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Opposizione balneare

di Luca Baiada

C’è una formula tranquilla come una spiaggia a Ferragosto e pulita come il catrame. Viene dagli anni del potere democristiano: governo balneare. In momenti di incertezze e di impossibilità di coalizioni stabili, si traghettava la crisi attraverso la stagione estiva con un governicchio fragile, anzi nato morto. Un pauroso rovesciamento di prospettive ha portato l’Italia ad avere un governo rigidissimo («rigor Montis», si è scritto), e una opposizione balneare. Proviamo a misurarne la cellulite.

La liquidazione del sistema proporzionale, nel 1993 presentato come un imbroglio, mentre adesso una truffa elettorale permette alle segreterie di partito di nominare il parlamento, garantisce l’impoverimento della funzione legislativa e assicura appoggio incondizionato a decisioni prese in modo opaco.

Il concetto stesso di partito sembra diventato una parolaccia, e ci si barcamena borbottando formule una più astrusa dell’altra. Riciclandosi in politica, nel 1994 Berlusconi disse di aver creato un rassemblement. Poi verranno i circoli e i predellini. Gli eredi del più grande partito comunista d’Europa, insieme a pezzi del mondo cattolico, hanno serbato il concetto di partito, ma l’hanno sottoposto a operazioni di potatura e innesto, cercando affannosamente l’aria della socialdemocrazia europea, o il glamour Usa. Tutto a parole o tutto nel peggio.


Si affacciano alla storia movimenti che vogliono tenere insieme persone e idee, ma che hanno orrore delle sezioni di partito e che inventano ogni alchimia possibile: orizzontalità del potere, oscurità delle persone presentata come un merito, formule fluide.

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L’oscuramento

di Alberto Burgio

Immaginiamo che al tempo della disputa tra geocentrici ed eliocentrici esistesse già un sistema dell’informazione simile all’attuale (televisioni, quotidiani e rotocalchi). E supponiamo che dalla vittoria degli uni o degli altri dipendessero le condizioni di vita della gente che da quelle televisioni e da quei giornali veniva informata. Come giudicheremmo, in questa ipotesi, una informazione che avesse sistematicamente nascosto la disputa e, per esempio, rappresentato la realtà sempre e soltanto sulla base della teoria geocentrica? Di questo, a mio modo di vedere, si tratta nella lettera sul “Furto d’informazione” che abbiamo inviato a molte agenzie di stampa e ad alcuni giornali nei giorni scorsi e che il manifesto (soltanto il manifesto) ha pubblicato integralmente in prima pagina. Il tema della nostra denuncia è l’«ordine del discorso pubblico» sulla crisi. Un tema concretissimo e materiale, produttivo di fatti altrettanto concreti, che recano nomi illustri: senso comune, ideologia, consenso.

Naturalmente la crisi è fatta di dinamiche economico-finanziarie, alla base delle quali operano, sul piano nazionale e «globale», determinati assetti di potere e una determinata struttura dei processi di produzione e circolazione. Su questo terreno si sono verificate, a partire dal 2007, le vicende che hanno innescato la tempesta finanziaria. Ma la questione che subito si pone – basta un attimo per comprenderlo – è che qualunque cosa si dica a questo riguardo è frutto di interpretazioni. Soltanto persone faziose, intolleranti come Giuliano Ferrara possono pretendere che un’opinione (la loro) sia «oggettiva» e inoppugnabile. Chiunque altro converrà che ogni narrazione implica assunzioni teoriche, ipotesi e, appunto, interpretazioni.

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L'agente segreto dei veleni di Stato

di Massimiliano Ferraro

L’affondamento nel Mediterraneo di vecchie navi mercantili cariche di rifiuti tossici e radioattivi è un capitolo della storia italiana ancora in buona parte oscuro. Un fenomeno dibattuto su cui tutte le ipotesi restano ancora plausibili secondo la logica. Le hanno chiamate navi dei veleni, ma per i governi che via via si sono succeduti fino ad oggi non sono mai esistite. Eppure secondo Francesco Fonti, controverso pentito di ‘ndrangheta, fin dagli anni settanta dei rappresentanti dello Stato avrebbero trattato con la malavita le condizioni per fare sparire illegalmente scorie e veleni scomodi. Confessioni le sue che nel 2005 hanno aperto scenari impensabili e dolorosi ai quali si è infine deciso di non tenere conto.

