problema demografico che sta risolvendo grazie alla crisi, gestita in modo da costringere i migliori giovani del Sud a emigrare al Nord). Ma il fatto è che un sistema finanziario privato che crea valore solo tramite bolle ha bisogno del risparmio intermediato dallo Stato per gonfiarle, queste bolle.

Se darglielo o meno è una scelta politica. Dall'inizio degli anni '80 è stata fatta la scelta di dargliene progressivamente sempre di più. I risultati, chi voleva vederli, li ha visti. Per gli altri la colpa è di cose che ci sono solo oggi: la Cina, la vecchiaia, i cattivi raccolti...

E ora, carissimi, scatenate l'inferno addentrandovi nelle folte foglie dei conti della serva, ma se possibile citando esattamente le fonti, e non perdendo di vista i due rami dell'albero della globalizzazione finanziaria, che mi sono pregiato, nella mia sintesi, di sottoporre alla vostra riverita disattenzione...



(l'articolo di Froud et al. dovreste leggerlo. Dimostra dati alla mano che negli ultimi tre decenni le imprese statunitensi si sono autofinanziate, cioè hanno fatto abbastanza profitti da provvedere da sé agli investimenti produttivi. E i soldi dei risparmiatori dove sono finiti? Semplice: nel gonfiare i valori di libro delle aziende, attraverso il gioco delle fusioni e acquisizioni. Cerco di farvene una sintesi prossimamente. Naturalmente i brillanti storici del medioevo vi diranno che il capitalismo ha sempre funzionato così, che la speculazione c'è sempre stata, che anche i Bardi (con la maiuscola) hanno fatto default, e che le crisi sono il respiro dell'economia, come la guerra è il respiro del mondo. Ma Keynes, o anche il paper di Froud, o anche i dati, combattono questo relativismo storico, e vi dicono che il capitalismo, che naturalmente è brutto e cattivo - rassicuro subito gli eventuali marziani - può essere gestito in modi diversi, che corrispondono a periodi storici diversi e a diversi rapporti di forze. Come del resto il comunismo, che invece è bello e buono. In entrambi i sistemi la gente muore, e muore ingiustamente. Per le persone per bene, per gli squallidi politicanti, e per gli storici dilettanti, ci sarà sempre lavoro!)

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