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orizzonte48

Scenario d'estate

Il moloch neoliberista globalizzato alle corde (ma da solo sul ring)

di Quarantotto

1353148 29056857 2560 14401. L'approccio analitico, che ci fa affrontare un tema alla volta, pur cercando di evidenziarne le connessioni generali e specifiche, può essere talvolta fuorviante.

Proviamo allora a cogliere fenomenologicamente, per flash(es) essenziali lo scenario.

Questo approccio ci consente di meglio cogliere sia la tendenza "unificante" sia il livello di bis-linguaggio che domina l'informazione nel "blocco occidentale" (se pure questa definizione ha ancora un senso) e, soprattutto, in modo sempre più tragicomico, in Italia.

 

2. La prima cosa che risalta, sul piano globale, è che, da un lato, tutti si agitano sulla crisi dei BRICS, le vecchie locomotive post crisi sub-prime, che avrebbero tenuto a galla il mondo con la loro crescita e con l'afflusso di capitali (ora, al 50% già rifluiti verso un dollaro sempre più forte); ma, dall'altro, non si rinuncia a discutere della (altrettanto tragicomica) pantomima del rialzo dei tassi da parte della Fed.

Sul primo punto: è abbastanza evidente, ormai, dopo 7 anni di mancata uscita dell'eurozona dalla recessione e dalla stagnazione, per manifesta "austerità credibile", cioè "espansiva" (dei debiti pubblici), che non è il mondo emergente, i BRICS,  caratterizzati dall'essere esportatori (inter alios) di materie prime e di manufatti da fabbriche "delocalizzate", a tirare giù l'€uropa. E' vero piuttosto il contrario.

Un'area euro che comprime la domanda interna, sollecita alta disoccupazione strutturale e mira solo a divenire, in massa, creditrice commerciale e finanziaria del resto del mondo, assume l'aumento di interscambio della meravigliosa globalizzazione come un fatto mercantilista. 

Lo abbiamo detto tante volte: l'universalizzazione del modello Germania a tutta l'UEM è il principale fattore di rischio sistemico dell'economia reale mondiale.

 Ma non tanto perchè sia realmente in grado di raggiungere la dimensione di colonizzazione dei mercati esteri che si propone; quanto perchè, condannandosi alla deindustrializzazione e alla flessione perenne degli investimenti netti, priva l'economia globale della vitalità trainante, un tempo, del suo maggior polo industriale e di ricerca. E, contemporaneamente, crea una dipendenza dai mercati esteri che diviene, a fronte di una miopia di medio-lungo periodo così clamorosa, il rischio di autogol più elevato della storia dell'economia mondiale.

 

3. In tal modo, infatti, l'€uropa si condanna alla marginalizzazione economico-politica di lungo periodo: ma non per l'invincibilità dell'ascesa dei BRICS, e quindi per effetto della globalizzazione: quanto per il modo in cui l'ha voluta concepire e tutt'ora sostenere. 

Dunque, per la miope avidità del suo sistema finanziario e industrial-oligopolista, persosi nell'idea che risistemare le cose a casa propria, - riassumendo il controllo assoluto delle ex-istituzioni democratiche, degradate a mere esecutrici delle istituzioni europee, a loro volta controllate dall'esclusivo interesse dei gruppi bancari dei paesi dominanti, - fosse sufficiente a garantire la "stabilità". 

Cioè l'accumulo indisturbato di profitti finanziari al riparo da pericoli di insolvenza e di sommovimento sociale del complesso dei debitori che mirano a creare (ovunque). 

Una logica di dominio globale (parassitario e predatorio): il debitore è colpevole, per definizione, e la sua colpa giustifica ogni misura tesa a dominarlo ed a disciplinarlo. Ovunque egli si annidi nel mondo (anzi, meglio ancora se all'interno della propria comunità nazionale).

 

4. Gli USA, con la questione del rialzo dei tassi, dimostrano, ancora una volta, di essere il motore ideologico di questa revanche autodistruttiva del liberismo.

Un'economia dominata da Wall Street, e perciò spronata a riaccumulare livelli di indebitamento in tutti i settori (finanziarizzati a debito) della sua flebile "economia reale" anche superiori - nel livello di rischio sub-prime - a quelli che hanno portato alla crisi del 2007, finge di essere intimorita dal riscaldamento dell'inflazione mentre non è minimamente capace di scorgere il problema costituito dal proprio modello sociale: il mercato del lavoro super-flessibilizzato e la mancanza assoluta di veri stabilizzatori automatici, e redistributivi, della domanda

 

5. In altri termini come abbiamo già detto, - e come, per motivi del tutto analoghi, verificatosi in Giappone- strutturare definitivamente una società sul mercato del lavoro-merce, che  esclude istituzionalmente i salari dalla crescita del prodotto, eliminando il welfare pubblico(pensionistico e sanitario), conduce alla deflazione permanente

E quindi acuisce il rischio della insolvenza sistemica e della stagnazione irreversibile dell'economia reale. Cioè del benessere e della dignità degli esseri umani coinvolti. 