Siamo in Italia, il paese dei segreti inconfessabili, dove si è abituati a camminare in equilibrio sul filo sottile che separa la dietrologia dalla vergogna. Tuttavia, vent’anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, di cui ancora si scoprono agghiaccianti verità nascoste, le parole di Fonti meriterebbero una rinnovata attenzione da parte della magistratura e dei media. Se fosse tutto vero, quante e quali navi tossiche sono state affondate nei nostri mari? Per ordine di chi?

Forse è ancora possibile provare a risalire a qualcuno che conosce la risposta a queste e ad altre domande: un uomo alto circa un metro ottanta, sui sessant’anni, che quando ne aveva trenta di meno aveva un fisico atletico e una chioma di capelli castani ben pettinati all’indietro. Non sappiamo il suo vero nome, ma conosciamo lo pseudonimo con il quale era noto alla segreteria del Servizio Segreto Militare: Pino. È lui la persona da cercare, quello che sa, il rappresentante dello Stato nell’affare miliardario dello smaltimento illecito dei veleni.

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Certe righe….

di Elisabetta Teghil

356268 G8 Carlo Giuliani camionetta Allimonda MINILa Cassazione ha confermato che il "saccheggio" e la "devastazione" comportano una condanna da sei a quindici anni.

Tradotto in parole povere:....assaltare un bancomat, bruciare un cassonetto, magari uscire con il carrello della spesa da un supermercato senza aver
pagato.......

Sapevamo che, in questa società, il dio a cui tutto è sacrificato è la proprietà privata, ma non pensavamo che si arrivasse a tanto.

Evidentemente c'è dell'altro che sta nella natura e nello scopo del G8 del 2001.

Si dovevano decidere i tempi e i modi per realizzare il neoliberismo.

Contro questo, in tante e in tanti si erano date/i appuntamento a Genova e, per questo, la repressione è stata così dura e, per certi versi, feroce.
Allora non ci voleva molta fantasia per sapere che cos'è il neoliberismo. Ma oggi anche le/i più miopi lo sanno perché si sta realizzando giorno dopo giorno.

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Devastazione e saccheggio

di Girolamo De Michele

Devastazione e saccheggio: è questa la formula entro la quale la Cassazione ha, in via definitiva, rinchiuso e circoscritto ciò che accadde nei tre giorni del G8 2001 a Genova. Al di là dei tecnicismi giuridici che hanno portato alla modifica della sentenza di secondo grado – peraltro lieve in termini formali, e difficile da percepire per le vite e i destini dei 10 compagni colpevoli di essersi fatti catturare –, il significato tutto politico di questa sentenza resta, ed è inequivocabile.

Era indispensabile, dopo la sentenza sulla macelleria messicana della scuola Diaz e sul lager di Bolzaneto, sanzionare che a Genova c’era una situazione di guerra, o poco meno: a futura tutela di eventuali azioni giuridiche nei confronti delle forze e dei tutori dell’ordine costituito. A quanto pare, i macellai della Diaz sono colpevoli non per aver fatto ciò che hanno fatto, ma per averlo fatto nei confronti di un centinaio di innocenti: avessero scelto meglio i loro bersagli, avessero scaricato il loro sadismo nei confronti dei tanti devastatori e saccheggiatori che si intuisce essere stati lì, a portata di mano, non avrebbero patito conseguenze giudiziarie. Fascista, ma anche un po’ pirla, il loro daimon

Era altresì indispensabile, a futura tutela della necessità di condotte un po’ meno messicane (vogliamo dire: greche o spagnole?) che fosse evidente a tutti lo scambio, il pari-e-patta tra la condanna, indifferibile, dei violenti all’interno delle forze dell’ordine e la speculare condanna dei violenti all’interno del movimento: due anomalie da rimuovere in modo chirurgico, la cui asportazione giustifica il tornare a parlare del G8 di Genova dopo quasi un decennio nel corso del quale non il G8 in sé, ma la stessa città di Genova era scomparsa dalla televisione, dai notiziari, persino dalle location delle fiction.

