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orizzonte48

L'austerità non funziona per la ripresa ma solo per distruggere la democrazia

di Quarantotto

ae992cab 43fe 46de aaf9 17ccfa4520fa medium1. Ancora sulla ripresa fantasma, "a dispetto del QE" e delle sue attese irrealistiche.

Questi i dati principali di un'analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui nell'ultimo anno, ogni mese non sono stati spesi o investiti, in media, 6,5 miliardi.

"Le famiglie non spendono e lasciano in banca oltre 30 miliardi di euro in un anno: vuol dire che ogni mese vengono accantonati 2,5 miliardi. Negli ultimi 12 mesi è passato infatti da 861 a 891 miliardi, in aumento di oltre il 3%, l'ammontare delle riserve degli italiani. 

"C'è paura di spendere e paura di investire, paura di nuove tasse o di ulteriori difficoltà coi bilanci'', spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. Una tendenza seguita anche dalle aziende e dalle imprese familiari, con i salvadanai cresciuti, rispettivamente, di 13 miliardi (da 190 a 203 miliardi) e di 2 miliardi (da 43 a 45 miliardi), oltre che dalle onlus (+717 milioni) e dagli istituti di credito (+32 miliardi); in leggero calo i depositi delle assicurazioni (-1,3 miliardi). Complessivamente, le provviste finanziarie sono salite di 78 miliardi (+5%) passando da 1.457 miliardi a 1.535 miliardi.

Secondo l'analisi dell'associazione, basata su dati della Banca d'Italia, da gennaio 2014 a gennaio 2015 complessivamente le riserve bancarie sono salite di 78,1 miliardi (+5,36%) passando da 1.457,7 miliardi a 1.535,9 miliardi: nell'ultimo anno, ogni mese non sono stati spesi o investiti, in media, 6,5 miliardi. Nel dettaglio, i fondi delle aziende sono cresciuti di 13,8 miliardi (+7,30%) da 190,1 miliardi a 203,9 miliardi: l'incremento medio è superiore a 1 miliardo al mese.

I salvadanai delle famiglie sono aumentati di 30,4 miliardi (+3,54%) al ritmo di oltre 2,5 miliardi al mese, passando da 861,2 miliardi a 891,7 miliardi. 

Gli accantonamenti delle imprese familiari sono incrementati, poi, di 2,2 miliardi (+5,25%) da 43,5 miliardi a 45,7 miliardi. In salita anche i depositi delle onlus (organizzazioni non lucrative), cresciuti di 717 milioni (+3,13%) da 22,9 miliardi a 23,6 miliardi, e quelli delle banche, aumentati di 32,1 miliardi (+10,2%), probabilmente come conseguenza delle nuove regole europee sui requisiti di capitale diventate più stringenti, da 315,3 miliardi a 347,5 miliardi. In leggero calo, invece, di 1,3 miliardi (-5,35%) i depositi delle assicurazioni diminuiti da 24,5 miliardi a 23,2 miliardi (ndr; qui i tassi in forte calo, dei titoli in portafoglio, parrebbero indurre il settore assicurativo a cercare di tamponare con le riserve la difficoltà di garantire le prestazioni e i rendimenti promessi)

CARTELLINO CONTO CORRENTE

Tra i risultati più rilevanti dell'analisi per strumento, il comparto del conto corrente ha registrato la crescita più alta tra gennaio 2014 e gennaio 2015: da 789,6 miliardi a 873,1 miliardi in aumento di 83,5 miliardi (+10,57%). 

Sale anche l'ammontare del denaro circolante, passato da 158,6 miliardi a 170,9 miliardi in crescita di 12,3 miliardi (+7,77%). Sono leggermente cresciuti i depositi rimborsabili con preavviso: lo stock di denaro è passato da 310,6 miliardi a 313,5 miliardi in aumento di 2,9 miliardi (+0,94%). I depositi vincolati a breve scadenza, invece, sono diminuiti sensibilmente, probabilmente in corrispondenza del calo degli interessi riconosciuti dagli intermediari, da 165,4 miliardi a 137,1 miliardi con una diminuzione di 28,3 miliardi (-17,14%).