In tale situazione, aumentare il deficit pubblico, neppure sortisce più gli effetti anticiclici che, in teoria, si verificavano in passato: comunque la spesa pubblica si indirizza alla crescente emergenza disoccupazionale, con grande dispendio di inutili misure tampone, e comunque finisce in improbabili misure supply side, che includono pure i programmi di spesa per infrastrutture e di alleggerimento del costo fiscale del lavoro, una volta che il mercato dello stesso lavoro sia strutturato sulla precarietà e sulla deflazione salariale.

 

6. A livello europeo, l'accordo "Grecia" (cioè il memorandum avallato dal Bundestag tedesco, come esclusivo decidente, e ratificato dall'Eurogruppo), dimostra la "vittoria di Pirro" di questo metodo che, trasposto nelle linee essenziali dagli USA all'UE, significa che la Grecia, superdebitrice (indotta ad esserlo dal liberoscambismo che ha trionfato in Europa sotto le spoglie del "fogno" €uropeista), potrà tornare tranquillamente in recessione, onerata da politiche restrittive che uccideranno la pallida ripresa (peraltro registrata in UEM come un record), che aveva visto nel secondo trimestre una crescita greca di 0,8% del PIL: ma esclusivamente perchè il periodo di riferimento è stato esattamente quello della "trattativa", durante la quale Tsipras non ha rispettato i programmi di austerità ereditati dai precedenti governi

Salvo poi accettarne uno peggiore, facendo finta di non capire che dentro l'euro non c'era scelta e, dunque, preferendo farselo dire a brutto muso dai "moderati" partners €uropei in blocco: i falchi, paradossalmente, lo avevano sconsigliato dal permanere nell'euro. E lui no, duro: l'austerità violerebbe i trattati e l'uscita dall'euro sarebbe un disonore. Oggi ha avuto l'una e l'altro, rimanendo (per il momento) nell'euro e soddisfacendo il suo "fogno" progressista e di sinistra.

 

7. In Italia, non accorgendosi mai di nulla di quanto di accade in casa, si evidenzia (tra lo stupore dei giornalisti nostrani che registrano tali opinioni) che le privatizzazioni selvagge dell'apposito fondo creato con il nuovo accordo di salvezza per la Grecia,  finiranno in "conflitto di interessi", dato che i tedeschi, con una società pubblica (!!!) divengono gli acquirenti di 14 aeroporti di proprietà dello Stato greco: naturalmente, a prezzi di saldo non corrispondenti a corrette stime di mercato, deprivando la filiera turistica ellenica dei proventi, per di più pubblici (cioè entrate dello Stato), di uno dei principali asset di possibile ripresa dell'economia. 

In Italia, dunque dicevamo, si accorgono - ma solo per la Grecia- che privatizzando in nome del "lo vuole l'€uropa" si finisce per mettere sul mercato, nei modi e nel momento più disastrosi, proprio gli assets pubblici più preziosi e che più giovamento portano alle casse dello Stato-proprietario, e quindi alle tasche dei cittadini contribuenti.

Si dimentica, però, che la cosa non è solo greca, ma è specialmente italiana, il paese dove, dopo gli Stati Uniti (che però sono un pochino più grandicelli) si è fatto il maggior volume assoluto di privatizzazioni AL MONDO.

 

8. E per rimanere all'Italia, secondo le previsioni, realizzato il mercato del lavoro flessibilissimo, riportata in auge la derogabilità aziendale dei contratti collettivi nazionali e preparandosi a prodigarsi di licenziamenti nel pubblico impiego (vedrete i decreti delegati della riforma della pubblica amministrazione), si inizia inevitabilmente a parlare di "reddito di cittadinanza" e simili strumenti; per ora a integrazione dei redditi della famiglie sotto la soglia della povertà e in possibile ausilio dei disoccupati ultracinquantacinquenni, cioè dei non più "ricollocabili" tagliati fuori per 10-12 anni dalle prestazioni pensionistiche.

La mossa è geniale: il solo parlarne (d'estate) raggiunge vari scopi politico-fiscali in "illusione finanziaria" da manuale: 

a) si dà l'idea si curarsi dell'impoverimento generale;

b) si rafforza il consenso sociale, facilmente alimentato dal battage mediatico-orwelliano;

c)  si tacitano le opposizioni - che difficilmente potrebbero rifiutarsi di votare una finanziaria che contenesse una misura, anche solo in parte, aderente alla loro principale richiesta;

d) e, specialmente, si ottiene un forte clima di favore alla copertura di questa "salvifica" spesa aggiuntiva. Cioè per l'ulteriore riforma, preferibilmente retroattiva, del sistema pensionistico in senso contributivo, e l'accelerazione della revisione delle rendite catastali. Per dirne qualcuna, tra le più ambite, che mettono d'accordo tutte le forze principali presenti in parlamento (con qualche distinguo e qualche resistenza formale di facciata).

 

9. Ma in tutto questo quadro semi-allucinogeno, è evidente che ESSI, e i loro margravi nazionali, hanno perso il senso della realtà: nulla dei loro congegnini e calcolucci potrà reggere alla prova dei fatti. 

Il Moloch neo-liberista-globalizzato è alle corde e vacilla.

L'unico problema è che non ha avversari, sul ring, che gli possano infliggere il colpo del KO: infatti, alla fine dei conti, come dicono a Roma, "s'è imbriagato da solo".

Speriamo solo che non faccia troppo male cadendo addosso a noi (in Italia, intendo, il posto più tragicomico del mondo).

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