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Genova 2001 e la sentenza 10×100. Orizzonti di gloria

di  Wu Ming 4

La giustizia italiana ha deciso che cinque persone pagheranno per tutti. Altre cinque potrebbero aggiungersi. E così si ottiene il pari e patta politico con la sentenza sull’assalto alle scuole Diaz.

E’ chiaro che stanotte non c’è nessuna gloria. E domattina nessun orizzonte. Era antifrastico anche il titolo del film di Stanley Kubrick, uno dei più belli contro l’ottusità antiumana del militarismo. La trama è nota: durante la Prima Guerra mondiale, sul fronte occidentale, un inetto generale francese lancia un impossibile attacco contro una fortificazione tedesca. Le truppe francesi non riescono nemmeno a uscire dalle trincee, vengono falciate dalle mitragliatrici, ricacciate indietro. L’attacco è una catastrofe colossale. Per non passare da incapace, il generale addossa la colpa alla codardia dei suoi soldati e chiede che ne vengano fucilati cento, estratti a sorte. L’Alto Comando gliene concede tre. Tre capri espiatori, che pagheranno per tutti, anche se la colpa non è di nessuno, o meglio, è di chi stava in alto. Di chi ha voluto quella guerra.

La giustizia italiana, stasera, non è diversa da quella militare nel film di Kubrick (che si ispirava a un fatto realmente accaduto). Anche lì c’era un bravo avvocato difensore, che veniva sconfitto da una sentenza grottesca, quasi caricaturale per la sua assurdità.

La giustizia italiana ha deciso che cinque persone pagheranno per tutti. Altre cinque potrebbero aggiungersi. E così si ottiene il pari e patta politico con la sentenza sull’assalto alle scuole Diaz. Poco importa che le condanne dei poliziotti riguardino il pestaggio e il massacro preordinato di persone, per di più indifese, mentre quelle dei manifestanti siano motivate dalla distruzione di cose, di oggetti inanimati, in mezzo al caos generalizzato. Qualcuno di loro si becca dieci anni di galera.

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Beppe Grillo e la regressione modernizzatrice*

nique la police

“Non c’è nulla di nuovo in borsa. Non può esserci perché la speculazione è vecchia come le colline”. (Jesse Livermore, trader arricchitosi con le crisi del 1907 e del ‘29. Morto suicida).

1. Populismo. L’Italia tra Wall Street e il Reno.

Aggiungiamo un racconto alle cronache provenienti dagli Stati Uniti che si sono susseguite, a partire dall’autunno 2011, a causa della protesta di Occupy. Parliamo di una insegnante, che ha perso il lavoro come i risparmi e il suo status di classe media grazie al crack di borsa, che incita le folle e diventa famosa per uno slogan sempre scandito nei suoi discorsi.  Lo slogan,  cavallo di battaglia fatto proprio da moltissimi americani è questo: “Wall Street possiede il paese. Non esiste più un governo del popolo, dal popolo, per il popolo ma solo un governo di Wall Street, da Wall Street, per Wall Street”.

Il vigore oratorio di Mary Elisabeth Lease, così si chiama l’insegnante, e  la sua capacità di stare in piazza si fanno davvero apprezzare. Ma ci sono due aspetti da evidenziare. Il primo è che non si trovano tracce della Lease su youtube. Perché non si tratta di una attivista che emerge assieme alle proteste a seguito del crollo di Lehman Brothers del 2008, o con l’esperienza di Occupy, ma di una persona comune che si forma politicamente sull’onda di proteste causate dalla long depression originata dal crack di borsa del 1873. Il secondo è che la Lease è stata un membro del  People’s Party, il primo e più grande partito populista americano. Stiamo parlando di un partito che ha espresso governatori e sindaci, nonché almeno un serio candidato presidenziale con significativa presenza di deputati al congresso, e che ha lasciato una reale traccia nella storia politica americana. Sia nei democratici, che finirono per assorbire il People’s Party, che nei repubblicani.