''Le famiglie e le aziende, che pure avrebbero la possibilità di far circolare denaro, incrementando i consumi e scommettendo sul futuro, preferiscono la via della prudenza'', afferma Longobardi. Si temono momenti ''ancora peggiori, magari accompagnati dall'ennesimo inasprimento fiscale interno o nuovi scossoni in arrivo dal fronte internazionale''. Ma se i flussi finanziari sono deboli, avverte il presidente, ''possiamo dire addio alla ripresa: ecco perché è fondamentale e urgente far ripartire i consumi".

 

2. A margine di questa impressionante serie di dati, c'è da dire che il problema non sembra soltanto quello dell'aspettativa di nuove tasse - problema che certamente si connette alla "bomba ad orologeria" delle clausole di salvaguardia (v.P.9) contenute nella legge di stabilità, in coerenza con l'inasprimento fiscale comunque preannunziato nel DEF per i prossimi due anni,- ma, in termini tragicamente attuali, quello del timore di non farcela neppure a pagare le tasse già vigenti, alle prossime scadenze.

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3. E' evidente che se sussiste un confluire di queste due potenti pulsioni difensive, l'aumento del risparmio è solo un segnale di crisi persistente  mentre le famiglie e le imprese scontano, più o meno consapevolmente:

a) la rinuncia persino alla speranza che gli investimenti netti (cioè quelli che vanno al di là del mero mantenere in funzione le strutture e gli impianti esistenti) possano dar luogo a profitti più elevati dei rendimenti finanziari di breve e medio termine: questi oggi già ai minimi termini. Come dire che nessuno si aspetta che i profitti ci possano proprio essere e, anzi, intraprendere nuove iniziative sarebbe una probabilissima prospettiva di perdita;

b) la stessa complessiva situazione - che si pone in continuità con il crollo e la proseguita caduta degli investimenti- e che determina che le eventuali assunzioni di lavoratori determinate dall'incentivo, peraltro transitorio (P.6, lett.b)), legato al jobs act, saranno effettuate su una struttura produttiva che,a malapena, potrà considerarsi immutata e stagnante, nel mantenimento, cosa che sarebbe già un risultato difensivo accettabile (specie per le imprese che si basano essenzialmente sulla domanda interna);

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italia ripresa investimenti 2015

c) il fatto che la eventuale diminuzione del tasso di disoccupazione si manifesterà, - se pure si verificherà (e non è detto, sussistendo fattori traumantici di incertezza oggi sottovalutati)-, su un numero di "posti" inalterato: cioè avremo il rafforzamento dell'attuale tendenza al part-time involontario, subito dal lavoratore contro le sue aspirazioni (assumo due per svolgere, a minor costo, il lavoro che in precedenza era svolto da uno);

Cigno nero Austria fa prima vittima in Germania - Fallisce azienda erogatrice di mutui, che paga a caro prezzo esposizione a bad bank(!) della banca austriaca Hypo Alpe Adria. Interviene fondo garanzia depositi.

d) che a questo insieme di elementi si aggiunge il demansionamento: assumo al posto di un lavoratore anziano (divenuto più agevolmente) licenziabile, un "giovane" meno qualificato e comunque inquadrato ad un livello retributivo inferiore; o ancora, sostituisco a un quadro (licenziato o pre-pensionato) un lavoratore di livello inferiore, senza variarne inquadramento e retribuzione ma soltanto le mansioni, sfruttando lo scollamento, ora consentito, tra mansioni per cui si viene assunti e mansioni di cui organizzativamente è possibile imporre lecitamente lo svolgimento.

 

4. Questo quadro di politiche economiche (divenute vincoli normativi su spinta €uropea), ci dice come le aspettative di crescita della domanda, e quindi la propensione a investire, non possano aumentare: e anche come queste aspettative, coscienti o meno che ne siano gli "operatori economici", siano legate al mercato del lavoro

E' chiaro che la situazione potrebbe apparire favorevole solo al limitato numero di imprese che possono contare su un prevalente fatturato di esportazione della rispettiva produzione.

Ma di certo, la percezione di una domanda interna che non "può" riprendersi, proprio per via di questo assetto del mercato del lavoro, rende il carico tributario già oggi una prospettiva tale da portare il sistema nella "trappola della liquidità," alimentando una spirale deflazionistica che è innescata, senza alcuna contromisura nemmeno lontanamente ipotizzata, dalla correzione fiscale in pareggio di bilancio intrapresa all'interno dell'eurozona. 