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Vivi e lascia morire

Written by  Dante Barontini

Il principio fondamentale del capitalismo tradotto in spending review.

Come al solito, con questo governo di "tre-cartisti" laureati, stiamo qui a discutere di qualcosa che nessuno conosce nei dettagli. Quel che tutti hanno in mano sono le dichiarazioni rilasciate all'uscita dell'incontro con il governo da rappresentanti degli enti locali, di Confindustria e dei sindacati “complici”. E se si dovesse ascoltare soltanto questi ultimi non si capirebbe assolutamente nulla, stretti come sono tra l'esigenza di fare il viso delle armi (senza intanto muovere un dito) e la necessità vitale di attenuare la gravità delle mosse dell'esecutivo (che richiederebbero non uno sciopero generale, ma un blocco prolungato dell'intero paese).

Il governo, sostenuto da tre partiti in via di estinzione e da una stampa mainstream ben oltre i limiti dei fogli di regime, prosegue nel gioco retorico, che fin qui è riuscito benissimo, da un paio di decenni a questa parte. Si mettono giovani contro anziani, dipendenti pubblici contro privati, precari contro stabili, esodati contro pensionati, e alla fine si tira fuori il jolly che peggiora le condizioni di vita di tutti. Equamente...

Il gioco è ancora più semplice in questo caso, perché sotto tiro finiscono i dipendenti pubblici, contro cui è stato costruita una mostrificazione di luoghi comuni, spesso purtroppo avallata da alcuni comportamenti autolesionistici della categoria.

Al di là dei comportamenti, dunque, bisogna individuare il “disegno” di riorganizzazione della macchina pubblica che emerge nettamente dall'insieme delle misure pur confusamente descritte dagli interlocutori del governo ieri. È una macchina indebolita in ogni settore meno che in quelli militari e di polizia. Persino la magistratura (e la parte amministrativa degli uffici relativi) viene pesantemente “tagliata”, eliminando tribunali, uffici, sedi. Anche i processi, in un sistema costituzionale ristretto al solo potere esecutivo, diventano un lusso di cui si può fare agevolmente a meno.

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Ordinaria catastrofe

di Augusto Illuminati

2012 fine del mondo 001La catastrofe, ormai è una citazione, consiste nel fatto che tutto continui ad andare come prima. Dopo l’ossessiva campagna perché la Grecia salvasse l’euro e la civiltà negando il voto alla malvagia sinistra syriziana – campagna che è stata l’idea-forza fra le famose “idee di Repubblica”, il Sole platonico che illumina e riscalda le Idee –, beh, adesso tutto sembra andare come prima. La borsa di Milano perde il 2,85% il lunedì dopo la festa e l’ineffabile organo di Mauro e Scalfari ammette che «il voto in Grecia non allenta dunque la tensione sui debiti pubblici periferici: lo spread torna ad allargarsi e sale a quota 465 punti base. I Btp volano oltre il 6% e i Bonos spagnoli sfondano il muro del 7% e per la prima volta i titoli spagnoli rendono più di quelli irlandesi. In rialzo anche i tassi dei bund tedeschi vicini a quota 1,5%». La crisi non si è risolta rimettendo le redini del governo greco in mano al partito (Nea Dimokratía) che aveva truccato i conti e scatenato lo sfacelo del bilancio nel 2009. E la Merkel si è affrettata a rimangiarsi tutte le promesse che erano state spese con soave licore per attirare voti ai truffatori della destra ellenica. Toccante l’esultanza per il risultato non solo dei berluscones, vorrei vedere, ma di Monti, Pd, Repubblica, Corriere e compagnia berciante. Peccato, davvero peccato che tutto sia rimasto eguale: speculazione dilagante, scazzi Eu-Usa, crollo della propensione al risparmio, spread in salita, discesa del Pil italiano, credit crunch, disoccupazione. Non era colpa di Syriza, allora. Vuol dire che è colpa della Merkel. E naturalmente dei sindacati che, assai flebilmente, pretendono di “correggere” (mica di stoppare) la riforma del mercato del lavoro. Anzi, diciamolo, la colpa è degli esodati. Che esodassero una volta per tutte, che si togliessero dai coglioni, ora che serve remare tutti insieme a Monti, dritti nel maelström.

Soprattutto, che non si voti, per carità, altrimenti finiamo come in Grecia, dove Samaras ha vinto, ma difficilmente riuscirà a formare un governo duraturo. E soprattutto finisce che M5S di Grillo ci porta via tutte le greppie di governo e sottogoverno.

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fatto quotidiano

“Non fregheranno i 5 stelle con Saviano, Passera o Montezemolo”

Marco Travaglio intervista Beppe Grillo

Ora mi tocca diventare moderato, sennò questi partiti spariscono troppo rapidamente. Sono anni che dico che sono morti, ma insomma, fate con calma, non esagerate a prendermi alla lettera…”.

Beppe Grillo se la ride mentre strimpella la sua pianola canticchiando su una base vagamente jazz, nel salotto della sua villa bianca con vista sul mare di Sant’Ilario (Genova). Accanto c’è quella rossa dove viveva Bartolomeo Pagano, l’attore che interpretava Maciste nei kolossal degli anni ’10 e ’20, ora abitata dai suoi eredi. Ma “Grillo contro Maciste” è un film che rischia di uscire presto dalle sale: l’ultimo sondaggio di La7 dà i Cinquestelle al 20 per cento, seconda davanti al Pdl, a 5 punti dal Pd.

“Se ne stanno andando troppo in fretta. Io faccio di tutto per rallentare, mi invento anche qualche cazzata per dargli un po’ di ossigeno, ma non c’è niente da fare, non si riesce a stargli dietro. Devo darmi una calmata nell’attaccare i partiti, anzi devo convincere la gente a fare politica, a impegnarsi, a partecipare. È una fase nuova, dobbiamo cambiare un po’ tutti, anch’io. La liquefazione del sistema è talmente veloce che domani rischiamo di svegliarci e non trovarli più. E poi come si fa? Non siamo pronti a riempire un vuoto così grande”. In casa, alla spicciolata per il pranzo, arriva l’intero Comitato Centrale del terribile M5S: il fratello maggiore Andrea, pensionato, la moglie Parvin e i figli più piccoli Rocco, 18 anni, e Ciro, 11. Andrea ha già letto tutti i giornali e fa la rassegna stampa al volo. Parvin dice che Renzo Piano telefona in continuazione per sapere come sta Beppe, ha paura per lui dal primo V-Day. Rocco non sopporta che il padre venga riconosciuto per strada, lo vorrebbe sempre col casco della moto in testa. Per Ciro invece, che si allena in giardino col pallone contro le finestre, un po’ di popolarità non guasta. “Ma cosa scrivi, facciamo due chiacchiere e basta. Per le interviste è presto, lasciami godere ancora qualche giorno lo spettacolo.

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Ho un Grillo per la testa

La comune a “cinque stelle” alla prova del XXI secolo

di Claudio Valerio Vettraino

La vittoria del MoVimento Cinque Stelle ha dimostrato due fatti decisivi per la politica italiana e non solo.

Innanzitutto ha decretato l’assoluta evanescenza (a seconda dei casi) dei partiti tradizionali, ormai ritenuti dalla schiacciante maggioranza della popolazione inutili ed inaffidabili. Dunque, l’euforia elettorale dei vari Bersani e Di Pietro  certifica la miopia di un sistema che non comprende o non vuole comprendere il suo ritardo, il suo elefantiaco spegnersi nel non rappresentare più nulla, se non il vuoto ideologico ed organizzativo del loro perpetuarsi. Ovviamente non bisogna confondere gli apparati dei partiti, la loro burocrazia, gli equivoci personaggi che bazzicano le loro sedi, con gli onesti e scrupolosi funzionari che lavorano e si sacrificano per un’idea, un progetto (qualora ce ne fosse ancora uno in grado di appassionare le masse e rendere vive le coscienze) di società, umanità ad venire.