Insomma, disoccupazione "strategica" e diminuzione "forzosa" delle importazioni indotta dal consolidamento fiscale e dal violento calo dei redditi disponibili, possono pure aggiustare (transitoriamente) i conti delle partite correnti; ma solo al prezzo di innescare un ritardo nell'effettuazione degli investimenti che si struttura in una vera e propria deindustrializzazione, rendendo lo stock del risparmio (passato) la mera garanzia di un'escussione futura da parte dei creditori bancari o fiscali. In ogni caso, esecutori per conto dell'€uropa.

 

5. Contrariamente a quanto dice qualcuno, con frettolosa considerazione soltanto di un effetto correttivo sul breve, l'austerità NON funziona: certamente ristruttura l'offerta produttiva del paese che vi è costretto, ma in un avvitamento distruttivo verso il basso. Un avvitamento che, superato un certo limite di durata, diviene irreversibile.

Che le cose stiano così, non ci vuole poi molto a capirlo, se lo si vuole capire. E Kaldor lo aveva spiegato molto bene (come riportato in questo post ispirato al lavoro di Nuti):

"...sappiamo che in una depressione prolungata la capacità produttiva non solo rimane inutilizzata ma in realtà viene distrutta: le imprese chiudono e solo tutt’al più una frazione del loro capitale produttivo viene ri-utilizzato altrove in altri usi produttivi. Anche il capitale umano viene distrutto: i lavoratori in esubero si disperdono, e le loro qualifiche vanno perdute o dimenticate o diventano obsolete. Quando la produzione reale cade al di sotto della produzione potenziale a un certo punto l’investimento lordo cessa e l’investimento netto cade sotto lo zero, quando il capitale obsoleto o in eccesso non viene sostituito, riducendo non solo il numero degli occupati ma anche quello dei lavoratori “occupabili”, facendo cadere il sentiero di sviluppo della produzione potenziale (Vianello 2005).

Una domanda insufficiente protratta nel tempo inevitabilmente genera un rallentamento nella formazione di nuova capacità produttuva e quindi di reddito potenziale” (ibidem). I lavoratori scoraggiati smettono di cercare lavoro e il tasso di partecipazione cade. Come Nicholas Kaldor (1983) aveva affermato, “È illegittimo assumere che esista un sentiero di sviluppo di equilibrio di lungo periodo, per un singolo paese o anche per il mondo nel suo complesso, determinato dallo sviluppo della popolazione, l’accumulazione di capitale e il tasso di progresso tecnico, tutti presi esogeneamente [il corsivo è nostro].” (p. 95).

In tali condizioni, nel mondo che conosciamo, il consolidamento fiscale certamente può danneggiare la crescita e lo sviluppo economico, anche se non è coordinato internazionalmente. Cio’ non significa che non ci siano limiti alla abilità di un paese o anche di un gruppo di paesi di sostenere uno stimolo fiscale.

Ma il consolidamento fiscale va assolutamente evitato fintantoché il rapporto PIL/Debito Pubblico (attenzione: è proprio PIL su debito, ndr.) è inferiore al moltiplicatore fiscale – anche se altrimenti il paese sta crescendo più lentamente del tasso di interesse sul suo debito, perche’ con un consolidamento fiscale perverso il paese continuerebbe a fare aumentare il proprio rapporto Debito Pubblico/PIL ancora più rapidamente che con uno stimolo fiscale continuato.

Questo è vero anche se la spesa pubblica consiste nella proverbiale politica keynesiana di ingaggiare dei lavoratori per scavare delle buche e altri lavoratori per riempirle, che Tanzi (2012) vorrebbe relegare “al museo delle idee vecchie e sbagliate” (p. 11). Ovviamente la sostituzione di spesa improduttiva con investimento produttivo porta benefici addizionali significativi rispetto alla continuazione di investimento improduttivo come scavare e riempire buche o costruire piramidi o cattedrali, ma anche la continuazione di tale investimento improduttivo è superiore al consolidamento fiscale perverso".

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