E’ un liquefarsi sotto il cielo della politica e dell’incalzare dei movimenti civici e dei cittadini che dal basso, in piena autonomia, propongono un’idea diversa di gestione della cosa pubblica a partire dai loro bisogni concreti, solo apparente e non va perciò sottovalutato. L’esaurirsi politico dei partiti e, con essi, di un sistema di potere, viene mitigato e “compensato” dal mantenersi in vita dei partiti come centri di potere economico-finanziario. I partiti dunque sopravvivono alla loro estinzione non solo come rappresentanti di un forma di gestione del potere “obsoleta ”, ma come effettivi coaguli di intrecci d’impresa e finanza. I partiti sopravvivono riducendosi alla loro forma essenziale, alla loro elementarità economica di gestori pubblici (essendo però enti giuridici privati) di interessi affaristici.

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Sulla crisi e sull’europa: appunti di fase

Centri sociali del nordest

Economia mondo e crisi

L’insistenza, con cui negli ultimi tre anni abbiamo sottolineato il carattere “globale” della crisi attuale, non può far sottovalutare come essa si sviluppi in realtà in maniera tutt’altro che “omogenea”, ma anzi in forme fortemente differenziate nelle diverse aree del pianeta.

Insistendo sul carattere “sistemico” abbiamo infatti cercato di registrare, al tempo stesso tra le sue cause e i suoi effetti, il progressivo declino dell’egemonia economica, militare e politica degli Stati Uniti d’America (e dell’Occidente più in generale) sui processi globali e il progressivo affermarsi di nuovi potenti attori su scala planetaria. Le conseguenze della crisi finanziaria ed economica interessano infatti, in misura e con modalità assai differenti, i Paesi emergenti del cosiddetto BRICS, per i quali lo sviluppo capitalistico ha ancora caratteristiche espansive, non solo in termini di crescita del Pil, ma anche della forza lavoro occupata, del suo salario, del reddito per essa disponibile e delle dinamiche di riproduzione allargata e consumo.

Lo svilupparsi di una crisi inedita come quella attuale può produrre una sorta di “miopia” dell’analisi: una difficoltà a vedere bene le cose lontane che di contro, incentiva la troppa concentrazione dello sguardo ai particolari di prossimità. Il capitalismo globale, se si osserva ciò che accade lontano da noi, non sembra in crisi. Il Brasile, la Russia, L’India, la Cina e il Sudafrica registrano un incremento verticale dei processi di accumulazione capitalistica, in maniera opposta a quanto invece sta accadendo in tutti i paesi occidentali che hanno tassi di crescita vicini allo zero o in marcata recessione.

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Bomba a Brindisi, utilità della tensione

Marco Cedolin

Esplode una bomba (costituita da tre bombole del gas collegate fra loro) davanti ad una scuola di Brindisi, facendo scempio di studenti e lasciando sul selciato il corpo inanimato di una ragazza di 16 anni e altri ragazzi feriti gravemente. Una tragedia che strazia il cuore e s'insinua nelle coscienze, lasciando in bocca un gusto amaro e tanto dolore.

Quale significato potrebbe mai avere un attentato di questa crudeltà, apparentemente privo di senso?

E quali attori perversi si celano dietro ad un'azione così aberrante? La mafia? Il terrorismo eversivo? I servizi segreti?

Gli inquirenti naturalmente stanno vagliando l'accaduto e forse fra qualche giorno saranno in grado di presentare una qualche verità ufficiale, oppure le indagini proseguiranno, come è accaduto spesso in passato, senza risultati per decenni, fino a perdersi nei meandri del tempo e dell'imponderabile.

Senza alcuna presunzione di voler dare delle risposte, riteniamo comunque giusto portare qualche riflessione, basata unicamente sull'uso della logica.

Come molti hanno già avuto modo di scrivere è assai improbabile che ci sia la mafia dietro alla bomba di Brindisi. La mafia, nelle sue varie declinazioni, fino ad oggi non ha mai colpito nel mucchio attentando alla vita di comuni cittadini, ma quando è accaduto ha sempre diretto le proprie azioni contro obiettivi ben precisi che avevano un senso all'interno del contesto. Inoltre la mafia rifugge la pubblicità e da un attentato come quello di Brindisi avrebbe solo da perdere: gli occhi degli inquirenti e dei media focalizzati sul territorio, nuove leggi più repressive, maggiori attenzioni ai suoi movimenti. Una iattura insomma.....

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La sottile linea rossa nell’affaire Equitalia

Note per una lettura di classe

In questi giorni l’affaire Equitalia è salito agli onori delle cronache e ha offerto più di qualche spunto e suggestione ai titolisti dei principali media nazionali. Le ragioni principali di questa improvvisa visibilità vanno probabilmente rintracciate in due fattori. Il primo, come appare sempre più lampante, riguarda il disperato tentativo di (ri-)mettere in piedi una strategia della tensione criminalizzando chiunque - movimenti e persino sindacati - sia ritenuto potenzialmente in grado di organizzare ed orientare il dissenso e la rabbia (crescenti, ma allo stesso tempo “disordinati” e privi di “messa a fuoco”) derivati dal violento attacco alle condizioni dei lavoratori, dallo smantellamento del welfare e dei diritti, dalla progressiva proletarizzazione della classe media e dal processo di polarizzazione sociale ed economica che sta cambiando il volto del nostro paese.

Non ci dilungheremo su questo primo aspetto, pure fondamentale, su cui abbiamo già scritto qualche giorno fa. Preferiamo invece concentrarci su un secondo ordine di discorso, che ci pare sia stato poco considerato anche da chi si oppone ad Equitalia, chiedendoci: perché di tale questione se n’è parlato tanto? Perché è così “sentita”? Perché tanti e diversi soggetti invocano la chiusura di Equitalia? Che cosa è e cosa rappresenta, fuori dalla retorica de “l’usura”, dello “strozzinaggio” etc? Senza avere la pretesa di offrire un’analisi esauriente e tantomeno ricette preconfezionate, proveremo in questo documento a smarcarci dai tanti luoghi comuni e a riflettere sulle potenzialità e i modi in cui i movimenti possono affrontare la battaglia contro Equitalia nell’unica prospettiva che, ci sembra, possa essere vincente, quella di classe.

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Italia: lo stallo a sinistra e l’alternativa

di Rodolfo Ricci

Mentre si scatena la guerra di interdizione mediatica, l’Europa resta quasi sospesa di fronte alla tornata dei risultati elettorali franco-greci, con annesso prolungamento italiano. Si attendono le prime mosse di Hollande, si attende il decorso della crisi greca. In Italia, tanto per non fare eccezione, l’eterna ipocrisia della politica nostrana tende a minimizzare o a spostare sulle presunte categorie di destra e sinistra la spiegazione degli eventi. Il crollo avrebbe riguardato e riguarderebbe solo il centrodestra (ed è un dato oggettivo), mentre, sull’altro lato, si tratterebbe di assumere come vittoria l’aver mantenuto percentuali in calo relativo in un panorama completamente rivoluzionato.

Ma se la logica ha ancora qualche valore, come spiegare che a fronte del crollo di un versante non si registri l’avanzata dell’altro, soprattutto in un sistema che fino ad ora si è voluto qualificare come bipolare?

In realtà è sempre più chiaro che sta crollando proprio questo sistema di bipolarità ecumenica che ha sostenuto (e continua a sostenere) le pratiche neoliberiste in salsa italiana, prima di Tremonti & C., oggi di Monti e Fornero.

Ora la questione è che, dei due poli, solo uno (il PD) resterebbe a vigoroso sostegno del governo tecnico, un aggregato ministeriale che non ha forse pari nella rappresentanza dogmatica neoliberista a livello internazionale, insieme alla compagine tedesca di destra impersonata dalla Merkel. Corsi e ricorsi dell’arretratezza teutonica ed italiana.